giovedì 18 settembre 2014

Come pietre miliari le seguenti parole del Sommo Pontefice Benedetto XVI



Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Nella Chiesa, la Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell’interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l’una all’altro in modo indissolubile. Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. 

Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. 
Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire. Per questo occorre un mandato più grande, che non può scaturire dalle sole capacità umane. Per questo occorre la voce della Chiesa viva, di quella Chiesa affidata a Pietro e al collegio degli apostoli fino alla fine dei tempi.


Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero. Non è così. Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire. 

La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. 

Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. 

Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. 

Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. 

Lo fece Papa Giovanni Paolo II, quando, davanti a tutti i tentativi, apparentemente benevoli verso l’uomo, di fronte alle errate interpretazioni della libertà, sottolineò in modo inequivocabile l’inviolabilità dell’essere umano, l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma è una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù. 

Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode.

CUORE IMMACOLATO DI MARIA
 fiducia, salvezza, vittoria
e gioia mia!
Dacci il Tuo Cuore Mamma
per amare Gesù come L'ami Tu!"

AMDG et DVM

RESTA CON NOI, SIGNORE: Mane nobiscum Domine.


Giovanni Paolo II e ...futuro BENEDETTO XVI

ANGELUS



Cari fratelli e sorelle!

Mentre l’Anno dell’Eucaristia si avvia al termine, vorrei riprendere un tema particolarmente importante, che stava tanto a cuore anche al venerato mio predecessore Giovanni Paolo II: la relazione tra la santità, via e meta del cammino della Chiesa e di ogni cristiano, e l'Eucaristia. In particolare, il mio pensiero va quest'oggi ai sacerdoti, per sottolineare che proprio nell'Eucaristia sta il segreto della loro santificazione.

In forza della sacra Ordinazione, il sacerdote riceve il dono e l'impegno di ripetere sacramentalmente i gesti e le parole con i quali Gesù, nell'Ultima Cena, istituì il memoriale della sua Pasqua. Tra le sue mani si rinnova questo grande miracolo d'amore, del quale egli è chiamato a diventare sempre più fedele testimone e annunciatore (cfr Lett. ap. Mane nobiscum Domine, 30). Ecco perché il presbitero dev'essere prima di tutto adoratore e contemplativo dell'Eucaristia, a partire dal momento stesso in cui la celebra. Sappiamo bene che la validità del Sacramento non dipende dalla santità del celebrante, ma la sua efficacia, per lui stesso e per gli altri, sarà tanto maggiore quanto più egli lo vive con fede profonda, amore ardente, fervido spirito di preghiera.

Durante l'anno, la Liturgia ci presenta come esempi santi ministri dell'Altare, che hanno attinto la forza dell'imitazione di Cristo dalla quotidiana intimità con lui nella celebrazione e nell'adorazione eucaristica. Qualche giorno fa abbiamo fatto memoria di san Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli alla fine del quarto secolo. Fu definito "bocca d'oro" per la sua straordinaria eloquenza; ma venne anche chiamato "dottore eucaristico", per la vastità e la profondità della sua dottrina sul santissimo Sacramento. La "divina liturgia" che più viene celebrata nelle Chiese orientali porta il suo nome, e il suo motto: "basta un uomo pieno di zelo per trasformare un popolo", evidenzia quanto efficace sia l'azione di Cristo attraverso i suoi ministri. 

Nella nostra epoca, spicca poi la figura di san Pio da Pietrelcina, che ricorderemo venerdì prossimo. Celebrando la santa Messa, egli riviveva con tale fervore il mistero del Calvario da edificare la fede e la devozione di tutti. Anche le stigmate, che Dio gli donò, erano espressione di intima conformazione a Gesù crocifisso. 
Pensando ai sacerdoti innamorati dell'Eucaristia, non si può inoltre dimenticare san Giovanni Maria Vianney, umile parroco di Ars ai tempi della rivoluzione francese. Con la santità della vita e lo zelo pastorale, egli riuscì a fare di quel piccolo paese un modello di comunità cristiana animata dalla Parola di Dio e dai Sacramenti.

Ci rivolgiamo ora a Maria, pregando in modo speciale per i sacerdoti del mondo intero, affinché traggano da questo Anno dell'Eucaristia il frutto di un rinnovato amore al Sacramento che celebrano. Per intercessione della Vergine Madre di Dio, possano sempre vivere e testimoniare il mistero che è posto nelle loro mani per la salvezza del mondo.

Col patire si distingue la paglia dal grano


Caritas patiens est.
L'anima che ama Gesù Cristo ama il patire.

1. Questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patimenti. La patria nostra, ove Dio ci ha preparato il riposo in un gaudio eterno, è il paradiso. In questo mondo poco tempo abbiamo da starvi; ma in questo poco tempo molti sono i travagli che abbiamo da soffrire. Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis (Iob. XIV, 1). 

Si ha da patire, e tutti han da patire: siano giusti, siano peccatori, ognuno ha da portar la sua croce. Chi la porta con pazienza si salva, chi la porta con impazienza si perde. Le stesse miserie, dice S. Agostino, mandano altri al paradiso, altri all'inferno: Una eademque tunsio bonos perducit ad gloriam, malos reducit in favillam. Colla pruova del patire, dice lo stesso santo, si distingue la paglia dal grano nella chiesa di Dio: chi nelle tribolazioni si umilia e si rassegna al divino volere è grano per lo paradiso; chi s'insuperbisce e si adira, e perciò lascia Dio, è paglia per l'inferno.


2. Nel giorno in cui avrà da giudicarsi la causa della nostra salute, per aver la sentenza felice de' predestinati, la nostra vita dovrà trovarsi uniforme alla vita di Gesù Cristo: Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Rom. VIII, 29). Questo fu il fine per cui l'Eterno Verbo discese in terra, per insegnarci col suo esempio a portare con pazienza le croci che Dio ci manda: Christus passus est pro vobis, scrisse S. Pietro, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius (I Petr. II, 21). Sicchè Gesù Cristo volle patire per animarci a patire. 

— Oh Dio! qual fu la vita di Gesù Cristo? Vita d'ignominie e di pene. Il Profeta chiamò il nostro Redentore: Despectum, novissimum virorum, virum dolorum (Is. LIII, 3): l'uomo disprezzato e trattato come l'ultimo, il più vile di tutti gli uomini, l'uomo de' dolori; sì, perchè la vita di Gesù Cristo fu tutta piena di travagli e di dolori...


mercoledì 17 settembre 2014

«Il matrimonio sacramentale, se valido, è indissolubile».

«Il matrimonio sacramentale, 

se valido, è indissolubile». 



Questo capitolo è d'oro puro. Caritas patiens est, benigna est: caritas non aemulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum, non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati: omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet.


CAPITOLO IV
Quanto noi siamo obbligati
ad amar Gesù Cristo.

1. Gesù Cristo come Dio merita per sè da noi tutto l'amore; ma egli, coll'amore che ci ha dimostrato, ha voluto metterci per così dire in necessità di amarlo almeno per gratitudine di quanto ha fatto e patito per noi. Egli ci ha amati assai per esser assai da noi amato. Ad quid amat Deus, nisi ut ametur?scrisse S. Bernardo. E prima lo disse Mosè: Et nunc, Israel, quid Dominus Deus petit a te, nisi ut timeas Dominum Deum tuum... et diligas eum? (Deut. X, 12). Perciò il primo precetto ch'egli ci diede fu questo: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo (Deut. VI, 5).

2. E dice S. Paolo che l'amore è la pienezza della legge: Plenitudo legis est dilectio (Rom. XIII, 10). Plenitudo, dice il testo greco complexio legis, il compimemto della legge è l'amore. Ma chi mai, a vista d'un Dio crocifisso che muore per amore nostro, potrà resistere a non amarlo? Troppo gridano quelle spine, quei chiodi, quella croce, quelle piaghe e quel sangue, cercando da noi che amiamo chi ci ha tanto amato. È troppo poco un cuore per amar questo Dio così innamorato di noi. Per compensar l'amore di Gesù Cristo, bisognerebbe che un altro Dio morisse per suo amore. «Ah perchè, esclamava S. Francesco di Sales, non ci gettiamo sovra di Gesù crocifisso per morir sulla croce con colui che ha voluto morirvi per amore di noi?» Ben ci fa sapere l'Apostolo che Gesù Cristo a questo fine ha voluto morire per tutti noi, acciocchè tutti non viviamo più a noi, ma solo a quel Dio che per noi è morto: Pro nobis mortuus est Christus, ut et qui vivunt iam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis mortuus est (II Cor. V, 15).

3. Qui fa quello che raccomanda l'Ecclesiastico: Gratiam fideiussoris ne obliviscaris, dedit enim pro te animam suam (Eccli. XXIX, 20). Non ti dimenticare del tuo mallevadore che, per soddisfare i tuoi peccati, ha voluto pagare colla sua morte la pena da te dovuta. — Oh quanto gradisce Gesù Cristo che noi spesso ci ricordiamo della sua Passione! e quanto gli rincresce che noi trascuriamo di pensarci! Se uno patisse per un suo amico ingiurie, percosse e carceri, quanto si affliggerebbe in saper che l'amico niente poi se ne ricorda, e neppure vuol sentirne parlare! All'incontro quanto gradirebbe il saper che l'amico sempre ne parla con tenerezza, e sempre ne lo ringrazia! Così Gesù Cristo molto si compiace che noi ci ricordiamo con riconoscenza d'amore de' suoi dolori e della morte che per noi sofferse.
Gesù Cristo è stato il desiderio di tutti gli antichi padri, egli è stato il desiderio di tutte le genti, quando ancora non era venuto in questa terra. Or quanto più egli dee esser l'unico nostro desiderio ed unico nostro amore, ora che il vediamo già venuto, e sappiamo quanto ha fatto ed ha patito per noi, sino a morir crocifisso per nostro amore?

4. A questo fine egli istituì il sagramento dell'Eucaristia nel giorno antecedente alla sua morte, e ci raccomandò che semprechè ci fossimo cibati delle sue carni sagrosante, ci fossimo ricordati della sua morte: Accipite et manducate: hoc est corpus meum...: hoc facite in meam commemorationem etc. Quotiescumque enim manducabitis panem hunc... mortem Domini annuntiabitis (I Cor. XI, 24 et 26). Quindi poi la S. Chiesa prega: Deus qui nobis sub Sacramento mirabili Passionis tuae memoriam reliquisti etc. Ed inoltre canta: O sacrum convivium, in quo Christus sumitur, recolitur memoria Passionis eius etc. Da ciò argomentiamo quanto gradisce Gesù Cristo coloro che spesso pensano alla sua Passione, giacchè a posta si è lasciato sagramentato sugli altari, affinchè noi avessimo continua e grata memoria di quel che ha patito per noi, e così sempre crescesse in noi l'amore verso di lui. S. Francesco di Sales chiamava il monte Calvario, il monte degli amanti. Non è possibile ricordarsi di quel monte e non amar Gesù Cristo che volle ivi morire per nostro amore.

5. Oh Dio, e perchè gli uomini non amano questo Dio che tanto ha fatto per essere amato dagli uomini! Prima dell'Incarnazione del Verbo potea dubitare l'uomo se Dio lo amasse con vero amore; ma dopo la venuta del Figlio di Dio, e dopo essere egli morto per amore degli uomini, come mai possiamo più dubitarne? Uomo, dice S. Tommaso da Villanova, guarda quella croce, quei dolori e quella morte acerba che per te ha sofferta Gesù Cristo: dopo tali e tanti testimoni del suo amore non puoi aver più dubbio ch'egli t'ama e t'ama assai: Testis crux, testes dolores, testis amara mors quam pro te sustinuit.E S. Bernardo dice che grida la croce ed ogni piaga del nostro Redentore per farci intendere l'amore che ci porta.

6. In questo gran mistero della Redenzione umana bisogna considerare il pensiero e la premura ch'ebbe Gesù Cristo di trovar diverse maniere per farsi da noi amare. Se voleva egli morire per salvarci, bastava che morisse insieme cogli altri bambini uccisi da Erode; ma no, volle prima di morire fare per 33 anni una vita piena di stenti e di pene, ed in questa sua vita, per tirarci ad amarlo, volle a noi comparire in tante sembianze diverse. Prima si fe' vedere nato da povero bambino in una stalla, poi da garzoncello in una bottega, e finalmente da reo giustiziato su d'una croce. Ma prima di morire in croce volle prendere altre diverse sembianze compassionevoli, e tutte per farsi amare: volle farsi vedere nell'orto agonizzante e tutto bagnato di sudore di sangue: di poi nel pretorio di Pilato lacerato da' flagelli: di poi trattato da re di scena con una canna in mano, uno straccio purpureo sulle spalle ed una corona di spine sulla testa: indi in mezzo alla via pubblica strascinato alla morte colla croce sulle spalle: e finalmente sul Calvario appeso a tre uncini di ferro. Merita o no di essere da noi amato un Dio che ha voluto soffrir tante pene e praticar tanti modi per cattivarsi il nostro amore? Diceva il P. Giovanni Rigoleu: «Io non farei altro che piangere d'amore per un Dio condotto dall'amore a morire per la salute degli uomini».

7. Magna res amor, dice S. Bernardo (Ser. 83 in Cant.). Gran cosa, preziosa cosa è l'amore. Parlando Salomone della divina sapienza, ch'è la santa carità, la chiamò tesoro infinito, poichè chi ha la carità è fatto partecipe dell'amicizia di Dio: Infinitus enim thesaurus est hominibus, quo qui usi sunt participes facti sunt amicitiae Dei (Sap. VII, 14). Dice S. Tommaso l'Angelico (Tr. de virt. a. 3) che la carità non solo è la regina di tutte le virtù, ma è quella che dove regna trae seco tutte le altre virtù come in suo corteggio, e tutte le indrizza a più unirci con Dio; ma la carità propriamente è quella che con Dio ci unisce, come dice S. Bernardo: Caritas est virtus coniungens nos Deo. E ben più volte sta espresso nelle sagre Scritture che Dio ama chi l'ama: Ego diligentes me diligo (Prov. VIII, 17). Si quis diligit me... Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus (Io. XIV, 23). Qui manet in caritate in Deo manet et Deus in eo (I Io. IV, 16). Ecco la bella unione che opera la carità: unisce l'anima con Dio. — Inoltre l'amore dà forza di fare e patire ogni gran cosa per Dio. Fortis ut mors dilectio (Cant. VIII, 6). Scrive S. Agostino: Nihil tam durum, quod non amoris igne vincatur (Lib. de Mor. Eccl. c. 22): non vi è cosa così difficile che non si superi col fervor dell'amore; perocchè, dice il santo, in ciò che si ama, o non si sente la fatica o la stessa fatica è amata: In eo quod amatur aut non laboratur aut labor amatur.

8. Udiamo quel che dice S. Giovanni Grisostomo di quel che fa il divino amore in quell'anime ove regna: «Quando l'amore di Dio si è impadronito di un'anima, produce in essa un'insaziabile brama di operar per l'amato; tanto che, per molte e grandi opere che faccia, e per molto tempo che spenda in suo servigio, tutto le sembra nulla, e sempre si affligge di far poco per Dio; e se le fosse lecito di morire e distruggersi per lui, ne resterebbe contenta. Ond'è ch'ella si tiene sempre per inutile in tutto ciò che fa; poichè insegnandole l'amore quel che Dio merita, a quel chiaro lume vede tutti i difetti delle sue azioni, e così cava da tutto confusione e pena, conoscendo esser molto basso il suo operare per un Signore sì grande».

9. Oh quanto s'inganna, dice S. Francesco di Sales, chi ripone la santità in altro che in amare Dio! «Altri, scrive il santo, pongono la perfezione nell'austerità, altri nelle limosine, altri nell'orazione, altri nella frequenza de' sagramenti. Io per me non conosco altra perfezione che quella di amare Iddio di tutto cuore; poichè tutte le altre virtù senza l'amore non sono che una massa di pietre. E se non godiamo perfettamente questo santo amore, il difetto viene da noi, perchè non finiamo di darci tutti a Dio».

10. Disse un giorno il Signore a S. Teresa: «Ogni cosa che non dà gusto a me è vanità». Oh intendessero tutti questa verità! — Porro unum est necessarium. Non è già necessario l'esser ricchi in questa terra, il farci stimare dagli altri, il fare una vita comoda, l'avere dignità, l'aver fama di dotto; solo è necessario l'amare Dio e far la sua volontà. A questo solo fine egli ci ha creati e ci conserva la vita, e solamente così noi possiamo esser ammessi al paradiso. — Pone me ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum (Cant. VIII, 6). Così dice il Signore ad ogni anima sua sposa: mettimi come segno sovra il tuo cuore e sovra il tuo braccio, affinchè a me indirizzi tutti i tuoi desideri e tutte le tue azioni; sovra il tuo cuore, acciocchè non v'entri altro amore fuori del mio; sovra il tuo braccio, acciocchè in tutto quel che fai non abbi altro fine che me. — Oh come ben corre alla perfezione chi in ogni sua operazione non guarda che Gesù crocifisso, e non pretende altro che dargli gusto!

11. Questa dunque ha da essere tutta la nostra cura, di acquistare un vero amore verso Gesù Cristo.
I maestri di spirito descrivono i segni del vero amore. L'amore, dicono, è timoroso, e 'l suo timore non è altro che di dar disgusto a Dio. È generoso, poichè, fidato in Dio, non si sgomenta d'imprendere ogni gran cosa di sua gloria. È forte, mentre vince tutti gli appetiti malvagi, anche in mezzo alle tentazioni più violente ed alle desolazioni più tenebrose. È ubbidiente, perchè subito cerca di eseguir le voci divine. È puro, poichè ama Iddio solo, e solo perchè merita d'esser amato. È ardente, perchè vorrebbe accender tutti e vederli consumati di divino amore. È inebriante, che fa vivere l'anima quasi fuori di sè, come più non vedesse, non sentisse, nè avesse più sensi per le cose terrene, intenta solo ad amare Dio. È unitivo, che unisce strettamente la volontà della creatura colla volontà del suo Creatore. È sospirante, perchè riempie l'anima di desideri di lasciar questa terra per volare ad unirsi perfettamente con Dio nella patria beata, affin di amarlo ivi con tutte le forze.

12. Ma niuno meglio insegna quali siano i caratteri e la pratica della vera carità, che il gran predicatore della carità S. Paolo. Egli nella sua prima lettera a' Corinti al Capo XIII dice primieramente che senza la carità l'uomo è nulla, e nulla gli giova: Et si habuero omnem fidem, ita ut montes transferam, caritatem autem non habuero, nihil sum. Et si distribuero in cibos pauperum omnes facultates meas, et si tradidero corpus meum, ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest. Sicchè se uno avesse una tal fede che giungesse a smuovere i monti, come fece S. Gregorio Taumaturgo, ma non avesse la carità, egli niente vale. Se dispensasse tutti i suoi beni a' poveri, se anche soffrisse volontariamente il martirio, ma senza la carità, in modo che ciò facesse per altro fine che per piacere a Dio, niente gli giova. — Indi S. Paolo ci addita i contrassegni della vera carità, ed insieme c'insegna la pratica di quelle virtù che sono figlie della carità; e siegue a dire così: Caritas patiens est, benigna est: caritas non aemulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum, non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati: omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet.
Anderemo dunque nel presente libro considerando queste sante pratiche, così per vedere se veramente in noi regna l'amore che dobbiamo a Gesù Cristo, come anche per intendere in quali virtù dobbiamo principalmente esercitarci per conservare in noi ed aumentare questo santo amore.

Affetti e preghiere.
O amabilissimo ed amantissimo Cuore di Gesù, misero quel cuore che non v'ama! Oh Dio, voi moriste sulla croce per amore degli uomini, abbandonato da ogni sollievo, e come poi gli uomini vivono così scordati di voi?

O amore divino! o ingratitudine umana! O uomini, uomini, deh guardate l'Agnello di Dio innocente che agonizza su quella croce e muore per voi, affin di pagare alla divina giustizia i vostri peccati e così tirarvi al suo amore. Mirate, come nello stesso tempo sta pregando l'Eterno Padre che vi perdoni. Miratelo ed amatelo.

Ah Gesù mio, quanto son pochi quelli che v'amano! Misero me, che anch'io per tanti anni son vivuto scordato di voi, e perciò vi ho tanto offeso. Caro mio Redentore, non tanto mi fa piangere la pena che mi sono meritata, quanto l'amore che voi m'avete portato.

O dolori di Gesù, o ignominie di Gesù, o piaghe di Gesù, o morte di Gesù, o amore di Gesù, fissatevi nel mio cuore, e resti ivi per sempre la vostra dolce memoria a ferirmi continuamente ed infiammarmi d'amore.
V'amo, Gesù mio; v'amo, mio sommo bene; v'amo, mio amore, mio tutto: v'amo e voglio sempre amarvi.

Deh! non permettete ch'io vi lasci e vi perda più.
Rendetemi tutto vostro; fatelo per li meriti della vostra morte. A questa io fermamente confido.


E molto confido ancora alla vostra intercessione, o Maria. Regina mia, fatemi amare Gesù Cristo, e fatemi amare ancora voi, madre e speranza mia.