venerdì 12 aprile 2013

E' BENE SAPERE



Si legge nelle vite dei santi Padri che un religioso, per nome Stefano, venne trasportato in ispirito al tribunale di Dio. Era egli ridotto in agonia sul suo letto di morte, quando eccolo turbarsi improvvisamente e rispondere ad un interlocutore invisibile. I suoi fratelli di religione, che circondavano il letto, ascoltavano con terrore queste sue risposte: - Vedi, è vero, tale azione, ma mi imposi poi tanti anni di digiuno. - Io - non nego quel tal fatto, ma l'ho pianto per tanti anni. Ancor questo è vero, ma in espiazione ho servito il mio prossimo, per tre anni continui. - Indi, dopo, un momento di silenzio, esclamò: Ah! su questo non ho nulla a rispondere; voi giustamente mi accusate, e non ho altro per mia difesa che raccomandarmi, alla misericordia infinita di Dio. 

- S. Giovanni Climaco, che riferisce questo fatto, di cui fu testimone oculare ci fa sapere che questo religioso aveva vissuto quarant'anni nel suo monastero, aveva il dono delle lingue e molti altri privilegi, avanzava di gran lunga gli altri monaci per la esemplarità della sua vita e pei rigori delle sue penitenze; e conchiude con queste parole: Me infelice! che cosa mai diverrò, e qual cosa potrò sperare io sì meschino, se il figlio del deserto e della penitenza trovasi privo di difesa dinanzi a poche colpe leggere? Egli che ha passato una lunga serie di anni fra le austerità e la solitudine, egli arricchito da Dio di privilegi e di doni straordinari, abbandona questa vita lasciandoci nella incertezza della sua eterna salute!... Ma forse, dirà qualcuno per confortarsi, non si sarà trattato in questo caso che di una visione intellettuale, e i terrori di quel buon monaco sul giudizio di Dio si potrebbero ritenere come effetto della sua immaginazione riscaldata dalla febbre. Ad ovviare a questa difficoltà riferirò la storia della venerabile Angela Tolomei, religiosa domenicana e sorella del beato Giovanni Battista Tolomei.


Era ella cresciuta di giorno in giorno in virtù, e per la sua fedeltà nel corrispondere alla grazia divina era giunta ad un alto grado di perfezione, quando si ammalò gravemente. Il suo fratello, ricco egli pure di meriti innanzi a Dio, non poté con tutte le sue fervorose preghiere ottenerne la guarigione; ricevette ella perciò, con commovente pietà, gli ultimi Sacramenti, e poco prima di spirare ebbe una visione, nella quale osservò il posto che le era riservato in Purgatorio, in punizione di alcuni difetti che non erasi abbastanza studiata di correggere durante la vita; in pari tempo le furono manifestati i diversi tormenti che le anime soffrono laggiù; quindi spirò raccomandandosi alle preghiere del suo santo fratello. Mentre il cadavere veniva trasportato alla sepoltura, il beato Giovanni Battista, appressandosi al feretro, ordinò alla sorella di alzarsi, ed ella, quasi risvegliandosi da un sonno profondo, ritornò con strepitoso miracolo in vita. Nel tempo che proseguì a vivere sulla terra, quell'anima santa raccontava sul giudizio di Dio tali cose da far fremere di terrore, ma ciò che più di tutto confermò la verità delle sue parole fu la vita che menò, poìchè spaventevoli erano le sue penitenze, avendo perfino inventato nuovi segreti, oltre alle comuni penitenze, per martoriare il suo corpo. Leggiamo che durante l'inverno era solita tuffarsi fino al collo in uno stagno gelato, ove rimaneva per lungo tempo recitando il salterio; talvolta bruciava di proposito le sue povere carni, finché il suo corpo diveniva oggetto di orrore e di pietà. 

E poichè di ciò veniva talvolta ripresa e biasimata, avida com'era di umiliazioni e di contrarietà, non se la prendeva affatto, ed a coloro che la rimproveravano, rispondeva: - Oh! se conosceste il rigore dei giudizi di Dio, non parlereste così! E che è mai quel che io faccio in confronto dei tormenti riservati nell'altra vita alle infedeltà che qui in terra osiamo commettere verso il nostro Creatore? Che è mai, che è mai ciò che io faccio, mentre dovrei fare cento volte di più? - Dopo alcuni anni di così orribili penitenze, la serva di Dio fu chiamata dal celeste Sposo all'altra vita, vivo lasciando tra le sue consorelle il ricordo di sè, delle sue parole e delle sue penitenze.

Ciò che è da osservare in questa storia è che non si tratta di un peccatore che muore in disgrazia di Dio, ma di una fervente religiosa, tutta dedita ai doveri del suo stato, e che per alcune imperfezioni di nessuna gravità secondo il giudizio degli uomini, subì i rigori del giudizio di Dio. Ahimè! se i giusti sono trattati in tal guisa, che cosa accadrà di noi peccatori?

Sono dunque tremendi i giudizi divini! E pensare che ad ogni battito del nostro cuore si rinnova la grande scena: anime ed anime si presentano al trono di Sua Divina Maestà per essere giudicate! Se pensassimo a ciò saremmo presi da immensa compassione, e pregheremmo con fervore per tanti infelici che stanno per comparire davanti al loro Giudice.. Ma purtroppo, non vi pensiamo e continuiamo a vivere come se tanti nostri fratelli non ci chiedessero il soccorso delle nostre preghiere. Un giorno saremo anche noi sul letto della nostra agonia e allora sarà spesa per noi la medesima moneta che noi spendemmo per gli altri, saremo pagati con la medesima indifferenza. Adottiamo la santa abitudine di pregare per gli agonizzanti, affinchè un giorno vi sia chi preghi per noi in quell'ora tremenda nella quale tanto ne avremo bisogno.

LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!


La sapienza cerca la contemplazione (come la più alta forma della conoscenza) e ha come intenzione “ut boni fiamus” - che diventiamo buoni, soprattutto questo: divenire buoni (cfr Breviloquium, Prologus, 5).



Ad multos annos!




Benedetto XVI e San Bonaventura (playlist)


Benedettto XVI: la categoria più alta per san Tommaso è il vero, per san Bonaventura è il bene (YouTube)

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Il 17 marzo 2010, in occasione dell'udienza generale, Benedetto XVI dedicò la terza catechesi a San Bonaventura. Si soffermò in particolare sul rapporto fra Bonaventura e San Tommaso d'Aquino e sul modo diverso di concepire la teologia.
Il testo della integrale della catechesi si trova qui.

Prima catechesi su San Bonaventura

Seconda catechesi su San Bonaventura.

In particolare:

continuando la riflessione di mercoledì scorso, vorrei approfondire con voi altri aspetti della dottrina di san Bonaventura da Bagnoregio. Egli è un eminente teologo, che merita di essere messo accanto ad un altro grandissimo pensatore, suo contemporaneo, san Tommaso d’Aquino. Entrambi hanno scrutato i misteri della Rivelazione, valorizzando le risorse della ragione umana, in quel fecondo dialogo tra fede e ragione che caratterizza il Medioevo cristiano, facendone un’epoca di grande vivacità intellettuale, oltre che di fede e di rinnovamento ecclesiale, spesso non sufficientemente evidenziata. 
Una prima differenza concerne il concetto di teologia. Ambedue i dottori si chiedono se la teologia sia una scienza pratica o una scienza teorica, speculativa. San Tommaso riflette su due possibili risposte contrastanti. La prima dice: la teologia è riflessione sulla fede e scopo della fede è che l’uomo diventi buono, viva secondo la volontà di Dio. Quindi, lo scopo della teologia dovrebbe essere quello di guidare sulla via giusta, buona; di conseguenza essa, in fondo, è una scienza pratica. L’altra posizione dice: la teologia cerca di conoscere Dio. Noi siamo opera di Dio; Dio sta al di sopra del nostro fare. Dio opera in noi l’agire giusto. Quindi si tratta sostanzialmente non del nostro fare, ma del conoscere Dio, non del nostro operare. La conclusione di san Tommaso è: la teologia implica ambedue gli aspetti: è teorica, cerca di conoscere Dio sempre di più, ed è pratica: cerca di orientare la nostra vita al bene. Ma c’è un primato della conoscenza: dobbiamo soprattutto conoscere Dio, poi segue l’agire secondo Dio (Summa Theologiae Ia, q. 1, art. 4). Questo primato della conoscenza in confronto con la prassi è significativo per l’orientamento fondamentale di san Tommaso.

La risposta di san Bonaventura è molto simile, ma gli accenti sono diversi. San Bonaventura conosce gli stessi argomenti nell’una e nell’altra direzione, come san Tommaso, ma per rispondere alla domanda se la teologia sia una scienza pratica o teorica, san Bonaventura fa una triplice distinzione – allarga, quindi, l’alternativa tra teorico (primato della conoscenza) e pratico (primato della prassi), aggiungendo un terzo atteggiamento, che chiama “sapienziale” e affermando  che la sapienza abbraccia ambedue gli aspetti. E poi continua: la sapienza cerca la contemplazione (come la più alta forma della conoscenza) e ha come intenzione “ut boni fiamus” - che diventiamo buoni, soprattutto questo: divenire buoni (cfr Breviloquium, Prologus, 5). Poi aggiunge: “La fede è nell’intelletto, in modo tale che provoca l’affetto. Ad esempio: conoscere che Cristo è morto “per noi” non rimane conoscenza, ma diventa necessariamente affetto, amore” (Proemium in I Sent., q. 3).

Nella stessa linea si muove la sua difesa della teologia, cioè della riflessione razionale e metodica della fede. San Bonaventura elenca alcuni argomenti contro il fare teologia, forse diffusi anche in una parte dei frati francescani e presenti anche nel nostro tempo: la ragione svuoterebbe la fede, sarebbe un atteggiamento violento nei confronti della parola di Dio, dobbiamo ascoltare e non analizzare la parola di Dio (cfr Lettera di san Francesco d’Assisi a sant’Antonio di Padova). A questi argomenti contro la teologia, che dimostrano i pericoli esistenti nella teologia stessa, il Santo risponde: è vero che c’è un modo arrogante di fare teologia, una superbia della ragione, che si pone al di sopra della parola di Dio. Ma la vera teologia, il lavoro razionale della vera e della buona teologia ha un’altra origine, non la superbia della ragione. Chi ama vuol conoscere sempre meglio e sempre più l’amato; la vera teologia non impegna la ragione e la sua ricerca motivata dalla superbia, “sed propter amorem eius cui assentit” – “motivata dall’amore di Colui, al quale ha dato il suo consenso” (Proemium in I Sent., q. 2), e vuol meglio conoscere l’amato: questa è l’intenzione fondamentale della teologia. Per san Bonaventura è quindi determinante alla fine il primato dell’amore".


Di conseguenza, san Tommaso e san Bonaventura definiscono in modo diverso la destinazione ultima dell’uomo, la sua piena felicità: per san Tommaso il fine supremo, al quale si dirige il nostro desiderio è: vedere Dio. In questo semplice atto del vedere Dio trovano soluzione tutti i problemi: siamo felici, nient’altro è necessario.
Per san Bonaventura il destino ultimo dell’uomo è invece: amare Dio, l’incontrarsi ed unirsi del suo e del nostro amore. Questa è per lui la definizione più adeguata della nostra felicità.

In tale linea, potremmo anche dire che la categoria più alta per san Tommaso è il vero, mentre per san Bonaventura è il bene. Sarebbe sbagliato vedere in queste due risposte una contraddizione. Per ambedue il vero è anche il bene, ed il bene è anche il vero; vedere Dio è amare ed amare è vedere. Si tratta quindi di accenti diversi di una visione fondamentalmente comune. Ambedue gli accenti hanno formato tradizioni diverse e spiritualità diverse e così hanno mostrato la fecondità della fede, una nella diversità delle sue espressioni.

Ritorniamo a san Bonaventura. E’ evidente che l’accento specifico della sua teologia, del quale ho dato solo un esempio, si spiega a partire dal carisma francescano: il Poverello di Assisi, al di là dei dibattiti intellettuali del suo tempo, aveva mostrato con tutta la sua vita il primato dell’amore; era un’icona vivente e innamorata di Cristo e così ha reso presente, nel suo tempo, la figura del Signore – ha convinto i suoi contemporanei non con le parole, ma con la sua vita. In tutte le opere di san Bonaventura, proprio anche le opere scientifiche, di scuola, si vede e si trova questa ispirazione francescana; si nota, cioè, che egli pensa partendo dall’incontro col Poverello d’Assisi.
VIRGEN DE FATIMA 

RUEGA POR NOSOTROS



AMDG et BVM

PRIVILEGI DELLA VITA RELIGIOSA


 PRIVILEGI DELLA VITA RELIGIOSA. 


Gesù Cristo, quando l'apostolo Pietro Gli domandò che cosa avrebbe dato di particolare a loro che avevano tutto abbandonato per seguire Lui, gli rispose che nel giorno della rigenerazione li avrebbe fatti sedere su dodici troni e li avrebbe fatti giudici delle dodici tribù d'Israele. E, soggiunse, chiunque lascerà la casa, la parentela, i beni per amor mio, riceverà cento volte più di quello che ha lasciato, e insieme la vita eterna (MATTH. XIX, 27-29). Ecco il privilegio concesso a quelli che professano la vita religiosa! 

A ­loro più particolarmente convengono quegli elogi di S. Pietro: «Voi siete una casta privilegiata, un sacerdozio reale, una gente santa, un popolo scelto, affinché proclamiate le virtù di colui che dalle te­nebre vi ha chiamati all'ammirabile sua luce» (1 PETR. II, 9).



La vocazione alla vita religiosa è grazia insigne, rara e specialissima... 

Le anime consacrate a Dio in un ordine religioso sono la porzione più nobile, più onorevole, più pura della Chiesa di Gesù Cristo; ne formano il più vago ornamento... Stanno più che tutte le altre vicino a Dio... Costituiscono il corteo e, direi, la corona dell'Altissimo. Seguono l'Agnello dovunque vada... Avranno in cielo un seggio più elevato, un luogo distinto... Hanno più meriti per essere esaudite in quello che domandano... Sono parafulmini che arrestano i colpi della giustizia di Dio; sono altri Mosè che s'interpongono tra la collera di Dio e i delitti dei popoli; placano il cielo e salvano la terra. Ah! Dio non ha trattato così tutte le anime (Psalm. CXL VII, 20)


Voi ben potete, o anime privile­giate, dire con la Sposa dei Cantici
«La voce del mio diletto che bussa alla porta, dice: Aprimi, mia sorella, mia amica, mia colomba, mia immacolata» (Cant. V, 2). Mia sorella per la creazione e l'incarnazione, mia amica e mia sposa per la fede e per i voti, mia colomba per il battesimo e la rigenerazione, mia immacolata per la carità.

IMMACOLATA MIA
MIO TUTTO!

Dettagli della Sua crocifissione

JESU, COR MARIAE, AUDI NOS


29 Marzo 2012 – Gesù rivela i dettagli della Sua crocifissione.

Mia amatissima figlia, il Mio tempo per altre sofferenze avverrà quando la Mia Passione sulla croce sarà commemorata.
Nessun uomo comprende la portata della Mia sofferenza durante la Mia Crocifissione o il modo in cui fui flagellato.
La Mia flagellazione fu la cosa peggiore. Sono stato picchiato selvaggiamente da dieci uomini e ogni centimetro del Mio corpo fu sfregiato.
La carne sulla Mia schiena era strappata e le scapole erano visibili.
Riuscivo a malapena a stare in piedi e un occhio fu ammaccato e schiacciato.
Potevo vedere solamente attraverso il Mio occhio sinistro.
Nel momento in cui Mi portarono davanti a Ponzio Pilato e messo la corona di spine sulla testa riuscivo a malapena a reggerMi in piedi.
Poi Mi spogliarono nudo prima di metterMi un indumento corto rosso sopra la Mia testa e quindi posto un ramo di palma nella mano destra.
Ogni spina era come un ago, cosi tanto era appuntito. Una di queste spine trafisse anche il Mio occhio destro, che mi lasciò a malapena in grado di vedere.
Persi cosi tanto sangue che vomitavo ed ero così stordito che quando cominciai la Mia salita sul Calvario non riuscivo a tenere la croce.
Sono caduto cosi tante volte che ci vollero ore prima di raggiungere la cima della collina.
Fui flagellato e frustrato ogni passo del tragitto.
Il mio corpo era tutto insanguinato e coperto di un sudore denso prodotto da un sole cocente.
Svenni un paio di volte.
Per quanto questo fu doloroso e angosciante, la cosa più spaventosa fu l’odio mostrato verso di Me, non solo dagli adulti lungo il percorso, ma da bambini che mi scalciavano perché seguivano l’esempio dei loro genitori.
Le urla che si riversavano fuori dalle loro bocche e l’odio era niente in confronto alla paura che avevano di Me.
Perché, dopotutto, non erano ancora sicuri se ero io, infatti, il Messia che avevano atteso per tanto tempo.
Era più facile, quindi, odiarMi, accusarMi piuttosto che accettarMi perché ciò avrebbe significato dover modificare le loro abitudini.
Il Mio momento più straziante fu quando giacevo a terra su un lato, essendo stato preso di nuovo a calci sulla schiena, e vidi la Mia amata madre che Mi guardava.
Aveva il cuore spezzato e dovette essere sostenuta da due dei Miei discepoli.
Potevo vederla solo attraverso l’occhio rimanente e non potevo sopportare di vedere il suo tormento.
I fischi, le urla e i boati della folla si sentivano da terra, su cui giacevo, e ci vollero seicento soldati per organizzare e supervisionare la Mia Crocifissione e quella di altri sei.
Ero al centro della loro attenzione e gli altri non soffrirono come Me.
Quando i Miei polsi, alla base dei Miei pollici, furono inchiodati alla croce, non riuscii più a sentire.
Il Mio corpo era talmente malconcio che ero andato in shock.
Le Mie spalle furono slogate e le Mie braccia furono strappate dalle loro orbite.
Il peggior danno fisico fu inflitto sul Mio corpo prima che io fossi inchiodato alla croce.
Non lanciai nessun urlo.
Nessuna protesta.
Solo un sussurro.
Questo fece infuriare i miei carnefici che volevano una reazione per soddisfare le loro passioni.
Non Mi impegnai mai con loro poiché farlo avrebbe significato doverMi impegnare con Satana e i suoi demoni che infestavano le loro anime.
Questo fu il motivo perché la loro cattiveria verso di Me fu così intensa.
Rimasi appeso sulla croce per cinque ore.
Il sole era cocente e non c’era nessuna nuvola che potesse contribuire a ridurre il bruciore della Mia pelle.
Appena tirai il Mio ultimo respiro, il Padre Mio mandò nuvole nere così come tuoni e fulmini.
La tempesta che ebbe luogo fu di tale spaventosa intensità e così improvvisa che i Miei spettatori non ebbero più nessun dubbio  in quel momento, che ero, infatti, il Salvatore che era stato mandato da Dio Padre.
Rivelo questo a te figlia Mia come un dono per ricambiare l’enorme atto di sofferenza che Mi hai offerto.
Dì ai Miei figli che non Mi pento della Mia passione sulla croce.
Quello che Mi rammarica è che il Mio sacrificio è stato dimenticato e che molti negano che la Mia crocifissione ha avuto luogo.
Molti non hanno idea di quello che ho dovuto soffrire poiché molti dei Miei apostoli non testimoniarono la Mia salita al Calvario.
Ciò che Mi fa male oggi è che molti Mi rinnegano ancora.
Il Mio appello a voi, Miei seguaci, è di non consentire che la Mia crocifissione vada sprecata.
Sono morto per tutti i peccati, compresi quelli commessi oggi.
Io voglio e ho bisogno di salvare anche quelli che mi rifiutano ancora oggi.
Il vostro Amato Salvatore
Gesù Cristo

AVE AVE AVE

MARIA, STELLA MARIS





"Nel dare, voglio"



Come Gesù prima della passione volle benedire la sua Mamma
Dal Volume 12 del 28 novembre 1920 (141)
[Luisa dice:]
Stavo pensando quando il mio dolce Gesù, per dar principio alla sua dolorosa passione, volle andare dalla sua Mamma a chiederle la sua benedizione, ed il benedetto Gesù mi ha detto:

“Figlia mia, quante cose dice questo mistero! Io volli andare a chiedere la benedizione alla mia cara Mamma per darle occasione che anche essa mi chiedesse la benedizione; erano troppi i dolori che doveva sopportare ed era giusto che la mia benedizione la rafforzasse; è mio solito che quando voglio dare chiedo. E la mia Mamma mi comprese subito, tanto vero che non mi benedisse se non quando mi chiese la mia benedizione, e dopo benedetta da me mi benedisse lei.

Ma questo non è tutto: per creare l’universo dissi un Fiat e col solo Fiat riordinai ed abbellii cielo e terra; nel creare l’uomo il mio alito onnipotente gl’infuse la vita. Nel dar principio alla mia passione volli, con la mia parola onnipotente e creatrice, benedire la mia Mamma, ma non era solo lei che benedicevo. Nella mia Mamma benedicevo tutte le creature, era lei che teneva il primato su tutto, ed in lei benedivo tutti e ciascun pensiero, atto, parola ecc. Benedivo ciascuna cosa che doveva servire alla creatura, come quando il mio Fiat onnipotente creò il sole e questo sole che, senza diminuire né di luce né di calore, sta per tutti e per ciascun mortale facendo il suo corso; così la mia parola creatrice benedicendo, restava in atto di benedire sempre, sempre, senza mai cessare di benedire, come mai cesserà di dare la sua luce il sole a tutte le creature.


Ma non è tutto ancora: con la mia benedizione volli rinnovare i pregi della creazione, volli chiamare il mio celeste Padre a benedire per comunicare alla creatura la potenza, volli benedire a nome mio e dello Spirito Santo per comunicare la sapienza e l’amore, e così rinnovare la memoria, l’intelletto e la volontà della creatura restituendola sovrana di tutto. Sappi però che nel dare voglio, e la mia cara Mamma comprese, e subito mi benedisse, non solo per sé, ma a nome di tutti.


Oh! Se tutti potessero vedere questa mia benedizione, la sentirebbero nell’ac­qua che bevono, nel fuoco che li riscalda, nel cibo che prendono, nel dolore che li affligge, nei gemiti della preghiera, nei rimorsi della colpa, nell’abbandono delle creature, in tutto sentirebbero la mia parola creatrice che loro dice (ma sventuratamente non sentito): “Ti benedico nel nome del Padre, di me Figlio e dello Spirito Santo; ti benedico per aiutarti, per difenderti, per perdonarti, per consolarti; ti benedico per farti santo”. E la creatura farebbe eco alle mie benedizioni col benedirmi anche essa in tutto; questi sono gli effetti della mia benedizione, in cui la mia Chiesa ammaestrata da me mi fa eco, e quasi in tutte le circostanze, nelle amministrazioni dei sacramenti ed altro, dà la sua benedizione”.

http://www.passioiesus.org/it/horasdelapasion/que_son.htm


Preghiamo  per quanti ancora queste cose non capiscono 
e perciò non benedicono.
Corda Jesu et Mariae sacratissima
nos benedicant et custodiant