venerdì 4 ottobre 2013

Bellissima parafrasi del "Padre Nostro" di san Francesco d’Assisi. Egli amava ripeterla almeno quindici volte al giorno.


Parafrasi del "Padre Nostro" di san Francesco d’Assisi
O santissimo Padre nostro:
creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro.

Che sei nei cieli
negli angeli e nei santi,
illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce;
infiammandoli all'amore, perché tu, Signore, sei amore;
ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine,
perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno,
dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene.

Sia santificato il tuo nome
si faccia luminosa in noi la conoscenza di te,
affinché possiamo conoscere l'ampiezza dei tuoi benefici,
l'estensione delle tue promesse,
la sublimità della tua maestà
e la profondità dei tuoi giudizi.

Venga il tuo regno
perché tu regni in noi per mezzo della grazia
e ci faccia giungere nel tuo regno,
ove la visione di te è senza veli,
l'amore di te è perfetto,
la comunione di te è beata,
il godimento di te senza fine.

Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra
affinché ti amiamo con tutto il cuore sempre pensando a te;
con tutta l'anima, sempre desiderando te;
con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni
e in ogni cosa cercando il tuo onore;
e con tutte le nostre forze,
spendendo tutte le energie e sensibilità dell'anima e del corpo
a servizio del tuo amore e non per altro;
e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi,
trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore,
godendo dei beni altrui come dei nostri
e nei mali soffrendo insieme con loro
e non recando nessuna offesa a nessuno.

Il nostro pane quotidiano dà a noi oggi
il tuo Figlio diletto,
il Signore nostro Gesù Cristo,
dà a noi oggi:
in memoria, comprensione e reverenza dell'amore
che egli ebbe per noi e di tutto quello
che per noi disse, fece e patì.

E rimetti a noi i nostri debiti
per la tua ineffabile misericordia,
per la potenza della passione del tuo Figlio diletto
e per i meriti e l'intercessione della beatissima Vergine
e di tutti i tuoi eletti.

Come noi li rimettiamo ai nostri debitori
e quello che non sappiamo pienamente perdonare,
Tu, Signore, fa' che pienamente perdoniamo,
sì che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici
e devotamente intercediamo presso di te,
non rendendo a nessuno male per male
e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti.

E non ci indurre in tentazione
nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.

Ma liberaci dal male
passato, presente e futuro.

Amen.


giovedì 3 ottobre 2013

BEATO MARCO d'AVIANO, un illustrissimo figlio del Serafico di Assisi








Un apostolo dell’Europa cristiana
Marco d'Aviano
di Giovanna Brizi
Predicatore cappuccino, amico e consigliere dell’imperatore Leopoldo I, partecipò alla crociata antiturca come legato pontificio. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 aprile 2003.
(foto MARCATO)
(foto MARCATO)


Padre Marco, al secolo Carlo Domenico Cristofori, nacque ad Aviano (Pn) il 17 novembre 1631, in una stimata e facoltosa famiglia friulana. Dopo aver frequentato la scuola del luogo, proseguì gli studi nel collegio dei Gesuiti a Gorizia, dove ricevette un'ottima formazione spirituale e culturale. A diciassette anni Carlo fuggì per recarsi in Turchia, con l'intento di convertire i musulmani e morire martire, ma il suo viaggio si arrestò a Capodistria dove, senza soldi, stanco e affamato, bussò alla porta del convento dei Cappuccini, che lo accolsero e lo ricondussero in famiglia.

Ritratto dal vero di Marco d'Aviano. In alto: la beatificazione del cappuccino è avvenuta lo stesso giorno del nostro fondatore, il beato don Alberione (foto BEVILACQUA).
Ritratto dal vero di Marco d'Aviano. 
In alto: la beatificazione del cappuccino è avvenuta lo stesso giorno 
del beato don Giacomo Alberione 
(foto BEVILACQUA).


Fatti prodigiosi e guarigioni 



Maturata la sua vocazione, nel 1648 entrò nell'ordine dei frati minori cappuccini, prendendo in religione il nome di Marco. Il 18 settembre 1655 fu ordinato sacerdote e dal 1665, per ordine dei superiori, si dedicò alla predicazione. Di intelligenza vivace e di grande fervore religioso, quando predicava – come scrisse un suo ammiratore di Thiene – «pareva che dalla sua bocca vibrassero raggi divini».

A quarantacinque anni la sua vita cambiò radicalmente: l'8 settembre 1676, a Padova, tenne un discorso nella chiesa di San Prosdocimo, annessa al Monastero delle nobili dimesse; in quell'occasione fu pregato di benedire la giovane suor Vincenza Francesconi, paralizzata da tredici anni. Dopo la benedizione la giovane guarì immediatamente, suscitando clamore in tutta la città. Da quel giorno, ogni volta che padre Marco impartiva la benedizione, accadevano cose umanamente inspiegabili: gli storpi gettavano le stampelle, i ciechi aprivano gli occhi, i paralitici si alzavano dai letti.

La fama dei suoi prodigi si sparse velocemente e molti vescovi iniziarono a richiedere la sua presenza, per ravvivare lo spirito religioso nelle popolazioni. Iniziarono così i suoi faticosi viaggi, per ordine dei superiori o del Papa, che lo dispensò perfino dal precetto francescano di non cavalcare; Innocenzo XI, che lo aveva definito «il taumaturgo del secolo», gli concesse il privilegio, unico per un religioso, di poter impartire la benedizione papale, con annessa indulgenza plenaria in suffragio dei defunti. In pochi anni padre Marco fu in Italia del Nord, Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, Austria e Germania. Numerosissime guarigioni e fatti prodigiosi furono documentati dai notai nelle cronache cittadine e riconosciuti dalle curie vescovili.

A Lione assistettero alla sua predica ben centomila persone. A Monaco di Baviera il superiore dei Cappuccini raccolse centosessanta stampelle, lasciate da storpi guariti nelle chiese; a Neuburg più di trenta, tra ciechi, sordomuti ed epilettici furono guariti; a Roermond (oggi in Olanda), durante l'ultima predica con benedizione, si contarono ben 40.000 persone! Alle sue prediche accorrevano anche i protestanti, che venivano invitati da padre Marco alla preghiera comune, ancor prima che al ritorno nella Chiesa cattolica. Scrisse l'Atto di dolore perfetto, che ebbe una diffusione immediata e fu stampato in latino, francese, tedesco, italiano, fiammingo e spagnolo. 




Ma Dio aveva ancora altri piani per lui. Nel 1682 si recò a Vienna, dove incontrò la famiglia imperiale e celebrò la solenne funzione di ringraziamento a Dio per la cessazione della peste. Come ispirato da Dio, chiamò i viennesi alla conversione, pena un castigo ben peggiore della peste. Fu profeta.

Infatti, l'anno seguente, il sultano ottomano Maometto IV inviò da Costantinopoli una missiva all'imperatore Leopoldo I d'Austria e al re di Polonia Giovanni Sobieski, manifestando i suoi propositi: «Io ho in animo di invadere la vostra regione. Condurrò con me tredici re con soldati, cavalleria e fanteria per schiacciare il vostro insignificante Paese. Lo distruggerò con il ferro e con il fuoco. Soprattutto ti comando [o imperatore] di attendermi nella tua residenza, perché possa tagliarti la testa».


L'invasione ottomana in Europa 



Nel gennaio 1683 da Istanbul l'esercito ottomano, composto da non meno di 150-200.000 soldati ben armati, con a capo il gran visir Kara (il Nero) Mustafa, si mosse verso l'Ungheria. Ad Adrianopoli Kara Mustafa aveva ricevuto il vessillo verde del Profeta, considerato sacro dai popoli della Mezzaluna. L'Europa cristiana è prostrata, dilaniata da fazioni religiose e lotte dinastiche, in preda a una grave crisi economica e a un conseguente calo demografico: è diventata la preda più appetibile per la potenza ottomana.
All'inizio di maggio del 1683, Kara Mustafa radunò il suo esercito a Belgrado e mosse verso Vienna, seguito da migliaia di persone di servizio, un harem personale di 1.500 concubine, tende per i generali, fontane con giochi d'acqua e migliaia di animali: una vista impressionante. L'imperatore Leopoldo fuggì precipitosamente a Linz, dopo aver affidato il comando militare al conte Ernst Rüdiger von Starhemberg, che organizzò la strenua difesa di Vienna. Il 12 luglio i turchi giunsero nei dintorni di Vienna, dando inizio a uno degli assedi più memorabili della storia, durato due mesi. Dalle mura di Vienna si potevano contemplare le venticinquemila tende dell'esercito ottomano che si stendevano a perdita d'occhio tra il Wienfluss e l'Alserbach, e alla sera udire il terribile grido di Allah.

Intanto l'imperatore Leopoldo chiamava a raccolta tutti i principi cattolici e protestanti, appellandosi al supremo interesse della salvezza della cristianità. Padre Marco, chiamato in soccorso dall'imperatore, fu nominato Legato pontificio da Innocenzo XI, preoccupatissimo per il destino dell'Europa. Lasciò così il suo convento di Padova e si recò presso l'esercito della coalizione: tutti i capi erano d'accordo sulla necessità d'attaccare i Turchi, ma ciascuno voleva assumere il comando supremo, così la situazione ristagnava.
Padre Marco, giunto al consiglio di guerra del 6 settembre a Tulln, riuscì a mettere d'accordo i principi sul comando delle truppe – appena settantamila soldati – e li convinse a partire immediatamente alla volta di Vienna, guidati dal re Giovanni Sobieski; su tutte le insegne imperiali fu riportata l'immagine della Madre di Dio. Da allora tutte le bandiere militari austriache continueranno a portare l'effigie della Madonna per i successivi due secoli e mezzo, fino all'avvento di Hitler.
Cominciata la marcia verso Vienna, tutto l'esercito si fermò l'8 settembre, festa della Natività di Maria, nella pianura di Tulln, per una giornata di preghiera, cosa mai accaduta prima nella storia; padre Marco passò per ogni schiera, facendo ripetere a tutti i soldati l'atto di dolore perfetto e dando loro l'assoluzione con la benedizione papale.

La vittoria dell'esercito cristiano 




L'11 settembre conquistarono le alture del Kahlemberg, alla periferia della capitale, che il capo dei turchi per grande errore strategico non aveva occupato. All'alba del 12 settembre padre Marco celebrò la messa, che fu servita dal re Sobieski e da suo figlio Giacomo; i comandanti cattolici furono assolti e comunicati, quelli protestanti, benedetti. Benedisse l'esercito schierato, incitandolo a combattere per la difesa dei fratelli e della fede cristiana, dando loro l'assoluzione generale.

Durante la battaglia padre Marco rimase bene in vista sul colle e con il crocifisso in mano benediva il luogo dove la lotta era più tremenda. La battaglia durò tutto il giorno e terminò con una terribile carica all'arma bianca, guidata da Sobieski in persona, che provocò la rotta degli ottomani e la vittoria dell'esercito cristiano, che miracolosamente contò solo 2.000 morti, contro i 20.000 dell'avversario. L'esercito ottomano fuggì abbandonando il bottino, le armi e le sacre insegne della Mezzaluna, dopo aver massacrato centinaia di prigionieri e schiavi cristiani.

Il 13 settembre l'imperatore Leopoldo entrò a Vienna, festante e libera, alla testa dei principi e delle truppe confederate, e assistette al solenne Te Deum di ringraziamento. Il re di Polonia inviò al Papa le insegne del nemico, accompagnandole con la memorabile scritta: «Veni, vidi, Deus vicit»; le insegne rimasero esposte sulle porte di San Pietro per giorni. L'incredibile vittoria fu attribuita all'intercessione di Maria e il Papa stabilì che il 12 settembre fosse dedicato al Ss. Nome di Maria, in ricordo e ringraziamento perenne per la vittoria.

Dopo aver partecipato alla liberazione di Buda (1686) e di Belgrado (1688; in quell'occasione padre Marco salvò dalla morte ottocento soldati turchi, fatti prigionieri dalle truppe cristiane), nel luglio 1699 il Papa lo inviò a Vienna, per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Vi morì il 13 agosto, stringendo la croce tra le mani. Al suo capezzale si trovavano l'imperatore e la moglie Eleonora.

Per disposizione imperiale la salma rimase esposta fino al giorno 17, venerata da una folla immensa. I funerali furono un'apoteosi e la bara fu tumulata presso le tombe imperiali nella cripta dei Cappuccini. Lo stesso imperatore avviò subito le pratiche per il processo di beatificazione che, per complesse vicende storiche, si concluse solo nel 2003, quando fu elevato agli onori degli altari.

In occasione della beatificazione, la VII Commissione del parlamento europeo presentò una risoluzione per far diventare padre Marco d'Aviano, accanto a san Benedetto, patrono d'Europa. Sarebbe il miglior riconoscimento che l'Europa potrebbe offrire a questo umile frate cappuccino che, per un singolare progetto di Dio, fu predicatore, taumaturgo e diplomatico.
Giovanna Brizi


Salve Sancte Pater + SALVE REGINA

Salve Sancte Pater

Saluto a San Francesco, stimmatizzato di Assisi




In occasione della solennità del Serafico Padre San Francesco vi posto l'antifona Salve Sancte Pater, invocazione dei figli al loro Padre Serafico, nonché le sue Lodi alla Vergine Madre di Dio







Salve, Sancte Pater, patriae lux, forma Minorum. Virtutis speculum, recti via, regula morum: Carnis ab exilio duc nos ad regna polorum.
Salve, Padre santo, luce della patria, modello per i Frati Minori. Specchio di virtù, via verso ciò che è retto, regola di vita. Dall'esilio della carne, conducici al regno dei cieli.


*****
SALVE REGINA


Saluto alla Vergine

Ti saluto Signora,
santa Regina,
Santissima Madre di Dio,
Maria, che sempre sei Vergine.

Eletta dal santissimo Padre celeste, e da Lui,
col santissimo Figlio diletto,
e con lo Spirito Santo Paraclito, consacrata.

Tu, in cui fu ed è
ogni pienezza di grazia
e ogni bene.

Ti saluto, suo Palazzo,
Ti saluto, sua Tenda;
Ti saluto, sua Casa.

Ti saluto, suo Vestimento;
Ti saluto, sua Ancella;
Ti saluto, sua Madre.

E saluto, voi tutte sante Virtù,
che per grazia e lume, dello Spirito Santo,
siete infuse nei cuori dei fedeli,
affinché li rendiate,
da infedeli, fedeli a Dio.


Santa Madre di Dio

Santa Madre di Dio,  dolce e bella,
prega per noi il Re,  votatosi alla morte,
il tuo dolcissimo Figlio,  nostro Signore Gesù Cristo,
di accordarci,  per sua bontà,
e per i meriti,  della sua santissima incarnazione,
e della sua dolorosissima morte
il perdono dei nostri peccati. Amen.


Santa Maria Vergine

Santa Maria Vergine,
non vi è alcuna simile a Te,
nata nel mondo, fra le donne;
Figlia e Ancella dell'altissimo Re,
il Padre Celeste;
Madre del Santissimo Signore nostro Gesù Cristo;
Sposa dello Spirito Santo.

Prega per noi con San Michele Arcangelo,
e con tutte le Virtù dei cieli
e con tutti i Santi,
presso il tuo santissimo Figlio diletto,
nostro Signore e Maestro.Saluto alla Vergine



Lettera di San Francesco a tutti i fedeli: "Fratello/Sorella, c'è posta per te!"


Le Lettere di San Francesco

Lettera a tutti i fedeli, recensione prima
Esortazione ai fratelli e alle sorelle della penitenza
È una cosa stupenda, santa e gloriosa avere un Padre in cielo! È bello, ammirabile e consolante avere uno sposo così grande; è immensamente gioioso, gradito e desiderabile, motivo di umiltà, dolcezza e santità avere un fratello e un figlio, il Signor nostro Gesù Cristo, che ha dato la vita per le sue pecorelle, e che prega il Padre, dicendo: Padre Santo, custodisci nel tuo nome quelli che mi hai affidato nel mondo. Le parole che tu mi hai rivelate io le ho comunicate a loro. Essi le hanno accolte e hanno riconosciuto che tu mi hai inviato. Io prego per loro; non prego per il mondo. Benedicili e santificali! Io offro me stesso in sacrificio per loro. Non soltanto per loro io prego, ma anche per quelli che crederanno in me per mezzo della loro parola, affinché siano stabili nell'unità, come noi. E voglio, Padre, che dove sono io siano anch'essi con me, a contemplare la mia gloria, (Gv 17) nel tuo regno.
Amen.
Una scelta sbagliata
Tutti gli uomini e le donne che non accolgono l'invito alla penitenza, non ricevono il corpo e il sangue del Signore, non mantengono fede alle promesse fatte a Dio ma, seguendo le proprie passioni e cedendo alle suggestioni del mondo, compiono opere cattive, si consegnano al demonio, di cui si dimostrano figli, perché agiscono come lui.
Costoro sono ciechi, perché non scorgono la luce vera, cioè il nostro Signore Gesù Cristo; sono ignoranti, perché non posseggono la vera sapienza del Padre. Giustamente la Parola di Dio dice che la loro sapienza é vana e che attirano su di sé la maledizione di Dio perché si allontanano dai suoi comandamenti. Commettono il male ad occhi aperti e consapevolmente rovinano la propria vita.
Vi sembra cosa gradevole commettere il peccato e sgradevole comportarvi secondo gli insegnamenti del Vangelo. Ma non vi rendete conto che tutto questo deriva dal vostro egoismo, poiché siete ingannati dalle passioni, dalla mentalità godereccia e dal demonio, che sono i vostri veri nemici?
Dice bene Gesù nel Vangelo: tutti i vizi e i peccati germogliano ed escono dal cuore dell'uomo (Mc.7, 21). Cosa credete di ottenere in questo modo? Non guadagnate nulla di buono né in questa né nell'altra vita. Vi illudete di godervi per molto tempo cose che vi saranno presto tolte, perché prima di quanto pensiate, giunge il momento della malattia e della morte. E chiunque muoia in stato di peccato grave, se non si è pentito e non ha cercato di riparare al male commesso, cade in potere del demonio. Soltanto in quel momento l'uomo si rende conto della gravità delle sua situazione; tutte le doti, la potenza, la scienza, l'intelligenza che credeva di possedere gli vengono strappate. Deve lasciare ai parenti e agli amici i suoi beni. Costoro, mentre pensano a dividersi l'eredità, imprecano alla sua memoria dicendo: "Poteva bene - maledizione a lui! - mettere da parte qualche cosa di più da lasciarci!". Il corpo se lo divorano i vermi. Così in poco tempo il peccatore perde anima e corpo, e sarà tormentato eternamente nell'inferno.
Prego, per l'amore di Dio, tutti quelli ai quali giungerà questa lettera, che l'accolgano con benevolenza, come una preziosa parola uscita dalla bocca del Signore nostro Gesù Cristo.
Chi non sa leggere, se la faccia spiegare frequentemente e tutti la conservino con cura e si sforzino di metterla in pratica, come un messaggio dello Spirito Santo che dà la vita. Chi non lo facesse, dovrà renderne conto nel giorno del giudizio, davanti al tribunale del Signore nostro Gesù Cristo.

Nel nome del Signore, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen.
A tutti i cristiani, religiosi, sacerdoti e laici, uomini e donne, agli uomini di tutto il mondo, il loro fratello Francesco, umile servo, manda il suo saluto riverente, augurando dal cielo la pace vera e l'amore sincero nel Signore.Io ritengo che il Signore mi abbia messo al servizio di tutti perché io faccia giungere a tutti il fragrante profumo delle sue parole.
Ma poiché sono debole e ammalato, non posso presentarmi a tutti, come vorrei. Così ho pensato di scrivere questa lettera, per far giungere ovunque la parola del mio Signore, perché essa dà la vita in quanto proviene dallo Spirito di Dio e dal Signore nostro Gesù Cristo.
Cristo Redentore
L'altissimo Padre celeste volle che il suo Figlio, il Verbo santo e glorioso, assumesse il fragile corpo dell'uomo nel seno della Vergine Maria e a lei mandò l'angelo Gabriele, affinché le recasse il lieto annuncio. Il Cristo, che era ricco più di ogni altro, volle scegliere la povertà in questo mondo, insieme con la sua santissima madre.

Alla vigilia della sua Passione egli consegnò ai discepoli anche il suo corpo e il suo sangue nell'Eucarestia, dicendo: Prendete e mangiate: questo è il mio corpo.....Questo é il sangue della nuova alleanza, che sarà sparso per voi e per tutti in remissione dei peccati (I Cor. 11, 24).


Infine rimise la sua stessa volontà nelle mani del Padre.
Egli, mentre il suo sudore cadeva a terra come gocce di sangue, pregava perché si allontanasse da lui la morte vista come un calice di dolore. Concluse però la sua preghiera dicendo: Padre, sia fatta la tua volontà. Non come voglio io, ma come vuoi tu.
Ora la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso offrisse il suo sangue come vittima sulla croce, non per se stesso, che è il creatore di tutte le cose, ma per i nostri peccati, perché per noi era nato e a noi è stato donato.
In questo modo Cristo ci ha lasciato un esempio, affinché seguiamo le sue orme, e vuole che tutti ci salviamo per i suoi meriti e siamo uniti a lui, ricevendo il suo corpo e il suo sangue in un cuore puro e in un corpo casto.
Ma pochi sono coloro che lo vogliono ricevere e salvarsi per mezzo di lui, sebbene ciò che ci domanda sia per il nostro bene e ci dia un peso leggero da portare.


La scelta giusta
Si condannano da soli coloro che non vogliono fare esperienza della bontà del Signore e preferiscono le tenebre alla luce, perché fanno il male e non obbediscono ai comandamenti del Signore. A costoro si riferisce la Scrittura quando dice: maledetto chi si allontana dai tuoi comandamenti. Ma fortunati e felici coloro che amano il Signore e realizzando la legge del Vangelo: Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima e il prossimo tuo come te stesso (MT. 22, 37).
Amiamo, dunque, Dio e adoriamolo con purezza di cuore, perché questo è ciò che sopratutto vuole da noi quando dice: Chi adora Dio deve lasciarsi guidare dallo Spirito e dalla verità (Gv. 4, 23).
Tutta la nostra vita sia una preghiera e un canto di lode a Dio. Non stanchiamoci di invocare il Padre che è in cielo, poiché bisogna pregare sempre senza stancarsi mai.
Dobbiamo poi confessare al sacerdote tutti i nostri peccati e ricevere da lui il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, perché chi non mangia il suo corpo e non beve il suo sangue non può entrare nel regno di Dio.


Tuttavia lo si deve mangiare e bere con le necessarie disposizioni, perché chi ne mangia indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non riconoscendo il corpo del Signore, cioè non distinguendolo dagli altri cibi (1 Cor. 11, 29).
Dobbiamo, inoltre, dimostrare con i fatti che abbiamo cambiato vita. E la prova della tua conversione è che ami il tuo prossimo come te stesso. Se non sei capace di amarlo fino a questo punto, incomincia almeno a non fargli del male e poi ti proverai a fargli del bene. Quelli che hanno ricevuto il potere di giudicare altri esercitino la giustizia con misericordia, perché Dio sarà senza misericordia quando giudicherà chi non ha avuto misericordia degli altri ( Gc 12, 13).
Tutti pratichiamo l'amore, l'umiltà e siamo generosi nell'aiutare i poveri, perché l'elemosina purifica l'anima dal peccato.
È nostro dovere osservare le disposizioni della Chiesa circa il digiuno ed evitare sempre gli eccessi nel mangiare e nel bere; ma il nostro vero digiuno consiste nell'astenerci dai peccati e dalle cattive abitudini. Aderiamo in tutto alla fede cattolica; frequentiamo assiduamente le chiese e dimostriamo rispetto per i sacerdoti, non tanto per loro stessi, che possono anche essere peccatori, ma per l'ufficio sacro che essi esercitano. Esso soli, infatti consacrano sull'altare il santissimo corpo e sangue del Signore, lo ricevono e lo amministrano agli altri.
Di una cosa dobbiamo essere assolutamente certi: che non ci possiamo salvare se non per mezzo di Cristo, accogliendole sue parole, che i sacerdoti, e non altri, proclamano e diffondono.
Coloro poi che hanno rinunciato ad occuparsi delle cose del mondo, senza trascurare i doveri comuni a tutti i cristiani, hanno assunto l'impegno di aspirare a cose più alte.
Noi dobbiamo combattere contro il nostro io, i nostri vizi e i nostri peccati, perché, come dice il Signore: è dal cuore dell'uomo che vengono tutti i pensieri malvagi che portano al male. Ci siamo impegnati ad osservare non solo i precetti, ma anche i consigli del Signore. La carità perfetta alla quale aspiriamo deve estendersi anche, a particolarmente, ai nostri nemici, a quelli che ci odiano. Dobbiamo mantenere fede all'impegno della santa obbedienza, in tutto ciò che non è peccato. Ma colui al quale è affidato il compito di comandare ed è ritenuto come superiore, si reputi il più piccolo e chi comanda diventi il servo di tutti i fratelli. Si comporti con bontà verso di loro, come vorrebbe si facesse con lui se si trovasse al loro posto. Non si lasci vincere dall'ira contro il fratello che ha commesso qualche errore, ma con pazienza e umiltà lo aiuti a correggersi.
Evitiamo di cercare continuamente nella semplicità, nell'umiltà e nella purezza della vita.
Non è proprio il caso di avere troppi riguardi per la nostra personalità, poiché il peccato ha corrotto l'uomo e lo ha reso misero e ripugnante, tantoché il salmista non esita a paragonare se stesso ad un verme, quando dice: Sono un verme, non un uomo, infamia degli uomini e rifiuto del mio popolo (Sal. 21, 7).
Mai dobbiamo desiderare di contare più degli altri, ma piuttosto di essere gli ultimi e al servizio di tutti gli uomini per amore di Dio.
L'intimità con Dio
Su tutti coloro che così faranno e saranno perseveranti sino alla fine scenderà lo Spirito del Signore, abiterà con loro e saranno figli del Padre Celeste, suoi collaboratori, sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo.
Siamo realmente sposi di Cristo quando l'anima fedele è congiunta a lui per mezzo dell'amore che ci dono lo Spirito Santo; suoi fratelli quando insieme a lui facciamo la volontà del Padre suo che è in cielo; madri quando lo portiamo in noi con amore e con coscienza schietta e lo generiamo per mezzo delle opere buone che devono illuminare agli altri con l'esempio.
Non c'è nulla di più glorioso, santo e grande che avere un Padre nel cielo; niente più santo, confortante, bello e ammirabile che avere un simile sposo, non c'è gioia più grande, pensiero più rassicurante, consolazione che rechi maggior pace, dolcezza aspirazione più alta, che avere un fratello il quale diede la vita per noi e per noi pregò il Padre dicendo : Padre santo, conserva uniti a te quelli che mi ahi affidato. Padre, tu li hai scelti da questo mondo; erano tuoi e tu li ahi dati a me. Anche le parole che ut mi hai affidato io le ho comunicate a loro. Esso le hanno accolte e hanno riconosciuto senza esitare che io provengo da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo. Io offro me stesso in sacrificio per loro, perché anch'essi siano veramente consacrati a te e siano una cosa sola come noi. Padre, benedicili e santificali. Voglio che dove sono io siano anche essi, affinché vedano la mia gloria nel tuo regno (Gv. 17). Poiché egli ha tanto sofferto per noi, ci ha fatto tanto bene e tanto cé ne riserva per l'avvenire, è giusto che ogni creatura renda al Signore la lode, la gloria, l'onore e la benedizione, perché sua è la forza e la potenza, egli solo è buono, il solo altissimo, il solo onnipotente e ammirevole, glorioso e santo, degno di lode e benedetto per l'infinità dei secoli; Amen.
La schiavitù del peccato
Ma tutti coloro che non cambiano vita, che non la orientano verso Dio, che non ricevono il corpo e il sangue del Signore, che vivono nei peccati e seguono le loro cattive inclinazioni, che non mantengono quanto hanno promesso a Dio, che si preoccupano unicamente degli interessi di questo mondo, che si fanno ingannare dalle idee seminte dal demonio e le incarnano nella loro vita, costoro sono come ciechi, perché non conoscono la luce vera che è Cristo Signore. Non possiedono la sapienza di Dio, poiché non hanno in sé lui che è la sapienza del Padre. Parla di loro la Scrittura quando dice: La loro sapienza è finita nel nulla. Non vedono e non conoscono, non vogliono capire; così fanno solo il male e consapevolmente perdono la loro anima. Cercate di conoscere, o ciechi, quali sono i vostri veri nemici: il demonio, le vanità del mondo e voi stessi, perché, come dice il Vangelo: è dal cuore dell'uomo che vengono tutti i vizi e i peccati (MT. 15, 18).Comportandovi in questo modo, non guadagnate nulla che abbia veramente valore in questa vita e non ne acquisterete nell'altra. Vi illuderete di godervi a lungo i beni di questo mondo, ma vi ingannate, perché improvvisa verrà l'ora della vostra morte.
Ironia di una vita sbagliata
Arriva la malattia, si avvicina la morte. La moglie e i figli fingono di piangere ma, più che altro, si preoccupano dei beni del moribondo. Egli si lascia commuovere, vedendoli addolorati e, ingannato, pensa tra sé: Ecco io affido me stesso e tutte le mie cose nelle vostre mani. In questo modo determina la propria rovina; perché, come dice il Signore: È sventurato l'uomo che confida negli altri uomini (Ger. 17, 5). Viene chiamato il sacerdote e gli dice:"Vuoi ricevere l'assoluzione di tutti i tuoi peccati?".
Risponde:"Certo che lo voglio".
"Vuoi riparare a tutto il male che hai fatto e restituire, per quanto ti è possibile, ciò che hai rubato?"
Risponde: "Questo non lo posso fare"."Perché no?"
"Perché ho già lasciato tutto nelle mani dei miei parenti e dei miei amici".
E in questo momento perde l'uso della parola e muore con il rimorso nel cuore. Non dobbiamo dimenticare questa realtà: quando qualcuno muore in peccato grave, senza aver riparato, se poteva, il male commesso, la sua anima cade in potere del demonio. E soltanto in quel momento sarà in grado di capire tutta la gravità della sua situazione: tutto ciò che credeva di possedere, i beni e le capacità, la scienza e la furbizia, tutto gli viene tolto. Parenti ed amici pensano soltanto a dividersi le sue sostanze e, magari, inveiscono contro di lui, perché non aveva accumulato abbastanza roba da lasciare a loro. Il corpo se lo rodono i vermi e l'anima é condannata per sempre.

Benedizione
Io, frate Francesco, il servo di tutti, nel nome di Dio che è sommo amore, pronto a baciarvi i piedi, prego e scongiuro coloro ai quali perverrà questa lettera di accogliere e mettere in pratica queste e le altre parole del Signore nostro Gesù Cristo, con amore e umiltà. E tutti quelli che così le accoglieranno, rifletteranno su di esse e le faranno conoscere ad altri, purché rimangano fedeli sino alla fine nell'osservarle, siano benedetti dal Signore, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen. 

AMDG et BVM

4 ottobre: SERAFICO PADRE SAN FRANCESCO D'ASSISI, Patrono d'Italia



4 OTTOBRE
SAN FRANCESCO D'ASSISI,  CONFESSORE


La conformazione a Cristo.
Nella lettera ai Romani l'Apostolo san Paolo ci dà la regola di ogni santità con le parole: "Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagines Filii sui..." (Rom 8,29). Conformarci al divino modello, che si chiama Gesù.. È la conformità al Figlio di Dio, acquistata con la virtù, che fa i santi.

Celebriamo oggi un Santo, che fu copia ammirabile di Cristo Gesù, che il Sommo Pontefice Leone XIII chiama il più bello dei santi, che Papa Pio XI ci presenta come il santo che pare aver meglio compreso il Vangelo e conformata la vita al divino modello.
San Francesco infatti è un altro Cristo. Ha cercato Cristo, lo ha seguito, lo ha amato, lo ha dato agli altri, Cristo Gesù è tutta la sua vita. Non ci fermiamo sulle tradizioni graziose che vogliono che Francesco sia nato in una stalla, come Gesù, e su un poco di paglia; noi lo vediamo, giovane, arrestarsi improvvisamente in mezzo ai suoi sogni di piaceri e di feste, mentre pensa ad imprese cavalleresche, perché il Cristo di S. Damiano gli parla: "Francesco, che cosa vale di più? Servire il padrone o il servitore?". Francesco è affascinato da queste parole, comincia una vita nuova, apre il Vangelo e vi cerca Cristo cui consacrarsi interamente.
 
Amore del Vangelo.
Egli fa del Vangelo il suo nutrimento e, trovandovi una celeste soavità, esclama: "Ecco quello che da molto tempo cercavo!". Il Vangelo è suo sostegno, sua consolazione, rimedio a tutte le sofferenze, nelle prove non vuole altro conforto e un giorno dirà ai suoi frati: "Sono saturo di Vangelo, sono pieno di Vangelo". Il Vangelo diventa sua vita e quando vuole dare ai suoi frati una regola, scrive nelle prime pagine: "La regola e la vita dei Frati Minori è questa: osservare il santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo".
Povertà.
Ma il Vangelo è la storia dell'abbassamento del Figlio di Dio fino a noi e del suo amore per le nostre anime, è il Cristo povero, umile, piccolo, compassionevole e misericordioso, il Cristo Apostolo, il Cristo che ci ama e muore per noi. San Francesco, che lo ha scelto come regola di vita, lo vive alla lettera. Sull’esempio di Gesù, egli abbraccia la povertà e, davanti al Vescovo di Assisi si spoglia delle sue vesti, le restituisce al padre dicendo: "Adesso potrò veramente dire: Padre nostro, che sei nei cieli". E comincia la sua vita di povertà, povertà gioiosa e tutta piena di sole, non la povertà gelosa e afflitta, che troppo spesso vediamo nel mondo, povertà volontaria e amata. Va a tendere la sua mano delicata per le vie di Assisi ed è respinto come se fosse un pazzo, ma resta l'amante della povertà e, al momento della morte, è sua consolazione suprema essere stato fedele a "Madonna Povertà".
 
Umiltà.
Il Vangelo è Gesù Cristo umile e piccolo: parvus Dominus, il Grande piccolo Gesù, come lo chiama san Francesco. Egli medita questo insegnamento e si fa "l’umile Francesco", come lo chiamo l'autore dell'Imitazione. Si considera l'ultimo degli uomini, il più vile peccatore, e soffrire, essere disprezzato è per lui gioia perfetta e dà ai suoi figli il nome di Minori, cioè piccoli.
 
Misericordia.
Il Vangelo è Gesù Cristo compassionevole e misericordioso e, sul suo esempio, il cuore di Francesco è tutto pieno di misericordia. San Bonaventura, scrivendo la sua vita, ci dice: "La benignità, la bontà del nostro Salvatore Gesù Cristo è apparsa nel suo servo Francesco". Egli stesso, all'inizio del suo testamento, scrive: "Il Signore mi fece la grazia di cominciare a fare penitenza, perché quando ero nel peccato mi sembrava troppo amaro vedere dei lebbrosi, ma fui verso di loro misericordioso e quello che mi pareva amaro diventò per me dolcezza dell'anima e del corpo".
Francesco era misericordioso verso tutti i miseri e alla Tribuna del Parlamento italiano gli fu resa questa testimonianza: "Se san Francesco di Assisi non ha fondato istituzioni di carità, ha versato nel mondo tale una corrente di carità, che dopo sette secoli, nessuna opera di carità è stata fondata senza che egli ne sia stato ispiratore".
 
Apostolato.
Il Vangelo è Gesù Cristo apostolo. Egli è venuto perché gli uomini sentissero la parola di vita e con quale amore lascia cadere dal suo labbro le sue intenzioni divine! E Francesco, sulle orme di Cristo, si fa apostolo, traccia nell'aria il segno della Croce e manda i suoi discepoli ai quattro angoli del mondo. Egli ha capito bene le parole di Gesù: "Andate e insegnate a tutte le nazioni". Primo fra tutti i fondatori di Ordini moderni, manda i suoi figli nelle regioni infedeli e quando, dopo qualche mese, viene a sapere che cinque di essi hanno colto, nel Marocco, la palma del martirio, esclama con gioia: "Finalmente ho dei Vescovi!" I suoi vescovi erano i martiri. Dopo aver fondata l'opera sua, non sogna per sé che di offrire a Gesù la testimonianza del sangue e tre volte passa i mari, va a predicare Cristo fino alla presenza del Sultano infedele, ma Dio gli riserva un altro martirio per il giorno in cui gli manderà un Angelo a incidergli nelle sue carni le piaghe del divino Crocifisso.
 
Il dono di sé.
Il Vangelo è Gesù, che si dona e si immola e, come Gesù, Francesco si dona a sua volta. "Questo povero, piccolo uomo, dice san Bonaventura, non aveva che due cosa da offrire: il suo corpo e la sua anima". Dona a Dio il suo corpo con la penitenza e sappiamo come egli trattasse il suo corpo. Aveva diviso l'anno in nove quaresime successive, si contentava di pane secco e si rifiutava anche l'acqua necessaria alla sua sete, per non cedere alla sua sensualità. Era suo letto la terra nuda, suo cuscino un tronco di quercia e, tormentato spesso da malattie, ringraziava il Signore perché non lo risparmiava. Chiedeva a Dio di soffrire cento volte di più, se era sua volontà. Dava poi a Dio la sua anima con la preghiera e con lo zelo.
Ma san Francesco non è soltanto discepolo fedele di Cristo, perché copia la vita e le virtù del Maestro, ma è soprattutto il Santo dell'amore serafico. Egli è entrato nel Cuore di Gesù, ha compreso il Cuore di Gesù e gli rende amore per amore.
 
Amore dell’Eucaristia.
Con l'amore del Vangelo, un altro amore consuma il cuore di Francesco: l'amore dell'Eucaristia! Il mistero eucaristico era fatto apposta per  attirare la sua anima serafica! Un Dio disceso dal cielo per salvarci, fattosi carne in forma umana e morto sul Calvario come un delinquente, si abbassa ancora fino a prendere la forma di una piccola ostia, per unirsi a noi e farsi nostro cibo; un Dio, che, dopo la follia della Croce, giunge alla follia dell'Eucaristia e sta imprigionato nel tabernacolo, per attenderci e per riceverci, è un mistero ineffabile, che desta l'ammirazione delle anime amanti. Francesco, il grande amante del Vangelo, in cui trovava la parola vivente ed eterna di Gesù, il grande amante della Croce, in cui vede l'amore sacrificato, ama pure l'ostia dove è l'amore vivente, l'amore che si dona, l'amore che attira e trasforma le anime generose e pure! Per l'ostia egli corre a riparare i tabernacoli, per l'ostia va per le campagne a ripulire e ornare le chiese povere e abbandonate, per l'ostia dimentica la povertà e manda i frati a disporre sugli altari vasi d'oro e d'argento, per l'ostia si prostra lungo la via, quando vede spuntare la guglia di un campanile e passa ore davanti al tabernacolo, tremante per il freddo, in adorazione e in amore. Fa celebrare la Messa tutti i giorni e con fervore si comunica tutti i giorni.
In un'epoca in cui spesso il sacerdozio è avvilito, ricorda ai sacerdoti la loro grandezza. "Il vedo in essi il Figlio di Dio" e si mette in ginocchio davanti al sacerdote, e gli bacia le mani. Egli, il piccolo diacono, che si giudica indegno di salire l'altare, scrive a cardinali, a vescovi, a principi: "Vi prego, miei signori, baciando le vostre mani, fate in modo che il Corpo di Gesù sia trattato degnamente e da tutti debitamente rispettato". E Francesco prepara all'ostia anime adoratrici, circonda di anime vergini il tabernacolo con le Clarisse e ciborio, giglio, corona di spine diventano le armi di S. Damiano.
Vangelo, Croce, Eucaristia sono i grandi amori, che formano l'anima di Francesco, il segreto della sua azione nella Chiesa. Dopo aver cercato Gesù, dopo aver vissuto di Lui, dopo averlo amato, Francesco poteva attendere la morte, senza averne paura,. La grande Teresa d'Avila, mentre stava per morire esclamava: "È tempo di vederci, Gesù mio!". Francesco, nelle stese circostanze, si mette a cantare: "Voce mea ad Dominum clamavi, ad Dominum deprecatus sum. Chiamo il Signore con tutta la mia voce e prego il mio Signore". "Me exspectant iusti... I giusti mi attendono, essi vogliono essere testimoni della ricompensa che Dio mi darà" (Sal 140,1).
Quale incontro sarà quello dell'anima di Francesco con il Signore! Ricordiamo il quadro del Murillo, che ci presenta Cristo mentre stacca un braccio dalla croce e attirà a sé l'umile Francesco, per stringerlo al cuore. È questa la morte di Francesco. Con uno slancio sublime l'anima sua si getta tra le braccia di Dio e va a godere l'amore, che non ha fine.

VITA. - Francesco nacque ad Assisi nel 1182 e fin dalla giovinezza si mostrò caritatevole verso i poveri. Una malattia fu l'inizio di una vita di perfezione e risolvette di dare tutto quanto possedeva. Suo padre pretese la rinuncia all'eredità e Francesco rinunciò volentieri, spogliandosi tosto anche degli abiti che indossava. Fondò con alcuni compagni l'Ordine dei Frati Minori, che ebbe l'approvazione di Papa Innocenzo III. Francesco mandò i suoi religiosi a predicare dappertutto ed egli stesso, desideroso del martirio, partì per la Siria, ma avendo raccolto soltanto onori, tornò in Italia dove fondò presso la Chiesa di S. Damiano un Ordine di vergini, sotto la direzione di santa Chiara, e il Terz'Ordine, per dare anche alle persone viventi nel mondo un mezzo efficace di santificazione nella pratica delle virtù religiose. Nel 1224, mentre pregava sul monte Alvernia, gli apparve un serafino, che impresse nel suo corpo le piaghe di Crocifisso, in segno dell'amore che il santo nutriva per il Signore. Due anni dopo Francesco, molto ammalato, si fece portare alla chiesa di S. Maria degli Angeli e vi morì dopo aver esortato i suoi frati Minore ad amare la povertà, la pazienza e a difendere la fede della Chiesa Romana. Gregorio IX, che lo aveva conosciuto profondamente, lo iscrisse poco appresso nel catalogo del Santi.

Preghiera di san Francesco.
"Grande e magnifico Dio, mio Signore Gesù Cristo! Io ti supplico di darmi luce, di rischiarare le tenebre dell'anima mia. Dammi fede retta, speranza sicura, carità perfetta. Concedimi, o Signore, di conoscerti bene, per poter in tutte le cose agire nella tua luce secondo la tua volontà".

La Chiesa in rovina.
Così tu pregavi spesso e a lungo davanti al Crocifisso della vecchia chiesa di S. Damiano. E un giorno dal Crocifisso scese una voce che solo il tuo cuore poteva percepire e diceva: "Va', Francesco, ricostruisci la mia casa, che sta per crollare". E tu, tremante e felice insieme, rispondesti: "Andrò con gioia, o Signore, a fare quanto mi chiedi!".
La casa che stava per crollare era senza dubbio la vecchia e solitaria cappella di S. Damiano, ma il Signore pensava soprattutto alle rovine, accumulatesi nel corso degli ultimi secoli nella sua Chiesa.

L'Ordine dei Minori.
Il Papa, che lo aveva compreso, approvò l'Ordine dei Minori, che con il suo fervore, il suo amore per la povertà, lo zelo apostolico, non solo avrebbe riparato le rovine della Chiesa di Cristo, ma sarebbe andato a  costruire nuove cristianità nelle terre infedeli, col sangue dei migliori suoi figli.
Dalla gloria del cielo, dove il Signore ti concede ora così grande e gloriosa ricompensa, degnati, o san Francesco, di non dimenticare la Chiesa per cui non hai risparmiato fatiche.
Aiuta i tuoi figli, che proseguono l'opera tua nel mondo intero, e possano essi crescere in numero e in santità, prodigandosi sempre nell'insegnamento con la parola e con l'esempio.
Prega per tutto lo stato religioso, che acclama in te uno dei suoi Patriarchi illustri e tu, amico di san Domenico, mantieni tra le due famiglie quella fraternità, che non venne mai a mancare, conserva per l'Ordine Benedettino i sentimenti, che sono in questo giorno la tua gioia, stringendo ancora e legami, che il dono della Porziuncola ha annodato per l'eternità con i tuoi benefici (Porziuncola era una piccola proprietà dei Benedettini del Monte Subasio, ceduta a san Francesco, per essere la culla del suo Ordine).

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, Alba, 1959, p. 1138-1144