"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
sabato 11 gennaio 2014
venerdì 10 gennaio 2014
LE PIAGHE LITURGICHE. I sei principi della riforma liturgica. Le cinque piaghe del Corpo mistico di Cristo liturgico
Mons. Athanasius Schneider - Le Piaghe Liturgiche
L’articolo che segue, di Mons. Athanasius Schneider, il vescovo autore di “Dominus est“, è stato pubblicato sull’edizione dell’estate 2012 di “The Latin Mass“.
Il vescovo Schneider esamina i punti di rottura tra la liturgia preconciliare e postconciliare considerandoli vere e proprie “piaghe liturgiche”, anche perché, per la maggior parte, non sono nemmeno previste dalla Sacrosanctum Concilium. Propone anche il ristabilimento di un minimo di continuità, che considera condizione imprescindibile per la nuova evangelizzazione, vista la corrispondenza tra lex orandi e lex credendi.
Il vescovo Schneider esamina i punti di rottura tra la liturgia preconciliare e postconciliare considerandoli vere e proprie “piaghe liturgiche”, anche perché, per la maggior parte, non sono nemmeno previste dalla Sacrosanctum Concilium. Propone anche il ristabilimento di un minimo di continuità, che considera condizione imprescindibile per la nuova evangelizzazione, vista la corrispondenza tra lex orandi e lex credendi.
Volgendo lo sguardo verso Cristo
Per parlare correttamente di nuova evangelizzazione, è necessario in primo luogo volgere lo sguardo verso Colui che è il vero evangelizzatore, cioè Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto Uomo. Il Figlio di Dio venne su questa terra per espiare e riparare il più grande peccato, il peccato per eccellenza. E questo peccato, il peccato per eccellenza dell’umanità, consiste nel rifiuto di adorare Dio e nel rifiuto di mantenere per lui il primo posto, il posto d’onore.
Questo peccato da parte dell’uomo consiste nel non prestare attenzione a Dio, non avendo più il senso della convenienza delle cose, o anche il senso dei dettagli relativi a Dio e dell’adorazione che gli è dovuta, nel non voler vedere Dio, e nel non volere inginocchiarsi davanti a Dio.
Questo peccato da parte dell’uomo consiste nel non prestare attenzione a Dio, non avendo più il senso della convenienza delle cose, o anche il senso dei dettagli relativi a Dio e dell’adorazione che gli è dovuta, nel non voler vedere Dio, e nel non volere inginocchiarsi davanti a Dio.
Per chi ha un tale atteggiamento, l’incarnazione di Dio è una fonte di imbarazzo e di conseguenza anche la presenza reale di Dio nel mistero eucaristico è motivo di imbarazzo, come lo è la centralità della presenza eucaristica di Dio nelle nostre chiese. Infatti l’uomo peccatore vuole il centro della scena per se stesso, sia all’interno della Chiesa che durante la celebrazione eucaristica. Vuole essere visto, per farsi notare.
Per questo motivo Gesù Eucaristia, Dio incarnato, presente nel tabernacolo sotto la forma eucaristica, viene messo da parte. Anche la rappresentazione del Crocifisso sulla croce in mezzo all’altare durante la celebrazione verso il popolo è un imbarazzo, perché potrebbe nascondere il volto del sacerdote. Pertanto, l’immagine del Crocifisso al centro dell’altare, così come Gesù Eucaristia nel tabernacolo nel centro dell’altare, è un imbarazzo.
Di conseguenza, la croce e il tabernacolo sono spostati a lato. Durante la messa, l’assemblea deve essere in grado di vedere il volto del sacerdote in ogni momento, e lui si diverte a mettersi letteralmente al centro della casa di Dio… E se per caso Gesù, realmente presente a noi nella Santissima Eucaristia, è ancora lasciato nel suo tabernacolo al centro dell’altare perché il Ministero di monumenti storici, anche in un regime ateo, ha proibito il suo spostamento per la conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso, durante tutta la celebrazione eucaristica, non si fa scrupolo di voltargli le spalle.
Di conseguenza, la croce e il tabernacolo sono spostati a lato. Durante la messa, l’assemblea deve essere in grado di vedere il volto del sacerdote in ogni momento, e lui si diverte a mettersi letteralmente al centro della casa di Dio… E se per caso Gesù, realmente presente a noi nella Santissima Eucaristia, è ancora lasciato nel suo tabernacolo al centro dell’altare perché il Ministero di monumenti storici, anche in un regime ateo, ha proibito il suo spostamento per la conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso, durante tutta la celebrazione eucaristica, non si fa scrupolo di voltargli le spalle.
Quante volte gli adoratori di Cristo buoni e fedeli, piangendo, hanno gridato, nella loro semplicità e umiltà: "Dio ti benedica, Ministero dei monumenti storici! Almeno ci hanno lasciato Gesù al centro della nostra chiesa ".
La Messa è destinata a dare gloria a Dio, non agli uomini
Solo sulla base dell’adorazione e della glorificazione di Dio la Chiesa può adeguatamente proclamare la parola di verità, vale a dire evangelizzare.
Prima che il mondo abbia mai sentito Gesù, il Verbo eterno fatto carne, predicare e annunciare il Regno, Egli ha adorato in silenzio per trenta anni.
Questa rimane sempre la legge per la vita della Chiesa e la sua azione, nonché per tutti gli evangelizzatori. “Dal modo in cui viene trattata la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”, ha detto il cardinale Ratzinger, il nostro attuale Santo Padre Benedetto XVI. Il Concilio Vaticano II ha voluto ricordare alla Chiesa quale realtà e quali azioni sarebbero dovute essere al primo posto nella sua vita.
Prima che il mondo abbia mai sentito Gesù, il Verbo eterno fatto carne, predicare e annunciare il Regno, Egli ha adorato in silenzio per trenta anni.
Questa rimane sempre la legge per la vita della Chiesa e la sua azione, nonché per tutti gli evangelizzatori. “Dal modo in cui viene trattata la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”, ha detto il cardinale Ratzinger, il nostro attuale Santo Padre Benedetto XVI. Il Concilio Vaticano II ha voluto ricordare alla Chiesa quale realtà e quali azioni sarebbero dovute essere al primo posto nella sua vita.
Per questa ragione la prima parte degli atti del Concilio è stata dedicata alla liturgia. Il Concilio ci dà i seguenti principi: nella Chiesa, e quindi nella liturgia, l’uomo deve essere orientato verso il divino ed essere subordinato ad esso, allo stesso modo il visibile in relazione all’invisibile, l’azione in relazione alla contemplazione, la città presente in relazione a quella futura, a cui aspiriamo (vedi Sacrosanctum Concilium, 2). Secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II la nostra liturgia terrena partecipa in anticipo alla liturgia celeste della città santa di Gerusalemme (ibid., 2).
Tutto ciò che riguarda la liturgia della Santa Messa, vale a dire le preghiere di adorazione, di ringraziamento, di espiazione e di petizione che il sommo ed eterno Sacerdote ha presentato al Padre, deve quindi servire a esprimere chiaramente la realtà del sacrificio di Cristo.
La forma straordinaria e la nuova evangelizzazione
Il rito e ogni dettaglio del Santo Sacrificio della Messa deve incentrarsi sulla glorificazione e adorazione di Dio, insistendo sulla centralità della presenza di Cristo, sia nel segno e la rappresentazione del Crocifisso, sia nella sua presenza eucaristica nel tabernacolo, e in particolare al momento della Consacrazione e della Santa Comunione.
Più questo è rispettato, meno l’uomo è protagonista nella celebrazione, e tanto meno la celebrazione appare come un cerchio chiuso in se stesso; piuttosto [è un cerchio] aperto a Cristo e avanza verso di lui come in un corteo, con il sacerdote alla sua testa; come una processione liturgica ha il pregio di rispecchiare il sacrificio di adorazione di Cristo crocifisso; i frutti derivanti dalla glorificazione di Dio e ricevuti nelle anime dei presenti saranno più ricchi; Dio li gradirà e onorerà di più.
Più questo è rispettato, meno l’uomo è protagonista nella celebrazione, e tanto meno la celebrazione appare come un cerchio chiuso in se stesso; piuttosto [è un cerchio] aperto a Cristo e avanza verso di lui come in un corteo, con il sacerdote alla sua testa; come una processione liturgica ha il pregio di rispecchiare il sacrificio di adorazione di Cristo crocifisso; i frutti derivanti dalla glorificazione di Dio e ricevuti nelle anime dei presenti saranno più ricchi; Dio li gradirà e onorerà di più.
Quanto più il sacerdote e i fedeli, nelle celebrazioni eucaristiche, cercano sinceramente la gloria di Dio piuttosto che quella degli uomini e non cercano di ricevere la gloria gli uni dagli altri, più Dio li considererà, concedendo che le loro anime possano partecipare più intensamente e con frutto alla gloria e all’onore della sua vita divina.
Oggi, in vari luoghi della terra, ci sono molte celebrazioni della Santa Messa che, si potrebbe dire, rappresentano un inversione del Salmo 113:9: “Non a te, o Signore, ma al nostro nome dà gloria” [chissà che cosa ne direbbe il Card. Siri! n. d. t.]. A tali celebrazioni si riferiscono le parole di Gesù: “Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?” (Gv 5:44).
I sei principi della riforma liturgica
Il Concilio Vaticano II stabilì i seguenti principi in merito a una riforma liturgica:
1. Durante la celebrazione liturgica, l’umano, il temporale, e l’azione devono essere diretti verso il divino, l’eterno, e la contemplazione, il ruolo dei primi deve essere subordinato a questi ultimi (Sacrosanctum Concilium, 2).
2. Durante la celebrazione liturgica, dovrà essere incoraggiata la consapevolezza che la liturgia terrena partecipa alla liturgia celeste (Sacrosanctum Concilium, 8).
3. Non ci deve essere assolutamente alcuna innovazione; quindi nessuna nuova creazione dei riti liturgici, in particolare nel rito della Messa, se non per un guadagno vero e certo per la Chiesa, e a condizione che tutto sia fatto con prudenza e, se ciò è garantito, che nuove forme sostituiscano organicamente quelle esistenti (Sacrosanctum Concilium, 23).
4. Il rito della Messa deve essere tale che il sacro sia affrontato in modo più esplicito (Sacrosanctum Concilium, 21).
5. Il latino deve essere conservato nella liturgia, soprattutto alla Santa Messa (Sacrosanctum Concilium, 36 e 54).
6. Il canto gregoriano ha un posto d’onore nella liturgia (Sacrosanctum Concilium, 116).
I Padri conciliari hanno visto le loro proposte di riforma come la continuazione della riforma di san Pio X (Sacrosanctum Concilium 112 e 117) e del Venerabile Pio XII, anzi, nella Costituzione liturgica, l’Enciclica Mediator Dei di Pio XII è quella citata più spesso.
Tra le altre cose, il Papa Pio XII ha lasciato alla Chiesa un importante principio della dottrina riguardante la Santa Liturgia, vale a dire la condanna di quello che viene chiamato archeologismo liturgico, le cui proposte sono in gran parte sovrapponibili a quelle del sinodo giansenista e tendente al protestantesimo di Pistoia (vedi Mediator Dei, 63-64).
È un dato di fatto che richiamino alla mente il pensiero teologico di Martin Lutero.
Per questa ragione, il Concilio di Trento aveva già condannato le idee liturgiche protestanti, in particolare l’enfasi esagerata sulla nozione di banchetto nella celebrazione eucaristica a scapito del suo carattere sacrificale e la soppressione di segni univoci di sacralità come espressione del mistero della liturgia (Concilio di Trento, sessione 22).
Le dichiarazioni dottrinali del Magistero sulla liturgia, in questo caso quelle del Concilio di Trento e dell’ enciclica Mediator Dei e che si riflettono in una prassi liturgica secolare, o addirittura millenaria, queste dichiarazioni, dico, formano una parte di quell’elemento della Santa Tradizione che non si può abbandonare senza incorrere in gravi danni spirituali. Il Vaticano II ha confermato queste dichiarazioni dottrinali sulla liturgia, come si può vedere leggendo i principi generali del culto divino nella Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium.
Come esempio di errore nel pensiero e nella prassi liturgica, Papa Pio XII cita la proposta di dare all’altare la forma di un tavolo (Mediator Dei 62).
Se già Papa Pio XII rifiutò l’altare a forma di tavolo , si può immaginare quanto più egli avrebbe rifiutato la proposta per una celebrazione attorno a un tavolo versus populum!
Quando la Sacrosanctum Concilium (n. 2) insegna che, nella liturgia, la contemplazione ha la priorità e che tutta la celebrazione deve essere orientata ai misteri celesti (ibid. 2 e 8), riecheggia fedelmente la seguente dichiarazione del Concilio di Trento:
“E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.“(Sessione 25, capitolo 5).
“E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.“(Sessione 25, capitolo 5).
Gli insegnamenti magisteriali della Chiesa citati sopra, in particolare la Mediator Dei, erano certamente riconosciuti come pienamente validi dai Padri del Concilio. Pertanto essi devono continuare ad essere pienamente validi per tutti i figli della Chiesa anche oggi.
Le cinque piaghe del Corpo mistico di Cristo liturgico
Nella lettera a tutti i vescovi della Chiesa cattolica che Benedetto XVI ha inviato il 7 luglio 2007 con il Motu Proprio Summorum Pontificum, il Papa ha fatto la seguente importante dichiarazione: “Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni precedenti era sacro, resta sacro e grande anche per noi.” Nel dire questo, il Papa ha espresso il principio fondamentale della liturgia che hanno insegnato il Concilio di Trento, Papa Pio XII e il Concilio Vaticano II.
Guardando senza pregiudizi e obiettivamente la prassi liturgica della stragrande maggioranza delle chiese di tutto il mondo cattolico in cui viene utilizzata la forma ordinaria del rito romano, nessuno può onestamente negare che i sei principi liturgici del Vaticano II siano costantemente violati, o quasi, nonostante l’affermazione erronea che questa sia la prassi liturgica voluta dal Vaticano II. Ci sono un certo numero di aspetti concreti della prassi liturgica attualmente prevalente nel rito ordinario che rappresentano una rottura vera e propria rispetto ad una pratica liturgica costante e millenaria.
Con questo intendo le cinque pratiche liturgiche che citerò a breve, che possono essere definite le cinque piaghe del corpo mistico liturgico di Cristo. Si tratta di ferite, perché costituiscono una rottura violenta con il passato in quanto minimizzano il carattere sacrificale (che in realtà è il carattere centrale ed essenziale della Messa) e propongono l’idea del banchetto. Tutto questo riduce i segni esteriori di adorazione divina, perché mette in evidenza in misura molto minore la dimensione celeste ed eterna del mistero.
Con questo intendo le cinque pratiche liturgiche che citerò a breve, che possono essere definite le cinque piaghe del corpo mistico liturgico di Cristo. Si tratta di ferite, perché costituiscono una rottura violenta con il passato in quanto minimizzano il carattere sacrificale (che in realtà è il carattere centrale ed essenziale della Messa) e propongono l’idea del banchetto. Tutto questo riduce i segni esteriori di adorazione divina, perché mette in evidenza in misura molto minore la dimensione celeste ed eterna del mistero.
Ora le cinque ferite (tranne per le nuove preghiere dell’Offertorio) sono quelli che non sono previsti nella forma ordinaria del rito della Messa, ma sono stati portati in esso attraverso la pratica di una moda deplorevole.
A) La prima e più ovvia ferita è la celebrazione del Sacrificio della Messa in cui il sacerdote celebra con la faccia rivolta verso i fedeli, soprattutto durante la preghiera eucaristica e la consacrazione, il momento più alto e più sacro del culto che è dovuto a Dio. Questa forma esteriore corrisponde, per sua stessa natura, più che altro al modo in cui si insegna in una classe o si condivide un pasto. Siamo in un circolo chiuso. E questa forma assolutamente non è conforme al momento della preghiera, meno ancora a quella di adorazione. Eppure il Vaticano II non ha voluto affatto questa forma, né la stessa è mai stata raccomandata dal Magistero dei Papi dopo il Concilio.
Papa Benedetto XVI ha scritto nella prefazione al primo volume delle sue opere raccolte:
“L’idea che il sacerdote e il popolo in preghiera devono guardarsi l’un l’altro reciprocamente è nata solo in età moderna ed è completamente estranea al cristianesimo antico. Infatti, il sacerdote e il popolo non affrontano la loro preghiera gli uni verso gli altri, ma insieme la rivolgono all’unico Signore. Per questo motivo, nella preghiera, guardano nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico del ritorno del Signore, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso l’alto“.
“L’idea che il sacerdote e il popolo in preghiera devono guardarsi l’un l’altro reciprocamente è nata solo in età moderna ed è completamente estranea al cristianesimo antico. Infatti, il sacerdote e il popolo non affrontano la loro preghiera gli uni verso gli altri, ma insieme la rivolgono all’unico Signore. Per questo motivo, nella preghiera, guardano nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico del ritorno del Signore, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso l’alto“.
La forma di celebrazione in cui tutti volgono il loro sguardo nella stessa direzione (Conversi ad orientem, ad Crucem, ad Dominum) è anche menzionata nelle rubriche del nuovo rito della Messa (cfr. Ordo Missae, 25, 133, 134). La cosiddetta celebrazione versus populum non corrisponde certo all’idea della Santa Liturgia come indicato nella dichiarazione della Sacrosanctum Concilium, 2 e 8.
B) La seconda ferita è la comunione nella mano, che ora è diffusa in quasi tutto il mondo. Non solo questo modo di ricevere la comunione non è in alcun modo menzionato dai Padri del Concilio Vaticano II, ma è stato in realtà introdotto da un certo numero di vescovi in disobbedienza alla Santa Sede e nonostante il voto a maggioranza negativo dai vescovi nel 1968. Papa Paolo VI la legittimò solo più tardi, a malincuore, e in particolari condizioni.
Papa Benedetto XVI, dal Corpus Christi 2008, distribuisce la Comunione ai fedeli in ginocchio e sulla lingua, sia a Roma che in tutte le chiese locali che visita. E così sta mostrando a tutta la Chiesa un chiaro esempio di Magistero pratico in una questione liturgica. Poiché la maggioranza qualificata dei vescovi rifiutò la Comunione nella mano come qualcosa di nocivo tre anni dopo il Concilio, tanto più lo avrebbero fatto i Padri conciliari!
C) La ferita è rappresentata dalle nuove preghiere di Offertorio. Si tratta di una creazione del tutto nuova e non erano mai state utilizzate nella Chiesa. Esse non esprimono tanto il mistero del sacrificio della Croce quanto l’evento di un banchetto e in tal modo ricordano le preghiere del pasto del sabato ebraico. Nella tradizione più che millenaria della Chiesa, in Oriente e in Occidente, le preghiere Offertorio sono sempre stati espressamente orientate al mistero del sacrificio della Croce (cfr. ad esempio Paul Tirot, Histoire des Prières d’Offertoire dans la liturgie romaine du VIIème XVIème au siècle [Roma, 1985]).
Non vi è dubbio che una tale creazione, assolutamente nuova contraddice la chiara formulazione del Concilio Vaticano II che afferma: “novità ne fiant. . . novae formae ex Formis iam exstantibus organice crescant “(Sacrosanctum Concilium, 23).
Non vi è dubbio che una tale creazione, assolutamente nuova contraddice la chiara formulazione del Concilio Vaticano II che afferma: “novità ne fiant. . . novae formae ex Formis iam exstantibus organice crescant “(Sacrosanctum Concilium, 23).
D) La quarta ferita è la totale scomparsa del latino nella stragrande maggioranza delle celebrazioni eucaristiche nella forma ordinaria in tutti i paesi cattolici. Si tratta di una infrazione diretta contro le decisioni del Concilio Vaticano II.
E) La quinta ferita è l’esercizio da parte delle donne dei servizi liturgici di lettore e di accolito, come pure l’esercizio di questi stessi servizi in abiti laici, quando, durante la Santa Messa entrano nel coro direttamente dallo spazio riservato ai fedeli.
Questa usanza non è mai esistita nella Chiesa, o almeno non è mai stata la benvenuta. Essa conferisce alla celebrazione della Messa cattolica il carattere esterno di informalità, il carattere e lo stile di un gruppo piuttosto profano. Il Concilio di Nicea, già nel 787, proibiva tali pratiche quando ha stabilito il canone seguente: “Se qualcuno non è ordinato, non è consentito per lui fare la lettura dall’ambone durante la santa liturgia” (can. 14 ). Questa norma è stata costantemente seguita nella Chiesa.
Solo i suddiaconi e i lettori sono stati autorizzati a fare la lettura durante la liturgia della Messa.
Se lettori e accoliti non sono presenti, uomini o ragazzi con i paramenti liturgici possono farlo, non le donne, dal momento che il sesso maschile rappresenta simbolicamente l’ultimo anello di ordini minori dal punto di vista dell’ordinazione non sacramentale di lettori e accoliti.
Questa usanza non è mai esistita nella Chiesa, o almeno non è mai stata la benvenuta. Essa conferisce alla celebrazione della Messa cattolica il carattere esterno di informalità, il carattere e lo stile di un gruppo piuttosto profano. Il Concilio di Nicea, già nel 787, proibiva tali pratiche quando ha stabilito il canone seguente: “Se qualcuno non è ordinato, non è consentito per lui fare la lettura dall’ambone durante la santa liturgia” (can. 14 ). Questa norma è stata costantemente seguita nella Chiesa.
Solo i suddiaconi e i lettori sono stati autorizzati a fare la lettura durante la liturgia della Messa.
Se lettori e accoliti non sono presenti, uomini o ragazzi con i paramenti liturgici possono farlo, non le donne, dal momento che il sesso maschile rappresenta simbolicamente l’ultimo anello di ordini minori dal punto di vista dell’ordinazione non sacramentale di lettori e accoliti.
I testi del Vaticano II non parlano della soppressione degli ordini minori né del suddiaconato o dell’introduzione di nuovi ministeri. Nella Sacrosanctum Concilium, al n. 28, il Concilio distingue il ministro dal fedele durante la celebrazione liturgica, e stabilisce che ciascuno può fare solo ciò che gli compete per la natura della liturgia. Il numero 29 menziona i ministrantes, cioè i chierichetti che non sono stati ordinati. In contrasto con loro, ci sono, in linea con i termini giuridici in uso in quel tempo, i Ministri, vale a dire coloro che hanno ricevuto un ordine, sia esso maggiore o minore.
Il Motu Proprio: Come porre fine alla rottura nella Liturgia
Nel Motu Proprio Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI stabilisce che le due forme del rito romano devono essere considerate e trattate con lo stesso rispetto, perché la Chiesa rimane la stessa prima e dopo il Concilio. Nella lettera di accompagnamento del Motu Proprio, il Papa vuole che le due forme si arricchiscano reciprocamente.
Inoltre egli auspica che la nuova forma “sia in grado di dimostrare, più chiaramente di quanto non sia avvenuto finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso“.
Quattro delle ferite liturgiche, o pratiche sfortunate (celebrazione versus populum, comunione nella mano, totale abbandono del latino e del canto gregoriano, e intervento delle donne per il servizio di lettore e di accolito), non hanno in sé e per sé nulla a che fare con la forma ordinaria della Messa ed inoltre sono in contraddizione con i principi liturgica del Vaticano II. Se fossero abolite queste pratiche si tornerebbe al vero insegnamento del Concilio Vaticano II. E poi, le due forme del rito romano, verrebbero ad essere considerate assai più vicine, e così la forma straordinaria e la nuova evangelizzazione poiché, almeno esternamente, non si parlerebbe di alcuna rottura né apparirebbe alcuna rottura nella Chiesa tra il pre e il postconcilio.
Per quanto riguarda le nuove preghiere dell’Offertorio, sarebbe auspicabile che la Santa Sede le sostituisse con le preghiere corrispondenti della forma straordinaria, o almeno consentisse l’uso di quest’ultimo ad libitum. In questo modo la rottura tra le due forme sarebbe evitata non solo esternamente ma anche internamente. La rottura nella liturgia è proprio ciò che i Padri conciliari non volevano. I verbali del Concilio attestano questo, perché nel corso dei duemila anni di storia della liturgia, non c’è mai stata una rottura liturgica e, di conseguenza, non ci può essere. D’altra parte deve esserci continuità, così come si conviene per il Magistero.
Le cinque piaghe del corpo liturgico della Chiesa che ho menzionato gridano per la guarigione. Esse rappresentano una rottura che si può confrontare con l’esilio ad Avignone.
La situazione di una rottura così forte in un’espressione della vita della Chiesa è ben lungi dall’essere irrilevante, allora con l’assenza dei papi da Roma, oggi con la rottura visibile tra la liturgia prima e dopo il Concilio. Questa situazione grida in effetti, per la guarigione. Per questo motivo abbiamo bisogno di nuovi santi oggi, di una o più Sante Caterina di Siena.
Abbiamo bisogno di vox populi fidelis che richiedano la soppressione di questa rottura liturgica. La tragedia in tutto questo è che, oggi come nel tempo dell’esilio di Avignone, la grande maggioranza del clero, soprattutto nei suoi ranghi più alti, è contenta di questa rottura.
Prima che ci si possa aspettare frutti efficaci e duraturi dalla nuova evangelizzazione, deve avere corso all’interno della Chiesa un processo di conversione. Come possiamo chiamare gli altri alla conversione quando, tra coloro che hanno risposto alla vocazione, non si è ancora verificata una convincente conversione nei confronti di Dio, internamente o esternamente? Il sacrificio della Messa, il sacrificio di adorazione di Cristo, il più grande mistero della Fede, l’atto più sublime di adorazione si celebra in un circolo chiuso, in cui le persone si cercano a vicenda.
Quello che manca è la conversio ad Dominum. È necessaria, anche esternamente e fisicamente, dal momento che nella liturgia Cristo è trattato come se non fosse Dio, e non Gli sono rivolti chiari segni esteriori dell’adorazione che è dovuta a Dio solo, perché i fedeli ricevono la Santa Comunione in piedi e, per giunta, la prendono in mano come un qualsiasi altro alimento, l’afferrano con le dita e la portano in bocca. Vi è qui una sorta di arianesimo o semi-arianesimo eucaristico.
Una delle condizioni necessarie per una nuova e fruttuosa evangelizzazione sarebbe la testimonianza di tutta la Chiesa nel culto liturgico pubblico. Dovrebbero essere osservati almeno questi due aspetti del culto divino:
1) Che la Santa Messa sia celebrata in tutto il mondo, anche in forma ordinaria, in una conversio ad Dominum interna e quindi necessariamente anche esterna .
2) Che i fedeli si inginocchino davanti a Cristo al momento della Santa Comunione, come san Paolo chiede quando si fa menzione del nome o della persona di Cristo (Fil 2,10), e che lo ricevano con l’amore più grande e il più grande rispetto possibile, come si addice a Lui come Dio vero.
Grazie a Dio, Benedetto XVI ha preso due misure concrete per avviare il processo di un ritorno dall’esilio di Avignone della liturgia, cioè, il Motu Proprio Summorum Pontificum e la reintroduzione del tradizionale rito della Comunione.
Vi è ancora bisogno di molte preghiere e forse di una nuova santa Caterina da Siena per le altre misure da adottare al fine di guarire le cinque piaghe sul corpo liturgico e mistico della Chiesa e perché Dio sia venerato nella liturgia con quell’amore, quel rispetto, quel senso del sublime che da sempre sono le caratteristiche della Chiesa e del suo insegnamento, in particolare nel Concilio di Trento, nell’enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII, nella Costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II e nella teologia della liturgia di Papa Benedetto XVI, nel suo magistero liturgico, e nel Motu proprio di cui sopra.
Nessuno può evangelizzare a meno che non abbia adorato, o meglio ancora a meno che non adori costantemente e doni Dio, Cristo nell’Eucaristia, vera priorità nel suo modo di celebrare e in tutta la sua vita. Infatti, per citare il cardinale Joseph Ratzinger: “E’ nel trattamento della liturgia che si decide il destino della fede e della Chiesa.“
da “The Latin Mass Magazine” vol. 21 n. 2, estate 2012.
VIENI SPIRITO SANTO, VIENI PER MEZZO DELLA POTENTE INTERCESSIONE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA, TUA SPOSA AMATISSIMA!
Maria e lo Spirito Santo -
LO SPIRITO SANTO FONTE DI VERITÀ E DI UNITÀ DOTTRINALE NELLA CHIESA CATTOLICA
La Chiesa cattolica è nata nel segno dello Spirito Santo; si è affermata nel mondo sotto l'azione, spesso visibile, dello Spirito Santo, e ancora oggi continua ad assolvere il suo compito e il suo programma di salvezza tra gli uomini,
soffre, combatte e prega
e le sue tende spiega
dall'uno all'altro mar
(MANZONI)
sotto l'azione, non più visibile ma non per questo meno reale e meno efficiente, dello stesso Spirito Santo.
Leone XIII ha definito lo Spirito Santo « anima della Chiesa ». Egli è perciò nella Chiesa quello che è l'anima nell'organismo umano, sorgente di vita e di attività. Ogni attività o servizio dei membri della Chiesa, incominciando dalla suprema partecipazione della Vergine Santissima all'opera della Chiesa, è vivificata dallo Spirito Santo, come il corpo in tutte le sue attività è vivificato dall'anima.
Lo Spirito Santo, come terza Persona della Santissima Trinità, e la sua azione delicatissima e segretissima nelle anime singole e nella Chiesa, non sono mai state oggetto di scienza da parte del grande pubblico dei credenti, anzi la devozione allo Spirito Santo non è stata mai una devozione popolare e di massa.
Lo Spirito Santo, « Spirito di Gesù », « Dono del Dio altissimo », « Dito della destra del Padre », « Fonte della vita », «fuoco purificatore », « Carità ardente », « Dolce ospite dell'anima », « Dolce refrigerio », « Spirito di verità », « Consolatore-Paraclito », « Padre dei poveri »... è rimasto in passato e rimane ancora al presente « il Grande Sconosciuto ». Né si dica che oggi, parlandone e scrivendone di più in relazione a certi recenti movimenti di massa, se ne sappia effettivamente di più di quanto ne sapevano i nostri padri. Lo Spirito Santo rimane sempre un mistero sia nella sua Persona trinitaria sia nella sua azione: mistero che noi dobbiamo credere ed amare senza indagarlo, che noi crediamo ed amiamo con grande venerazione e con grande gioia.
Gesù promette più volte di dare e comunicare il suo Spirito al mondo e lo presenta con diversi nomi: Paraclito, avvocato, consolatore; Colui che prende su di sé, assume di nuovo e porta a termine l'opera redentrice di Gesù. Ma c'è nel Vangelo l'accentuazione ripetuta di un titolo particolare dello Spirito Santo per cui la sua missione e la sua presenza nella Chiesa è urgentissima e insostituibile: Egli è Colui che conserva intatta, insegna, spiega e conferma la Parola, la verità della Parola: « Io pregherò il Padre che vi darà un altro Consolatore... lo Spirito di verità... egli vi insegnerà ogni cosa e vi farà ricordare tutto quello che io vi ho detto » (Gv. cap. 14); « È meglio per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi il Consolatore... Quando sarà venuto lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà verso tutta la verità... vi farà conoscere l'avvenire » (ivi, cap. 16).
Se tutti i titoli dello Spirito Santo, e tutti gli aspetti nei quali egli si presenta sono essenziali alla Chiesa, quest'ultimo come « Spirito di verità » ci interessa più da vicino in quanto ci fa vedere che l'insegnamento della Chiesa cattolica, e quindi la fede che ne deriva, non sono affidati all'intelligenza e alla capacità dell'uomo, ma sono continuamente tenuti sotto controllo dallo Spirito Santo.
È lo Spirito che conserva nella Chiesa quell'unitas che ne forma il distintivo più appariscente e la struttura più forte, pur nei diversi aspetti di tempo, di luogo e di espressione che sono sempre esistiti e sempre esisteranno in essa: un monolito dalle diverse facce, tenuto unito da una corrente interiore che è luce e calore insieme, che è principio ed elemento di vita, « lo Spirito Santo... Signore e vivificante, che dal Padre e dal Figlio procede ».
Unità che è frutto della preghiera di Gesù e dell'azione dello Spirito di Gesù: « La sola Chiesa di Pietro sempre fu ferma nella sua fede; e mentre da altre parti o non vi è affatto la fede, o essa è mescolata a molti errori, la Chiesa di Pietro invece è vigorosa nella fede ed è libera dagli errori. Non c'è da meravigliarsi di questo, poiché il Signore disse a Pietro: « Io ho pregato per te perché non venga meno la tua fede » (Thom. Aquin., In Symb. Apost. Expositio, 9).
Ma unità, non molteplicità; varietà, non contraddizione; pluralismo, non pluralità o approssimazione ambigua (pluralismo, parola di cui non sappiamo ancora la definizione esatta); quell'unità che entusiasmava Paolo, Cipriano, Ambrogio, Agostino; quell'unità che la Chiesa proclama e canta a voce spiegata: « Credo... la Chiesa una, santa... »
Oggi si deve insistere maggiormente su questa Ecclesiam unam perché vi si trova un'ulteriore prova dell'eccezionaiità della Chiesa. La Chiesa, che è anche umana perché formata anche da uomini, è qualche cos'altro. Oggi troppo spesso e troppo volentieri, da nemici e da amici, dal di fuori e dal di dentro, si sottolinea di preferenza l'aspetto umano, perciò discutibile, o imperfetto, o lacunoso, o errato, o correggibile della Chiesa di Dio, e non si da il giusto peso a questa unitas che si mantiene inalterata e immacolata nel parossismo di mille vicissitudini e tra mille tentazioni di continui cambiamenti e di continui aggiornamenti.
Ricetta Aloe
Padre Romano Zago - Ricetta Aloe
LA RICETTA così come Padre Romano Zago la descrive nel suo libro
Di cancro si può guarire!
Di Romano Zago
Tradotto da B. Ferrini
Pubblicato da Adle, 1997
ISBN 888401011X, 9788884010117
160 pagine
Compra adesso: Libro - DI CANCRO SI PUO' GUARIRE
INGREDIENTI
- 500g di miele d'api (miele biologico)
- 40-50ml (circa 6 cucchiai) di distillato (Grappa, Cognac, Whisky, distillato di grano ecc.)
- 350g di Foglie di Aloe Arborescens: due, tre, quattro o cinque, fino a raggiungere il peso
PREPARAZIONE
Togliere le spine dai bordi delle foglie e la polvere depositatasi, utilizzando uno straccio asciutto o una spugna.
Tagliare a pezzi le foglie (senza togliere la buccia) e metterle nel frullatore assieme al miele e al distillato prescelto.
Frullare bene e il preparato è pronto per il consumo. Non filtrare né cuocere. Il frullato ottenuto deve essere messo in frigorifero in un barattolo scuro, ben chiuso.
DOSI CONSIGLIATE
Prendere un cucchiaio da tavolo 20 o 30 minuti prima dei tre pasti principali (colazione, pranzo e cena). Agitare bene prima dell'uso. Una volta iniziato il trattamento è importante assumerne tutto il contenuto del barattolo. Appena finito, è consigliabile sottoporsi a una visita medica.
Il risultato delle analisi offrirà indicazioni sugli effetti ottenuti e suggerirà la procedura da seguire. Se i risultati dovessero dimostrare che non ci sono stati miglioramenti con il primo barattolo, è necessario ripetere l'operazione dopo una pausa di 5-10 giorni. Tale ciclo dovrà ripetersi tante volte quante sono necessarie per eliminare il male. Soltanto dopo i primi quattro tentativi senza esito positivo si deve ricorrere ad una dose doppia, cioè due cucchiai prima di ogni pasto.
Di Romano Zago
Tradotto da B. Ferrini
Pubblicato da Adle, 1997
ISBN 888401011X, 9788884010117
160 pagine
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giovedì 9 gennaio 2014
I quattordici gradini della scalinata (il Calvario di Gesù)
Visione della scala che conduce al cielo
La Vergine dice: «Figlia mia, dimentica la tua debolezza e tieni sempre presente il mio amore, poiché il mio amore è un appoggio per la tua debolezza. Sii umile e offri tutto quello che hai; ama ciò che è piccolo, e per prima cosa vuota il tuo cuore. Soltanto allora potrò agire dentro di te. Donami tutto, finanche le sofferenze che stai patendo adesso.
In questo mondo ci sono sempre tentazioni da vincere. Nemmeno le anime sante ne sono esenti.
Figlia mia! Tu sai, non è vero, che Io metto alla prova con molte sofferenze i figli che mi amano! Tu adesso stai provando le doglie del parto. Desidero che molti miei figli siano messi alla prova. E invece, tutti mi fanno soffrire. Non è forse dopo le doglie del parto, che stai provando adesso, che avverrà una nascita? Il tuo parto avverrà necessariamente attraverso la sofferenza, ma spero che la sopporterai con coraggio, pensando alla ricompensa che ti ho preparato per aver salvato molte anime. Devi renderti conto che tutto si purifica nell'amore, proprio come l'oro si purifica nel crogiolo.
Mia piccola anima! Per quanto numerosi siano i meriti che avete accumulato, cadranno nel nulla, l'uno dopo l'altro, se trascurate le piccole cose, se siete maldicenti e criticate gli altri. Siate lenti nell'aprir bocca e controllate con prudenza la vostra lingua. Acquisterai molto merito, se passerai sotto silenzio i difetti altrui, mentre ti verrebbe voglia di giudicarli. Sii sempre più santa nelle tue parole e nella tua condotta.
Oh, figlia mia! Come sei impaziente! Lo sono anch'Io! Il mio Cuore prova un dolore immenso nel vedere che i miei diletti figli, che dovrebbero elevarsi sempre più nel mio Amore, tentano invece di innalzarsi più in alto degli altri. Si invidiano reciprocamente e le loro anime s'indeboliscono, poiché dubitano della mia misericordia.
Figlia mia, pratica l'umiltà. Questa è la cosa che mi rende più felice. Non cercare mai d'innalzarti.
Le vostre piccole mortificazioni, i vostri piccoli atti di bontà, i vostri piccoli sacrifici e le vostre piccole penitenze diventano un balsamo per le mie ferite. Figlia mia, riversa più amore sui miei figli che lavorano con te. Mentre essi tentano di innalzarsi gli uni al di sopra degli altri, i demoni dell'orgoglio, dell'invidia, della gelosia stanno in agguato. Tu dovrai riversare il tuo amore su di loro con i tuoi sacrifici. Di fronte all'amore, qualsiasi demonio è domato. Unitevi, unitevi con il legame dell'amore reciproco.
C'è una cosa che voglio mostrarti. Conoscerai così qual è la mia volontà».
La Vergine fece vedere a Julia la scena seguente: in cima ad un'alta montagna c'era una scalinata formata da 14 gradini. Vicino ad essa c'era anche un albero. Ogni volta che acquistavamo dei meriti, dalle nostre buone azioni si formava un frutto. Se, invece, con le parole o con gli atti giudicavamo male gli altri e commettevamo dei peccati, i frutti dei meriti acquisiti cadevano.
La Vergine mi ha fatto vedere che molti frutti si formano quando facciamo penitenza; e quando ci sacrifichiamo per gli altri, la luce scende su di essi, e i frutti dei meriti si formano per noi.
Il cammino per arrivare fino ai piedi della scalinata era difficile. C'era chi scivolava e cadeva a metà costa, c'era chi girava in tondo, invece di proseguire verso l'alto.
Mentre ascoltavo la Vergine, tremavo nel vedere quanta gente precipitava.
Al di sopra del 14° gradino ce n'era un altro: il 15°. È là che si trovava il Regno dei Cieli. Il Buon Dio era là, e insieme a Lui, Gesù, la Vergine, san Giuseppe, tutti i santi e tutti gli angeli osservavano le nostre azioni.
Colui che muore dopo essere riuscito a salire anche soltanto sul primo gradino, passerà dal purgatorio. Per colui che sale tutti i 14 gradini, il cielo è vicino).
La Vergine dice: «Figlia mia, hai visto?... Chiunque può arrivare fino a mezza costa, ma è difficile salire i quattordici gradini della scalinata (il Calvario di Gesù). Di' a tutti di comportarsi in modo da non perdere almeno quel merito che hanno accumulato con tanta fatica. Arrivederci...».
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