domenica 24 agosto 2014

NOVISSIMI


 I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Novissimi

1. Grande disgrazia è dimenticare i novissimi. 

2. Quanto è utile ricordarsi dei novissimi. 
3. Come dobbiamo ricordare i novissimi.





1. GRANDE DISGRAZIA È DIMENTICARE I NOVISSIMI. - I novissimi, cioè gli ultimi fini, sono la morte, il giudizio, il paradiso, l'inferno, l'eternità. 

Dimenticare cose di tanta importanza, non prevederle, non prepararvisi, è la somma delle disgrazie che possa accadere ad un uomo. Infatti 

dimenticare la morte, vuol dire non pensare a prepararvisi, ed avventurarsi alla triste morte del peccatore: disgrazia irreparabile. 

Dimenticare il giudizio di Dio è un disprezzarlo; e allora sarà molto terribile questo giudizio. 

Dimenticare il cielo è grande sciagura, perché così facendo non si fa nulla per guadagnarlo, e si perde; e perduto il paradiso, tutto è perduto. 

Dimenticare l'inferno, è un andarvi incontro; e chi vi si incammina, facilmente vi precipita. 

Dimenticare l'eternità, è lo stesso che perdere il tempo e l'eternità; si può immaginare disgrazia più tremenda? Ciò non ostante, oh come è comune nel mondo la dimenticanza dei novissimi! Per ciò Gesù fulminò quello spaventevole anatema: «Guai al mondo»! (MATTH. XVIII, 7). 


A quanti si possono rivolgere quelle parole del Signore nel Deuteronomio: «Gente senza consiglio e senza prudenza, perché non aprire gli occhi e comprendere e provvedere ai loro novissimi?» (XXXII, 28-29). E quelle altre d'Isaia: «Tu non hai pensato a queste cose, e non ti sei ricordato dei tuoi novissimi» (XLVII, 7). 

Terribile imprudenza che ha conseguenze fatali è quella di dimenticare le cose future, di non considerare i novissimi per arrivarvi preparati. Che onta, che rabbia non sarà per i figli del mondo l'udirsi rinfacciare dai demoni nell'inferno: O sciagurati! voi sapevate che c'era un inferno, e potendolo schivare con poco costo, vi ci siete tuffati a capo fitto! Voi avete dimenticato i novissimi, e avete perduto tutto. 

Ci si parla dei nostri novissimi; noi li conosciamo, vi crediamo, e intanto operiamo come se non ci riguardassero affatto e non ne diventiamo migliori! O cecità fatale! O follia incredibile! O uomini stupidi e da compiangersi! Non pensare, non penetrare, non temere cose tanto gravi, non prepararvisi! 

2. QUANTO È UTILE RICORDARSI DEI NOVISSIMI. - «In tutte le tue opere, dice il Savio, proponiti sotto gli occhi i tuoi novissimi, e non cadrai mai in peccato» (Eccli. VII, 40). La ragione è chiara, poiché il fine che uno si propone, diventa il principio e la regola di tutte le azioni; ora il fine di tutte le cose sta compreso essenzialmente nei fini ultimi, ossia nei novissimi. Tutte le persone operano per un fine; perché dunque non operare guardando ai fini ultimi?... 

Chi dice a se stesso, quando si sente tentato a offendere Dio: Al punto di morte, vorrò io aver commesso questo peccato? - tosto si mette su l'avviso e resiste. - Quando sarò innanzi al tribunale di Dio, quando il giudice divino mi peserà nella bilancia della sua giustizia, vorrò che il peso dei miei misfatti vinca quello delle mie virtù? Ebbene, schiverò il peccato e praticherò la virtù. Mi sta a cuore di passare dal tribunale di Dio al cielo? dunque mi studierò di guadagnarmi  questo cielo. 

Forse che mi garberà udirmi al giudizio quella terribile sentenza: Partitevi da me, o maledetti, e andate al fuoco eterno? Dio me ne scampi! Dunque mi applicherò a chiudermi l'inferno per sempre, schivando soprattutto il peccato mortale. Quando entrerò nell'eternità, vorrò io aver perduto il tempo? Certo che no: conviene dunque che non ne perda un istante; - queste sono le salutari considerazioni che fa colui il quale non dimentica i suoi novissimi. 

Dunque chi non vede ch'egli diventa quasi impeccabile, compiendosi in lui il detto dello Spirito Santo: - Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis? - Il fine dell'uomo che è la beatitudine eterna, lo porta alla fuga del peccato e alla pratica della virtù, come a mezzi coi quali si ottiene la beatitudine. 

Per ciò S. Agostino dice: «La considerazione di questa sentenza: - Ricorda i tuoi novissimi e non peccherai in eterno - è la distruzione dell'orgoglio, dell'invidia, della malignità, della lussuria, della vanità e della superbia, il fondamento della disciplina e dell'ordine, la perfezione della santità, la preparazione alla salute eterna. Se ti preme non andare perduto, guarda in questo specchio dei tuoi novissimi ciò che sei e ciò che sarai tu la cui concezione è macchia vergognosa, l'origine è fango, il termine è putredine. Davanti a questo specchio, cioè in faccia ai novissimi, che cosa diventano le delicate imbandigioni, i vini squisiti, le splendide calzature, il lusso del vestire, la mollezza della carne, la ghiottoneria, la crapula, l'ubriachezza, la magnificenza dei palazzi, l'estensione dei poderi, l'accumulamento delle ricchezze? (Specul. CI)». 

Prendiamo dunque il consiglio di S. Bernardo e nel cominciare un'azione qualunque diciamo a noi medesimi: Farei io questo, se dovessi morire in questo momento? (In Speculo monach.). 
Simile a quella di S. Bernardo è la regola di condotta suggerita da Siracide, per ordinare e santificare tutte le nostre azioni: «In ogni tua impresa scegli quello che vorresti aver fatto e scelto quando sarai in punto di morte». Fate tutte le vostre azioni come vorreste averle fatte il giorno in cui comparirete innanzi a tutto il mondo, per renderne conto al supremo tribunale di Dio. Non fate cosa di cui abbiate a pentirvi eternamente: schivate quello che vi farebbe piangere per tutta l'eternità, quello che vi toccherebbe pagare nell'eterno abisso dell'inferno. Studiatevi di fare benissimo e perfettissimamente ogni cosa, affinché abbiate da rallegrarvi di tutto ciò che pensate, dite, e fate; e ne riceviate una ricca mercede in cielo. Ora la memoria dei novissimi procura tutti questi vantaggi... 

Non dimenticate anche che sono prossimi i vostri novissimi...; che incerta è l'ultima ora... Chi non teme una cattiva morte come avrà paura del giudizio e dell'inferno? Ah! se gli uomini pensassero di frequente al giorno della loro morte, preserverebbero la loro anima da ogni cupidigia e malizia... O voi, che volete essere eternamente felici, pensate sempre a quella sentenza. - Parlando di Gerusalemme, Geremia dice che «ella si dimenticò del suo fine, per ciò sdrucciolò in un profondo abisso di miserie e di degradazione» (Lament. I, 9). Dunque, pensando agli ultimi fini non si cade, e chi è caduto, si rialza. 

«Noi cessiamo di peccare, dice S. Gregorio, quando temiamo i tormenti futuri (Moral.)». Ripetiamo anche noi col Salmista: «Ho pensato ai giorni antichi, ho meditato gli anni eterni» (Psalm. LXXVI, 5). 


3. COME DOBBIAMO RICORDARE I NOVISSIMI

Perché il ricordo dei novissimi abbia tutta l'efficacia che ne promette lo Spirito Santo, conviene in primo luogo che non si fermi soltanto sopra di uno, ma li abbracci tutti. 

Per qualcuno infatti il pensiero della morte, invece di essere incentivo al bene può essere uno stimolo al male: «La nostra vita sfumerà come nebbia» (Sap. II, 3), dissero gli empi ricordandosi della loro morte imminente; ma da questo pensiero conclusero: « Venite dunque e godiamo finché abbiamo tempo» (Ib. 6). 

Perciò non dice il Savio nel citato testo: memorare novissimum tuum, ma novissima tua; perché il pensiero della morte riesca proficuo, ricordiamoci che alla morte terrà dietro un duro giudizio (Hebr.. IX, 27); che al giudizio andrà annessa una sentenza o di eterna pena o di eterno premio (MATTH. XXV, 46). 

Dal ricordo dei novissimi trae pure un gran vantaggio la vita spirituale del cristiano, la quale consistendo nella pratica delle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, trova nella meditazione dei novissimi un ottimo alimento. 

Infatti il ricordo della morte distrugge l'ambizione e la superbia, e così dà la prudenza. La memoria del giudizio, mettendoci dinanzi agli occhi quel giudice rigoroso, ci porta a usare giustizia e bontà col prossimo. Il ricordo dell'inferno reprime l'appetito dei piaceri illeciti e così avvalora la temperanza. La memoria del Paradiso diminuisce il timore dei patimenti di questa vita e così rinsalda la fortezza. 

Si richiede in secondo luogo, che questo ricordo sia fatto su la propria persona, come pare ci dica il Savio il quale non dice semplicemente: memorare novissima, ma vi aggiunge tua. Quanti vi sono, che ricordano i novissimi anche spesso, ora discorrendone nelle chiese, ora trattandone nei libri, ora disputandone su le cattedre, ora figurandoli o su marmi, o su bronzi o su tele? eppure non menano tutti una vita santa. Bisogna che chi ricorda i novissimi, pensi che proprio lui si troverà, e forse tra brevissimo tempo, al letto di morte... nella bara, al camposanto... Che proprio lui si presenterà al giudizio di Dio e a lui toccherà il castigo o il premio eterno. 

Conviene in terzo luogo che questo ricordo dei novissimi non sia cosa speculativa ma pratica, perciò lo Spirito Santo fa precedere al testo citato quelle parole: - in omnibus operibus tuis - in ogni tua azione. 
Se prima di ogni azione considerassimo i novissimi, non solo eviteremmo il peccato, ma troveremmo in quella considerazione la forza di praticare le più eroiche virtù. 

Sarebbe poi un errore il credere che il pensiero dei novissimi porti con sé la tristezza. Se lo Spirito Santo ci assicura che il ricordo frequente dei. novissimi basta a tenerci pura la coscienza: - In aeternum non peccabis - è cosa chiara che porta con sé la gioia del cuore che è la più grande di tutte le gioie. (Eccli. XXX, 16). E ne abbiamo infatti una conferma nel medesimo Ecclesiastico il quale dopo di aver detto in altro luogo: «Non abbandonarti alla tristezza, ma cacciala da te» (XXXVIII, 21), soggiunge subito - et memento novissimorum (Ib.). - e ricordati dei novissimi, quasi che il pensiero dei novissimi sia il più sicuro per tenere lontana dal cuore umano la tristezza.

I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (III)

 I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (III)

 11. Chi pratica la virtù è felice. 

 12. Ricompense della virtù. 
 13. Parentela e gradi della virtù
 14. Per acquistare la virtù bisogna fare sacrifizi. 
 15. Mezzi per praticare la virtù.





11. CHI PRATICA LA VIRTÙ È FELICE. - La vera felicità si trova nella vittoria su le passioni, e siccome tale vittoria dipende dalla virtù, ne segue che arriva alla felicità chi esercita la virtù. A lui conviene quel detto dell'Apocalisse: «A tutti quelli che seguiranno questa regola, pace e misericordia» (Gal. VI, 16). 

La virtù produce pace, serenità, gioia, tranquillità di coscienza, allegrezza, confidenza, sicu­rezza della salute. Dove trovare stato più felice e invidiabile? La Sacra Scrittura dice che la virtù ci nutrisce del pane della intelli­genza e della vita, ci abbevera dell'acqua della sapienza e della sa­lute, ci consolida, ci rinforza, ci sostiene, non permette che siamo confusi, ci copre di gloria, accumula su l'uomo che l'ama la gioia e la letizia (Eccli. XIII, 3-6). La virtù procura la pace, l'unione con Dio, col prossimo, con noi medesimi. Con la pratica della virtù, l'uomo si assicura la grazia e l'amicizia di Dio, una vita santa, una buona morte, una splendida corona per il cielo. Ecco la vera la somma, l'incontestabile felicità!... 

Con ragione pertanto S. Agostino dice che la virtù rende felici tutti quelli che la praticano (De Civit.); e noi possiamo metterle in bocca quelle parole che lo Spirito Santo fa dire alla Sapienza: Beato l'uomo che mi dà orecchio, che passa i suoi giorni su la soglia di mia casa e che veglia sul limitare della mia porta! Chi trova me, trova la vita e la salute (Prov. VIII, 35-36)


Questa verità non fuggì del tutto alle considerazioni dei saggi pagani. «Solo la virtù, scriveva Seneca, procura una gioia perpetua e sicura (Epist. XXVII)». La virtù mi basta per essere felice, diceva Antistene (Ita LAERT., l. VI). Platone invita a considerare la contraria indole della virtù e del vizio; per un momento di piacere nella vita, ci get­tiamo in rammarichi, in dolori, in pene, che non hanno fine; ma la virtù, dopo brevi dolori, vede nascere gioie vere e grandi, che l'ac­compagnano anche dopo morte e durano eterne (Dialog. III). Il medesimo autore nota ancora che i savi dànno il primo luogo allo spirito, il secondo al corpo, il terzo alle ricchezze; ed egli vuole che nello Stato la virtù tenga il primo posto, poi le forze del corpo, finalmente la ricchezza (De Repub.). 

Del resto tutto il mondo sa che i più sensati dei filosofi antichi, gli stoici, insegnavano che la vera felicità in questa vita non si trova che nella virtù, e ne recavano le seguenti ragioni: 
1° Il sommo bene, la suprema felicità sta nell'anima; ma per l'anima non vi è niente di meglio, di più salutare e di più ricco della virtù... 

2° Il sommo bene è quello che ci rende perfetti; ora la virtù è questo bene, perché essa perfeziona l'uomo... 

3° Si deve chiamare sommo bene quello che è bene in se stesso e che rende buoni gli altri beni; ora la virtù, buona in se stessa, ci rende buoni ed utili i beni, di fortuna e di natura, i quali se sono disgiunti da essa, ci tornano piuttosto di danno che di vantaggio... 

4° Si deve chiamare sommo bene quello che, separato da ogni altro bene, rende felice chi lo possiede, e che, se viene a mancare, rende infelice chi ne è privo, ancorché fosse largamente provvisto di ogni altro bene; ora tale è il bene della virtù: perché l'uomo che ha la virtù, sebbene sia privo di tutto il resto, è chiamato uomo probo; ma se gli manca la virtù, ancorché ricchissimo, non è chiamato né buono, né probo... 

5° Il sommo bene deve comunicare la forza e la potenza; ora tale è la virtù e chi ne è for­nito trionfa delle avversità, delle traversie, dei disastri della fortuna, delle incomodità della natura, della voluttà, ecc... 
6° Il sommo bene deve essere fisso e sicuro; ora la virtù sola è costante e durevole... Dunque, ne conchiudevano, la virtù forma il sommo bene e quindi la felicità di colui che la possiede.


12. RICOMPENSE DELLA VIRTÙ. - Le ricompense della virtù, sono ac­cennate in quel versetto di Davide: «Quelli che seminano nel pianto, mieteranno nell'allegrezza; andavano e piangevano spargendo le loro semenze, ma ritorneranno festosi portando su le braccia i covoni» (Psalm. CXXV, 6-8).
La semenza è la virtù; i covoni sono le ricompense. E quale ricompensa! Ci è indicata dallo stesso Salvatore: «Suvvia, servo buono e fedele, perché ti sei mantenuto fedele nel poco, ti costituirò padrone di molto; entra nel gaudio del tuo Signore» (MATTH. XXV, 21).
«Venite, o benedetti del Padre mio, al possesso del regno che vi fu preparato fin dall'origine del mondo» (Ibid. 34). E infatti che il paradiso, l'eterna felicità, il sommo bene, stia preparato per i virtuosi, si vede da ciò, che Gesù Cristo assicurò che il regno dei cieli soffre violenza e che solo i violenti lo rapiscono (MATTH. XI, 12).
Ora chi è che fa violenza a se stesso e sforza l'entrata del cielo, se non l'uomo virtuoso?.. E dire regno dei cieli, vuol dire possesso di Dio, godimento di Dio; a buon diritto adunque il Nazianzeno riassume le ricompense che aspettano l'uomo virtuoso, nel dire che la virtù lo fa diventare Dio (In Distich.).


13. PARENTELA E GRADI DELLA VIRTÙ. - La virtù ha per padre la grazia; la volontà per madre e per famiglia i buoni pensieri, le sante ispirazioni; infatti la volontà guadagnata e fecondata dalla grazia divina produce le buone opere, la penitenza, il digiuno, la elemosina, la fede pratica, la carità, l'obbedienza, l'umiltà, la saviezza, lo zelo, ecc...

La virtù procede e sale per tre gradi:

Il primo è la virtù ordinaria, cioè quella che è comune ai fedeli i quali vivono onestamente, religiosamente, secondo i comandi di Dio...
Il secondo grado è quello dei cristiani che si spingono oltre questo limite ordinario, e studiano più di proposito a imitare Dio; le loro virtù si chiamano purgative; il che vuol dire che la prudenza, per la meditazione delle cose divine, lascia da parte le cose terrene e dirige tutti i pensieri dell'anima verso il cielo; che la temperanza abbandona, per quanto lo comporta la debolezza della natura, tutto ciò che l'agio e le comodità del corpo richiedono; che l'anima, per il suo allontanamento dal corpo e la sua vicinanza alle cose divine, non si lascia spaventare né distogliere dalla via della perfezione, da nessuna difficoltà...
Il terzo grado ed il più sublime sta nella somiglianza già acquistata, nell'unione con Dio; in questo grado le Virtù sono chiamate e sono realmente virtù di un'anima purificata e perfetta; sono le virtù dei perfetti in questo mondo e degli eletti nell'altro... Vi è dunque la virtù dei principianti, la virtù dei proficienti, la virtù dei perfetti.


14. PER ACQUISTARE LA VIRTÙ BISOGNA FARE SACRIFIZI. - Le ricchezze della virtù si devono guadagnare per mezzo della fatica... Il sentiero della virtù ha le sue spine; spine lunghe, acute, molteplici, che pungono e cagionano dolori; esse sono intralciate insieme; se ne strappate una, l'altra vi fora; questo forma la disperazione delle anime infingarde e pusillanimi, ma le anime forti e coraggiose, a poco a poco, con pazienza e rassegnazione, giungono a spuntarle, a strapparle e finiscono col distruggerle...

Il punto sta qui, che noi vogliamo essere umili senza patire disprezzo, pazienti senza provare dispiaceri, obbedienti senza assoggettarci al comando, poveri senza sentire disagio di nulla, virtuosi senza sudore e senza fatica, penitenti senza dolore e pentimento; vogliamo essere lodati senza meritarlo, essere amati senza essere buoni, essere onorati senza santità. Ma non sono questi né gl'insegnamenti né i fatti di Gesù Cristo... È ben altrimenti fecero anche i Santi...
Chi vuole praticare la virtù, deve rassegnarsi a portare la croce; e chi mai può portare la croce senza fatica e senza dolore? «Tutti coloro, dice S. Paolo, che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo, soffriranno persecuzione» (II Tim. IlI, 12).
S. Giovanni Crisostomo, commentando questo passo, dice che sotto il nome di persecuzione bisogna intendere tutte le difficoltà, i travagli, i dolori, le pene, le prove, gli stenti che incontrano e sostengono quelli i quali praticano la virtù, quando si sforzano di soggiogare le concupiscenze; quando si studiano di conservare la continenza, di acquistare l'umiltà, l'ob­bedienza, la mortificazione, la temperanza; quando in una parola, si dedicano al bene e alla pietà. «La grazia di Dio nostro Salvatore, scrive S. Paolo, si mostrò a tutti gli uomini, istruendoci che rinun­ziando all'empietà e ai desideri del secolo, noi viviamo in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà» (Tit. II, 11-12).


15. MEZZI PER PRATICARE LA VIRTÙ. - Per praticare la virtù sì richiede: l° una risoluzione generosa dell'anima ed una volontà effi­cace di metterla in esecuzione...; 2° ardore e zelo...; 3° il combatti­mento e la mortificazione delle passioni...; 4° la perseveranza nello studio e nell'amore della virtù...; 5° la penitenza esteriore, perché, come afferma S. Cirillo, nella mortificazione della carne sta la forza della virtù (Catech.). 
Le virtù sono come una fortezza inespugnabile: esse difendono l'uomo contro tutti i nemici. Qui è la città degli eletti i cui steccati, dice Ugo da S. Vittore, sono il disprezzo delle cose terrestri; i bastioni, la speranza; i forti avanzati, la pazienza; le torri, l'umiltà; le fontane, le lacrime; le sentinelle, la prudenza; le armi, la preghiera e i sacramenti; le porte, l'obbedienza; il duce, la carità; i soldati, la giustizia, la temperanza, la forza (Institut. Monastichad Novit. c. III).

Mater Boni Consilii, 
ora pro nobis.

I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (II)


Vita - Vita interior: I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (II)

  6. Bellezza della virtù.
  7. La virtù è luce e verità.
  8. Potenza della virtù
  9. Nobiltà e gloria della virtù.
 10. La virtù è la via del cielo, ed un bene che non ci abbandona

6. BELLEZZA DELLA VIRTÙ. - «Che cosa è per noi La virtù, se non la bellezza interiore dell'uomo?», dice S. Agostino (Epl. CCXXII, ad Cosentium); e Filone aggiunge che non solamente la virtù è bella, ma anzi l'idea, l'imma­gine della beltà stessa di Dio (De vita Mosi); infatti la virtù è la suprema partecipazione di Dio il quale, essendo beltà suprema, ne riflette il suo raggio su la virtù e principalmente sul Verbo incarnato, Gesù Cristo, specchio divino di tutte le virtù, del quale il Salmista ha cantato: «Tu superi in bellezza tutti i figli degli uomini» (Psalm. XLIV, 3). O virtù, meraviglia delle meraviglie, bellezza delle bellezze! o virtù, candida come il giglio, dolce come la rosa, umile come la viola, fiore dei fiori! tu riunisci in te tutta la bellezza e tutto l'olezzo di tutti i più belli e più soavi fiori! O virtù, come sono belle le tue vie, come incan­tevoli le tue strade! (Prov. III, 17). 
La virtù è la vera bellezza, il ricco ammanto, l'incomparabile fulgore dell'anima, di tutte le azioni e dell'uomo tutto intero. Al con­trario il vizio ne è la deformità, la laidezza, la vergogna. La virtù veste l'uomo della bellezza di Dio; il vizio gli dà la bruttezza del demonio... Tanto bella e splendida si mostra la virtù, che i malvagi, ancorché vivano turpemente, l'amano e l'ammirano negli altri... «La virtù, dice il Nazianzeno, è in mezzo ai vizi, come la rosa tra le spine (In Praeceptis ad Virgin.)». Perciò il Savio afferma che si mostrano amatori della vera bellezza quelli che sono ricchi di virtù (Eccli. XLIV, 6).


7. LA VIRTÙ È LUCE E VERITÀ. - La virtù è splendida luce, perché: 1° ama la luce e la presenza di Dio...; 2° illumina l'anima, lo spi­rito, il cuore; vede il passato, il presente, l'avvenire; rischiara il tempo e l'eternità...; 3° illumina chi la possiede, e gli altri che le si accostano. Si può affermare di lei quello che l'Evangelista scrisse di Gesù Cristo, increata ed incarnata manifestazione della virtù: «Egli era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» (IOANN. I, 9)... 4° La virtù è luce, perché esce da Dio; luce increata che supera, illumina, vivifica tutte le cose, e attrae a sé tutte le altre luci come il sole attrae i pianeti... Guardate i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, i santi di tutti i tempi; splendido modello di virtù era ciascuno di loro e una luminosa luce che rischiarava il mondo, come dev'essere La vita di ogni cristiano. Nessun pregio, osserva il Crisostomo, dà tanta chiarezza e tanto lustro all'uomo, anche quando si studia di stare nascosto, quanto lo splendore della virtù; egli risplende non solamente sulla terra, ma anche nel cielo (Homil. ad pop.). Infatti, come dice S. Gregorio, « nella chiarezza della virtù si trova sempre Iddio (In Lib. I, Reg.) ».
La luce del sole oscura tutte le luci inferiori; la virtù è anch'essa una luce che fa impallidire quella della scienza... Come il sole, al suo levare, con i suoi raggi rischiara tutto il cielo, illumina la terra e cambia, per così dire, l'aria in luce, penetrandola; così, dice Filone, le virtù penetrando con i loro celesti raggi l'uomo, lo trasfor­mano tutto in fulgido chiarore (De Plant. Noe). Come l'anima ri­schiara e vivifica il corpo, così la virtù rischiara e vivifica l'anima e il cuore... La virtù illumina col buon esempio, e a lei si può applicare quello che l'Ecclesiaste dice del sole: «Compiendo il suo corso, spande dappertutto torrenti di luce» (Eccle. I, 6). Siamo dunque per le nostre virtù un sole su la terra... I sublimi esempi di Gesù, di Maria e dei Santi, sono per noi luminosissimi soli... Chi pratica la virtù, non cammina mai nelle tenebre, perché ha per guida il lume di vita... L'uomo virtuoso è, per l'esempio che dà, come un faro luminoso che avvisa, dirige e guida il navigante, affinché non rompa negli scogli e giunga tal porto...
La virtù è la pratica della verità, che è sempre pura da ogni errore; essa è la verità nella sua manifestazione esteriore; è il sole della verità... Fuori della virtù, tutto è errore, falsità, menzogna, inganno... Essa può ripetere quelle parole: «Io sono la via, la ve­rità, la vita» (IOANN. XIV, 6). «Chiunque è dalla parte della verità, dà ascolto alla mia voce» (Id. XVIII, 37). Perciò la Scrittura dice che i bugiardi non si ricorderanno della virtù, ma gli uomini sinceri non l'abbandoneranno mai e cammineranno. felicemente fino alla visione di Dio (Eccli. XV, 8).

8. POTENZA DELLÀ VIRTÙ. - La virtù è onnipotente: essa trionfa dell'inferno, del mondo, della concupiscenza.. Nessun nemico può tenerle fronte... Anzi, essa vince Dio medesimo e prende il cielo d'assalto... Il mare ed il Giordano fuggono alla vista dell'arca (Psalm. CXIII, 3). Alla vista delle virtù, il mare delle passioni, i fiumi delle con­cupiscenze scompaiono... La virtù tocca da un punto all'altro con forza, e dispone con soavità ogni cosa (Sap. VIII, 1). S. Giovanni Crisostomo afferma che mentre il vizio non è che debolezza, la virtù è tutta nerbo e forza, di modo che non c'è cosa più potente di lei e lo prova con la costanza e con la pazienza spiegate da Giuseppe, col suo coraggio nello schivare e vincere la più terribile delle passioni. Di tanta forza è la virtù, egli dice, che essa diviene più grande e più coraggiosa quando è assalita e calunniata... Essa si spinge nella sua potenza fino a toccare l'eroismo. Chi la possiede, chi ha l'aiuto della grazia soprannaturale, diventa più forte di tutto il mondo; essa è invincibile, sfugge agli agguati dell'uomo e del demonio (Homil. ad pop.).
La virtù messa alla prova si accresce, grandeggia, ingigantisce e splende di tutto lo sfarzo della sua potenza e grandezza: «Non si dà virtù senza fatica, scrive S. Ambrogio, perché dalla fatica dipende l'avanzamento e il trionfo della virtù (In Psalm. CXVIII)». Ma la vera virtù è forse mai indietreggiata innanzi alle più aspre ed eroiche fatiche? La morte medesima, anche la più orribile, non la spaventa, non l'avvilisce... Le virtù sono catene che legano i demoni e loro impediscono di avvicinarsi e nuocere. S. Bernardo le raffigura in quei cinque sassi puliti che Davide scelse nel torrente e coi quali abbatté il gigante Golia (In I Reg.). Ma badiamo, dirò col medesimo santo Dottore, che se la virtù è di sua natura forte, essa diventa invinci­bile e meritoria quando a lei va congiunta la grazia. Essa è forte per il giudizio della ragione che approva; e questa forza diviene vit­toriosa, per il buon desiderio della volontà illuminata (Serm. in Cant.). Lodiamo adunque, come uomini fortissimi e gloriosi, gli uo­mini grandi in virtù, e ornati di prudenza (Eccli. XLIV, 1-3). 
La vera e soda virtù è dunque onnipotente; è un diamante preziosissimo di tanta durezza che non si può spezzare, che resiste a tutto, e tutto supera e di tutto trionfa... La virtù è così attiva, che fa del bene anche ai malvagi, anche ai nemici, ed è così potente, che ne riesce vittoriosa coi suoi benefizi... Fare del bene ai cattivi, è la vittoria della virtù, dice S. Cirillo (Catech. II, 5). La vera virtù sta nascosta; ma se si tenta di opprimerla, allora si fa vedere e si mo­stra invincibile. Come le stelle, dice S. Bernardo, splendono la notte, e stanno nascoste di giorno, così la vera e soda virtù che spesse volte nelle prosperità non compare, nelle avversità splende in tutto il suo fulgore (Serm. XXVII. in Cant.).
Anche i pagani ammirano la potenza della virtù; Seneca avverte che è più pronta ad affrontar i cimenti la virtù, che non la crudeltà a inventarli. E’ avida di azioni eroiche; va al suo scopo, senza impen­sierirsi di quello che dovrà soffrire. E il sostegno della debolezza umana, ne è il riparo insuperabile. Chi si trincera in lei è sicuro di non cadere in mano agli assedianti. Senza avversari e senza com­battimenti, la virtù intorpidisce e si snerva; cimentata, grandeggia e triplica le sue forze (Epist. XXIV). Le prove, scrive in altro luogo il medesimo autore, sono come le nuvole per il sole, anzi di meno; poiché la virtù splende nelle traversie e si forbisce nelle avversità. Il vero bene è di tale natura e condizione, che essendo il vero bene, non può non riuscire vantaggioso; tale è anche la natura della virtù. Essa ci purifica ci conduce al cielo dopo di averci purificati (De Prov.). E proprio di una virtù coraggiosa e di uno spirito magnanimo, dice Cicerone, il non temere di nulla, il disprezzare ogni cosa umana, non considerare come insopportabile nulla di ciò che può accadere all'uomo di spiacevole. Chi è fornito di grande virtù non s'inquieta punto di ciò che può cadergli sopra, lo stima un niente; dirige e domina tutta ciò che a lui è inferiore; disprezza i dolori e la morte (De Offic. l. III). Che nobile e giusta testimonianza rendono alla virtù gli stessi pagani!


9. NOBILTÀ E GLORIA DELLA VIRTÙ. - «Gloria, onore e pace a chiunque fa il bene», cioè all'uomo virtuoso, scrive S. Paolo (Rom. II, 10); e già prima di lui il Savio aveva detto: «Procurate di farvi un buon nome per mezzo della virtù; questo bene sarà per voi più durevole che mille dei più preziosi tesori (Eccli. XL, 15); infatti la virtù presenta a chi la pratica, da una mano lunghezza di giorni, dall'altra ricchezza e gloria (Prov. III, 16). Quindi S. Bernardo dà alla virtù il nome di madre dell'onore e la indica come la vera via alla gloria (Serm. I. de S. Victor.). «Somma nobiltà, supremo onore è agli occhi di Dio, scrive S. Gerolamo, essere chiaro per virtù (Epist.)». Solo la virtù è nobile, dice Cassiano, ed è nobilissimo e innanzi a Dio grandissimo chi risplende per virtù (Collat. II, c. 10). Chi vive di virtù, vivrà glorioso nella memoria degli uomini; essendo la virtù, come osserva S. Agostino, la strada per la: quale l'uomo dabbene arriva alla gloria, all'onore, al potere (De Civit., 1. I, c. XV). Papa Urbano rispose a un tale che gli rinfacciava la sua bassa ori­gine: I grandi uomini non nascono già tali, ma tali diventano mediante la virtù (Histor. Eccl.). L'imperatore Massimiliano disse a un ricco che gli of­friva una gran somma di denaro perché gli desse titoli di nobiltà: Io posso arricchirvi, ma in quanto al nobilitarvi, solo la vostra virtù può farlo (ANTON. In Meliss.).
In questo argomento abbiamo due notevoli sentenze di Seneca: «Incomparabile ornamento è la virtù e rende sacro chi la eserci­ta (Epist. LX)». Vi è solo una cosa che ci possa fare immortali e simili agli dèi, la virtù (Apud. Lactant., 1. III, c. XII)»; e il poeta Giovenale dichiara che solo la virtù è nobile e grande (ANTON. In Meliss.).


10. LA VIRTÙ È LA VIA DEL CIELO, ED UN BENE CHE NON CI ABBANDONA. ­- La virtù ha per unico scopo Dio, la sua legge; la sua volontà, il suo servizio, il suo amore; ora se non è questa la via del cielo, bisogna dire che non ve n'è altra... Sì, sola la virtù conduce al cielo; essa è la strada alla vita eterna; la via dell'inferno, della morte eterna, è il peccato. La via della morte è il mondo; la via del paradiso è il disprezzo del mondo... Per questo appunto la virtù è un bene che non ci abbandona mai. «La virtù ci fa eredi di un nome eterno», dice il Savio (Eccli. XV, 6).
«Noi non possiamo dire che siano veramente nostre quelle cose che non possiamo portare con noi, scrive S. Ambrogio; solo la virtù accompagna i defunti (De Abel et Cain, l. I. c. XV)» . Le vesti, i mobili, l'oro, l'argento, dice il Crisostomo, vanno soggetti a deperimento, a perdita, a furto; ma chi è vestito di virtù, possiede un tesoro che né i vermi possono rodere, né i ladri rubare, né la ruggine può consumare (Homil. ad pop.). Perché, come dice S. Bernardo, «la vera virtù non conosce fine, non muore col tempo (Epist. CCLIII, ad Guarin.)». Ciò che appartiene al secolo, rimane nel secolo, la virtù va all'eternità (S. AMBROGIO, In Luc. XII). O virtù inestimabile, tu dài all'anima frutti e beni immortali!...
Platone ci assicura che la virtù ci fa simili a Dio. Ora Dio è eterno (De Legib.). La virtù vale assai più che una lunga posterità, per ren­dere eterno un nome; perciò Seneca dice che ci dà l'immortalità (Epist. XXVII), e Sofocle la chiama un immancabile, eterna possesso (In Eurifilo). Gli alti obelischi, le grandi piramidi richiedono molta fatica per essere collocate, osserva Plinio, ma una volta che sono alzate, rimangono immobili per sempre; così la virtù costa fatica alla debole natura; ci vuole coraggio, fermezza e lavoro per innalzarci fino a lei, e collocarla nell'anima nostra; ma stabilitavi una volta, è un bene che non si guasta, non si corrompe col tempo, ma dura im­mortale (Hist. XXXVI, c. IX).

I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (I)


 Vita - Vita interior: I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (I)


 1. In che cosa consiste la virtù.
 2. Necessità della virtù.
 3. Facilità della virtù
 4. La virtù non può stare col vizio.
 5. Eccellenza della virtù

1. IN CHE COSA CONSISTE LA VIRTÙ. - La parola virtù, virtus, deriva dal vocabolo vis, che vuol dire forza, vigore. Non dissimile dalla sostanza è l'etimologia che ne dà Cicerone, il quale fa derivare dalla voce latina vir, cioè uomo: - Appellata est ex viro virtus (De Offic.). Può anche dirsi un vocabolo composto dalle due voci latine viri opus, opera virile. Tale è la virtù nel senso etimologico; a guardarla poi in se stessa, può chiamarsi con S. Bernardo: «Il vigore dello spi­rito, strettamente abbracciato alla retta ragione (Serm. LXXXV, In Cant.)». In altro luogo il medesimo Santo riconferma e spiega questa sua definizione, dicendo che la virtù è figlia della ragione, ma soprattutto della grazia. La virtù è un consenso volontario al bene. È il libero uso della vo­lontà, che segue il giudizio della ragione (De vita solitar. )... La virtù in se stessa è l'amore di ciò che è onesto, di ciò che è bene... La virtù, dicono i filosofi, è uno stato dello spirito conforme alla natura dell'uomo, alla sua ragione, alla legge che lo governa. 
Secondo i cristiani, secondo i teologi, la virtù è il massimo dei beni... S. Agostino la chiama «l'affezione regolatissima dell'anima» (De Morib. Eccles. c. XI); in un altro luogo la definisce: «L'arte di vivere bene e rettamente» (De Civit. Dei, lib. IV, c. XXI). S. Ambrogio la fa consistere nella volontà di non voler peccare e nella perseveranza di tale volontà (In Luc. lib. VIII, c. XVIII). Ogni virtù è amore e carità, cioè si produce in atti comandati dalla carità, la quale è essa che comanda, che dirige, che forma e perfeziona la virtù. La virtù è un bene che si compie facendosi violenza... La virtù sta nel vivere secondo Iddio, secondo la sua legge, la sua grazia e l'insegnamento della Chiesa... La virtù consiste nel fare ciò che Dio e la coscienza impongono; nello schivare quello che Dio e la coscienza proibiscono.
Perciò la virtù consiste nelle opere, non nelle parole, secondo quelle due sentenze perentorie di Gesù Cristo: «Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma solamente colui che fa la volontà del Padre mio che sta nei cieli» (MATTH. VII, 21); e quest'altra: «Ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e gettato al fuoco» (MATTH. III, 10). Quanti sono virtuosi in parole, e viziosi in opere! Se il grano confidato alla terra non germinasse e fruttificasse, a che cosa servirebbe?


2. NECESSITÀ DELLA VIRTÙ, - Dal sopradetto già risulta quanto sia stringente la necessità di praticare la virtù; ma questa necessità è ribadita da Gesù Cristo in quel comando: «Cercate prima di ogni cosa il regno di Dio e la sua giustizia» (MATTH. VI, 33); poiché il regno di Dio non si può cercare né ottenere se non con la virtù; avvertendo ancora che «chi poco semina, poco miete, e chi semina a larga mano, mieterà ancora in abbondanza» (I Cor IX, 6). Perciò l'Apostolo animava Timoteo ad esercitarsi nella pietà (I Tim. IV, 7), cioè esercitati in ogni genere di virtù; ed il Savio diceva: «Io ho amato la virtù, ne sono andato in traccia fin dalla mia giovinezza, e l'ho domandata in isposa, allettato dalla sua bellezza» (Sap. VIII, 2).., L'uomo che vive senza virtù non è un uomo, ma ne ha la sola apparenza, come conobbe e asserì il pagano Epitteto del quale si riferisce questo detto: «È indegno di portare il nome di uomo, chi non si studia di essere virtuoso (Anton. In Meliss.)». Non bisogna poi arrestarsi mai, finché non si sia raggiunta la pie­nezza della virtù; non si deve mai cessare dal fuggire il peccato, suo mortale nemico... Senza virtù non si dà salvezza; senza salvezza non si ha il cielo, non si ha Dio nell'eternità; quindi dove non vi è virtù, vi è l'eterna riprovazione.


3. FACILITÀ DELLA VIRTÙ. - A prima vista sembra stretta e spinosa la via della virtù, ma ben presto essa si allarga e si addolcisce, e tanto più si appiana e diviene deliziosa quanto più l'uomo vi si inoltra... Tutto il rovescio della strada del vizio... «Ogni virtù, dice S. Paolo, sembra che apporti nel presente non gioia, ma tristezza; ma in seguito dà a coloro che vi si addestrarono frutto dolcissimo di pace e di giustizia» (Hebr. XII, 11); e poi ancora: «Turbamento e affanno all'anima del malvivente; gloria, onore e pace a chi fa il bene» (Rom. II, 9-10). E prima di lui già il Savio aveva notato che splendida è la virtù e non si oscura mai, di modo che facilmente è veduta da quelli che l'amano, e trovata da quelli che la cercano. Essa precede quelli che la desiderano, per mostrarsi loro la prima (Sap. VI, 13-14).
Non vi è virtù senza lavoro e fatica, perché la virtù non avanza se non a forza di fatica; ma la dolcezza della virtù lenisce l'asprezza della fatica; quello che in questa vi è di triste e penoso presto se ne va e scompare; quello che vi è di confortante e dolce, viene e resta. È certo che si gusta molto più soave felicità nel piangere i peccati, che nel commetterli... Ci vuole più fatica ad essere vizioso, che ad essere virtuoso; infatti S. Agostino, che aveva bevuto alla coppa delle voluttà mondane, non appena ebbe conosciuto la felicità, la bellezza della virtù, esclamava inebriato: Beltà sempre antica e sempre nuova, oh! come tardi ti ho amato! (Confess.).
Praticando la virtù, noi ci accostumiamo a camminare per le sue strade con balda sicurezza, perché sodo e fermo è il suo cammino, e chi lo segue può dire col Salmista: «I miei piedi camminarono per la via diritta» (Psalm. XXV, 12). La virtù è il giogo, è il peso di Gesù Cristo; ora Gesù ci dice: «Prendete su di voi il mio giogo, perché esso è dolce, ed il mio peso è leggero» (MATTH. XI, 29-30). Quello che rende facile la virtù, è la grazia, sono i sacramenti, gli esempi di Gesù Cristo e dei Santi, la ricompensa promessa ed aspettata... Grande prova che la virtù è facile e dolce l'abbiamo in ciò, che tutti quelli che l'amano e la praticano sono felici; tutti quelli che ritornano a lei dopo di averla abbandonata, sono dolenti di non averla praticata per tutta la loro vita; e quelli che la trascurano e disprezzano sono i più infelici degli uomini...


4. LA VIRTÙ NON PUÒ STARE COL VIZIO. - Si legge nel I libro dei Re, che i Filistei avendo preso l'arca dell'Alleanza al popolo d'Israele, la collocarono nel tempio del loro idolo Dagon: ma alla pre­senza dell'arca, il preteso dio cadde a terra, la sua testa si spiccò dal busto e le sue mani si videro recise. L'arca è la virtù; Dagon è il vizio e il peccato... È impresa assurda accoppiarli insieme... «Che intesa vi può essere, dice S. Paolo, tra Cristo e Belial?» ­(II Cor VI. 15). Si videro mai le tenebre conciliarsi con la luce, la vita con la morte, il cielo con l'in­ferno? «Le persone insensate, dice il Savio, non comprendono la virtù, non la vedono nemmeno, perché sta essa lontana dal loro orgoglio e dalla loro malizia; i saggi le vanno incontro. I mentitori non se ne ricordano; gli uomini sinceri non se ne discostano mai di un punto e camminano felicemente accanto a lei fino alla vista di Dio» (Eccli. XV, 7-8).
La virtù è la nemica del vizio, lo perseguita, lo assale, lo scaccia; il vizio è il nemico sfidato della virtù, la insidia e la combatte all'esterno, la soffoca e l'annienta nel cuore. Le virtù, dice S. Giovanni Crisostomo, non possono abitare coi vizi. Quando i vizi sono sbaragliati dalle virtù, la carità s'impadronisce del luogo che prima teneva lo spirito di concupiscenza; la pazienza riprende quello che il furore si era preso; una gioia salutare ritempra e invigorisce quel cuore che la tristezza, compagna della morte, teneva calpestato ed abbattuto; il lavoro ripara i danni della pigrizia, l'umiltà rialza quello che l'orgoglio aveva calpestato. Trionfando nell'uomo le virtù opposte ai vizi che prima lo signoreggiavano, lo chiamano a nuova vita (In Exod.).


5. ECCELLENZA DELLA VIRTÙ. - «La virtù è cosa tanto eccellente, dice S. Giovanni Crisostomo, che nessun'altra le può stare a con­fronto; basti il dire che perfino quelli che la combattono, non si possono esimere dall'ammirarla» (Homil. ad pop.), e S. Ambrogio dice che perfetta è quell'età, ancorché tenerissima di anni, in cui si trova una virtù perfetta (De Iacob.). S. Bernardo la chiama un astro, e chiama cielo l'uomo che ne è fornito (Serm. XXVII, in Cantic.). E infatti la virtù contiene in sé tutti i beni; ella basta a se stessa, e quando regna in un cuore, questo non sente più alcuna privazione, non teme confusione, né afflizione di sorta. Giobbe spogliato di ogni cosa, sul suo letamaio, era l'uomo più ricco e più tranquillo del mondo, perché aveva la virtù... E la virtù, dice lo Spirito Santo, dispone tutte le cose soavemente (Sap. VIII, 1); è più preziosa di ogni diamante; tutte le gemme della terra non ne pareg­giano il valore. I suoi sentieri sono sentieri di dolcezza, e le sue vie mettono tutte alla pace. Con una mano ella presenta lunghezza di vita, con l'altra offre onori e ricchezze. E l'aurora della vita per quelli che l'abbracciano; felici coloro che se la stringono al seno! Il suo possesso vale più di tutti i tesori e i frutti di lei sono più preziosi dell'oro finissimo (Prov. III, 14-18).
Dopo una testimonianza così autorevole, non c'è da stupire se tutti i santi Padri giudicano povertà e miseria ogni ricchezza del mondo, posta a confronto della virtù. Clemente Alessandrino insegna che vero tesoro è il cumulo di azioni virtuose (Paedag. l. III). «Non l'oro e l'argento, dice S. Bernardo, ma le virtù costituiscono le vere ricchezze» (Serm. IV, de Advent.). S. Ambrogio ci avverte che Dio non tiene per ricco se non chi è ricco per il cielo, colui che raccoglie non i frutti delle ricchezze periture, ma i frutti delle virtù. Non vi pare sommamente ricco chi ha la pace dell'anima, la tranquillità, il riposo; che non desi­dera nulla, che non è agitato da nessuna tempesta?... Dunque se volete trovare tesori, prendete quelli che troverete nella virtù, non quelli che stanno sepolti nelle viscere della terra. La vita e la ricchezza dell'uomo consistono nella virtù. Con la virtù, ancorché man­casse ogni altra cosa, si ha tutto; senza la virtù, benché abbondasse tutto il resto, non si ha niente (De Abel et Cain, l. XI, c. V – l. I, c. V).
S. Prospero parlando della virtù dice egregiamente: Noi dob­biamo desiderare ricchezze che ci adornino e ci proteggano; che non acquistiamo a nostra insaputa, che non perdiamo nostro malgrado, che ci armino contro i nostri nemici, che ci rendano vittoriosi del mondo e cari a Dio; che arricchiscano e nobilitino le anime nostre, che siano con noi e in noi. E queste ricchezze sono la purità, la giustizia, la pietà, l'umiltà, la mansuetudine, la misericordia, la fede, la speranza, l'amore (De vita contemp.). «Le ricchezze che non pos­sono restare con noi lungo tempo, sono false, scrive San Gregorio (Homil. XV, in Evang.); fallaci sono quei tesori che non portano sollievo alla povertà dell'a­nima nostra. Sole vere ricchezze sono quelle che ci fanno ricchi in virtù. Se volete dunque essere veramente ricchi, amate le virtù, sole vere e sode ricchezze». Sono piene di sapienza le parole di Tobia a suo figlio: «Non temere; è vero che facciamo una vita povera, ma grandi ricchezze abbiamo, se temiamo Dio, se ci asteniamo dal peccato e facciamo bene» (TOB. IV, 23).
Il Savio, nei Proverbi, chiama la virtù albero della vita (III, 18); e infatti, 1° essa procura e mantiene sia la vita naturale dell'anima, sia la soprannaturale della grazia... - Come l'albero della vita comunicava il vigore della vita, cosi la virtù allontana dalla nostra vita quello che la snerva e la fa languire. «Il giusto fiorirà come palma» - dice il Salmista(XCI, 13)... 3° Saporitissimo era il frutto dell'albero della vita; tale è il frutto della virtù... 4° L'albero della vita preservava l'uomo dalla morte; questo prodigio opera pur essa la virtù... 5° L'albero della vita nel paradiso raffigurava la visione di Dio; la virtù rappresenta. Dio in colui che la pratica. Quelli che trovano la virtù, leggiamo neiProverbi, trovano la vita; la loro salute verrà dal Signore. Ma quelli che peccano contro la virtù, sono carnefici dell'anima propria; tutti quelli che la odiano, amano la morte (Prov. VIII, 35-36). «La giustizia nel suo più ampio significato, ossia la virtù, innalza le nazioni; il vizio rende i popoli infelici» (Prov. XIV, 34). S. Agostino insegna che la virtù è il solo e sommo bene (De lib. Arbitr. lib. II, c. XVIII): e infatti, essa ci governa...; ci fa cibo e vestite...; c'istruisce...; ci protegge...; ci procura buon nome...; ci rinforza e innalza...; ci apporta la gloria... La virtù regola l'appetito dei sensi e i movimenti delle diverse concupiscenze... E la sanità dell'anima e del corpo... Pro­cura una santa vita, una buona morte, un giudizio favorevole; chiude l'inferno ed apre il cielo... ­
Il vizio getta il turbamento e l'angoscia nell'anima, dice Lattanzio; la virtù invece vi apporta la dolcezza e la tranquillità (Lib. VII, c. X). Nell'uomo virtuoso, secondo la bella osservazione di S. Ambrogio, la giustizia cerca, la prudenza trova, la forza prende, la temperanza possiede: la giustizia è nel cuore; la prudenza nello spirito; l'energia, nell'opera; la temperanza nell'uso (Offic.). Non ci sfuggano mai dalla memoria queste sensatissime parole di S. Giovanni Crisostomo (Hom. XL, in Ioann.): «Nessuna cosa istupidisce tanto gli uomini quanto il peccato; nulla li rende tanto saggi, quanto la virtù, perché li tempera a misericordia, a riconoscenza, a bontà, a umanità, a dolcezza. La virtù è madre, radice, sorgente della saviezza; ogni peccato ha le sue radici nella stoltezza; sapientissimo è chi coltiva la virtù». Chi è privo di virtù diventa ben presto, come Caino, fuggiasco, vagabondo; segnato col marchio della riprovazione, non sa più dove va, donde viene, quel che si fa; ben presto si vede tuffarsi e scomparire nei baratro del vizio...
Anche i pagani si accorsero dell'eccellenza della virtù. Isocrate, per esempio, diceva che non vi è nulla di più bello, né di più perfetto (Ad Daemonicum). Aristotele la chiama la misura di tutte le cose, l'epurazione, la perfezione dell'anima (Ethic. lib. I, c. IV). Epitteto rassomiglia l'anima virtuosa ad un fonte inesauribile, dalle acque dolci, pure, limpide, fresche, benefiche, abbondanti, incapaci di nuocere (Apud Stobaeum, serm. I). Cicerone dice che fuori della virtù tutto è falso, incerto, caduco, mobile; la virtù sola ha tali profondissime e saldissime radici, che nessuna forza basta a scuoterla (Philipp. IV). E altrove dice: Chi dubita che le vere ricchezze non consistano nella virtù? Infatti nessuna quantità d'oro o d'argento regge al confronto delle virtù. Se gli stimatori dei beni terreni portano a così alto prezzo le cose periture, quanto non deve valere la virtù, che non può perire né essere involata? essa che non teme rovina né per nau­fragio, né per incendio? essa che non va soggetta a mutazione né per vicende di tempo, né per impeto di tempeste? Quelli che la posseg­gono sono i soli ricchi, perché essi soli possiedono quello che pro­duce ricchi e abbondanti frutti che durano eterni (Tuscul. II).

sabato 23 agosto 2014

LETTERA AD UN AMICO/A - FATIMA: «Riprendete in mano il rosario!»




Carissimo Amico/a

Nel 1985, il Cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, venne interrogato dal giornalista italiano Vittorio Messori a proposito della terza parte del «segreto di Fatima», che non era ancora stata svelata. 
Al giornalista che si mostrava preoccupato di qualche cosa di «terribile» che si supponeva ci fosse in questo segreto, il futuro Papa rispondeva: «Se anche ci fosse, ebbene, questo non farebbe che confermare la parte già nota del messaggio di Fatima. Da quel luogo è stato lanciato un segnale severo, che va contro la faciloneria imperante, un richiamo alla serietà della vita e della storia, ai pericoli che incombono sull'umanità. È quanto Gesù stesso ricorda assai spesso, non temendo di dire: Se non vi convertite tutti, perirete (Lc 13,3). La conversione – e Fatima lo ricorda in pieno – è un'esigenza perenne della vita cristiana» (Rapporto sulla fede: Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1985, p. 111).

Questo appello alla conversione, per quanto sia esigente, è quello del Cuore infinitamente amante di Nostro Signore. Nella sua sollecitudine materna nei nostri confronti, la Santissima Vergine è venuta a rivolgercelo nuovamente. Nel corso delle sue apparizioni successive a Fatima, la Madonna, modello di saggezza e di una bontà senza pari ci manifesta la sua pedagogia soprannaturale. 

In occasione della prima apparizione, il 13 maggio 1917, Ella innalza i tre giovani veggenti al desiderio del Cielo: mentre Maria di una bellezza straordinaria, tutta luminosa, vestita di un lungo abito bianco e di un velo che scende fino ai piedi, sta davanti a lei, Lucia, la più grande del gruppo, le chiede: «Da dove viene, Signora? – Vengo dal Cielo. – E che cosa desidera da noi? – Vengo a chiedervi di trovarvi qui sei volte di seguito, a questa stessa ora, il 13 di ogni mese. Dopo, vi dirò chi sono e quello che desidero da voi. – Lei viene dal Cielo!... ed io, andrò in Cielo? – Sì, ci andrai. – E Giacinta? – Anche. – E Francesco? – Anche lui ci andrà; che reciti anche il suo rosario « »

Il Cielo è il fine della nostra esistenza. «Dio, infinitamente Perfetto e Beato in Se stesso, per un disegno di pura bontà, ha liberamente creato l'uomo per renderlo partecipe della sua vita beata» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC,1). Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, e che sono perfettamente purificati, entrano nel Cielo dove sono per sempre simili a Dio, perché Lo vedono così come Egli è (1Gv 3,2), a faccia a faccia (cfr. 1Co 13,12). Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8). Questa vita di perfetta comunione e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e i santi, pur essendo frutto di un dono gratuito di Dio, è la realizzazione delle aspirazioni più profonde dell'uomo, lo stato di felicità suprema e definitiva. Dio, infatti, ha messo nel cuore dell'uomo il desiderio della felicità al fine di attirarlo a Se. La speranza del Cielo ci insegna che la vera felicità non si trova né nella ricchezza o nel benessere, né nella gloria umana o nel potere, né in alcuna attività umana, per quanto utile possa essere, come le scienze, le tecniche e le arti, né in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore (cfr. CCC, 1723). «Solo Dio appaga», afferma san Tommaso d'Aquino.



«Noi lo vogliamo!»


Dopo aver fortificato i bambini con la promessa inestimabile del Cielo, la Signora li introduce nel mistero della Redenzione al quale, con una squisita delicatezza, essa chiede loro di associarsi: «Volete offrirvi a Dio per fare dei sacrifici e accettare volentieri tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in riparazione dei peccati che offendono la sua divina Maestà? Volete soffrire per ottenere la conversione dei peccatori, per riparare le bestemmie nonché tutte le offese fatte al Cuore Immacolato di Maria? – Sì, lo vogliamo! risponde Lucia. – Avrete molto da soffrire, ma la grazia di Dio vi assisterà e vi sosterrà sempre». Mentre parlava, l'Apparizione ha aperto le mani, e questo gesto diffonde sui veggenti un fascio di luce misteriosa, che penetra le loro anime, per cui vedono se stessi in Dio.

Il 13 luglio successivo, la Santa Vergine svela agli occhi dei bambini una terrificante realtà: «La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava trovarsi sotto terra e, immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti, nere o bronzee, con una forma umana. Essi fluttuavano in quell'incendio, sollevati dalle fiamme che uscivano da loro stessi, con nuvole di fumo. Essi ricadevano da ogni parte, come ricadono le scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, con grida e gemiti di dolore e di disperazione che suscitavano orrore e facevano tremare di spavento. I demoni si distinguevano per le loro forme orribili e disgustose di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri. Questa visione durò solo un istante, grazie alla nostra buona Madre del Cielo che prima ci aveva preavvisati, promettendoci di condurci in Cielo. Altrimenti, credo che saremmo morti di spavento e di paura. In seguito, alzammo gli occhi verso la Madonna, che ci disse con bontà e tristezza: «Avete visto l'Inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarli, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se si farà quello che vi dirò, molte anime saranno salvate e si avrà la pace»».


Una prova di più


L'esistenza dell'Inferno suscita contestazioni. Suor Lucia scriveva, qualche anno prima della sua morte sopraggiunta il 13 febbraio 2005: «Nel mondo, non mancano gli increduli per negare queste verità, ma esse continuano a esistere nonostante il fatto che siano negate; e questa incredulità non li libera dai tormenti dell'Inferno se la loro vita di peccato ve li conduce... A Fatima, (Dio) ci ha inviato il suo Messaggio come una prova in più di queste verità. Questo Messaggio ce le ricorda perché noi non ci lasciamo ingannare dalle false dottrine degli increduli che le negano e dei pervertiti che le deformano. A questo scopo, il Messaggio ci assicura che l'Inferno è una verità e che le anime dei poveri peccatori vi cadono» (Appels du Message de Fatima, éd. Secrétariat des Pastoureaux, 2003, cap. 14).

Nel corso della sua vita pubblica, il nostro Salvatore Gesù ritorna spesso sul tema dell'Inferno, della Geenna, del fuoco inestinguibile (cfr. Mc 9,43-48), riservato a coloro che rifiutano fino alla fine della loro vita di credere e di convertirsi, e in cui possono perdersi al tempo stesso l'anima e il corpo (cfr. Mt 10,28). 

Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 395) ce lo ricorda: «Il peccato mortale distrugge in noi la carità, ci priva della grazia santificante, ci conduce alla morte eterna dell'Inferno se non ci si pente». 

Il Magistero della Chiesa si è espresso molto sovente a questo riguardo; il Papa Pio XII sottolineava, il 23 marzo 1949: «La predicazione delle prime verità della fede e dei fini ultimi non solo nulla ha perduto della sua opportunità ai nostri tempi, ma anzi è divenuta più che mai necessaria ed urgente. Anche la predica sull'Inferno. Senza dubbio si deve trattare un simile argomento con dignità e saggezza. Ma quanto alla sostanza stessa di queste verità, la Chiesa ha, dinanzi a Dio e agli uomini, il sacro dovere di annunziarla, d'insegnarla senza alcuna attenuazione, come Cristo l'ha rivelata, e non vi è alcuna condizione di tempi che possa far scemare il rigore di quest'obbligo. Esso lega in coscienza ogni sacerdote a cui, nel ministero ordinario o straordinario, è affidata la cura di ammaestrare, di ammonire e di guidare i fedeli. È vero che il desiderio del Cielo è un motivo in se stesso più perfetto che non il timore delle pene eterne; ma da ciò non consegue che esso sia per tutti gli uomini anche il motivo più efficace per tenerli lontani dal peccato e convertirli a Dio».


La sollecitudine di una Madre


Non è quindi il caso di essere sorpresi dell'intervento della Madonna presso i bambini di Fatima. Come una buona Madre che si cura di noi, essa dà degli avvertimenti per la nostra salvezza eterna e la nostra conversione. Il 13 ottobre 1917, la Vergine dice ai piccoli veggenti: «Bisogna che gli uomini si correggano, che chiedano perdono dei loro peccati; che non offendano più Dio Nostro Signore, che è già troppo offeso». Da quel momento, i bambini non potevano trattenere le lacrime ricordando la tristezza del viso dell'Apparizione. Lucia commenterà così le parole della Madonna: «Quale amoroso rimprovero esse contengono e quale supplica! Oh! come vorrei che risuonassero nel mondo intero e che tutti i figli della Madre celeste ascoltassero la sua voce!»

Il messaggio di Fatima è essenzialmente quello del Vangelo. Fin dall'inizio della sua vita pubblica, Nostro Signore ha proclamato: Il regno di Dio è vicino« Convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1,15). Questo appello è costantemente al centro della predicazione della Chiesa. San Benedetto lo fa sentire fin dal prologo della sua Regola: «Ascolta, figlio mio, i precetti del Maestro, e inclina l'orecchio del tuo cuore. Accogli volentieri l'ammonimento di un padre pieno di tenerezza, e mettilo efficacemente in pratica, in modo che la fatica dell'obbedienza ti riconduca a colui da cui ti aveva allontanato l'ignavia della disobbedienza« È per la correzione dei nostri peccati che i giorni di questa vita ci sono prolungati come una tregua, come dice l'Apostolo: Ignori forse che la pazienza di Dio t'invita alla penitenza? (Rm 2,4). Infatti il nostro Signore misericordioso dice anche: Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva (Ez 18,23)».

Convertirsi, cambiare vita, significa ritornare verso Dio testimoniandogli il nostro rimpianto per averLo offeso. Particolarmente colpito dalla tristezza della Madonna quando chiede che non si offenda più suo Figlio, Francesco desiderava consolarLo cominciando con l'astenersi da qualsiasi peccato. «Amo tanto Nostro Signore! Ma Lui è così triste a causa di tutti i peccati. No! noi non faremo più nessun peccato». 

Così, i tre bambini sono pronti ad affrontare le persecuzioni e la morte piuttosto che mentire per liberarsi dalle contestazioni. Ma il cambiamento di vita comporta, oltre alla confessione sacramentale per ricevere il perdono dei peccati, la mortificazione del cuore e dei sensi per riparare i peccati passati e unirsi al Cristo nella sua Passione. Fatto molto notevole: le apparizioni accesero nei cuori dei tre veggenti uno zelo ardente di prendere parte alle sofferenze del Cristo. Per esempio, essi decidono di donare la loro merenda quotidiana a dei bambini poveri e di accontentarsi di quello che avrebbero potuto trovare nella natura. 

Un giorno, la madre di uno dei bambini li chiama per far loro mangiare dei fichi di una varietà succulenta. Giacinta si siede vicino al cestino e già si diletta al pensiero di mangiare dei frutti così belli. Essa ne prende uno. Poi, improvvisamente, si ricrede: «Non abbiamo ancora fatto nessun sacrificio per i peccatori. Facciamo questo». E ripone il fico nel cestino.

Quando la grazia di Dio è entrata in un'anima, questa non si accontenta più di fare penitenza per i suoi propri peccati, essa vuole anche sacrificarsi per gli altri. Così, durante la lunga e crudele malattia che la condurrà alla morte il 20 febbraio 1920, Giacinta è incoraggiata dalla certezza che le sue sofferenze, unite a quelle del Salvatore, convertiranno dei peccatori ed eviteranno loro la dannazione. Questa bambina delicata, naturalmente imbronciata, è diventata paziente e persino forte di fronte alla sofferenza. 

Poco tempo prima della sua morte, essa dice a Suor Maria-Purificazione Godinho, la religiosa che si prende cura di lei: «La mortificazione e i sacrifici fanno molto piacere a Nostro Signore! Oh! Fuggite il lusso. Fuggite le ricchezze. Amate molto la santa povertà. Siate molto caritatevole, anche nei confronti dei cattivi. Non dite mai male di nessuno e fuggite coloro che parlano male degli altri. Siate molto paziente, perché la pazienza conduce in Cielo. Pregate molto per i peccatori! Pregate molto per i sacerdoti, per i religiosi, e per i governi. I sacerdoti dovrebbero occuparsi solo delle questioni che riguardano la Chiesa. Essi devono essere puri, molto puri! La disobbedienza dei preti e dei religiosi ai loro superiori e al Santo Padre offende molto Nostro Signore».


La penitenza che Dio aspetta


Quali sono i sacrifici che piacciono di più a Dio? Qualche mese prima dell'apparizione iniziale della Madonna, i bambini ricevettero la visita di un Angelo. Questi disse loro: «Soprattutto, accettate e sopportate le sofferenze che il Signore vi manderà». 
Molti anni dopo, nel 1943, Suor Lucia scriverà: «Il Buon Dio desidera grandemente il ritorno della pace, ma Egli è addolorato al vedere un così piccolo numero di anime in stato di grazia e disposte a praticare le rinunce che Egli chiede loro per aderire alla sua Legge. Ed è precisamente la penitenza che il Buon Dio esige ora, è il sacrificio che ciascuno deve imporsi per vivere una vita giusta in conformità con la sua Legge. Egli vuole per mortificazione lo svolgimento semplice e onesto dei compiti quotidiani e l'accettazione delle pene e delle preoccupazioni, e desidera che si faccia conoscere chiaramente questa via alle anime, perché molte, prendendo la parola penitenza nel senso di «grandi mortificazioni», e non sentendosene né le forze né la generosità, si scoraggiano e cadono in una vita d'indifferenza e di peccato». 
Nostro Signore dirà ancora a Lucia: «Il sacrificio richiesto a ciascuno è il compimento del suo proprio dovere e l'osservanza della mia Legge; è la penitenza che ora chiedo ed esigo».

La raccomandazione del Rosario è, anch'essa, al centro delle apparizioni di Fatima. La Santa Vergine ne parla a più riprese. Nel 1917, il mondo conosce ancora gli orrori della prima guerra mondiale, senza che nessuno ne veda la via d'uscita. Durante la terza apparizione, il 13 luglio, la Madonna insiste: «Bisogna recitare tutti i giorni il rosario in onore della Santa Vergine per ottenere la fine della guerra attraverso la sua intercessione, perché non c'è che Lei che vi possa soccorrere». E il 13 ottobre, dice lei stessa di chiamarsi «Madonna del Rosario». Essa chiede, quando si dice questa preghiera tradizionale, di aggiungere, alla fine di ogni decina, l'invocazione: «O Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell'Inferno, porta in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia». In effetti, il soccorso della grazia di Dio si estende il più lontano possibile; nessuno è escluso dalla volontà salvifica di Dio, né, di conseguenza, dalla sollecitudine materna di Maria, che ci insegna il ruolo fondamentale della preghiera nell'opera della salvezza. «Bisogna pregare molto per impedire alle anime di andare all'Inferno», ripeteva spesso Giacinta.


«Riprendete in mano il rosario!»


«Il Rosario è uno dei percorsi tradizionali della preghiera cristiana applicata alla contemplazione del volto di Cristo« A questa preghiera la Chiesa ha riconosciuto sempre una particolare efficacia, affidando ad essa, alla sua recita corale, alla sua pratica costante, le cause più difficili. In momenti in cui la cristianità stessa era minacciata, fu alla forza di questa preghiera che si attribuì lo scampato pericolo e la Vergine del Rosario fu salutata come propiziatrice della salvezza» (Giovanni Paolo II, Rosarium Virginis Mariae, 16 ottobre 2002, n. 18, 39). Per questo oggi, in un momento in cui il nostro mondo che ha rifiutato Gesù Cristo corre verso l'abisso, per il più grave danno delle anime, il ricorso al santo Rosario è più che mai necessario. Seguiamo quindi la raccomandazione di San Giovanni Paolo II: «Bisogna tornare a pregare in famiglia e a pregare per le famiglie, utilizzando ancora questa forma di preghiera. La famiglia che prega unita, resta unita.  Guardo a voi, fratelli e sorelle di ogni condizione, a voi, famiglie cristiane, a voi, ammalati e anziani, a voi giovani: riprendete con fiducia tra le mani la corona del Rosario. Che questo mio appello non cada inascoltato!» (ibid. 41, 43).


«Abbi pietà del Cuore di tua Madre!»


Il messaggio di Fatima comporta anche la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Il 13 giugno 1917, la Vergine mostra ai bambini il suo Cuore ferito in mezzo alle spine, e dice a Lucia: «Bisogna che tu rimanga sulla terra. Gesù vuole servirsi di te per farMi conoscere e amare; Egli vuole diffondere nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Io prometto la salvezza a coloro che abbracceranno questa devozione. Le loro anime saranno predilette da Dio, come fiori posti da Me davanti al suo Trono». 

In occasione di un'apparizione posteriore, al convento di Pontevedra (Spagna), il 10 dicembre 1925, la Madonna ha mostrato il suo Cuore a Suor Lucia, mentre presso di lei stava il Bambino Gesù. Quest'ultimo dice a Lucia: «Abbi pietà del Cuore della tua santa Madre, che è coperto di spine che gli uomini ingrati vi configgono in ogni istante senza che ve ne siano che facciano atto di riparazione per strapparle via». E Maria aggiunge: «Guarda, figlia mia, il mio Cuore circondato di spine che gli uomini ingrati vi configgono in ogni istante con le loro bestemmie e le loro ingratitudini. Tu, almeno, abbi cura di consolarmi, e di' da parte mia a tutti coloro che, il primo sabato di cinque mesi consecutivi, dopo essersi confessati, riceveranno la santa Comunione, diranno un Rosario e mi terranno compagnia per un quarto d'ora meditando i misteri del Rosario con lo scopo di offrirmi riparazione, che prometto di assisterli nell'ora della morte, con tutte le grazie necessarie per la salvezza delle loro anime».

Ci si può chiedere quali siano questi oltraggi che addolorano così tanto il Cuore della Madonna. In generale, sono tutti i peccati che offendono Dio. Tra di essi, alcuni offendono particolarmente il Cuore della nostra Madre Celeste: prima di tutto le bestemmie contro i suoi tre grandi privilegi, la sua Immacolata Concezione, la sua Verginità perpetua, la sua Maternità divina; poi, gli oltraggi contro le immagini che la rappresentano, infine il delitto di coloro che insegnano ai bambini il disprezzo, la derisione, e perfino l'odio della loro Madre Celeste. Certo bisogna anche considerare come particolarmente offensivi per il suo Cuore Immacolato le mancanze alla virtù della purezza. 

A questo proposito, Giacinta confiderà a Suor Maria-Purificazione le parole ricevute dalla Madonna: «I peccati che gettano il maggior numero di anime nell'Inferno sono i peccati contro la purezza. Verranno certe mode che offenderanno molto Nostro Signore. Le persone che servono Dio non devono seguire queste mode». La stessa Giacinta, poco prima della sua morte, diceva ancora a Lucia: «Tu resterai ancora quaggiù per far sapere agli uomini che il Signore vuole diffondere nel mondo la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Ricorda bene a tutti che è attraverso il Cuore Immacolato di Maria che il Buon Dio vuole concederci le sue grazie; è a questo Cuore Immacolato che bisogna chiederle« Il Cuore di Gesù vuole che il Cuore Immacolato di Maria sia venerato insieme con il suo».

Il messaggio di Fatima è sempre di attualità. Alle soglie del terzo millennio, il papa Giovanni Paolo II si esprimeva nel modo seguente in occasione della beatificazione di Francesco e Giacinta: «Il messaggio di Fatima è un richiamo alla conversione, facendo appello all'umanità affinché non stia al gioco del drago, il quale con la coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra (Ap 12,4). L'ultima meta dell'uomo è il Cielo, sua vera casa dove il Padre celeste, nel suo amore misericordioso, è in attesa di tutti. Dio vuole che nessuno si perda; per questo, duemila anni fa, ha inviato sulla terra suo Figlio a cercare e salvare quel che era perduto (Lc 19,10). Egli ci ha salvati con la sua morte sulla Croce. Nessuno renda vana quella Croce! Gesù è morto è risorto per essere il primogenito di molti fratelli (Rm 8,29). Nella sua sollecitudine materna, la Santissima Vergine Maria è venuta qui, a Fatima, per chiedere agli uomini di «non offendere più Dio, Nostro Signore, che è già molto offeso». È il dolore di mamma che l'obbliga a parlare; è in palio la sorte dei suoi figli. Per questo Ella chiede ai pastorelli: «Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori; tante anime finiscono nell'Inferno perché non c'è chi preghi e si sacrifichi per loro»» (13 maggio 2000).
Impegniamoci a contribuire all'introduzione nel mondo della devozione al Cuore Immacolato di Maria per condurre un gran numero di anime alla conversione e a un ardente amore per Gesù e Maria.

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>

Dom Antoine Marie osb