domenica 13 ottobre 2013

San Francesco d'Assisi - San Francesco Saverio - Il prodigio dei corpi incorrotti








MADRE SPERANZA

BIOGRAFIA DI MADRE SPERANZA
Madre col Pane
...E DIO LA CHIAMO' SPERANZA

LO SBOCCIARE DI UNA VITA

Il profumo inebriante dell’azahar, il fior di limone e di arancio della huerta murciana, forse tornò a farsi sentire, anche se non era il tempo, quel 30 settembre del 1893, in cui vide la luce la piccola Josefa Alhama Valera. Così venne chiamata il giorno del suo battesimo, quella che sarebbe stata Madre Speranza di Gesù.
La prima di nove fratelli, di famiglia poverissima, nasce in un’umilebarraca del Siscar, nel comune di Santomera, in provincia di Murcia (Spagna). Il papà, José Antonio, è operaio agricolo avventizio, con pochissime possibilità di lavoro, in una terra ora riarsa dal sole del levante, con scarsa irrigazione in quell’epoca, ora inondata da catastrofiche alluvioni che quasi sempre mietono vittime.
Josefa cresce vivace e intelligente, giocherellona e birichina come tutti i bambini. Tra i sette e otto anni è introdotta in casa del parroco di Santomera, dove vive educata dalle due sorelle di lui.
Verso i nove anni, mossa dal gran desiderio di fare la prima comunione, che in quei tempi si protraeva fino ai dodici anni, una mattina che celebra la S. Messa un sacerdote venuto da fuori, ne approfitta per rubare Gesù e inizia un rapporto d’intimità con Lui che durerà tutta la vita.


LA RICERCA E LA PARTENZA

Nel fiore dell’età giovanile, va crescendo in lei il desiderio di dedicare tutta la sua vita all’amico Gesù e alla gente povera e bisognosa che conosce bene. Desiderosa di capire la volontà di Dio, si avvicina ai luoghi della sofferenza umana, ma il discernimento non è facile:"Passando con la Suora incaricata per una corsia, avevo notato un povero uomo in fin di vita, ormai con il rantolo e che soffriva tanto… Lo indicai alla Suora pensando che ella non se ne fosse accorta… La Suora si avvicinò al letto del moribondo e con il lenzuolo gli coprì la faccia… e si allontanò. Io ne restai tanto scossa e provavo tanta pena per quell’uomo che soffriva; la Suora se ene accorse e mi disse: "Vedrai che anche a te con il tempo ti si farà il cuore duro!" E io: "Mi basta questo: prima che mi si faccia il cuore duro, io me ne vado"".
All’età di 21 anni, si decidere a compiere il passo: è il 15 ottobre, festa di S. Teresa d'Avila, che esercita su di lei un’enorme attrazione: « … partii dalla casa paterna con il grande desiderio di arrivare ad essere santa, di assomigliare un po' a S. Teresa che era coraggiosa e non aveva paura di niente. Volevo essere come lei e così uscii di casa quel giorno, lasciando mia madre nel letto del dolore e senza speranza di rivederla.
"Figlia mia perché non aspetti?" mi chiese.
"Madre domani è S. Teresa e io vorrei diventare grande santa come lei, e che mi aiuti a seguire il Signore come essa lo seguì ".
E mia madre che era molto buona mi disse: "Figlia mia il Signore ti benedica, e se io muoio prega per me"».
Entra a Villena, tra le Figlie del Calvario, nell’ultimo convento poverissimo di una comunità in via d’estinzione. Qui, al momento della sua professione religiosa, riceve il nome di Speranza. Le Figlie del Calvario, si uniscono poi, all’Istituto delle Missionarie Clarettiane, dedite all’insegnamento. Anche Madre Speranza entra a prendere parte del nuovo Istituto.

IMPARANDO AD AMARE

Questi primi anni della sua vita religiosa sono contrassegnati da una serie di prove e sofferenze fisiche e morali, attraverso le quali, come dirà lei stessa, Dio va scalpellando il suo legno per prepararla alla missione che l’attende. Impara la scienza dell’amore rendendosi disponibile come una scopa, fissando lo sguardo nella Pasione e Croce di Gesù e venendo incontro alle sofferenze dei poveri.
Nel Natale del 1927 avviene un episodio decisivo per capire il piano di Dio su di lei. Madre Speranza fa parte di una comunità ubicata in Calle Toledo a Madrid, in una casa che non appartiene alla Congregazione delle Clarettiane ma ad una Associazione di Signore Cattoliche. La Madre prepara, con l'aiuto della Provvidenza, un pranzo per circa 400 poveri che, affamati, riempiono la casa. Una signora dell’Associazione arriva in quel momento: 
«Molto dispiaciuta e sostenuta mi chiede: "Chi ha dato il permesso di fare entrare tutta questa gente a sporcare tutto? ".
"No signora, non sono venuti a sporcare ma a mangiare, perchè oggi è Natale anche per loro! ".
"Si guardi bene dal portare un' altra volta tutta questa gente in casa; questo lo potrà fare quando la casa sarà sua ". E partì.
"Io andai di nuovo in cappella dal Signore e sentii che Lui mi diceva: "Speranza, dove non possono entrare i poveri, non ci devi entrare neanche tu. E' ora di partire da questa casa!".
"Signore, e dove devo andare?"».
Il Buon Gesù, come lei lo chiama, la va preparando alla missione che l’attende. Collabora con il domenicano P. Arintero nella diffusione della spiritualità dell’Amore Misericordioso, antica come il Vangelo. Soprattutto in quest’epoca il Signore la unisce misteriosamente alla Sua Passione e le fa sperimentare intensamente il suo amore perché lo comunichi a tutti:
"Oggi, 5 novembre del 1927, mi sono distratta, cioè ho passato parte della notte fuori di me e molto unita al Buon Gesù, e Lui mi ha detto che io devo fare in modo che gli uomini lo conoscano, non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre buono che cerca con tutti i mezzi il modo di confortare, aiutare e far felici i suoi figli, e che li segue e li cerca con amore instancabile come se non potesse essere felice senza di loro".

LE ANCELLE E I POVERI

Il discernimento prosegue, tra prove e incomprensioni, finché nella notte di Natale del 1930, a Madrid, in un appartamento affittato e nella povertà più grande, fonda, insieme ad altre tre suore, la Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Povere come Gesù a Betlemme, mangiano un po’ di zuppa di cavoli, dormono per terra, appoggiando la testa sull’unico materasso che hanno, e sono piene di gioia ed entusiasmo.
"Compresi che il Buon Gesù voleva che si realizzasse la fondazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso per aprire collegi dove educare orfani, poveri, figli di famiglie numerose e delle classi più modeste della società, contribuendo queste ultime al sostentamento dei loro figli in misura delle loro possibilità. Ed inoltre collegi per bambini e bambine anormali, ed anche case per anziani e ospedali per ogni tipo di bisognosi, evitando in questi centri tutto quello che possa avere l’aspetto di ricoveri, e prendendo le religiose lo stesso cibo dei bambini, per evitare la cattiva impressione che produce in essi vedere che noi religiose mangiamo diversamente e molto meglio di loro. Compresi, inoltre, che in questi collegi i bambini debbono ricevere una solida educazione e che quelli che per la loro intelligenza ne fossero capaci, possano continuare gli studi superiori… perché questo, generalmente non è alla portata dei poveri, tanto meno in Spagna, dove l’educazione dei poveri è abbastanza abbandonata… ".
Con grande spirito d’iniziativa e un’attività da capogiro, aiutata dalla Provvidenza e dalla mediazioni umane, tra le quali eccelle la sua grande benefattrice e amica intima M. Pilar de Arratia, nel giro di pochi anni, fa sorgere in Spagna, 12 case per bambini poveri, per anziani e per malati che sono assistiti anche a domicilio. Sono le comunità di Madrid, Ochandiano, Menagaray, Santurce, Sestao, San Sebastian e Villava.
Madre Speranza dice che alla porta di tutte queste case ci dovrebbe essere scritto: "Bussate poveri e vi sarà aperto, bussate sofferenti e troverete consolazione, bussate ammalati e sarete assistiti, bussate orfani e nelle Ancelle dell’Amore Misericordioso incontrerete delle madri".

LE GUERRE, ROMA E PILAR

L’attività continua, ancor più intensa, quando nel 1936 scoppia la guerra civile in Spagna con tutti i drammi che porta con sé. In questo periodo la Madre fa il suo primo viaggio a Roma, accompagnata dalla fedelissima Pilar de Arratia, per iniziare, anche lì, un lavoro intenso tra i poveri della periferia romana, sulla via Casilina. Contemporaneamente deve difendersi, davanti al Sant’Uffizio (come si chiamava allora la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede) di accuse e diffamazioni sulla sua persona e sulla Congregazione appena nata. Pilar è il suo angelo difensore, la sua confidente e il suo miglior appoggio in questo momento tra i più duri della sua vita.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, a Roma, sotto i bombardamenti e le minacce dei tedeschi, insieme alle suore raccoglie bambini, nasconde profughi, senza badare al colore ideologico, cura i feriti dei bombardamenti, dà da mangiare a migliaia di operai e bisognosi in mense improvvisate, consola tutti.
Nell'agosto del 1994 muore Pilar, lasciando un vuoto enorme nella sua vita: 
"Alle due meno dieci dell'orologio di casa questa figlia spirò, con lo sguardo fisso su di me e sorridendo; mi lasciò per sempre sola e con un forte dolore".
Superata questa prova, riprende con forza le attività, i viaggi, le nuove iniziative. Il dopoguerra è duro, sia in Italia che in Spagna, le ferite da curare sono tante e lei lavora, incoraggia, organizza con un ritmo instancabile.
Per l'anno santo del 1950 è già costruita la Casa generalizia delle Ancelle dell'Amore Misericordioso, a Roma, in Via Casilina, che accoglie i pellegrini di quell'anno e degli anni successivi. Vanno sorgendo, via via, nuove fondazioni in Italia: Todi, Gubbio, Pavia, Genova, Vazzola, Borsea, Francenigo, Perugia, Rieti, Colfosco, Fratta Todina.

I FIGLI E IL SANTUARIO

Ma il Signore, imprevedibile nei suoi disegni, la prepara all'opera più grande della sua vita. Nel mese di maggio del 1949 trascrive nel suo Diario la voce misteriosa e chiara del buon Gesù che le comunica: 
"Anni più tardi, tu, aiutata da me, con maggiori angustie, fatiche, sofferenze e sacrifici, organizzerai l'ultimo e magnifico laboratorio che servirà di grande aiuto materiale e morale per le figlie e per le giovani che avranno la fortuna di esservi ammesse; vicino a questo laboratorio ci sarà la più grande e magnifica organizzazione di un Santuario dedicato al mio Amore Misericordioso, Casa per ammalati e pellegrini, Casa del Clero, il Noviziato delle mie Ancelle, il Seminario dei miei Figli dell'Amore Misericordioso; ...Però tu devi tenere ben presente che io sempre mi sono servito delle cose più povere e inutili per fare quelle più grandi e magnifiche". 
(Diario 14/5/1949)
Il 24 febbraio del 1951 annota ancora: 
" ... il buon Gesù mi dice che è arrivato il momento di darmi per completo al sacrificio fino ad accettare qualunque sofferenza e fino ad essere disposta a qualunque cosa Lui mi chieda, disposta a tutto. Mi ha detto che è arrivato il momento di realizzare la fondazione dei Figli del Suo Amore Misericordioso e che il primo di questi sarà il giovane Alfredo Di Penta ... ".
Il 15 agosto dello stesso anno, a Roma, da vita alla Congregazione dei Figli dell'Amore Misericordioso, di cui il primo è padre Alfredo Di Penta. Tre giorni dopo, il 18 agosto, si stabilisce con loro e altre Suore a Collevalenza, nel cuore dell'Umbria, dove farà sorgere, in un boschetto dove i cacciatori prendevano uccelli (il roccolo), il grande Santuario dell'Amore Misericordioso.

UNA SOLA FAMIGLIA

La nuova Congregazione dei FAM ha come fine principale l'unione con i sacerdoti diocesani, per venire incontro, insieme a loro, a tutte le povertà degli uomini, con un cuore misericordioso. Si estende in Italia, oltre che a Collevalenza, a Fermo, Campobasso, Perugia, Roma, Macerata; in Spagna a Larrondo, La Nora, Villava, León, Bilbao; in Brasile a Mogi das Cruzes e Juiz de Fora.
Nel frattempo anche le Suore aprono tre comunità in Germania, a Ludwigshafen, Mingolsheim e Germersheim; altre tre in Brasile, a Mogi das Cruzes, e una in Bolivia, a Cochabamba.
Nel pensiero e nel cuore di M. Speranza le due congragazioni delle EAM e dei FAM costituiscono una sola famiglia, divisa in sei componenti che vogliono abbracciare tutti i campi dove si può manifestare la misericordia del Signore.
"Queste due Congregazioni, sono una stessa cosa, con lo stesso titolare, l'esercizio della carità senza limiti e figli della stessa Madre". (Usanze FAM, II, c.15).
" Vivete, figli miei, sempre uniti come una forte pigna, uniti sempre per santificarvi, per dare gloria al Signore e per fare il bene alle persone che entrano in contatto con voi". (Esortaz. 26-2-66).

CON LE BRACCIA APERTE

Stabilitasi a Collevalenza, M. Speranza vi trascorre gli ultimi anni della sua vita. In questo momento culminante della sua vita dice di sentirsi come una flauta che diffonde la melodia della misericordia, come un fazzoletto per asciugare le lacrime, o come la portinaia del Buon Dio che apre le braccia a tutti per avvicinarli al suo cuore di Padre.
"Io, amati figli e figlie, devo dirvi che vivo giorni di vera gioia ed emozione per il compito che vengo svolgendo in questi mesi nella casa di nostro Signore, facendo da portinaia di coloro che soffrono e vengono a bussare a questo nido d'amore perché Lui, come Buon Padre, li perdoni, dimentichi le loro follie e li aiuti in questi momenti di dolore. Sono qui, figli miei, ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri, ricchi, anziani e giovani, tutti carichi di grandi miserie: morali, spirituali, corporali e materiali. Alla fine del giorno vado a presentare al Buon Gesù, piena di fede, fiducia e amore, le miserie di ognuno, con l'assoluta certezza di non stancarlo mai, perché so bene che Lui, da vero Padre, mi attende ansiosamente affinché interceda per tutti quelli che sperano da Lui il perdono, la salute, la pace e ciò di cui hanno bisogno per vivere. Ed Egli che è tutto Amore e Misericordia, specialmente verso i figli che soffrono, non mi lascia delusa e così vedo con gioia confortate tutte quelle anime che si affidano all'Amore Misericordioso".

UN PELLEGRINO FERITO

Il 22 novembre 1981, Papa Giovanni Paolo II fa la sua prima uscita dopo l'attentato sanguinoso del 13 maggio dello stesso anno in piazza San Pietro, e viene, pellegrino quasi convalescente, a Collevalenza, per ringraziare l'Amore Misericordioso. Conosceva Madre Speranza da quand'era Cardinale a Cracovia, ed era venuto a trovarla e a parlare con lei.
Nella piazza del Santuario, gremita di gente, si alza un grido in nome di tutta l'umanità bisognosa di misericordia: "Amore Misericordioso, ti preghiamo, non venire meno!". 
E aggiunge: "Un anno fa ho pubblicato l'enciclica "Dives in misericordia". Questa circostanza mi ha fatto venire oggi al Santuario dell'Amore Misericordioso. Con questa presenza desidero riconfermare, in qualche modo, il messaggio di quella enciclica... Fin dall'inizio del mio ministero nella Sede di San Pietro a Roma, ritenevo questo messaggio come mio particolare compito".

I PASSI SULLA NEVE

Madre Speranza trascorre gli ultimi anni della sua vita con un atteggiamento di donazione. Dice che vuole essere come un seme che scompare sotto terra per dare vita a nuovi figli. Un giorno d'inverno, quando la terra dorme in attesa della risurrezione, il Buon Gesù che lei aveva rubato da piccola senza mai restituire il furto,viene anche Lui come un ladro, in punta di piedi, camminando sulla neve bianca che ricopre le dolci colline d'Umbria, e ruba alla terra le membra stanche e consumate nel servizio di misericordia della sua Speranza: sono le 8 del mattino dell' 8 febbraio 1983.
P. Aurelio Pérez


Testamento spirituale di Madre Speranza


-Tutto per amore
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, scrivo ai miei amati figli e alle mie amate figlie questo Testamento.
Alla Santissima Vergine affido tutti i miei figli e le mie figlie, le mie due amate Congregazioni e tutti i poveri in esse accolti.
Desidero lasciare ai miei figli e alle mie figlie la preziosa eredità che io gratuitamente e senza alcun merito ho ricevuto dal buon Gesù.
Questi beni sono:una fede viva nell’Eterno Padre, nel suo divin Figlio, nello Spirito Santo, nel santo Vangelo, nella santa Eucaristia, nel trionfo della Resurrezione e della Gloria del buon Gesù e in tutto quanto insegna la nostra santa Madre Chiesa, cattolica, apostolica, romana.
Una ferma speranza, una carità ardente, un amore forte al buon Gesù e le Costituzioni dettate da Lui e scritte con tanta fede e fiducia da questa povera creatura, affinché i miei amati figli e le mie amate figlie siano ricchi per l’eternità, poiché praticandole alla lettera, esse saranno il consistente capitale che li arricchirà nella Patria celeste: li avverto che il buon Gesù si incaricherà di fare giustizia nei confronti di tutti quei figli e figlie che guardando a queste loro amate Costituzioni senza amore e rispetto, tralascino di compiere ciò che esse ordinano o ardiscano cambiare o correggere qualcosa di ciò che appartiene allo spirito e al fine di queste sante Costituzioni.
Desidero che tutti i miei figli e figlie siano molto poveri di beni materiali, ma molto ricchi di virtù, soprattutto delle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, virtù che rappresentano la Passione e morte del nostro divin Maestro e sono quelle che devono risplendere nel Figlio e nell’Ancella dell’Amore Misericordioso insieme con la fede, la speranza e la carità.
Raccomandazioni che faccio ai miei amati figli e alle mie amate figlie:
Siate umili, amatevi mutuamente, allontanate da voi i giudizi temerari, non ambite mai ad incarichi o posti elevati, abbandonatevi nelle mani dell’obbedienza come bambini piccoli; non discutete, né altercate; non preoccupatevi di cose di cui non siete stati incaricati; siate molto caritatevoli e amanti del’orazione; perché il primo mezzo per conseguire la grazia e la gloria è l’orazione; camminate sempre per il sentiero stretto della mortificazione; lavorate per conseguire il distacco e il disprezzo di voi stessi, che otterrete attraverso la conoscenza del nostro Dio, del suo amore e la conoscenza del nostro nulla e delle nostre miserie; sforzatevi di fare sempre e in tutto la volontà del nostro Dio e cercate solo la sua gloria e mai la vostra.
Guardatevi, figli miei, da ogni avarizia; cercate di non essere attaccati alle cose terrene, poiché il Figlio e l’Ancella dell’Amore Misericordioso devono dedicarsi alla carità, alle cose divine e spirituali e lo conseguiranno facilmente se i loro cuori saranno fissi nel buon Gesù.
State molto attenti a non occuparvi di interessi estranei alla vostra vocazione e al vostro stato; non immischiatevi mai in affari mondani che contrastino con la vostra vocazione, neppure a titolo di carità o di prudenza.
Supplica che rivolgo al buon Gesù nel momento della morte del mio corpo e la vita della mia anima, in nome della misericordia e dell’amore del mio Dio: chiedo al buon Gesù che siano Lui e la Gloria di Dio il movente delle azioni di tutti i figli e le figlie; che Egli sia sempre il loro avvocato e li difenda dai nemici delle rispettive Congregazioni ripetendo in favore di questi: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”:
Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io ti dico in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: “Padre mio, nelle tue mani affido il mio spirito”.



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Vorremmo concludere il racconto di questa vita straordinaria con le parole profetiche che P. Bartolomeo Sorge pronunciò l'8 febbraio 1986, celebrando il terzo anniversario della scomparsa della Madre:
"Davanti a quella tomba, non mi stanco di guardare al di là di ciò che rappresenta, perché vedo in essa il simbolo del futuro cammino della Chiesa. Quella tomba sintetizza mirabilmente il legame tra il carisma di Madre Speranza e la storia dei tempi nuovi.
Perché?
Arrivando a Collevalenza noi ammiriamo questa grande Basilica; è bella, è degna della gloria di Dio, immagine della Chiesa protesa verso il cielo, una Chiesa dove gli uomini vanno e vengono in gran numero; è accogliente, aperta al mondo, nuova, nella quale tutti si sentono come in famiglia, accolti dai Figli e dalle Ancelle dell'Amore Misericordioso attraverso un servizio sorridente e delicato.
Ammiriamo questo tempio, questo "trionfo" come diceva Madre Speranza, e non ci rendiamo conto di che cosa sta succedendo nella Cripta.
"Cripta", per definizione, è il luogo più nascosto, più basso di tutto l'edificio.
Noi vediamo il campanile così agile, la Casa del Pellegrino grande ed accogliente, vediamo il Santuario, la Basilica, e non pensiamo che nella Cripta, nel luogo più nascosto, due metri di terreno si sollevano, così come il chicco di grano che gettato a terra la muove e la solleva. Si guarda il campo sconfinato, grande, senza orizzonte, e non si vede che la terra si solleva un po'. E' un chicco di grano, piccolo, nascosto nella Cripta, nella base della Chiesa di Dio, che rimuove la terra e annuncia la nuova spiga, la Chiesa dei nostri tempi".



"Vita meravigliosa di san Gerardo Maiella"

  1. La vita di San Gerardo




Gerardo Maiella, Missionario Redentorista, è invocato in tutto il mondo come il Santo delle mamme e dei bambini. Spentosi a Materdomini il 16 ottobre del 1755 alla giovane età di 29 anni, la sua breve esistenza sarà nota come la "Vita meravigliosa di san Gerardo Maiella"

Al pari di qualsiasi altro personaggio, san Gerardo Maiella bisogna prenderlo così com'è: una copia del Cristo sofferente, un fanatico della volontà di Dio, un carismatico cacciatore di anime, un mistico spesso in estasi, un semina­tore di miracoli. Nascondere i suoi miracoli sarebbe come rifiutare la storia e scrivere un romanzo.

Sarebbe come negare, in Gerardo, la virtù che fu poi la fonte di tutte le altre: "una fede capace di trasportare le monta­gne", secondo la promessa del Signore (Mt 17,20). Certo l'entusiasmo che un taumaturgo lascia dietro di sé si ingrossa e si allarga sempre di più. Come in ogni altro Santo, è evidente che la luce irradiata da Gerardo non è autonoma: egli è solo luce riflessa del Cristo.

La sua vita non ci parla d'altro che della forza del Redentore, il quale, con il dono dello Spirito, ci libera, ci guarisce, ci rinnova; il suo insegnamento è eco fedele del Vangelo; gli orizzonti, verso i quali ci proietta, sono quelli aperti dalla croce e dalla risurrezione del Cristo. Riferirsi a Gerardo significa voler fissare lo sguardo, in maniera sempre più intensa, su Cristo; riconoscere in lui il solo nostro maestro (cf Mt 23,10); ripetergli con Pietro: «Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).

Scrive Giovanni Paolo II: «Non si tratta di inventare un "nuovo programma". Il programma c'è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace».

L'infanzia e l'adolescenza


Il «fratello inutile» era nato il 6 aprile 1726 a Muro Lucano (PZ), da Domenico Maiella e Benedetta Galella al battesimo lo chiamarono Gerardo. Ebbe un'infanzia difficile.


La povertà era l'unica cosa che non mancava mai nella sua casa, e quando mancava il necessario egli andava a rifugiarsi nella cappella della Vergine a Capodigiano.


«Il Figlio di quella bella Signora» pensava a Gerardo, e spesso si staccava dalle ginocchia della Mamma per donare al piccolo ami­co un panino bianco. Il fatto del pane bianco si ripeté più volte, «per molto tempo». Solo più tardi, da religioso, Gerardo dirà a sua sorella Brigida: «Ora so che quel fanciullo che mi regalava quel pane era lo stesso Gesù».


L'incontro con Gesù presente nell'Eucaristia

Il dono del pane bianco lo aveva indotto a scoprire un altro pane, anch esso bianco, benché più piccolo. Lo scorgeva in chiesa, alla messa, quando i fedeli si accostavano alla balaustra.
Qui aveva capito anzitempo che si trattava di Gesù. Andò anch egli una mattina, ma il prete lo vide piccolo e lo rimandò a sedere. A otto anni, in quel tempo, si era piccoli per l eucarestia, ma Gerardo s era incamminato da tempo verso la conoscenza del suo Signore.
Le lacrime versate in chiesa continuarono a bagnare il lettino scarno della sua povera stanzetta. Il prete aveva detto no, ma Gesù avrebbe risposto sì al suo piccolo amico.

Di notte gli inviò l arcangelo Michele a porgergli il pane consacrato. Al mattino seguente, felice e trionfante, confessava candidamente: «Ieri il prete mi ha rifiutato la comunione, questa notte l arcangelo san Michele me l ha portata». Anche questo episodio, apparentemente fantastico, verrà confermato dallo stesso Gerardo vent anni dopo.


L'esperienza del lavoro

Il murese monsignor Albini cercava un domestico. Ne aveva avuti tanti, ma nessuno aveva resistito. Il carattere del prelato scoraggiava chiunque. Al contrario entusiasmò Gerardo. Forse non sapeva cosa l'aspettava, ma egli cercava l'imitazione del Crocifisso, e per lui, sacrifici e rimproveri erano grazia. All'episcopio di Lacedonia ne trovò in abbondanza.
Alle occasioni che gli offre monsignore aggiunge digiuni, flagellazioni, notti di preghiera: pallido e vacillante, ma sempre sereno e sorridente. Anche quando per una malaugurata distrazione si lascia sfuggire di mano la chiave dell'appartamento, mentre attinge acqua dal pozzo. «Cosa dirà monsignore?».

Imperturbato nella sua serenità, sfreccia verso la cattedrale, stacca da una nicchia una statuetta di Gesù bambino e la lega al posto del secchio. Poi ordina: «Va' giù, e riportami la chiave!». Gesù obbedisce a Gerardo, e torna con la chiave in mano. Per i presenti, accorsi ammirati, quello sarà «il pozzo di Gerardiello».

Presso monsignor Albini impiegò tre anni di assiduo servizio, felice di essere impegnato e vilipeso per il carattere poco dolce del suo pastore.

Alla sua morte lo pianse sinceramente, forse lui soltanto, per «aver perduto il miglior amico». Ciò che effettivamente aveva perduto era l'occasione quotidiana di essere maltrattato e maltrattarsi. Tornato a Muro e fallito il progetto di farsi cappuccino, tentò con un amico l'esperienza del romitaggio. La solitudine e l'indigenza fecero ritirare il compagno sprovveduto, e Gerardo, rimasto solo, fu costretto anche lui al ritiro.


Di nuovo sarto

Si ricordò di essere stato sarto. Aprì bottega da solo. Non era bravo nel mestiere, e il desiderio della preghiera era più forte di quello del lavoro. Divenne noto come «il sarto fate voi», per la sua ridotta capacità e per il suo scarsissimo profitto.
Alla sua poca abilità però sopperiva con i prodigi: buono a nulla forse, ma santo. Perché le ore le trascorreva più in chiesa che in bottega. Doveva farsi violenza per strapparsi dal suo Gesù, «prigioniero» del tabernacolo. Quando non poteva passare con lui le ore del giorno, approfittava della notte, sacrificando il sonno per conversare con il suo Amico. Una volta dal tabernacolo uscì una voce misteriosa di dolce rimprovero: «Pazzerello!». E Gerardo spontaneo: «Più pazzo siete voi, Signore, che per amore ve ne state prigioniero nel tabernacolo».
Pazzia d'amore che si manifestò in altra circostanza. La terza domenica di maggio, a Muro, si preparava la solenne processione della statua dell'Immacolata. Gli occhi della gente erano puntati sulla dolce immagine. Anche quelli di Gerardo, immobile ed estatico. Improvvisamente, egli saltò sulla pedana del trono, si tolse l'anello che aveva al dito e lo infilò al dito della Vergine, esclamando ad alta voce: «Mi sono fidanzato alla Madonna!».

Per attuare il suo progetto di santità l'ambiente di Muro non gli bastava.


Gerardo conosce i Missionari Redentoristi


Ai primi di agosto 1748 due religiosi reden­toristi - abito talare ornato di una lunga corona alla cintura e collarino bianco - attraversata la Sella di Conza, salirono a Castel­grande e si diressero verso Muro Lucano. Ai loro occhi apparve una bianca cascata di case picchiettate di verde: qualcosa di fiabesco.

Dopo una pausa breve di ingenuo stupore, padre Francesco Garzilli e fratel Onofrio Ricca cominciarono a bussare alle porte questuando offerte per il santuario di Materdomini, a Caposele. Era in costruzione una nuova casa della Congregazione del Santissimo Redentore.

I Redentoristi erano stati ideati da Alfonso Maria de Liguori nel 1732 a Scala, sull altopiano di Amalfi. Lassù, a oltre 1000 metri, questo no­bile napoletano, già avvocato a sedici anni, poi sacerdote e missionario, nella solitudine di una chiesetta montana, Santa Maria dei Monti, ripensò alla sua città, teatro di sfarzi e di cultura, e sperimentò l abbandono dei pastori in terre povere e desolate. L impatto fra due realtà tanto stridenti fu l ultima spinta alla sua «conversione». La Congregazione nascente avrebbe dovuto avere come scopo la cura delle anime più abbandonate, prive di qualsiasi soccorso spirituale. Furono costruiti così i collegi di Ciorani, Pagani, Deliceto. Ora si pensava a Ca­po­sele. L arcivescovo di Conza, monsignor Giuseppe Nicolai, aveva offerto ad Alfonso il romitorio e la chiesetta di Materdomini per farne un centro di spiritualità nella diocesi.

Continuando il loro giro, i due ambasciatori di Alfonso de Liguori e della Vergine Materdomini, inconsapevoli apportatori di un messaggio divino, si imbatterono in un giovane alto e gracile, dalla testa grossa e dagli occhi profondi, che agucchiava nella sua botteguccia di sarto. Quel giovane, contro qualsiasi previsione umana, un giorno sarebbe stato redentorista.
Il 13 aprile 1749 alcuni Missionari Redentoristi intrapresero nella cittadina lucana una sacra missione. Scoccò l ora della chiamata definitiva. L ideale di santità vivente in quei missionari era il suo ideale: sentì che quella era la sua strada, la sua vocazione.
Però la sua richiesta ufficiale trovò l ostacolo della sua gracile costituzione fisica. Padre Paolo Cafaro, uomo di virtù e d intelligenza, lo fissò e fu inesorabile: «La nostra vita non è per te». Anche mamma Benedetta, per diverso motivo, era contraria alla decisione del figlio, e ne parlò al superiore della missione.

Conoscendo bene la testardaggine del figlio, lo serrò in casa il giorno della partenza dei missionari. Poteva una porta chiusa fermare la volontà di Dio?


Vado a farmi Santo

Le campane di tutte le chiese suonavano a gloria il commiato del popolo di Muro agli evangelizzatori partenti. La gente si riversava sulle vie, porgeva un ultimo saluto, chiedeva l ultima benedizione. Solo in casa, recluso, il giovane cercatore di Dio, dalla finestra al piano superiore ascoltava il tripudio delle campane e il brusio della folla. Smaniava. Ogni minuto rappresentava una distanza sempre più grande fra lui e i missionari.
Due obbedienze combattevano nel suo animo: alla madre o a Dio? Il bivio tremendo esigeva pronta soluzione. Scrisse su un foglio: «Mamma, perdonami. Non pensare a me. Vado a farmi santo!». Annodò due lenzuola, scavalcò il davanzale e fu in strada, correndo da disperato. I missionari avevano lasciato l abitato e si avviavano verso Rionero in Vulture.
Appena scorse i missionari, senza fermarsi, egli cominciò a gridare: «Padri, aspettatemi!». In mezzo alla via, nel sole e nella polvere, rinnovò la domanda. Padre Cafaro, dal canto suo, rinnovò il rifiuto: «Figliuolo, torna a casa; tu non puoi riuscire nel nostro Istituto». «Sperimentatemi, e poi mi licenzierete», insisteva logicamente il postulante.

L insistenza aprì la mente al santo missionario che scelse una via di mezzo: lo spedì al superiore di Deliceto con questo foglio di presentazione: «Vi mando un fratello inutile, riguardo alla fatica, perché è molto gracile di conformazione; per altro non ho potuto farne a meno, attesa la di lui insistenza e il credito di giovane virtuoso che gode nella città di Muro».


Gerado entra nei Redentoristi

Da redentorista la sua vita cambiò. Entrato nella casa di Deliceto, in Puglia, vero eremitaggio, a Gerardo parve di entrare nell anticamera del paradiso.
L accoglienza che ebbe non fu incoraggiante: tutti, a vederlo, scrollarono il capo. Che ne avrebbero fatto di un soggetto che pareva reggere l anima coi denti? Ma egli aveva chiesto di essere sperimentato; e il padre D Antonio, che reggeva quella comunità, lo mise alla prova. Al bosco, alla cucina, al refettorio, al forno, alle costruzioni, alle pulizie, dovunque si faticasse, invariabilmente giocondo e volenteroso, era presente Gerardo. Un grande miracolo di volontà e di energia, durato sei mesi, quanti bastarono per far cambiare opinione ai confratelli sul suo conto. Come se avesse previsto breve il corso della sua vita, cercò di guadagnare in intensità ciò che poteva costruirsi in lunghi anni. Scelse il rigido padre Cafaro come modello e moderatore nella virtù. Ecco i suoi primi impegni:

«Primo proposito: posuit me Deus in paradiso voluptatis. Sappi, o Gerardo, che Dio ha strappato te dal mondo e ti ha posto qual novello Adamo in questo paradiso della Congregazione, al solo fine che operi e che metta in esecuzione i precetti e i consigli del suo santo Vangelo, che hai nelle regole. Misero te, se le trascuri.

Secondo proposito: avrò cura d essere minuto osservatore d ogni cosa delle regole, di perseverare e crescere nel bene, di impegnarmi principalmente nell unione con Dio».
Nonostante questi propositi, ai confratelli Gerardo sembrò molte volte interprete libero delle regole della Congregazione. Egli era guidato dalla legge dello Spirito, che spesso lo liberava da quella scritta. Egli però riteneva di non essere ancora abbastanza sottomesso allo Spirito, quindi ce la metteva tutta per pregare e mortificarsi. Il suo direttore padre Cafaro insegnava: «Per farsi santo bisogna agonizzare e agonizzare sempre, attenendosi a mortificarsi in tutto, nel cibarsi, nel bere, nel dormire, e in ogni altra cosa». E Gerardo risolutamente si proponeva: «Una volta sola ho l occasione di farmi santo; se la perdo, la perdo per sempre».
Lo aiutarono in questo sforzo di imitazione del Maestro le circostanze ambientali. Già a Muro i ragazzi di strada avevano trovato in lui l esca del divertimento. In seguito fu una guardia campestre del duca di Bovino a malmenarlo col calcio del fucile e a colpirlo fino ad offendergli una costola. I confratelli, che poco credettero alla sua santità, lo derisero chiaman­dolo fan­nul­lone e pazzo. Per non dire dell abbandono in cui veniva lasciato, della solitudine dello spirito o dell aridità.

Il padre Antonio Tannoia, suo biografo e contemporaneo, racconta che si faceva stendere su una croce, a somiglianza di Gesù; che nella settimana santa si straziava con cardi, catenelle, discipline a sangue, veglie notturne e digiuni; che la sera di giovedì pareva entrare in un agonia interna misteriosa e torturante. La sua cella, con un saccone riempito di sassi per giaciglio e teschi di morto intorno, era il suo paradiso, dove si flagellava con punte di ferro e dormiva fasciato da cilizi.


Obbedienza eroica


Tutto questo eroismo ha una spiegazione: Gerardo aveva indirizzato la sua vita su questa massima: «Amare assai Iddio, unito sempre a Dio. Far tutto per Dio. Amare tutto per Dio. Conformarmi sempre al suo santo volere. Patire assai per Dio. È pena infinita patire; e non patire per Dio. Patire tutto e patirlo per Dio, è niente».


Proprio così: quell esemplare fratello era pervenuto a tal grado di rinunzia da non possedere più una volontà propria, ma da far vivere ed operare in lui la volontà di Dio. Di qui un obbedienza cieca, alla lettera, fino a rasentare l incredibile, l impossibile.

Ecco a riguardo un altro suo proposito: «Dio mio, per amor vostro, io obbedirò ai miei superiori come mirassi in essi Voi stesso ed ubbidissi alla vostra divina persona. E sarò come non fossi più mio, ma quello che voi stesso siete nell intelletto e nella volontà di chi mi comanda». Una decisione così radicale doveva sfociare in un obbedienza eroica. E Dio rispondeva con i miracoli. Poiché il suo pensiero assiduo era il Signore, lo si vedeva assorto e spesso estatico in contemplazione, tanto da sembrare trascurato e distratto. Però, ad un cenno del superiore, scattava come una molla: «Fratel Gerardo, mettiti subito in viaggio per Ascoli Satriano». E Gerardo parte immediatamente, vestito come si trova: uno straccio di tonaca e un paio di ciabatte che trascina per i pavimenti della casa.

"Non fornicate”

  • Dal Vangelo come mi è stato rivelato
  • "Non fornicate”.  (…) Quale fra voi non ha messo i denti in questo pane di cenere e sterco che è la soddisfazione sessuale? Ed è lussuria solo quella che vi spinge per un’ora fra braccia meretrici? Non è lussuria anche il profanato connubio con la sposa, profanato perché è vizio legalizzato essendo reciproca soddisfazione del senso, evadendo alle conseguenze dello stesso?
    Matrimonio vuole dire procreazione e l’atto vuol dire e deve essere fecondazione. Senza ciò è immoralità. Non si deve del talamo fare un lupanare. E tale diventa se si sporca di libidine e non si consacra con delle maternità. (…)
    L’uomo è il seme, la donna è la terra, la spiga è il figlio. Rifiutarsi a far la spiga e sperdere la forza  in vizio, è colpa. 123.3
  • La donna: il capolavoro della bontà presso il capolavoro della creazione che è l’uomo.157.4
  • Le donne: mute sacerdotesse che predicheranno Dio col loro modo di vivere e che, senza altra consacrazione che quella avuta dal Dio-Amore, saranno, oh! saranno consacrate e degne d'esserlo. 157.5
  • Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento anche nel caso d'una morte del coniuge. (…) Se sapeste voi  vedovi, e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione a una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una (…)  174.19
COR MARIAE IMMACULATUM
INTERCEDE PRO NOBIS!

MAMMA E REGINA


MATERNITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA

Il titolo di Madre di Dio, fra tutti quelli che vengono attribuiti alla Madonna, è il più glorioso. Essere la Madre di Dio è per Maria la sua ragion d'essere, il motivo di tutti i suoi privilegi e delle sue grazie. Per noi il titolo racchiude tutto il mistero della Incarnazione e non ne vediamo altro che più di questo sia sorgente per Maria di lodi e per noi di gioia. Sant'Efrem pensava giustamente che credere e affermare che la Santissima Vergine Maria è Madre di Dio è dare una prova sicura della nostra fede.
La Chiesa quindi non celebra alcuna festa della Vergine Maria senza lodarla per questo privilegio. E così saluta la beata madre di Dio nell'Immacolato Concepimento, nella Natività, nell'Assunzione e noi nella recita frequentissima dell'Ave Maria facciamo altrettanto.

L'eresia nestoriana.
"Theotókos", Madre di Dio, è il nome con cui nei secoli è stata designata Maria Santissima. Fare la storia del dogma della maternità divina sarebbe fare la storia di tutto il cristianesimo, perché il nome era entrato così profondamente nel cuore dei fedeli che quando, davanti al Vescovo di Costantinopoli, Nestorio, un prete che era suo portavoce, osò affermare che Maria era soltanto madre di un uomo, perché era impossibile che Dio nascesse da una donna, il popolo protestò scandalizzato.
Era allora vescovo di Alessandria san Cirillo, l'uomo suscitato da Dio per difendere l'onore della Madre del suo Figlio. Egli tosto manifestava il suo stupore: "Mi meraviglia che vi siano persone, che pensano che la Santa Vergine non debba essere chiamata Madre di Dio. Se nostro Signore è Dio, Maria, che lo mise al mondo, non è la Madre di Dio? Ma questa è la fede che ci hanno trasmesso gli Apostoli, anche se non si sono serviti di questo termine, ed è la dottrina che abbiamo appresa dai Santi Padri".

Il Concilio di Efeso.
Nestorio non cambiò pensiero e l'imperatore convocò un concilio, che si aprì ad Efeso il 24 giugno 431 sotto la presidenza di san Cirillo, legato del papa Celestino. Erano presenti 200 vescovi i quali proclamarono che "la persona di Cristo è una e divina e che la Santissima Vergine deve essere riconosciuta e venerata da tutti quale vera Madre di Dio". I cristiani di Efeso intonarono canti di trionfo, illuminarono la città e ricondussero alle loro dimore con fiaccole accese i vescovi "venuti - gridavano essi - per restituirci la Madre di Dio e ratificare con la loro santa autorità ciò che era scritto in tutti i cuori".
Gli sforzi di Satana avevano raggiunto, come sempre, un risultato solo, cioè quello di preparare un magnifico trionfo alla Madonna e, se vogliamo credere alla tradizione, i Padri del Concilio, per perpetuare il ricordo dell'avvenimento, aggiunsero all'Ave Maria le parole: "Santa Maria, Madre di Dio, pregate per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte". Milioni di persone recitano ogni giorno questa preghiera e riconoscono a Maria la gloria di Madre di Dio, che un eretico aveva preteso negare.

La festa dell'undici ottobre.
Il 1931 ricorreva il XV centenario del Concilio di Efeso e Pio XI pensò che sarebbe stata "cosa utile e gradita per i fedeli meditare e riflettere sopra un dogma così importante" come quello della maternità divina e, per lasciare una testimonianza perpetua della sua divozione alla Madonna, scrisse l'Enciclica Lux veritatis, restaurò la basilica di S. Maria Maggiore in Roma e istituì una festa liturgica, che "avrebbe contribuito a sviluppare nel clero e nei fedeli la divozione verso la grande Madre di Dio, presentando alle famiglie come modelli, Maria e la sacra Famiglia di Nazareth", affinché siano sempre più rispettati la santità del matrimonio e l'educazione della gioventù. [Poi la festa fu trasferita da Paolo VI al 1 gennaio].
Che cosa implichi per Maria la dignità di Madre di Dio lo abbiamo già notato nelle feste del primo gennaio e del 25 marzo, ma l'argomento è inesauribile e possiamo fermarci su di esso ancora un poco.

Maria sterminio delle eresie.
"Godi, o Vergine, perché da sola hai sterminato nel mondo intero le eresie". L'antifona della Liturgia insegna che il dogma della maternità divina è sostegno e difesa di tutto il cristianesimo. Confessare la maternità divina è confessare la natura divina e l'umanità del Verbo Incarnato in unità di persona ed è altresì affermare la distinzione delle persone in Dio nell'unità di natura ed è ancora riconoscere tutto l'ordine soprannaturale della grazia e della gloria.

Maria vera Madre di Dio.
Riconoscere che Maria è vera Madre di Dio è cosa facile. "Se il Figlio della Santa Vergine è Dio, scrive Pio XI nell'Enciclica Lux veritatis, colei che l'ha generato merita di essere chiamata Madre di Dio; se la persona di Gesù Cristo è una e divina, tutti, senza dubbio, devono chiamare Maria Madre di Dio e non solamente di Cristo uomo. Come le altre donne sono chiamate e sono realmente madri, perché hanno formato nel loro seno la nostra sostanza mortale, e non perché abbiano creata l'anima umana, così Maria ha acquistato la maternità divina per aver generato l'unica persona del Figlio suo".

Conseguenze della maternità divina.
"Derivano di qui, come da sorgente misteriosa e viva, la speciale grazia di Maria e la sua suprema dignità davanti a Dio. La beata Vergine ha una dignità quasi infinita, che proviene dal bene infinito, che è Dio, dice san Tommaso. E Cornelio a Lapide spiega le parole di san Tommaso così: Maria è la Madre di Dio, supera in eccellenza tutti gli Angeli, i Serafini, i Cherubini. È la Madre di Dio ed è dunque la più pura e più santa di tutte le creature e, dopo quella di Dio, non è possibile pensare purezza più grande. È Madre di Dio, sicché, se i santi ottennero qualche privilegio (nell'ordine della grazia santificante) Maria ebbe il suo prima di tutti".

Dignità di Maria.
Il privilegio della maternità divina pone Maria in una relazione troppo speciale ed intima con Dio, perché possano esserle paragonate dignità create di qualsiasi genere, la pone in un rapporto immediato con l'unione ipostatica e la introduce in relazioni intime e personali con le tre persone della Santissima Trinità.

Maria e Gesù.
La maternità divina unisce Maria con il Figlio con un legame più forte di quello delle altre madri con i loro figli. Queste non operano da sole la generazione e la Santa Vergine invece ha generato il Figlio, l'Uomo-Dio, con la sua stessa sostanza e Gesù è premio della sua verginità e appartiene a Maria per la generazione e per la nascita nel tempo, per l'allattamento col quale lo nutrì, per l'educazione che gli diede, per l'autorità materna esercitata su di lui.

Maria e il Padre.
La maternità divina unisce in modo ineffabile Maria al Padre. Maria infatti ha per Figlio il Figlio stesso di Dio, imita e riproduce nel tempo la generazione misteriosa con la quale il Padre generò il Figlio nell'eternità, restando così associata al Padre nella sua paternità. "Se il Padre ci manifestò un'affezione così sincera, dandoci suo Figlio come Maestro e Redentore, diceva Bossuet, l'amore che aveva per te, o Maria, gli fece concepire ben altri disegni a tuo riguardo e ha stabilito che Gesù fosse tuo come è suo e, per realizzare con te una società eterna, volle che tu fossi la Madre del suo unico Figlio e volle essere il Padre del tuo Figlio" (Discorso sopra la devozione alla Santa Vergine).

Maria e lo Spirito Santo.
La maternità divina unisce Maria allo Spirito Santo, perché per opera dello Spirito Santo ha concepito il Verbo nel suo seno. In questo senso Leone XIII chiama Maria Sposa dello Spirito Santo (Enc. Divinum munus, 9 maggio 1897) e Maria è dello Spirito Santo il santuario privilegiato, per le inaudite meraviglie che ha operate in lei.
"Se Dio è con tutti i Santi, afferma san Bernardo, è con Maria in modo tutto speciale, perché tra Dio e Maria l'accordo è così totale che Dio non solo si è unita la sua volontà, ma la sua carne e con la sua sostanza e quella della Vergine ha fatto un solo Cristo, e Cristo se non deriva come egli è, né tutto intero da Dio, né tutto intero da Maria, è tuttavia tutto intero Dio e tutto intero di Maria, perché non ci sono due figli, ma c'è un solo Figlio, che è Figlio di Dio e della Vergine. L'Angelo dice: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. È con te non solo il Signore Figlio, che rivestisti della tua carne, ma il Signore Spirito Santo dal quale concepisti e il Signore Padre, che ha generato colui che tu concepisti. È con te il Padre che fa sì che suo Figlio sia tuo Figlio; è con te il Figlio, che, per realizzare l'adorabile mistero, apre il tuo seno miracolosamente e rispetta il sigillo della tua verginità; è con te lo Spirito Santo, che, con il Padre e con il Figlio santifica il tuo seno. Sì, il Signore è con te" (3a Omelia super Missus est).

MESSA

EPISTOLA (Eccli 24,23-31). - Come vite diedi frutti di soave odore, e i miei fiori danno frutti di gioia e di ricchezza. Io sono la madre del bell'amore e del timore, della scienza e della santa speranza. In me ogni grazia della via e della verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, o voi tutti che mi bramate, e saziatevi dei miei frutti; perché il mio spirito è più dolce del miele, e il mio retaggio più del favo di miele. Il ricordo di me durerà nelle generazioni dei secoli. Chi mi mangia avrà ancora fame, e chi mi beve avrà ancora sete. Chi mi ascolta non sarà confuso, e chi lavora per me non peccherà; chi mi illustra avrà la vita eterna.

A buon diritto la Chiesa anche qui applica alla Madonna un testo che è stato scritto con riferimento al Messia. Non è Maria la vera vigna, che ci ha data l'uva generosa, che riceviamo tutti i giorni nell'Eucaristia? Vi è gloria paragonabile a quella di Maria, che, essendo vergine, è divenuta Madre di Dio, senza perdere la verginità? La Chiesa la canta con gioia Madre del bell'amore e ci invita ad accostarci a lei con confidenza, perché in Maria si incontra ogni speranza della vita e della virtù e chi l'ascolta non sarà mai confuso.

VANGELO (Lc 2,43-51). - In quel tempo: Al ritorno il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, ma i suoi genitori non se ne accorsero. Supponendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, poi si misero a cercarlo fra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme in cerca di lui. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto fra i dottori ad ascoltarli ed interrogarli, mentre gli uditori stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vedendolo, ne furono meravigliati. E sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Vedi, tuo padre ed io, addolorati, andavamo in cerca di te. Egli rispose loro: E perché cercarmi? non sapevate che mi devo occupare di quanto riguarda mio Padre? Ma essi non compresero quanto aveva loro detto. Poi se ne andò con loro e tornò a Nazaret, e stava loro sottomesso.

L'amore di Gesù per la Madre.
"Se fosse permesso spingere tanto innanzi l'analisi del suo sviluppo umano, si direbbe che in Gesù, come in altri, vi fu qualcosa dell'influenza della Madre sua. La grazia, la finezza squisita, la dolcezza indulgente appartengono solo a Lui, ma proprio per tali cose si distinguono coloro, che spesso hanno sentito il cuore come addolcito dalla tenerezza materna e lo spirito ingentilito, per la conversazione con la donna venerata e amata teneramente, che si compiaceva iniziarli alle sfumature più delicate della vita. Gesù fu davvero, come lo chiamavano i concittadini, il 'figlio di Maria'.
Egli tanto ha ricevuto da Maria, perché l'amò infinitamente. Come Dio, la scelse e le donò prerogative uniche di verginità, di purezza immacolata, e nello stesso tempo la grazia della maternità divina; come uomo, l'amò tanto fedelmente che sulla croce, in mezzo alle spaventevoli sofferenze, l'ultimo pensiero fu per lei: Donna, ecco tuo figlio. Ecco tua Madre.

Ma il doppio amore gli fece scegliere per la madre una parte degnissima di lei. Il profeta aveva preannunziato lui come il servo di Jahvé e la Madre fu la Serva del Signore nell'oblio di sé, nella devozione e nel perfetto distacco: 'vi è più gioia nel dare che nel ricevere'. Cristo, che aveva preso per sé questa gioia, la diede alla Madre e Maria comprese così bene questo dono che nei ricordi d'infanzia segnò con attenzione particolare i rapporti che a un lettore superficiale sembrano duri: 'Perché mi cercavate? Non sapevate che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?' E più tardi: 'Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?... ' Gesù vuole insegnarci il distacco che da noi esige e darcene l'esempio" (Lebreton, La Vie e l'enseignement de J. C. N. S., p. 62).


Maria nostra Madre.
Salutandoti oggi col bel titolo di Madre di Dio, non dimentichiamo che "avendo dato la vita al Redentore del genere umano, sei per questo fatto stesso divenuta Madre nostra tenerissima e che Cristo ci ha voluti per fratelli. Scegliendoti per Madre del Figlio suo, Dio ti ha inculcato sentimenti del tutto materni, che respirano solo amore e perdono" (Pio XI Enc. Lux veritatis).

"O Vergine tutta santa, è per i tuoi figli cosa dolce dire di te tutto ciò che è glorioso, tutto ciò che è grande, ma ciò facendo dicono solo il vero e non riescono a dire tutto quello che tu meriti" (Basilio di Seleucia, Omelia 39, n. 6, PG 85, 452). "Tu sei infatti la meraviglia delle meraviglie e di quanto esiste o potrà esistere, Dio eccettuato, niente è più bello di te" (Isidoro di Tessalonica, Discorso per la Presentazione di Maria, PG 189, 69).

Dalla gloria del cielo ove sei, ricordati di noi, che ti preghiamo con tanta gioia e confidenza. "L'Onnipotente è con te e tu sei onnipotente con Lui, onnipotente per Lui, onnipotente dopo di Lui", come dice san Bonaventura. Tu puoi presentarti a Dio non tanto per pregare quanto per comandare, tu sai che Dio esaudisce infallibilmente i tuoi desideri. Noi siamo, senza dubbio, peccatori, ma tu sei divenuta Madre di Dio per causa nostra e "non si è mai inteso dire che alcuno di quelli che sono ricorsi a te sia stato abbandonato. Animati da questa confidenza, o Vergine delle vergini, o nostra Madre, veniamo a te gemendo sotto il peso dei nostri falli e ci prostriamo ai tuoi piedi. Madre del Verbo incarnato, non disprezzare le nostre preghiere, degnati di esaudirle" (san Bernardo).

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, Alba, 1959, p. 1170-1176