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giovedì 10 novembre 2016

IL PURGATORIO: COSA È E IN COSA CONSISTE

Il Purgatorio negli scritti di Maria Valtorta
17 ottobre. Dice Gesù:

«Ti voglio spiegare cosa è e in cosa consiste il Purgatorio. E te lo spiego Io, con forma che urterà tanti che si credono depositari della conoscenza dell'al di là e non lo sono. Le anime immerse in quelle fiamme non soffrono che per l'amore. 

Non immeritevoli di possedere la Luce, ma neppure degne di entrarvi subito, nel Regno di Luce, esse, al loro presentarsi a Dio, vengono investite dalla Luce. È una breve, anticipata beatitudine, che le fa certe della loro salvezza e le fa cognite di cosa sarà la loro eternità ed esperte di ciò che commisero verso la loro anima, defraudandola di anni di beata possessione di Dio. Immerse poi nel luogo di purgazione, sono investite dalle fiamme espiatrici. 

In questo, coloro che parlano del Purgatorio dicono giusto. Ma dove non sono nel giusto è nel volere applicare nomi diversi a quelle fiamme. Esse sono incendio d'Amore. Esse purificano accendendo le anime d'amore. Esse danno l'Amore perché, quando l'anima ha raggiunto in esse quell'amore che non raggiunse in terra, ne viene liberata e si congiunge all'Amore in Cielo. Ti pare dottrina diversa dalla cognita, vero? Ma rifletti. Cosa vuole il Dio Uno a Trino per le anime da Lui create? Il Bene. Chi vuole il Bene per una creatura, che sentimenti ha per la creatura? Sentimenti d'amore. 

Quale è il comandamento primo e secondo, i due più importanti, quelli che Io ho detto non esservene più grandi ed essere in quelli la chiave per raggiungere la vita eterna? È il comandamento d'amore: Ama Dio con tutte le tue forze, ama il prossimo come te stesso. 

Per bocca mia e dei profeti e dei santi, cosa vi ho detto infinite volte? Che la Carità è la più grande delle assoluzioni. La Carità consuma le colpe e le debolezze dell'uomo, perché chi ama vive in Dio, e vivendo in Dio poco pecca, e se pecca subito si pente, e per chi si pente vi è il perdono dell'Altissimo. A cosa mancarono le anime? All'Amore. Se avessero molto amato, avrebbero commesso pochi e lievi peccati, connessi alla debolezza e imperfezione vostra. Ma non avrebbero mai raggiunto la pertinacia cosciente nella colpa anche veniale. Si sarebbero studiate di non addolorare il loro Amore, e l'Amore, vedendo la loro buona volontà, le avrebbe assolte anche delle venialità commesse.

Come si ripara, anche sulla terra, una colpa? Espiandola e, se appena si può, attraverso il mezzo con cui si è commessa. Chi ha danneggiato, restituendo quanto ha levato con prepotenza. Chi ha calunniato, ritrattando la calunnia, e così via. 

Ora, se questo vuole la povera giustizia umana, non lo vorrà la Giustizia santa di Dio? E quale mezzo userà Dio per ottenere riparazione? Se stesso, ossia l'Amore, ed esigendo amore. 

Questo Dio che avete offeso, e che vi ama paternamente, e che vuole congiungersi con le sue creature, vi porta ad ottenere questo congiungimento attraverso a Se stesso. 

Tutto si impernia sull'Amore, Maria, fuorché per i morti veri: i dannati. Per essi morti è morto anche l'Amore. Ma per i tre regni - quello più pesante: la Terra; quello in cui è abolito il peso della materia ma non dell'anima gravata dal peccato: il Purgatorio; e infine quello dove gli abitatori di esso condividono con il Padre loro la natura spirituale che li affranca da ogni gravame - il motore è l'Amore. È amando sulla terra che lavorate per il Cielo. È amando nel Purgatorio che conquistate il Cielo che in vita non avete saputo meritare. È amando in Paradiso che godete il Cielo. 

Quando un'anima è nel Purgatorio non fa che amare, riflettere, pentirsi alla luce dell'Amore che per lei ha acceso quelle fiamme, che già sono Dio, ma le nascondono Dio per sua punizione. 

Ecco il tormento. L'anima ricorda la visione di Dio avuta nel giudizio particolare. Si porta seco quel ricordo e, poiché l'avere anche solo intravisto Iddio è gaudio che supera ogni creata cosa, l'anima è ansiosa di rigodere di quel gaudio. Quel ricordo di Dio e quel raggio di luce che l'ha investita al suo comparire davanti a Dio, fanno sì che l'anima veda nella loro vera entità le mancanze commesse contro il suo Bene, e questo vedere costituisce, insieme al pensiero che per quelle mancanze si è volontariamente interdetto il possesso del Cielo e l'unione con Dio per anni o secoli, costituisce la sua pena purgativa. 

È l'amore, e la certezza di avere offeso l'Amore, il tormento dei purganti. Più un'anima nella vita ha mancato e più è come accecata da spirituali cataratte, che le rendono più difficile il conoscere e raggiungere quel perfetto pentimento d'amore che è il coefficiente primo della sua purgazione e dell'entrata nel Regno di Dio. L'amore è appesantito nel suo vivere e reso tardo quanto più un'anima lo ha oppresso con la colpa. Man mano che per potere dell'Amore essa si monda, si accelera la sua risurrezione all'amore e, di conseguenza, la sua conquista dell'Amore, che si completa nel momento in cui, finita l'espiazione e raggiunta la perfezione dell'amore, essa viene ammessa nella Città di Dio.

Bisogna molto pregare perché queste anime, che soffrono per raggiungere la Gioia, siano veloci nel raggiungere l'amore perfetto che le assolve e le unisce a Me. Le vostre preghiere, i vostri suffragi, sono altrettanti aumenti di fuoco d'amore. Aumentano l'ardore. Ma - oh! beato tormento! - aumentano anche la capacità di amare. Accelerano il processo di purgazione. Innalzano a gradi sempre più alti le anime immerse in quel fuoco. Le portano alle soglie della Luce. 

Aprono le porte della Luce, infine, e introducono l'anima in Cielo. 

Ad ognuna di queste operazioni, provocate dalla vostra carità per chi vi ha preceduto nella seconda vita, corrisponde un soprassalto di carità per voi. Carità di Dio che vi ringrazia di provvedere ai suoi figli penanti, carità dei penanti che vi ringraziano di adoperarvi per immetterli nel gaudio di Dio. 

Mai come dopo la morte della terra i vostri cari vi amano, perché il loro amore è ormai infuso della Luce di Dio e a questa Luce essi comprendono come voi li amate e come avrebbero dovuto amarvi. 

Non possono più dirvi parole che invocano perdono e danno amore. Ma le dicono a Me per voi, ed Io ve le porto, queste parole dei vostri Morti, che ora vi sanno vedere e amare come si deve. Ve le porto insieme alla loro richiesta di amore e alla loro benedizione. Già valida sin dal Purgatorio, perché già infusa dell'accesa Carità che li arde e purifica. Perfettamente valida, poi, dal momento in cui, liberati, verranno incontro a voi sulle soglie della Vita o si riuniranno a voi nella stessa, se già voi li avete preceduti nel Regno d'Amore. 

Fida in Me, Maria. Io lavoro per te e per i tuoi più cari. Solleva il tuo spirito. Vengo per darti la gioia. Fidati di Me.»

mercoledì 10 luglio 2013

2. Il Purgatorio ... + MANIFESTAZIONI DI UN'ANIMA PURGANTE AVVENUTE IN MONTEFALCO

2. Il Purgatorio nelle rivelazioni dei santi (contin.)


CAPITOLO X
DIO E LE ANIME DEL PURGATORIO

Santità, sapienza e bontà di Dio

Fino ad ora abbiamo parlato del Purgatorio con­siderato di per sè, e come se esistesse da solo nel mondo sopranaturale, mentre in virtù della comunio­ne dei Santi si trova in continui rapporti colla Chiesa trionfante e colla militante. Studieremo adunque ora queste relazioni, e innanzi tutto tratteremo di quelle che passano fra le anime del Purgatorio e Dio, fra il giudice che condanna e il reo condannato, fra il pa­dre che tende le braccia al figlio esiliato e l'anima che arde d'amore per lui ed affretta col desiderio il momento d'entrare nella paterna dimora.
Una delle cose che più risaltano, per poco che si sia posto mente al fin qui detto, è che il Purgatorio manifesta in modo ammirabile tutte le perfezioni di Dio. Il Salmista ha detto che i cieli narrano la gloria di Dio, ma altrettanto può dirsi di quelle oscure pri­gioni dalle quali parrebbe dovesse solo diffondersi il dolore e il pianto; eppure Dio in nessuna parte del creato si rivela forse più grande e perfetto come nel Purgatorio. Fra tutte le perfezioni poi che di lui si manifestano laggiù, tre sopratutto emergono in ma­niera straordinaria, vale a dire la sua santità, sapienza e bontà.
Che il Purgatorio manifesti la santità infinita di Dio nessuno ne dubita. Là infatti troviamo anime sante, uscite di vita nel pieno esercizio della loro ca­rità, predestinate alla gloria, future abitatrici del cie­lo, oggetto delle compiacenze dell'adorabile Trinità, spiriti eletti che, dopo le lotte della vita, sono sul punto di giungere alla gloria che Dio Padre, nel crearli, aveva loro assegnata. Tuttavia, siccome nei giorni del loro pellegrinaggio hanno contratto delle macchie, Iddio li tiene inesorabilmente lontani da sè; condannandoli ad un fuoco di purificazione, fino al giorno in cui saranno trovati degni di comparire tutti puri, dinanzi al suo cospetto. Forse quelle anime lavo­rarono molto per la gloria di Dio, sono forse santi sacerdoti che l'han fatto conoscere e amare nel mon­do, o religiosi che han tutto abbandonato per lui e che per amor suo abbracciarono una vita di patimen­ti e di sacrifici, o apostoli che hanno recato il suo nome nelle estreme parti del mondo; ma non importa: ba­sta che abbiano una macchia, una macchia sola, per­chè Iddio dimentichi, per ora, le loro opere buone, i loro sacrifici, i loro meriti. Quantunque sia ormai pronta per loro la corona di gloria, quantunque in Cielo il Padre le attenda, hanno da purificare col fuoco quanto in loro non è ancora degno di Dio e della sua santità.


Ci sembra che tra le anime del Purgatorio e Dio passi qualche cosa di analogo a quello che passava tra Dio e il suo Figliol divino sul Calvario. Cristo, figlio prediletto del Padre, splendore della sua gloria, og­getto delle sue eterne compiacenze, appena addossa­tisi i peccati degli uomini, attira sopra di sè i colpi della divina giustizia, e non v'è più pietà per lui che si è dato come riscatto pei peccati del mondo. Trema la terra, si fendono le roccie, il sole si ecclissa da­vanti all'Uomo Dio che muore; ma Dio Padre resta impassibile nel silenzio della sua eternità; nulla lo commuove nè intenerisce, neppure quel grido dolo­roso che gli rivolge la vittima divina: - Mio Dio, mio Dio, perchè mi hai abbandonato! - Il sacrificio dev'essere tutto consumato, la giustizia deve avere il suo corso, dopo di che soltanto egli si ricorderà di esser Padre. - Orbene, anche le anime son figlie predilette di Dio, ma perchè portano ancora impressa l'orma del peccato, egli non le riconosce per tali, e quando il fuoco vendicatore, quando i supplizi e le espiazioni si saranno accumulati sopra quelle meschi­ne, assisterà impassibile a tante torture, anzi se ne rallegrerà, perchè così la sua giustizia sarà soddisfat­ta. Sarà inutile ogni grido, ogni soccorso implorato, dal cielo, poichè il cielo sarà chiuso per loro, e prima che Iddio si ricordi d'essere padre, ogni macchia do­vrà esser distrutta e consumata dal fuoco. - Santa M. Maria Alacoque, che aveva provato in se stessa questi rigori della giustizia di Dio, soleva dire che i tormenti che l'amore divino imprimeva in lei come saggio di quelli che soffrono le anime del Purgatorio erano veramente insopportabili. - S. Caterina da Genova così si esprime a riguardo di questo marti­rio che la santità di Dio fa soffrire a quelle anime. Il fondamento di tutte le pene è il peccato originale o attuale. Dio ha creato l'anima pura, semplice e netta d'ogni macchia di peccato, con un certo istinto beatifico verso di lui, dal quale istinto il peccato ori­ginale, che essa trova in sè, l'allontana; quando poi vi si aggiunge l'attuale, ancora più se ne discosta, e quanto più se ne fa lontana, tanto più diventa mal­vagia, poiohè Dio meno le dà la grazia della corri­spondenza. E poichè ogni bontà o virtù è largita per partecipazione di Dio, il quale corrisponde nelle creature irrazionali come vuole e come ha ordinato e non manca loro mai, ed all'anima razionale corri­sponde più o meno, secondo che la trova purificata dall'impedimento del peccato; perciò quando si trova un'anima che si accosti alla sua prima creazione pura e netta, quell'istinto beatifico se le va disco prendo e crescendo tuttavia, con tanto impeto e fu­rore di carità (il quale la spinge verso il suo ultimo fine) che le par cosa insopportabile l'impedimento che prova, e quanto più vede e intuisce, tanto più le riesce dura la pena. Or dunque, siccome le anime che sof­frono nel Purgatorio non sono insozzate da gravi pec­cati, perciò non v'è altro impedimento tra Dio e loro tranne quella pena la quale le ha ritardate dall'au­dare a lui, e vedendo esse e provando quanto importi ogni minimo impedimento, ne nasce in loro un estre­mo fuoco, simile a quello dell'Inferno, eccetto nella colpa, che è quella che fa la volontà maligna ai dan­nati, ai quali Dio non corrisponde colla sua bontà epperciò restano in quella disperata maligna volontà contro la volontà di Dio».


Oltre alla santità, il Purgatorio manifesta ammira­bilmente la sapienza e la bontà di Dio. Egli infatti non può solfrire impurità dinanzi a sè, perchè la sua santità infinita vi si oppone. Siccome però quelle in­felici sono morte in istato di grazia e nell'esercizio attuale dell'amore e del pentimento; e quindi non pos­sono essere condannate agli odii e alle disperazioni eterne dell'Inferno, e siccome d'altra parte sono chiu­se per loro tanto le porte del Cielo quanto quelle dell'Inferno, Iddio ha creato un luogo intermedio, un soggiorno destinato alle espiazioni temporanee, nel quale regni l'amore accanto alla giustizia e alla san­tità divina. Sì, l'amore, il più tenero amore fu quello che creò il Purgatorio. Per ben comprendere questa verità, dice S. Caterina da Genova, bisogna pensare che quel che d'ordinarìo gli uomini ritengono come perfezione, è difetto dinanzi agli occhi di Dio, perchè tutte le cose che fa l'uomo portano sempre con sè macchie ed imperfezioni quand'egli non riconosca che la perfezione in quel ch'egli fa è puro dono di Dio. Attesa perciò la corruzione del cuore umano, il Purgatorio era il solo mezzo che a Dio rimanesse per salvarci; poichè chi è mai fra noi che potrebbe ripromettersi di presentarsi senza colpe al tribunale divino? Se non vi fosse stato il Purgatorio, bisogna­va o che la giustizia di Dio avesse lasciato il peccato impunito, il che ripugna all'essenza sua, o che la quasi universalità delle anime fosse rimasta priva per sempre dalla vista di Dio; mentre ora, grazie a quest'amorevole invenzione del Purgatorio, possiamo an­cora aspirare alle gioie della visione beatifica. Così nessuna delle perfezioni divine venendo lesa, la mise­ricordia e la verità s'incontrano in quel soggiorno del dolore, la giustizia e la pace si tendono la mano e tutto si compie in perfetto ordine, sicchè dopo espiato il peccato, segue subito il premio delle buone opere, e l'uomo è salvo. - Ed é appunto perchè le anime del Purgatorio comprendono questa verità che invece delle grida di rabbia e di disperazione che si solleva­no di continuo dall'Inferno, esse innalzano al cielo fra-le loro pene canti sublimi d'amore ed inni di gra­zie. Ma, dirà qui taluno, come potrà mai esercitarsi nel Purgatorio la misericordia di Dio, se Iddio si trova quasi impotente verso quelle povere anime, do­vendo la sua giustizia aver libero corso? Risponderò che è tale l'armonia delle perfezioni divine, che non mai una nuoce all'altra, e mentre la giustizia è piena­mente soddisfatta, la misericordia trova anch'essa sempre modo di esercitarsi; e Iddio che è amore per eccellenza, fa sempre penetrare in quelle oscure pri­gioni qualche raggio della sua immensa chiarezza. Come poi possa ciò accadere senza ledere la divina giustizia, sarà manifesto da quanto diremo. Per quat­tro canali la divina misericordia si spande continua­mente su quelle povere anime, ed ecco come.

In primo luogo bisogna convenire che quasi sem­pre le anime sono mandate in Purgatorio in virtù di una disposizione di misericordia, e d'una misericordia tutta speciale. Infatti chi è fra noi che almeno una volta in vita sua non abbia meritato l'Inferno? Se ora passeggiamo per le vie della città o respiriamo l'aria pura della nostra campagna, e godiamo tutti i comodi della vita invece di contorcerci fra le eterne dispera­zioni dell'Inferno, non è forse -per misericordia di Dio, che avrebbe potuto farci morire già in tante occasioni, coglierci all'impensata e farci piombare in quel baratro dove si trovano tante anime forse meno colpevoli di noi? - Ma ammettiamo per un momento d'aver conservato la nostra innocenza battesimale e di non esserci macchiati giammai di peccato mortale, chi potrà assicurarci di perseverare nel bene? E se in grazia della perseveranza finale, non commettendo nessun grave peccato, noi arriveremo un giorno in Purgatorio, non sarà forse anche questo un dono im­menso della divina misericordia? In realtà però il caso dell'innocenza conservata fino alla morte è cosa rarissima, perchè la maggior parte delle anime caden­do più o meno spesso in peccato mortale, si rendono degne dell'Inferno. Eppure per una misericordia gra­tuita del Signore anche molte di queste si salvano, perchè dopo una vita tiepida e negligente, dopo una serie di cadute e di ricadute nel peccato, pu­rificate da un'ultima confessione ben fatta, sono salve dalle pene eterne. Resterà loro, è vero, una più o meno lunga e dura pena da scontare in Pur­gatorio, ma potrebbero forse lamentarsene se consi­derassero quante volte abbiano coi loro peccati meritato l'Inferno? Che dire poi di coloro che si salvano con un atto di perfetta contrizione concepita nei mo­menti dell'agonia? Queste anime che hanno forse passato tutta la lor vita nel peccato, accumulando confessioni nulle a comunioni sacrileghe, e intorno alle quali il demonio andava già tripudiando creden­dole sua preda, in virtù d'una grazia tutta gratuita e assai immeritata, s'illuminano ad un tratto, e sulla soglia dell'eternità e in mezzo agli spasimi dell'ago­nia mandando un grido supremo di pentimento, in­nalzando al cielo un atto di perfetta contrizione, si trovano perdonate e salve, e invece dell'Inferno che meritavano, non soffrono che le espiazioni temporanee del Purgatorio. Oh misteri della misericordia e del­l'amore di Dio! - Il P. Ravignan era di parere che a' di nostri, nei quali pure tante anime ingolfate nei pregiudizi si tengono lontane da ogni pratica di reli­gione, molte se ne salvino per intervento diretto della divina misericordia, la quale non di rado agisce su loro negli ultimi momenti di vita. È vero che in que­sto caso lo spirito deve purificarsi dalle sue colpe con un lungo e duro Purgatorio, ma che importa quando l'eternità e assicurata? Anche se i supplizi di quelle anime venissero prolungati fino alla fine dei secoli, credete voi che se ne lamenterebbero? Niente affatto; che anzi nel momento in cui presentatesi al divin Giu­dice ascoltano la loro sentenza, gioiscono esse in cuor loro sapendosi condannate alle temporanee espiazioni di quel carcere, non altrimenti che il condannato a morte, il quale venisse a sapere essergli stata commutata la pena del capo in pochi anni di prigionia.
In secondo luogo la misericordia divina si manife­sta laggiù anche nell'applicazione della pena. Infatti per quanto terribili sieno i supplizi del Purgatorio, bisogna. convenire che son sempre molto inferiori a quello che merita il peccato. - Ogni offesa fatta a Dio, per quanto sia leggera, essendo stata fatta verso una Maestà infinita, importa un'espiazione infinita. Quando si considera il peccato sotto questo rapporto, bisogna persuadersi che la misericordia di Dio regna perfino nell'Inferno, come dice S. Caterina da Geno­va, perchè mentre il peccatore morto in disgrazia di Dio meriterebbe pena infinita quanto all'intensità e quanto alla durata, Iddio nella sua bontà ha voluto renderla infinita solo quanto al tempo, mentre riguar­do all'intensità vi ha voluto porre un limite. Se la sola giustizia avesse avuto più severo corso, avrebbe richiesto certamente maggior pena! Altrettanto e con più ragione è delle anime purganti, le quali relativa­mente ai falli commessi in vita, soffrono molto meno di quel che in realtà meriterebbero.


In terzo luogo la misericordia divina si manifesta laggiù allorchè Iddio abbrevia la durata della pena di ­qualche anima senza ledere i diritti della sua eterna giustizia, ed ecco come. - In confronto all'eternità il tempo è un nulla, ma considerato in se stesso non è altro che una relazione di atti intimamente concatenati fra loro. Ora moltiplicando gli atti dell'anima Iddio può in un istante dare a questa la sensazione di più secoli, come verosimilmente accadrà a coloro che mor­ranno negli ultimi giorni del mondo, e che dovranno espiare in pochi minuti tutte le colpe della loro vita. Egli è vero che tutte le sensazioni dolorose accumu­late in sì piccolo spazio di tempo fanno crescere l'in­tensità del castigo ìn una proporzione spaventosa, ma quantunque la giustizia eserciti in ciò i suoi pieni diritti, la misericordia non cessa di guadagnarvi, perchè così l'anima viene messa più sollecitamente in posses­so della gloria divina. Secondo le rivelazioni da noi già citate e molte altre ancora, pare che simili abbreviazionì di pena siano concesse specialmente alle ani­me divote di Maria santissima; ed è così che si spie­gherebbero i famosi privilegi della Bolla Sabatina di cui parleremo quando dovremo trattare delle indul­genze.
In quarto luogo la misericordia si manifesta nel Purgatorio allorchè Iddio permette ad un'anima di uscirne temporaneamente per far conoscere il suo stato ai viventi e implorarne suffragi. Da che esiste il Purgatorio migliaia di anime hanno visto in tal modo ab­breviare le loro pene, ed è certo gran segno di mise­ricordia il sospendere che Dio fa le leggi della natura permettendo al defunto di venire a raccomandarsi agli amici lasciati su questa terra. Iddio non fa nè sempre né per tutte le anime questa grazia, ma si può dire tuttavia che le apparizioni su questa terra di poche di esse giovano a tutte le altre, perchè rianimando la fede nel Purgatorio fanno sì che i fedeli si risveglino dalla loro apatìa e dal loro egoismo ed implorino la rugiada della divina misericordia su quelle anime pe­nanti.

Giustizia divina

Volendo ora dire qualche cosa sulla giustizia che Dio esercita in Purgatorio, non ripeteremo qui ciò che già dicemmo circa la severità di essa, ma studieremo solo una quistione di non lieve importanza che ci si pre­senta, e cioè se Iddio si tenga obbligato per giustizia ad applicare ad un dato defunto i suffragi che per lui vengono fatti dai viventi. I teologi sono discordi su questo punto, e i dottori scolastici inclinano a credere che Iddio si sia in ciò riservato la più gran libertà. Quel che è certo si è che - almeno quanto alle in­dulgenze - i Sommi Pontefici e la Chiesa, non eser­citando più alcuna giurisdizione sulle anime del Pur­gatorio, non possono essere ad esse applicate per mo­do d'assoluzione come ai vivi, ma solo per modo impetratorio, che è quanto dire che la Chiesa invece di rimettere direttamente quella tale o tal altra parte di pena dovuta al peccato, si limita a pregare Iddio onde accetti quell'indulgenza e l'applichi egli stesso nella proporzione che meglio conviene alla sua giu­stizia.
D'altra parte i teologi mistici inclinando verso l'op­posto parere, insegnano che tutti i suffragi che si fan­no a favore di un dato defunto, vengono a questo da Dio applicati. Pare infatti conveniente che Iddio ten­ga conto dell'intenzione particolare di quelli che lo pregano, eccetto che ragioni speciali di giustizia non glielo vietino. Se di tali ragioni ve ne siano spesso, è cosa molto ardua a sapersi. Santa Francesca Romana dice che le preghiere e le buone opere che si fanno in questa vita per qualche anima del Purgatorio, sebbe­ne vadano subito a vantaggio di questa, per quel vin­colo però di carità che le unisce tutte; servono anche a giovare le altre: se poi siano offerte per un'anima che è già in possesso della gloria, il merito ritorna a colui che le ha fatte, mentre il frutto si spande allora su tutto il Purgatorio.
D'altra parte in molte rivelazioni di Santi vediamo che la giustizia di Dio ha negato talvolta di applicare i suffragi a vantaggio di talune anime per le quali si pregava.

Dalla Santa M. Alacoque abbiamo veduto raccon­tare di quel nobile personaggio, già da noi menzio­nato, il quale avendo commesso in vita molte ingiu­stizie verso i suoi soggetti, vedeva in Purgatorio che i suffragi fatti per lui venivano applicati dalla divi­na giustizia a vantaggio di quelli che egli vivendo aveva oppressi e danneggiati. Bisogna quindi con­cludere che Iddio in tal maniera si riserva la più ampia libertà, e che spesso, e fors'anche sempre, l'a­nima per la quale noi preghiamo non è sollevata dalle sue pene in quella misura che si crede, altrimenti ba­sterebbe guadagnare un'indulgenza plenaria in favore d'un'anima del Purgatorio, o di celebrare in suo suf­fragio una Messa ad un altare privilegiato, per esser sicuri della sua liberazione, il che è in aperta contrari­dizione con quanto suol praticare la Chiesa e con quel che ci dicono i Santi nelle loro rivelazioni. Non dob­bìamo mai adunque rassicurarci troppo sulla sorte dei nostri cari defunti, ma pregare e pregar molto per loro, poichè senza una speciale rivelazione non po­tremo mai esser sicuri che essi non abbisognino piú dei nostri aiuti.
E. qui sorge spontanea la dornanda, che cosa faccia Iddio di quell'eccedenza di suffragi ch'egli rifiuta di applicare al defunto, al quale individualmente erano diretti. A noi pare probabilissimo ed in tutto confor­me alle leggi della giustizia distributiva, che queste preghiere non vadano perdute, ma che siano applicate ad altre anime che a Dio meglio piace di sollevare. S. Caterina da Genova così si esprime a tal proposi­to: - « Quando le persone del mondo offrono a Dio preghiere ed elemosine per diminuire le pene delle anime del Purgatorio, queste anime hanno facoltà di distogliere il loro sguardo dall'oggetto divino che di continuo contemplano, per posarlo su questi atti di carità, ma li veggono solo nella bilancia della divina volontà, lasciando che Dio sovranamente disponga di tutto, affinchè i suoi diritti siano soddisfatti nel modo che più piaccia alla sua infinita bontà. Queste anime poi hanno ben ragione di rimettersi interamente alla bontà di Dio, perchè ne' suoi rapporti con loro non domina la giustizia, ma bensì l'amore. E come non dovrebbe amarle egli che vede in esse le conquiste della sua passione e morte, le future abitatrici del cie­lo? Egli desidera la fine delle loro pene, e se la giu­stizia da un lato gli vincola le mani, dall'altro invita noi a soccorrerlo nelle sue membra sofferenti; Tibi derelictus est pauper, orphano tu eris adjutor! (Ps. 9, 34). Queste parole del Salmo si applicano molto bene a quelle anime. Iddio non può far nulla per trarle dalla miseria nella quale sono piombate, e quindi con­fida a noi la cura di aiutarle; sono esse orfane pel momento, e perciò c'invita ad averne cura ». 

- Nostro Signore apparendo un giorno a S. Geltrude, le disse: - Tutte le volte che liberi un'anima dal Purgatorio fai un atto a me sì gradito, che più non lo sarebbe se riscattassi me stesso dalla cattività. - Spesso nostro Signore si è perfino abbassato ad implorare dall'uomo suffragi per le sue care anime del Purgatorio. Potrem­mo citare molti di questi esempi, ma ci limiteremo solo al seguente che è raccontato da S. Teresa nel suo libro delle fondazioni (capo 10).
«Nel giorno dei morti l'illustre Don Bernardino di Mendoza mi fece dono di una casa e di un bel giar­dino situato in Valladolid, perchè vi fondassi un mo­nastero in onore della SS. Vergine. Due mesi dopo, questo gentiluomo caduto improvvisamente malato perdette la parola, e quantunque con segni esteriori mostrasse il desiderio di volersi confessare e la viva contrizione che aveva dei suoi peccati, tuttavia non potè farlo. Morì egli, e sebbene allora io mi trovassi lontana dalla sua città, il Signore mi fece conoscere che Don Bernardino di Mendoza era salvo, ma che aveva però corso molto pericolo di dannarsi se la mi­sericordia di Dio non si fosse esercitata sopra di lui in considerazione dei doni fatti al convento della Ver­gine SS. da me fondato; nondimeno l'anima sua non sarebbe potuta uscire dal Purgatorio prima che venis­se celebrata nella nuova casa la prima Messa. A tal notizia rimasi tanto commossa che quantunque desi­derassi di affrettare più che fosse possibile l'altra fon­dazione del convento di Toledo, partii immediatamen­te per Valladolid per sollecitarvi il compimento dell'e­dificio del convento. Un giorno mentre stavo a Medina del Campo pregando in una chiesa, nostro Signore mi disse che cercassi di affrettare l'apertura del convento di Valladolid, perchè l'anima di Mendoza era in preda ai più atroci tormenti. Me ne partii all'istante sebbene non fossi affatto preparata al viaggio, ed arrivata a Valladolid il giorno della festa di S. Lorenzo, chiamai immediatamente gli operai ed imposi loro di terminare nel più breve tempo i muri del chiostro; e siccome questo lavoro richiedeva anco­ra qualche settimana, pregai il Vescovo di permetter­mi l'erezione di una cappella provvisoria per uso delle suore che mi avevano colà accompagnata; il che aven­do ottenuto, appena compiuta la cappella, vi feci su­bito celebrar la Messa, e con mia gran gioia e sor­presa, mentre mi mossi per andare all'altare a ricevere la S. Comunione, vidi l'anima del nostro benefattore, il quale a mani giunte e col viso splendente, ringra­ziandomi di quanto io aveva fatto per liberarlo dal Purgatorio, se ne saliva al cielo ».

Da ciò si può argomentare con quanta bontà ed amore Iddio s'interessi delle povere anime del Purga­torio. Queste amorose premure di colui che un giorno sarà nostro giudice ci spronino a pregar molto per quelle care sofferenti, affinchè con questo mezzo ci si prepari un giudizio favorevole quando verrà l'ora su­prema in cui dovremo comparire al tribunale di Dio e sperimentar forse i rigori della sua giustizia, poiché allora saranno felici i misericordiosi, perché sarà loro usata misericordia: Beati misericordes, quoniam ipsi misericordiam consequentur (Matth., 5, 7).

CAPITOLO XI
CHIESA TRIONFANTE E CHIESA PURGANTE


Assistenza degli Angeli
Bello e ammirando spettacolo è quello della comunione dei Santi, in forza della quale la Chiesa catto­lica non rimane limitata sulla terra, ma ha confini sterminati ed immensi, e invece dei tanti milioni di anime sparse sulla superficie del globo conta milio­ni e miliardi di generazioni, poichè tutti coloro che dal principio del mondo fino ad oggi sono morti in essa comunione e nell'esercizio della carità, sono abi­tatori di questa immensa regione, o siano in cielo glo­riosi, o penanti in Purgatorio, o viatori su questa ter­ra. Tutte queste anime formano una sola e grande famiglia, nella quale tutto è posto in fraterna comu­nanza, le gioie e le pene, i trionfi de' Santi, le soffe­renze. del Purgatorio, le prove dei mortali; e mentre noi in mezzo alle amarezze della vita ci rallegriamo: della gloria dei beati e compatiamo le anime purganti, da parte loro i Santi che ci han preceduto nel sog­giorno della felicità si commuovono al pensiero dei pe­ricoli fra i quali viviamo, e quando dall'alto dei cieli abbassano i loro sguardi sulle desolate regioni del Purgatorio mirano laggiù con dolore altri fratelli la cui eterna beatitudine, sebbene assicurata, è però pre­ceduta da indicibili patimenti. Le anime poi del Pur­gatorio partecipano esse pure a queste gioie della co­munione fraterna, e come si sentono penetrate dalla più viva riconoscenza per i loro benefattori di questa terra, così quando in mezzo alle fiamme che le tor­mentano sollevano gli occhi verso quelle sedi beate che le attendono, vedendo altri che più fortunati e più fedeli di loro sono già in possesso della gloria si ria­nimano di speranza, perchè sanno d'avere lassù pres­so Dio intercessori ed amici. Questi rapporti così in­timi e dolci che la comunione dei Santi stabilisce fra le anime del Purgatorio e gli abitatori del cielo e della terra, formeranno argomento delle nostre considera­zioni.
Innanzi tutto parliamo degli angeli, i quali sebbene non siano come i Santi in comunione propriamente detta colle anime del Purgatorio, hanno tuttavia con loro frequentissime relazioni. Infatti, dice il P. Faber, le anime purganti sono destinate a riempire nei cori angelici il vuoto spaventevole prodotto dalla caduta di Lucifero e de' suoi compagni. Oltre di che un gran numero di angeli hanno nel Purgatorio interessi spe­ciali, poichè migliaia e milioni di quelle anime essen­do state affidate da Dio alla loro tutela, considerano la loro missione non ancora compiuta, finchè non le abbiano condotte alla celeste Gerusalemme. Intieri cori di angeli hanno poi interesse per altre anime, sia perchè queste debbono finalmente riunirsi a loro, sia perchè ebbero per essi una divozione particolare (Tutto per Gesù, capo 9).

La liturgia della festa dell'Arcangelo S. Michele ci dice che Egli è stato destinato da Dio a ricevere le ani­me quand'escono di vita per condurle al cielo. Ar­changele Micheel, constitui te principem super omnes animas suscipiendas (3° At. De Laud.). Cui tradidit Deus animas Sanctorum, ut perducat eas in paradi­summ exultationis (5° Respons. rnatut,). Perciò S. Mi­chele è come il principe di quel regno del dolore, e siccome ha grande compassione di quelle anime, in­tercede di continuo per loro: Cujus aratio perducit ad legna coelorum (4° Respons. matutin.).

Quanto poi all'interesse che i santi angeli custodi prendono per quelle anime che furori da loro protette in vita, santa Francesca Romana che ha ricevuto a tal proposito molti lumi utilissimi, dice così: «Quando un uomo muore, il suo angelo custode a seconda del merito conduce l'anima nella regione inferiore del Purgatorio, e si pone alla destra di lei, mentre il de­monio le si colloca alla sinistra. L'angelo presenta a Dio le preghiere che vengono innalzate a lui per quel­l'anuria e ne intercede l'abbreviazione della pena, mentre il demonio per ordine di Lucifero è tormentato in modo tutto speciale in punizione di non aver sa­puto condurre quell'anima all'Inferno. Uno poi dei più grandi patimenti di questa è di aver sempre sot­t'occhio l'orribile vista dello spirito malvagio e di sen­tirsi da lui rinfacciare le colpe commesse e la debolez­za avuta nel porgere ascolto alle sue tentazioni. Ter­minato il tempo della espiazione nel Purgatorio inferiore, l'anima risale alla regione media, e allora il demonio la lascia per ritornare fra i suoi pari, i quali lo rimproverano aspramente della sua negligenza e imperizia » (Vita sanctae Franciscae apud Boll. Mart.).
Da ciò si vede che cosa questa Santa pensasse so­pra la questione tanto agitata dai teologi, se cioè i demoni abbiano potere di tormentare le anime del Pur­gatorio e di esercitare sopra di loro violenze dirette essa opina che quelle anime nulla abbiano a soffrire dai malvagi spiriti, tranne le rampogne e le ingiurie di cui abbiamo parlato, non essendo a questi permes­so di tormentarle materialmente in Purgatorio, men­tre invece gli angeli custodi scendono in quel baratro per visitare e consolare le loro protette, e incapaci co­me sono di meritare da per se stessi, e non potendo quindi come noi soddisfare i debiti di quelle meschi­ne, le visitano, le consolano e fanno loro da interme­diari fra il cielo e la terra. Nella lunga visita che santa Maria Maddalena de' Pazzi fece in Purgatorio, allor­chè arrivò alla prigione di coloro che peccarono per ignoranza o per debolezza, vide star loro vicini gli angeli custodi a consolarli. Altrettanto accadde a san­ta Maria M. Alacoque, la quale in una delle malattie straordinarie che la tormentarono ebbe un giorno la visita del suo angelo custode, il quale invitatala a re­carsi con lui in Purgatorio, la condusse in un luogo vastissimo, tutto pieno di fiamme e di carboni ardenti, nel quale le fece vedere una gran quantità di anime sotto forma umana sollevanti in alto le braccia per implorare misericordia, mentre avevano accanto i loro angeli custodi che le consolavano con parole affettuo­sissime.
Queste rivelazioni sono in pieno accordo con gl'in­segnamenti della teologia e con quelli della maggior parte dei dottori, i quali affermano che tali angeli cu­stodi introducono le anime nel Purgatorio e le metto­no in comunicazione con noi ispirandoci di pregare per esse e facendo poi loro conoscere chi caritatevol­mente le suffragò; e quando è finito il tempo dell'e­spiazione, le conducono al cielo e vengono talvolta ad annunziare a noi la loro liberazione. Le stesse cose attestano molte rivelazioni e vite dei Santi, di modo che non è a dubitare che questi angeli benedetti stano gl'intermediari naturali fra il Purgatorio e la terra. - Ma oltre a ciò vi sono gli angeli che fanno da in­termediari fra il cielo e il Purgatorio. Vedemmo già com'ersi offrono a Dio i suffragi che da noi si fanno pei defunti, e come apportano a questi i sollievi che Iddio misericordiosamente loro concede. Ogni volta poi che nostro Signore o la Vergine santissima si de­gnano di scendere in quel luogo di pena, sono accom­pagnati dagli angeli, i quali col loro splendore e colla loro presenza recano non poco sollievo a quelle ani­me. E non è a meravigliarsi di ciò, se si pensi che queste sono destinate a far parte un giorno dei cori angelici e cantare insieme con essi le lodi del Signo­re. D'altro lato se mentre quelle anime erano viatrici sulla terra gli angeli non isdegnarono di accompa­gnarle e difenderle di continuo, perchè non dovrà es­sere altrettanto in quel luogo di pena?
Per mostrarci fino a qual punto arriva l'interesse che gli angeli prendono per il Purgatorio, il Rossignoli riferisce che nel monastero domenicano di santa Caterina in Napoli, essendovi il pio costume di reci­tare ogni sera innanzi di coricarsi il Vespro de' morti, affinchè prima di dar riposo al corpo si recasse qual­che sollievo a quelle povere anime, ed essendo acca­duto una volta che in seguito ad un lungo lavora so­stenuto nella giornata le suore stanche omettessero questa pia pratica, uno stuolo di angeli discesi dal cielo si pose a recitare nel coro del monastero il solito Ufficio, onde quelle anime non fossero defraudate di quel suffragio.

I Santi e le anime del Purgatorio

Non è da escludere, anzi molte rivelazioni dimo­strano che ai Santi del Paradiso sia concesso di inter­cedere per le anime purganti, specialmente se in vita furono devote di loro. Ciò naturalmente in virtù della Comunione dei Santi, per cui è forte il vincolo che lega i Santi del Cielo alla Chiesa purgante.
I fondatori d'Ordini, conservando sempre per quelli che furono loro figli l'affetto di padri tenerissimi, non mancano delle più amorose cure per ottenerne la libe­razione quando li veggono condannati fra quelle fiam­me. S. Filippo Neri fu visto dopo morte circondato da uno stuolo di religiosi della sua congregazione che erano stati tutti salvati da lui. S. Francesco d'Assisi promise ai suoi frati di scendere in Purgatorio, dopo la loro morte, per liberarli, purchè fossero stati fedeli osservanti della regola, e in ispecie della santa povertà. Nostro Signore stesso lo aveva privilegiato di que­sto dono, e un gran numero di fatti che si leggono nelle Cronache dei Minori ci confermano questa no­tizia.
Un altro prìvilegio che vediamo riservato a non po­chi Santi è quello di poter liberare molte anime nel giorno del loro ingresso in Paradiso, il che ci è atte­stato in modo speciale dal fatto di frate Egidio, uno dei primi dodici discepoli di S. Francesco, il quale nel giorno in cui morì ebbe dal Signore, in compenso delle sue virtù, la grazia di liberare la maggior parte delle anime che si trovavano in quel momento in Pur­gatorio, e portarle con sè in cielo (Vita B. AEgidii apud Boll.). Lo stesso si legge di S. Giovanni di Nivelle, canonico della cattedrale di Liegi nel Belgio; anzi ri­ferisco qui i particolari del fatto perchè mi sembrano importantissimi (Catimpé, Apum, lib. II, c. 3t, n. 5). Un sacro oratore pieno di zelo e carità, mentre un portiamo qui i particolari del fatto perchè ci sembrano da una donna nota pei suoi cattivi costumi, la quale sciogliendosi in lacrime, ad alta voce gridava: - Pa­dre, confessatemi, confessatemi. - Fra lo stupore ge­nerale del popolo il predicatore la esortò a calmarsi e ad attendere la fine della predica; tacque ella infatti, ma dopo pochi istanti ecco tornar di nuovo ad escla­mare: - Abbiate pietà di me disgraziata peccatrice e concedetemi l'assoluzione de' miei enormi peccati.
Impostole nuovamente silenzio, ella sedette, ma poco dopo: esclamò: - Non tardate, Padre mio, ve ne supplico; il dolore de' miei peccati mi dilania ed io me ne muoio. - Ed in così dire cadde stesa sul pavimento e spirò. Il predicatore desolato e pentito per non aver dato ascolto immantinente a quell'infelice, esortò i suoi uditori stupefatti ad unirsi a lui in pre­ghiera per scongiurare la divina misericordia ad aver pietà di quell'anima ed a fargli conoscere in quale stato si trovasse all'altro mondo. Ed avendo egli a tal fine digiunato per tre giorni continui, in capo alla terza notte la defunta gli apparve col volto luminoso e sorridente, dicendogli: - Io sono la peccatrice morta in chiesa, per la quale tu hai pregato e fatto pregare, e me ne vado ora libera dalle pene che mi era meritate per le mie innumerevoli colpe, perché essendo oggi passato di vita il servo di Dio Giovanni Nivelle, canonico di Liegi, il Signore gli ha concesso la grazia di poter liberare dopo morte molte anime del Purgatorio, fra le quali io pure sono stata compresa. - Il predicatore affrettatosi a scrivere a Liegi per as­sicurasi della verità del fatto, seppe dai canonici di quella cattedrale che precisamente in quel giorno, in cui aveva detto la defunta, era spirato il servo di Dio Giovanni di Nivelle.

La protezione della Vergine SS.

Circa la protezione che la santissima Vergine eser­cita su quelle anime, basti dire che ella stessa di­chiarò un giorno a S. Brigida di essere la regina e la madre di tutti coloro che si trovano nel luogo di espia­zione, e che le sue preghiere ne mitigano assai le pene; Molti esempi ci attestano l'efficacia di tal protezione, ma avendone già in vari luoghi citati parecchi, ci limiteremo qui a riferirne due soli.
Leggiamo nelle rivelazioni de' Santi che il sabato, giorno dedicato alla Vergine, è giorno di festa spe­ciale nel Purgatorio, perchè in esso la Madre di mi­sericordia scende in quel carcere penoso a visitare e consolare i suoi servi devoti. In virtù del privilegio della Bolla Sabatina tutti quelli che in vita han por­tato lo scapolare della Vergine e adempiuto certe con­dizioni di cui parleremo in altro luogo, sono liberati dalle fiamme espiatrici il primo sabato dopo la loro morte. Ebbene, la venerabile suor Paola di S. Teresa, religiosa domenicana, racconta che essendo stata in giorno di sabato rapita in estasi e trasportata in Pur­gatorio, fu sorpresa nel vedere questo carcere trasfor­mato in un paradiso di delizie, con una luce sfolgo­rante nel centro in luogo delle folte tenebre che abi­tualmente lo riempiono, e mentre meravigliavasi di tanto spettacolo, vide la Vergine circondata da uno stuolo numeroso di angeli, a ciascuno dei quali ordi­nava di liberare quelle anime che in vita erano state particolarmente devote di lei, e di condurle in cielo.
Ora se tanto accade nei semplici sabati consacrati alla Vergine, che cosa mai avverrà nelle sue feste prin­cipali? Queste sono le vere feste del Purgatorio; prirna e più splendida fra le quali, secondo i pii scrittori, è quella dell'Assunzione di Maria SS.ma al cielo. S. Pier Damiani attesta che ogni anno in questo giorno la Vergine libera migliaia d'anime, e lo prova col rac­conto autentico della seguente visione. - Essendo pio uso del popolo romano a' suoi tempi di visitare le chiese con ceri in mano nella notte della vigilia del­l'Assunta, accadde un anno che una nobil dama, men­tre stava inginocchiata nella basilica di santa Maria in Araceeli sul Campidoglio, con gran sorpresa vide comparirsi innanzi una donna da lei molto conosciuta e morta in quello stesso anno. Volle attenderla alla porta della chiesa per esser chiarita dello strano fatto, ed allorchè la vide uscire, presala per mano e trattala in disparte, le domandò: - Non siete voi forse la mia madrina Marozia che mi tenne al fonte battesimale? - Sì, rispose la defunta, son proprio lei. - E com'è che vi trovate ora fra i vivi, se moriste già da diversi mesi? e che mai vi accadde nell'altra vita? - Fino ad oggi, rispose l'anima, son rimasta immersa in un fuo­co cocentissimo in pena di tanti peccati di vanità da me commessi in gioventù, ma in occasione di questa gran solennità, la Regina del cielo essendo discesa in mezzo alle fiamme del Purgatorio, mi ha liberata in­sieme a molte anime, onde entrassimo in cielo nel gioino stesso della sua Assunzione. Ogni anno la di­vina Signora rinnova questo miracolo di misericordia, e il numero delle anime che ella libera in tal modo è circa quanto quello della popolazione di Roma (in quell'epoca Roma contava quasi duecento mila abi­tanti). In riconoscenza di questa grazia noi ci rechia­mo in questa notte nei santuari a lei consacrati. Che se i vostri occhi vedono me sola, sappiate invece che noi siamo in gran moltitudine. - E vedendo che la dama restava attonita e dubbiosa, soggiunse: - In prova della verità di quanto ho detto vi annunzio che voi stessa morrete di qui ad un anno in questa stessa festa, scorso il qual termine, se non sarete passata di questa vita, ritenete quanto vi ho detto come una illu­sione. - S. Pier Damiani riferisce che la pia dama, dopo un anno passato nell'esercizio di molte virtù per prepararsi degnamente alla morte, caduta malata nel­l'antivigilia dell'Assunta, passò di questa vita nel giorno stesso della festa, come le era stato predetto. - Molti altri scrittori, come Gersone, Teofilo, Rey­naud, Rossignoli, Liguori Faber confermano questa pia credenza, la quale è basata sopra un gran numero di rivelazioni particolari, ed è appunto per questo che in Roma la chiesa di S. Maria in Montorio, dove ri­siede l'arciconfraternita del Suffragio è dedicata alla Assunzione di Maria Vergine.
E così la Chiesa celeste, capitanata dalla sua guarda amorevolmente la purgante, la soccorre, la consola e l'aiuta ad entrare più presto in possesso del­la gloria eterna. Dolce e consolante fraternità delle anime, prerogativa divina della Chiesa cattolica, la quale facendo considerar tutti come membri di una stessa famiglia, o sia che si trovino viatori su questa terra, o sofferenti nel Purgatorio, o coronati nel cielo, li rende figli di uno stesso Padre, bramosi di trovarsi un giorno assisi alla mensa celeste di lui.

CAPITOLO XII
LE ANIME DEL PURGATORIO E LA CHIESA MILITANTE

Le apparizioni dei morti

Considerate le relazioni fra la Chiesa trionfante e le anime del Purgatorio, ci resta da prendere in esame le relazioni che passano fra queste e la Chiesa mili­tante. E prima di tutto ci domandiamo se le anime dei trapassati possano o no manifestarsi ai viventi.
L'anima separata non può manifestarsi ai viventi e parlare con loro, semplicemente perchè non ha nessun potere nella materia corporea. Tuttavia Iddio può per­mettere che, per puro miracolo, le anime dei trapassati si manifestino ai viventi, per un fine utile e principal­mente per manifestare qualche verità (Confr. Tanque­rey : Synopsis Theol. Dogm. Vol. III - De Novissi­mis).
Tralasciamo di fermarci sull'aspetto speculativo del­la questione per passare all'aspetto pratico, afferman­do senz'altro che apparizioni di anime si sono avute, nel corso dei secoli. Abbiamo dalla nostra parte il consenso unanime di tutti i popoli, si hanno fatti an­tichi e recenti scientificamente inoppugnabili, e si hanno le rivelazioni avute dai Santi.
In ordine al nostro lavoro solo queste ultime ci in­teressano, e quindi citiamo senz'altro quanto accadde, in proposito, più di una volta, a S. Tommaso d'Aqui­no, testimone superiore a qualsiasi sospetto. Mentr'egli era lettore di S. Teologia nell'Università di Parigi, vide un giorno comparirsi davanti l'anima di sua sorella morta in quei dì nel convento di Capua dov'era Abbadessa, manifestandogli di soffrire atroce­mente per alcune mancanze commesse contro la rego­la, e raccomandandosi alle preghiere di lui. Il Santo le promise che lo avrebbe fatto; e mantenne la paro­la. Qualche tempo dopo essendo stato inviato a Roma da' suoi superiori, vide apparire di nuovo quell'ani­ma a lui cara non più penante come la prima volta, ma sfolgorante di gloria, la quale ringraziandolo dei suffragi da lui fatti, gli annunziò che questi avevano affrettata la sua liberazione. Il Santo avendo voluto in quell'occasione interrogare la defunta sullo stato di due suoi fratelli morti poco tempo prima, essa gli ri­spose che Arnoldo era già in cielo in un alto grado di gloria, per aver difeso la Chiesa e il Pontefice con­tro le empie aggressioni dell'imperatore Federico, ma che Ludolfo trovavasi ancora in Purgatorio, dove molto soffriva perché niuno pensava a suffragarlo. Soggiunse poi: - A te, mio caro fratello, è prepa­rato un gran bel posto in Paradiso in premio di quan­to hai fatto e lavorato per la Chiesa. Affrettati però di dar l'ultima mano ai tuoi lavori, perchè fra poco do­virai venire a raggiungerci. - Questa predizione non tardò molto a verificarsi. Poiché sappiamo dalla sto­ria che il Santo poco tempo dopo mori. - Un'altra volta lo stesso Santo, stando in orazione nella chiesa di S. Domenico a Napoli, vide venirsi davanti frà Ro­mano, religioso del suo Ordine, che gli era succeduto a Parigi nel posto di lettore di teologia. Il Santo che ne ignorava la morte, credendo che fosse giunto colà dalla Francia, gli domandò notizie della sua salute e i motivi del suo viaggio. Ma quegli sorridendo gli rispose che non si trovava più sulla terra, e che morto improvvisamente, dopo aver passato quindici giorni in Purgatorio, si trovava ora per misericordia di Dio in possesso della gloria celeste, e che veniva per or­dine del Signore ad incoraggiarlo nei suoi lavori. Avendogli allora domandato Tommaso se si trovasse in istato di grazia: - Si, fratel mio, rispose il defun­to, e sappi anzi che le tue opere sono a Dio molto accette. - Incoraggiato da questa nuova, il sommo teologo volle in quell'occasione indagare alcuni mi­steri della scienza sacra ed in particolare quello della visione beatifica, ma il defunto dopo avergli risposto col versetto del Salmo: Sicut audivimus, sic widinvus in civitate Dei nostri, disparve.
Un altro esempio d'epoca più recente, lo troviamo registrato nella vita del ven. Pinzeni, amico intimo di S. Carlo Borromeo e arciprete d'Arona. - Durante la famosa peste che mietè tante vittime nella diocesi di Milano, questo santo arciprete non contento delle immense fatiche sostenute per soccorrere gl'infelici as­saliti dal fiero morbo, arrivò persino a scavare da se stesso le fosse per seppellirvi i cadaveri che il timore e lo sgomento generale lasciava insepolti. Cessata quella calamità, mentre una sera passava vicino al cimitero in compagnia del governatore di Arona, fu al­l'improvviso colpito da una straordinaria visione, ds­servò una lunga fila di morti che uscendo dalle loro tombe s'incamminavano verso la chiesa. Non creden­do ai propri occhi si rivolse al suo compagno, il quale stupefatto, stava anch'egli rimirando lo stesso spetta­colo, ed avuta da lui assicurazione della realtà di quanto accadeva, ed accertato che fossero quelle le vittime della peste che in tal modo volevano far loro comprendere il bisogno che avevano di suffragi, dingendosi subito verso la parrocchia fece suonar le campane, e convocati i parrocchiani, per tutta la notte innalzò al cielo ferventi preghiere per quelle ani­me, facendo la mattina dipoi celebrare in loro suf­fragio una Messa solenne. - Questo fatto del quale furono spettatori personaggi, la cui elevatezza di spirito esclude ogni pericolo di illusione ci sembra più che sufficiente a comprovare la verità di quanto ab­biamo sopra asserito, che manifestazioni di anime si sono avute di fatto.
Ora dovremmo trattare del modo di queste appari­zioni, ed esporre le molte opinioni che si hanno dai dottori a questo proposito. Tratteremmo volentieri questo argomento se ci fosse dato di far della scienza anziché nelle chiacchiere, ma dal momento che ciò non è possibile, passiamo oltre chinandoci dinanzi ai segreti divini, tanto più che la questione è di nessuna importanza pratica. Conosciuto che Iddio può permet­tere alle anime dei trapassati di rivelarsi, siamo in possesso di una verità che ci interessa. Il modo di queste apparizioni, i mezzi di cui può servirsi Iddio, le circostanze intrinseche di queste apparizioni mede­sime, sono cose che non ci interessano affatto.

I morti e lo spiritismo

Mentre invece una cosa dobbiamo chiarire: se si possono evocare le anime dei trapassati mediante lo spiritismo.
Premettiamo che ai dì nostri lo spiritismo ha segna­to enormi regressi e grande luce si è fatta sulle cause naturali dei fenomeni così detti spiritici. « Il Padre Zacchi, il P. Thurston, il Mariatti, il P. De Heredia, il P. Mainage, lo Spesz e in parte il P. Roure e molti altri, tendono a spiegare i fenomeni medianici attraverso la teoria naturalistica. Gli spiriti e i morti, di­cono costoro, non hanno nulla a che fare con lo spi­ritismo. Moltissime delle manifestazioni medianiche sono effetto di forze latenti, sconosciute o ancora poco note alla scienza. Il P. De Heredia, gesuita, prospetta questa interpretazione, perchè è riuscito a riprodurre in condizioni normali, quasi tutti i fenomeni spiritici. Tale dottrina tende oggi a sostituire le altre due (del trucco completo e dell'intervento diabolico). Che se anche non riesce a spiegare tutti ì fenomeni, ha però buon fondamento scientifico ed è comprovata da molte esperienze » (Dott. R. Santilli, Spiritismo, Firenze, 1941, pag. 36).
Tuttavia, siccome siamo tuttora nel campo del mi­stero, alla domanda se siano le anime dei morti che si manifestano nelle sedute spiritiche, rispondiamo di no.
«Fino ad ora - scriveva ai suoi tempi il Prof. Mor­selli - è penoso a dirsi, ma lo spiritismo è stato un vero vampiro dell'umanità sofferente. Nonostante tut­te le sue nobili proposte di elevatezza morale, di soli­darietà, di teofilantropismo, di spiritualismo sociale ed etico ecc., esso non ha fatto che sfruttare il male e comprare o vendere il dolore » (Morselli, Spsicologia e Spiritismo, Torino 1908, vol. I, pag. 114).
Il Prof. Antonelli, dopo aver esposto una lunga serie di fatti spesso immorali, nefandi, empi, blasfe­mi, ridicoli, villani, si domanda se codesti fenomeni si possano mai attribuire alle anime dei trapassati. Lo stato dell'oltre tomba in questo caso non sarebbe mille volte peggiore dello stato di vita, perchè occu­pazione dell'anima, separata dal corpo, sarebbe l'in­ganno, il suggerire cattive dottrine, spingere al male, vessare i viventi, inveire contro la religione, volere un culto religioso satanico? » (Antonelli, Lo spiritismo, Roma 1907, pag. 145). E continua poi l'illustre au­tore: « La ragione inoltre ci persuade, che non pos­sono essere le anime dei morti, che prendono parte a tutte le puerilità ed empietà dello spiritismo; la ra­gione non può ammettere, che esse stiano sempre do­vunque a nostra disposizione, si sottomettano a sod­disfare la nostra curiosità e a produrre fenomeni spi­ritici. La nostra anima sente in sé qualche cosa, che la fa aspirare ad un bene stabile, che non è in questa vita, la nostra mente si agita in cerca di qualche cosa sublime, che appaghi la smania di sapere e la riempia di verità; il nostro cuore è fatto per amare, e nelle rivelazioni degli spiriti non trova che cose abiette, che il ridicolo, che la contradizione, l'empie­tà. Che il nostro spirito, liberato dall'involucro di carne, cui è unito in questo mondo materiale, debba purificarsi in successive vite, negli astri o in altri es­seri, compiendo una metempsicosi più ò meno lunga, e in questo tempo sia condannato al tormento degli altri e dell'altrui depravazione, è un pensiero che si ribella terribile alla nostra mente e al nostro cuore, che scuote e annienta le più belle e consolanti spe­ranze e aspirazioni della nostra coscienza, che ci ren­de migliore il non essere. Il nostro cuore non può contentarsi di un avvenire d'oltre tomba che avvilisce la dignità del nostro spirito, che ci rende cattivi, ma­ligni, pervertitori, che soffoca quanto di più nobile ed elevato vi ha nel nostro essere » (Idem, pag. 147)­
A tutto questo dobbiamo aggiungere, ed è impor­tantissimo, l'insegnamento della Tradizione cattolica, secondo la quale i morti non possono manifestarsi ai viventi, se non in seguito ad uno speciale permesso di Dio, e ciò è un vero miracolo, che non avviene che raramente e per fini nobili. Questo va detto per le anime dei beati, per le anime del Purgatorio e per quelle dei dannati. Che le anime dei beati, come quel­le del Purgatorio, si manifestino in sedute mediani­che, proibite dalla Chiesa; nelle quali si bestemmia Iddio, si oltraggia la verità e il pudore, si offendono i presenti, è cosa che in nessun modo possiamo am­mettere. Abbiamo veduto nei precedenti capitoli le apparizioni delle anime del Purgatorio e le circostan­ze che l'accompagnano, abbiamo passato in esame molte rivelazioni, che ci interessavano, ma non abbiamo trovato nulla che rassomigli, sia pur lontanamen­te, a quanto accade nelle tornate spiritiche.
E neanche possiamo concedere che siano i dannati a rispondere alle richieste dei mediums. Le vite dei Santi registrano veramente apparizioni di anime dan­nate: basta leggere la vita di S. Teresa, di S. Fran­cesca Romana, di S. Antonio, del venerabile Nicola de la Roche, di S. Bruno, fondatore dei Certosini. Quest'ultimo si convertì proprio in seguito all'appa­rizione di un dannato, mentre nella chiesa gli si fa­cevano le esequie. E sono caratterizzate, queste appa­rizioni, da fiamme, da tumulti, da bestemmie, da voci di terrore, da espressioni di odio e di vendetta. Tut­tavia dai dati che possediamo dobbiamo rilevare che Iddio le permette assai di rado e soltanto per fini su­periori, come son quelli di istruire, di correggere, di ammonire i viventi e di incamminarli, attraverso allo spavento, per la via della conversione.
Avviene spesso - scrive S. Tommaso, appog­giandosi all'autorità di S. Agostino e di S. Giovanni Crisostomo - che i demoni fingono di essere le anime dei morti, per confermare i pagani - e nel caso no­stro i cristiani dimentichi del loro carattere - nei loro errori e guadagnare la loro fede (S. Tommaso, P. r. Quest. 89,- a. 8 ad. a).
Soltanto per un miracolo i morti possono entrare in comunicazione coi vivi. Ora nessuno di noi vorrà am­mettere che Iddio si compiaccia di compiere altret­tanti miracoli quante sono le richieste del più capric­cioso dei mediums.

CAPITOLO XIII
I NOSTRI MORTI CI PROTEGGONO

Gratitudine
Essendo la gratitudine la virtù degli spiriti nobili, le anime del Purgatorio che sono sante, predestinate e future cittadine del ciclo, non possono non sentirla in grado sublime. Qualunque siano state le loro di­sposizioni quand'eran vive, dopo che l'eternità si è loro svelata, hanno perfezionato i sentimenti del cuore e, scevre da ogni bassezza terrena, non sanno più di­menticare i loro benefattori. È regola di giustizia che la gratitudine sia in rapporto al dono e al bisogno più o meno grande che se n'ebbe; ora qui trattandosi di un bene sommo, trattandosi di riunire a Dio quelle anime che hanno fame e sete di lui, e a queste di ottenere il possesso del loro Dio, l'ingresso nella cele­ste Gerusalemme; i gaudi di una eternità beata, è ine­stimabile il dono che noi veniamo a far loro, e quindi dalla grandezza di esso possiamo argomentare quanta sia la riconoscenza di quelle infelici verso di noi. Mo­strammo già in altro luogo come le anime purganti conoscendo fin da adesso i loro benefattori, preghino per essi; non staremo quindi a ripetere quanto dicem­mo, e solo convalideremo coi fatti le nostre asserzio­ni. - Leggesi nelle rivelazioni di S. Brigida (lib. IV, cap. 7) che un giorno in una visione ch'ella ebbe del Purgatorio, udì la voce d'un angelo che disceso in quel carcere a consolare le anime, ripeteva queste parole: - Sia benedetto colui che, vivendo ancora sulla terra, soccorre con orazioni e buone opere le anime purganti, poichè la giustizia di Dio esige che senza l'aiuto dei viventi siano queste necessariamente puri­ficate nel fuoco. - Nello stesso tempo dalle profon­dità dell'abisso intese salire un coro di voci suppli­chevoli che dicevano: - O Cristo, giudice giustissi­mo, in nome della tua infinita misericordia non guar­dare ai nostri falli, che sono senza numero, ma ai me­riti infiniti della tua preziosissima passione, ed infon­di, te ne preghiamo, nel cuore del clero sentimenti di vera carità, onde per le sue preghiere, mortificazioni, elemosine ed indulgenze applicabili in nostro suffra­gio, siamo soccorse nei nostri estremi bisogni. - Ed altre voci facendo eco a queste supplicazioni diceva­no: - Grazie siano rese a coloro che ci apportano sollievo nelle nostre sventure; la vostra potenza è in­finita, o Signore: renda il centuplo ai nostri benefat­tori, che ci conducono più presto nel soggiorno della vostra luce divina. - Anche alla Madre Francesca del SS. Sacramento vedemmo come apparissero anime per testimoniarle la loro gratitudine ed assicurarla della loro protezione, ed in molte altre rivelazioni da noi citate abbiamo scorto come esse esercitino in alto grado la virtù della riconoscenza.

Favori temporali e spirituali

Vediamo ora più particolarmente come i nostri morti ci proteggano sia nell'ordine temporale, sia nello spirituale. Numerosissimi sarebbero gli esempi che potremmo addurre, ma ci limiteremo solo ad alcuni pochi che ci sono sembrati più incontestabilmente provati.
Nel 1649 un celebre libraio di Colonia, Guglielmo Freyssen, per aver fatto voto di distribuire gratuita­mente cento copie di un libro sulle anime del Purga­torio ebbe salvo un bambino assalito da gravissima malattia, e poco dopo la moglie ch'erasi ridotta in fin di vita (Puteus Delunct. lib. V, art. 9). - A Parigi nell'anno 1817 una povera serva, educata cristianamente nel suo villaggio, aveva il pio costume di far celebrare ogni mese co' suoi tenui risparmi una Messa di requie per le anime del Purgatorio, assistendo per­sonalmente al divin Sacrificio e unendo le sue alle preghiere del sacerdote per meglio ottenere la libera­zione dell'anima che più ne avesse bisogno. Colpita da lunga malattia e licenziata dai padroni non ebbe più denari per soddisfare al suo pio desiderio. Il gior­no in cui potè uscire dall'ospedale non aveva più che venti soldi. Si raccomandò fiduciosamente al Signore, e postasi in giro per trovare servizio, avendo inteso parlare di un'agenzia che s'incaricava di collocare la servitù, là si diresse, allorchè nel passare dinanzi ad una chiesa si ricordò che in quel mese non aveva fatto celebrare la Messa consueta. Ma non possedendo più che venti soldi rimase in forse se doveva privarsene ò no: finalmente vinse in lei la pietà, ed entrata, fece celebrare il santo Sacrificio, al quale assistette con gran fervore, raccomandandosi alla provvidenza di Dio perchè non l'abbandonasse. Uscita indi di chiesa e preoccupata ed afflitta pel suo misero stato, prose­guiva il cammino, quand'ecco farlesi incontro un gio­vane alto, pallido e di nobile aspetto, il quale avvi­cinandosi a lei le dice: - Voi cercate servizio, non è vero? - Sì, mio signore, rispose la donna. - Eb­bene, andate in via tale, numero tale, presso la si­gnora tale, e credo che troverete da collocarvi. - E disparve dileguandosi tra la folla senza lasciar tempo alla povera donna di ringraziarlo. Questa allora si diresse subito nel luogo indicatole, e nel salire le scale vide discendere brontolando una domestica con un involto sotto il braccio. Le domandò se la signora fosse in casa, ma quella rispose brusca­mente che non voleva saperne di nulla, e che se la padrona avesse voluto riceverla avrebbe aperta la por­ta da sè, perchè essa appunto in quel momento aveva lasciato il suo servizio. La nostra domestica si fece allora coraggio e bussò alla porta indicatale dal gio­vane. La venne a ricevere una signora di aspetto no­bile e venerando, alla quale la ragazza espose l'acca­duto. Molte meraviglie fece la signora, non sapendo chi mai avesse potuto dare il suo indirizzo alla ragaz­za, dal momento che soltanto allora aveva cacciato la cameriera, in seguito ad insolenza ed a cattiva con­dotta. E mentre si stupiva di sentire che un giovane, sconosciuto ad ambedue, glie l'avesse in quell'occa­sione diretta, la ragazza, sollevando gli occhi verso un mobile e scorgendovi sopra un ritratto, s'alzò in piedi e disse: - Ecco, o signora, il giovane che mi ha parlato, e per parte del quale io vengo. - A tale assicurazione la gentildonna gettando un grido cadde priva di sensi. Appena ritornata in sè, slanciatasi al collo della povera giovane donna, ed abbracciandola con effusione le disse: - Fin da questo momento io ti considero non già come mia serva, ma come fi­gliuola carissima, poiché è stato mio figlio che perdei da due anni e che senza dubbio deve a te la sua libe­razione. Sii adunque la benvenuta, e resta nella mia casa dove insieme pregheremo sempre per tutti coloro che soffrono prima d'entrare nella patria beata! -
Il P. Magnanti, uno dei più fedeli discepoli di san Filippo, divotissimo delle anime del Purgatorio, fra tanti altri favori straordinari da queste ottenuti ebbe anche quello d'esser liberato dagli assassini mentre ritornava da un pellegrinaggio al Santuario di Lo­reto. Infatti attraversando un folto bosco, incappò nelle mani di questi, e legato ad un albero stava per essere ucciso, quando apparirono sulla sommità della vicina montagna due fanciulli sconosciuti, i quali con alte grida pareva volessero chiamare gli abitanti dei luoghi vicini in soccorso dell'assalito. I briganti che erano in numero di dodici non si sgomentarono per ciò e scaricarono contro i fanciulli le armi, ma questi continuando sempre a gridare s'avanzarono verso il P. Magnanti. A tale vista i malfattori presi da terrore e riconoscendo nel fatto l'intervento divino, si diedero alla fuga. Intanto i due bambini appressatisi al pri­gioniero, lo sciolsero e sparvero quindi all'istante. Il buon Padre rimasto libero ringraziò di cuore, le anime purganti, che con evidente miracolo l'avean così assi­stito in quel frangente, e da quel giorno in poi rad­doppiò le preghiere ed i suffragi a vantaggio di quelle infelici.
Un bravo soldato ebbe a scampare da certa morte per la protezione delle anime del Purgatorio nel modo seguente. Viveva egli in uno di quei periodi disastrosi del medio evo, nei quali la violenza e la discordia dominando sovrane nelle italiche città, spesso si vede­va scorrere in queste il sangue fraterno. In mezzo a quelle lotte però aveva sempre serbato la pietà ed i buoni costumi imparati da fanciullo, e devotissimo delle anime purganti s'era prefisso di non passar mai dinanzi ad un cimitero senza soffermarvisi a pregare. Un giorno essendosi allontanato alquanto dalla città, una turma di nemici gli si scagliò improvvisamente addosso. Datosi allora alla fuga e correndo per la campagna, arrivò ai piedi d'una muraglia, superata la quale si preparava a continuare la corsa, quando s'av­vide di trovarsi nel recinto di un cimitero. Gli venne allora alla mente il pensiero del voto fatto, ed avrebbe voluto inginocchiarsi a pregare, ma un solo istante ch'ei si fosse fermato, sarebbe inevitabilmente perdu­to. Nondimeno fattosi animo si gettò in ginocchio ai piedi della croce ch'era nel mezzo del cimitero, e men­tre recitava il De profundis, sopraggiunsero i nemici, i quali vistolo in quell'atteggiamento e beffandolo co­me pazzo gli si precipitarono addosso per ucciderlo; ma oh prodigio! una turma di soldati sbuca fuori al­
l'improvviso circonda il devoto milite, lo difende valordamente e pone in fuga i suoi nemici. Così quegli rimasto salvo ringraziò le anime sante d'averlo libe­rato da sì imminente pericolo e raddoppiò la sua de­vozione verso di loro (Segala, Triumphus animarum, 3" parte).
Un altro fatto degno di nota è il seguente. Eusebio, duca di Sardegna, vissuto nel secolo XIII, aveva una tenera divozione per le anime del Purgatorio, e non contento di aiutarle con preghiere aveva assegnate le rendite di una delle sue città alla fondazione di pii istituti in suffragio di esse, la qual città veniva perciò chiamata Villadio, ossia città di Dio. Astorgio, re di Sicilia, principe infedele, risolvette d'impadronirsene, ed avendo un esercito di molto superiore a quello del duca di Sardegna non tardò molto ad ottenere quanto desiderava. Alla notizia fatale il pio Eusebio desolato per vedere in tal modo venir meno alle anime pur­ganti tanta sorgente di suffragi, si pose in marcia coi suoi soldati per tentar di riconquistar Villadio, sebbene le sue forze fossero troppo sproporzionate di fronte a quelle del nemico. Mentre però s'inoltrava per la campagna, ecco farglisi incontro una numerosa schiera vestita di bianco e con bianchi stendardi, la quale fermatasi d'un tratto, mandò innanzi gli araldi che gridarono ad alta voce: - Non temete, o fratelli, poichè noi siamo milizie del Re del cielo inviate in vostro soccorso. Chiamate il vostro principe perché venga a colloquio col nostro Duce. - Eusebio allora fattosi innanzi, dopo aver conferito e preso gli ordini del Duce celeste ed unite le schiere a quelle di lui, arrivò sotto le mura della città. Astorgio sgomentato dinanzi a tanto apparato di milizia, abbandonò immediafamente la città senza opporre resistenza veruna. Eusebio volle ringraziare di tanto favore il celeste Comandante, ma questi gli rispose che i suoi soldati erano anime del Purgatorio, liberate mercè i suffragi da lui fatti, che il Signore le aveva inviate per difen­derlo in quel frangente, e che continuasse quindi sem­pre a soccorrerle e fosse sicuro che quante anime li­bererebbe, altrettanti protettori avrebbe nel cielo (Ros­signoli).
Se vediamo le anime del Purgatorio tanto premurose nel soccorrerci nei nostri bisogni temporali, che cosa dovremo dire della sollecitudine con cui ci pro­teggono nell'ordine spirituale? Disgraziatamente, sic­come le necessità dell'anima sono meno visibili di quelle del corpo, ne risulta che molti di questi favori ci passano inosservati; non possiamo negare però che molte buone ispirazioni, molti santi pensieri li dob­biamo alle preghiere di esse. Nell'ora della tentazio­ne, ora terribile in cui soccombendo ci allontaniamo da Dio, in cui la caduta può essere il primo anello di una catena fatale che ci terrà un giorno legati nelle prigioni ardenti dell'Inferno, lo spirito nostro si trova esitante fra la vista del piacere promesso e l'incentivo al peccato; il cielo e la terra sono spettatori di questa lotta, e il divin Salvatore getta sopra di noi uno sguardo di tristezza, mentre il demonio esulta speran­do di guadagnare una preda. È quello un momento supremo che decide della vita o della morte di un'a­nima. Eppure non di rado questa trionfa, e arrivata sull'orlo del precipizio, se ne ritrae riportando una vittoria alla quale possono susseguirne tante altre che valgano a condurla in Paradiso. Ebbene, in quel mo­mento di esitazione spesso dal Purgatorio s'innalza a Dio l'umile preghiera di un'anima: De profundis cla­mavi ad te, Domine! la quale facendo scendere dal cielo la sovrabbondanza della grazia, arreca forza e vittoria al combattente. – Oh! quant'è mai ammira­bile il mistero della comunione dei Santi! Quale stu­pendo spettacolo, dice il conte De Maistre, è quello di vedere un'immensa città di anime, coi suoi tre or­dini, continuamente in rapporto fra loro e dove il mondo che combatte porge la mano a quello che sof­fre, ed afferra l'altra del mondo che trionfai. L'eter­nità dei secoli non basterebbe per ammirare quest'a­zione sublime che le anime esercitano scambievolmen­te in forza di sì bel vincolo. Specialmente nell'ora estrema della morte in cui la lotta è più accanita e decisiva, le anime del Purgatorio accorrono in soc­corso dei loro benefattori. Citammo altrove un fatto riportato a questo proposito dal Baronio; qui ne rife­riremo un altro ancor più strepitoso per le circostanze che lo accompagnano. (Segala, Triumphus animar., Il pars, cap. 22, n. I).
Nella Bretagna un fervente cattolico che fra le altre virtù aveva avuto quella di una grande carità verso i defunti, ammalatosi gravemente ricevette i conforti della religione. Il rettore della chiesa vicina, chia­mato per amministrarglieli, trovandosi in quel mo­mento impedito, inviò il suo vicario, il quale dopo aver adempiuto la sua missione, se ne tornava alla parrocchia, quando giunto presso l'attiguo cimitero, si sentì arrestato da una forza invisibile che gli impediva di muovere un sol passo. Guardò egli sgo­mentato intorno a sè, e vide dinanzi ai suoi occhi rinnovarsi un fatto simile alla visione d'Ezechiele; imperocchè la chiesa ch'egli poc'anzi ricordava d'aver lasciato chiusa, aveva le porte spalancate, i ceri arde­vano in fondo al santuario, ed una voce che partiva dall'altare gridava: - Ossa aride, ascoltate la parola del Signore. Sargete, o morti, e venite a pregare pel vostro benefattore or ora spirato. - Nello stesso tem­po un gran fracasso giunse ai suoi orecchi: le ossa s'agitavano in fondo alle tombe e si urtavano le une contro le altre con lugubre cadenza; uscirono indi i defunti dai sepolcri, e dispostisi processionalmente si avviarono al coro, dove seduti sugli stalli incomincia­rono con flebili voci a cantare l'Uffizio dei morti; fi­nito il quale rientrarono nelle loro tombe, i ceri del­l'altare si spensero e tutto cadde nel più profondo si­lenzio. Il vicario tutto tremante e spaventato corse a casa, e raccontato al parroco quanto aveva visto, que­sti rifiutò di credervi ascrivendo tutto ad effetto d'im­maginazione alterata, e soggiunse che almeno biso­gnava assicurarsi se il malato fosse realmente morto. Ma ben presto fu tolto di dubbio, poichè un messo venne ad arrecargli la nuova. Il vicario rimase cosa gommosso da questo fatto, che si ritirò nel monastero di S. Martino in Tours, di cui più tardi fu eletto priore per la vita santissima che vi menava, raccontando poi a tutti colle lacrime agli occhi a particolari di questa prodigiosa storia. - Nella vita poi di motti Santi si legge che al loro letto di morte accorsero anime ormai beate, liberate dal Purgatorio dalle loro preghiere, per condurli all'eterna beatitudine. - Aiutiamo quindi generosamente quelle infelici penanti colle nostre preghiere, con elemosine e con penitenze, ed allora saremo sicuri della loro assistenza efficace in vita ed in punto di morte.

CAPITOLO XIV
DOVERI CHE CI LEGANO AL PURGATORIO
I legati pii
Dopo aver visto quel che le anime del Purgatorio fanno per noi, parleremo in questo capitolo di quello che noi dobbiamo fare per loro. Talvolta, come in se­guito vedremo, è un semplice obbligo di carità quello che ci deve indurre a soccorrerle, talvolta invece sono rigorosi doveri di giustizia, specialmente verso certe anime, quelli che noi dobbiamo compiere, ed è di que­sti che ci accingiamo a trattare.
Non senza motivo l'autore dell'Imitazione di Cristo raccomanda ai fedeli di far molte opere soddisfattorie a vantaggio dell'anima propria durante la vita, senza, fidarsi troppo degli eredi che lascieranno in questo mondo, i quali se sono premurosissimi di entrare in possesso delle nostre sostanze, altrettanto sono gene­ralmente negligenti nell'eseguire le nostre volontà circa, le opere da noi destinate a sollievo dell'anima nostra. E' questo un fatto che esperimentiamo purtroppo giornalmente, quando vediamo famiglie che ereditarono un patrimonio talvolta ricchissimo mer­cariteggiare vergognosamente i pochi suffragi che il defunto si era riservato, ed ove l'insufficienza o l'a­stuzia della legge civile vi si presti, cercare ogni via per far dichiarare nullo il testamento, onde esonerarsi dall'obbligo di eseguire i pii legati lasciati dal defun­to. E' questa - lo sappiano bene le famiglie cristiane - una crudeltà delle più abbominevoli, e coloro che se ne rendono colpevoli verso i poveri defunti sono d'ordinario puniti da Dio con castighi severissimi. Allorchè ci meravigliamo di vedere sostanze vistosis­sime sfumare nelle mani di avidi eredi, riducendosi questi nella miseria, pensiamo che nel giorno in cui tutto ci sarà palese vedremo che la causa di tante ro­vine stava spesso nell'avarizia e nella durezza di cuore avuta da essi trascurando di soddisfare i legati lasciati dal defunto.
Racconta il Rossignoli (Meraviglia del Purgatorio, XXI) che a Milano una fertilissima proprietà essendo stata per intero distrutta dalla grandine, mentre quel­le vicine erano rimaste intatte, nessuno sapeva a che attribuire questo fatto, quando l'apparizione di un'a­nima del Purgatorio fece conoscere ch'era quello un giusto castigo inflitto da Dio a figli sconoscenti e cru­deli che non avevano eseguito la volontà dei defunti genitori. Le storie tutte riboccano di racconti nei quali si parla di case diroccate o rese inabitabili con gran detrimento dei proprietari, di terreni desolati dalla grandine, di bestiame decimato dal contagio, di sven­ture senza numero piombate sopra famiglie fino a ieri felici; e andando ad esaminare bene le cose, noi vi troveremo, non di rado, in fondo qualche obbligo non soddisfatto verso anime del Purgatorio abbandonate e che invano reclamarono i dovuti suffragi. - Specialmente poi nell'altro mondo la giustizia di Dio colpisce severamente i colpevoli detentori delle facoltà dei defunti. Ha detto lo Spirito Santo per bocca di S. Giacomo che un giudizio senza misericordia sarà riserbato a colui che non ha usato misericordia: ju­dicium sine misericordia illi qui non fecit rnisericor­diam (Tac. 2, 13). Qual rigore adunque di giustizia dovrà pesare su quei miserabili che per avarizia han­no lasciato penare le anime dei loro parenti per lungo tempo in Purgatorio, per non aver adempiuto le loro pie volontà?
Un episodio, impressionante e commovente ad un tempo; a proposito di sacrileghi detentori dei beni dei defunti, si legge nella vita di Rabano Mauro, scritta dal Triternio. - Rabano Mauro, che fu prima abate del celebre monastero di Fulda, e più tardi arcivesco­vo di Magonza, ardeva di carità e di zelo pei de­funti. Secondo le costituzioni dell'Ordine di S. Benedetto allorchè un monaco passa all'altra vita, per 30 - giorni continui vien distribuita la sua porzione di cibo ai poveri, in suffragio dell'anima sua. Or accadde che - nell'anno 830, avendo una pestilenza rapito moltissi­mi monaci, fra i quali un superiore, Rabano Mauro, fatto chiamare Edelardo, procuratore del monastero, lo incaricò di far distribuire ai poveri le solite razioni e gli raccomandò di non mancare, poichè Iddio lo avrebbe altrimenti punito severamente. Ma siccome anche nel chiostro trova albergo talvolta l'avarizia, Edelardo contravvenne agli ordini del superiore. Una sera in cui le soverchie faccende lo avevano costretto a vegliare oltre il tempo prescritto dalla regola, nel recarsi alla stanza da letto, attraversando la sala del Capitolo, vide con grande stupore l'Abate, circondato dai monaci, tenere adunanza. Avvicinatosi per accer­tarsi dello strano caso, trovò non già l'Abate vivente, ma il superiore defunto insieme con tutti gli altri mo­naci periti nella pestilenza, due dei quali, scesi dai loro stalli gli si fecero incontro e spogliatolo dei suoi abiti, dietro ordine del superiore lo disciplinarono aspramente, gridando: - Ricevi, o disgraziato, il ca­stigo della tua avarizia; e sappi che questo è nulla a paragone di quel che ti aspetta nell'altra vita. Tu scenderai fra tre giorni nella tomba, e tutti i suffragi che sarebbero dovuti all'anima tua saranno invece ap­plicati a coloro che la tua schifosa avarizia ha privato dei loro. - A mezzanotte quando i monaci scesero in coro per cantare mattutino avendo trovato Edelardo disteso in un lago di sangue e ricoperto di ferite, gli si fecero intorno e con ogni cura lo trasportarono al­l'infermeria; ma egli con voce morente disse: - Affrettatevi a chiamare il mio superiore, poichè ormai ho più bisogno dei rimedi spirituali che di quelli tempo­rali. Queste mie membra lacere e peste non guari­ranno mai più e mi accompagneranno fra breve al se­polcro. - Essendo indi sopraggiunto l'Abate, gli rac­contò in presenza dei confratelli il terribile avveni­mento, confermato dalla verità delle sue ferite, e tre giorni dopo, ricevuti i Sacramenti con viva contrizio­ne e pietà, passò di questa vita. Venne subito cantata la Messa di requie in suo suffragio, nonchè le altre trenta prescritte dalla regola, e per un mese intero fu esattamente distribuita ai poveri la sua porzione; in capo al qual tempo il defunto essendo comparso pal­lido e sfigurato a Rabano Mauro, questi gli chiese se si potesse far per lui qualche bene onde liberarlo da tanto soffrire. Ma quegli rispose: - O mio buon Pa­dre, vi ringrazio delle premure vostre e di quelle dei vostri monaci, ma vi annunzio che tutti i suffragi fatti per me fino ad ora non hanno giovato a liberarmi dalle mie pene, avendoli la divina giustizia applicati a quei miei confratelli che io vivendo privai dei loro. Vi supplico adunque di raddoppiare preghiere ed ele­mosine, affinchè dopo liberati essi, possa anch'io usci­re di questo carcere. - Essendosi allora continuato con più fervore da tutta quella comunità a pregare e a far elemosina per Edelardo, in capo al secondo mese ap­parve di nuovo tutto vestito di bianco e col volto sor­ridente, dicendo che la sua espiazione e quella dei suoi confratelli era compiuta, e che se ne saliva felicemente al cielo.
Ma non basta eseguire le pie volontà dei defunti, è necessario eseguirle prontamente e senza restrizioni.. Alcuni teologi hanno pensato che qualsiasi ritardo nell'esecuzione delle pie volontà dei defunti non do­vrebbe nuocere loro, dato che essi da parte loro hanno fatto tutto il possibile per assicurarsi i suffragi e che quindi non per colpa loro avviene il ritardo. Ma con­tro l'opinione di codesti teologi stanno le apparizioni delle anime, venute a lamentarsi coi vivi della negli­genza posta nel suffragarle. Dirà taluno che in que­sto caso dipenderebbe da noi prolungare il Purgatorio di un povero defunto, senza ch'egli ne abbia alcuna colpa. Così è, rispondiamo, ed appunto in ciò consiste il delitto di quegli avidi eredi che differiscono all'in­finito l'esecuzione dei pii legati: e questo è tanto più, vero in quanto che molte volte, i legati dal defunto stabiliti per l'anima sua non sono altro che restituzioni da lui dovute. La famiglia che lo ignora o vuole ignorarlo, ama meglio parlare di captazioni o di avi­dità clericali, e sotto tali pretesti fare annullare il te­stamento, mentre spessissimo si tratta di strette resti­tuzioni. Supponiamo che il moribondo abbia commes­so delle ingiustizie - cosa che accade ben di frequente anche fra le persone che agli occhi del mondo passano per onestissime - e che prima di comparire dinanzi a Dio, volendo riparare al mal fatto, e non volendo svelare ai figli o ai parenti il suo triste segreto, copra la sua restituzione coll'apparenza di un legato pio; che cosa avverrà di quell'anima se questo legato non sarà soddisfatto? Dovrà essere trattenuta per lunghis­simo tempo nel Purgatorio? Sarebbe cosa ben dura, è vero, ma moltissime anime apparse ci fan fede di questo fatto, assicurandoci che finchè la giustizia di Dio è lesa, non possono essere ammesse all'eterna beatitudine. D'altra parte essendo esse pure colpevoli di tanto ritardo nel soddisfare i debiti verso i loro cre­ditori, ai quali avrebbero dovuto far restituzione in vita, senza aspettare il momento in cui non rimarrebbe loro più tempo di farlo da sè, è giusto che talvolta Iddio si serva di queste nostre dimenticanze per pu­nirle adeguatamente. Se esse infatti soffrono, il povero prossimo offeso e pregiudicato da loro non ha sofferto e non soffre forse egli pure? Res clamat domino, e finchè la restituzione non sia compiuta, questo grido di lesa giustizia ripercuoterà sempre all'orecchio di quelle anime. Ci par dunque più sicuro attenersi al­l'assioma teologico, che cioè senza restituzione non vi è Paradiso.


Doveri verso i genitori e verso i figli

Dovere gravissimo è quello di suffragare i propri genitori. S. Elisabetta d'Ungheria, quando morì sua madre Geltrude, quantunque avesse fatte per lei lar­ghissime elemosine, mortificazioni e preghiere, se la vide una notte comparire col volto triste e smunto, e postasele ginocchioni dinanzi tutta piangente, dirle: - Figlia mia, figlia mia, ecco a' tuoi piedi la madre tua oppressa dal dolore: abbi compassione di lei. Io ti supplico di moltiplicare i tuoi suffragi onde la mi­sericordia divina mi liberi dagli spaventosi tormenti che soffro. Ahimè! quanto sono da compiangere co­loro che esercitano autorità sugli altri! Io sto ora du­ramente espiando i falli commessi quand'ero sul tro­no. In nome delle angoscie e dei dolori fra i quali ti ho messa al mondo, in nome delle veglie e delle fati­che sostenute per la tua educazione, ti scongiuro a fare il possibile per liberarmi da tanti tormenti! - S. Eli­sabetta, appena cessata la visione, si pose a pregare, a piangere e a flagellarsi così aspramente, che il suo corpo sfinito cadde in letargo, e mentre stava così so­pita, ecco comparirle riuovamente la madre vestita di bianco e col volto raggiante d'allegrezza, annunzian­dole che le preghiere da lei fatte in quel breve tempo le avevano schiuso le porte del cielo (Surio, 19 Nov., Vita S. Elisab.).
A S. Margherita da Cortona, che fu parimente generosissima verso i suoi genitori nell'offrire preghiere e mortificazioni, fu da Dio rivelato che il tempo della espiazione di essi era stato considerevolmente abbre­viato. - La venerabile Caterina Paluzzi quando per­dette il genitore passò otto intieri giorni in preghiere e macerazioni d'ogni sorta, in capo ai quali avendo fatto celebrare un servizio funebre e gran numero di Messe, rapita in estasi, fu dal divin Salvatore in com­pagnia di S. Caterina da Siena condotta in Purgato­rio, dove intese la voce lamentevole di suo padre, che tra mezzo alle fiamme la scongiurava ad aver pietà di lui e ad affrettare la sua liberazione. Presa da indici­bile angoscia, la Santa si volse a nostro Signore, e lo scongiurò ad aver misericordia di quell'anima, pre­gando anche S. Caterina ad intercedere per lei; ma ebbe in risposta che la giustizia doveva avere il suo corso. Allora ella s'offrì nella sua ammírabile carità a subire nel proprio corpo quel che restava ad espiarsi dal padre, e il Salvatore la esaudì, poichè l'anima dei padre volò dopo pochi istanti al cielo, mentre da quel momento in poi la vita di Caterina non fu altro che un lungo e continuato martirio (Vedi Diario Domeni­cano, 16 Ott.).
E perciò quando noi desideriamo conoscere la sorte toccata a coloro che abbiamo amato su questa terra, invece di alimentare questa curiosità che dispia­ce a Dio e che non giova per nulla a quelle povere anime faremmo molto meglio a pregare il Signore che le sollevi da quelle pene.
Dionigi Cartusiano racconta che quand'egli perdette il genitore, invece di pregare pel riposo di lui, si lasciò prendere dal desi­derio smodato di conoscere la sorte toccatagli, senza preoccuparsi di suffragarlo. Iddio, volendo riprender­lo di questo difetto, permise che una sera, durante la preghiera, una voce gli dicesse: - Perchè ti lasci ten­tare da tanto vana curiosità? Non sarebbe meglio che tu applicassi il merito delle tue orazioni in suffragio dell'anima del padre tuo, che soffre tra le fiamme del Purgatorio, piuttosto che cercar di sapere dove si tro­vi? - Ammaestrato da questo avviso Dionigi Cartu­siano si pose allora a pregare con fervore pel sollievo di suo padre, e la notte seguente vide, penare atroce­mente il defunto, mentre nel suo dolore gridava: - Ah! figlio mio, perchè mi hai così dimenticato? Abbi pietà del padre tuo, e soccorrimi con le tue preghiere. - Il religioso, tutto confuso per la sua negligenza, si pose a ripararla, e pregò finchè non seppe, per ri­velazione, della liberazione del padre.
Commovente, specialmente per un sacerdote, è quanto ci viene raccontato di Giovanni Rusbrock dai suoi biografi. Tra quanti ammiravano, per la sua sa­pienza, Rusbrock, ancora giovanissimo, si distingue­va la mamma di lui. Egli si era ritirato presso uno zio prete per essere addestrato nelle scienze umane, ma sapratutto nelle divine. « Sua madre, che non sapeva dove egli veramente fosse, lo apprese quando comin­ciò a diffondersi la fama della sua sapienza. Essa andò a Bruxelles, ma quando poté rinascere per via della virtù e della celebrità di suo figlio, non sospirò più per la sua presenza corporale... ». La donna en­trò in un ordine religioso, e dal chiostro continuò ad amare il figlio. Ma morì prima di avere raggiunto la perfezione. Rusbrock allora, nel suo amore filiale, aiutò l'anima di sua madre con preghiere quotidiane, « le quali non erano superflue perchè l'anima della morta ne aveva bisogno. Essa apparve parecchie volte a Rusbrock, domandando con voce lugubre, quanto fosse ancora lontano il giorno in cui egli sarebbe stato ordinato prete. Finalmente tale giorno arrivò. Rus­brock stava terminando la sua prima Messa, quando sua madre gli apparve ad annunziare la propria liberazione » (A. Cervesato, Giovanni Rusbrock, Torino 1936, pag. 32).

Se è stretto obbligo di giustizia pregare per i cari genitori defunti, è altrettanto doveroso per i genitori pregare pel riposo dei figli, dai quali sono stati preceduti nell'eternità. Se si amavano prima, tanto più si devono amare adesso. A che serviranno le lacrime e la disperazione di una madre o di un padre sconso­lato se non siano accompagnate da preghiere e suf­fragi per il figlio defunto? - Racconta Càtimpré che la sua nonna avendo perduto un figlio di grandi spe­ranze, piangeva giorno e notte sconsolatamente, sen­za pensare a pregare per l'anima del defunto che in mezzo alle fiamme del Purgatorio orribilmente soffri­va. Ma Dio avendo avuto pietà di lui, un giorno fece apparire in visione a quella desolata madre uno stuolo di giovani che si avviavano processionalmente verso una magnifica città. Ella guardò attentamente se fra ­essi vi fosse il suo caro figlio, ma ahimè! lo vide venire lontano lontano, solo, affaticato e colle vesti in­zuppate d'acqua. Richiestolo del perchè non prendes­se parte alla festa degli altri, rispose: - Le tue lacri­me, o madre mia, son quelle che ritardarono il mio cammino e macchiano così le mie vesti. Se è vero che mi ami, cessa una volta dal tuo sterile dolore, e sol­leva l'anima mia con preghiere, con' elemosine e con sacrifici. - Sparve la visione, e la pia donna, richia­mata a sentimenti più sublimi, si diè con tutto l'im­pegno ad ottenere la grazia della liberazione di quel­l'anima.


S. Elisabetta regina di Portogallo si mostrò molto più generosa verso sua figlia Costanza, la quale, dopo poco tempo da che erasi sposata al re di Castiglia, le fu da improvviso morbo rapita. Saputa l'infausta no­tizia, Elisabetta recavasi insieme con suo marito a Santarem, quando un eremita, correndo dietro il cor­teo reale, incominciò a gridare che voleva parlare ad Elisabetta. Venutole dinanzi, le raccontò come la re­gina Costanza gli fosse apparsa più volte e gli avesse confidato che era condannata ad un lungo e rigoroso purgatorio, dal quale sarebbe stata liberata in capo ad un anno, se ogni giorno fosse stata celebrata una Messa in suo suffragio. Elisabetta, d'accordo col suo sposo, fece quanto l'eremita aveva detto, e al termine di un anno le apparve Costanza vestita di bianco e raggiante di gloria, annunziandole che in forza delle Messe, da lei fatte celebrare, saliva in cielo, dove avrebbe sempe pregato per i suoi diletti genitori.

Per i sacerdoti defunti

Il dovere di suffragare coloro che maggiormente ci furono cari quaggiù in terra, ci richiama sul dovere che abbiamo di fare altrettanto per coloro che si pre­sero cura della nostra anima, i sacerdoti, i parroci, i direttori spirituali. In molte parrocchie si fanno ogni anno Uffizi e funzioni in suffragio dei Parroci defunti e dei sacerdoti che prestarono servizio in quella de­terminata chiesa: lodevole usanza, che dovrebbe es­sere introdotta in tutte le nostre chiese. Bella occa­sione sarebbe quella per ricordare ai fedeli le respon­sabilità che i sacerdoti, specialmente se addetti alla cura delle anime e alla direzione spirituale, si assumono, dinanzi a Dio, per le anime, e quindi l'obbligo di gratitudine e di giustizia di pregare per loro, una volta passati da questa all'altra vita. Forse le anime dei sacerdoti in Purgatorio sono le più dimenticate! Siano coloro che continuano la loro missione nel mondo, sacerdoti anch'essi, destinati alla medesima sorte, i primi a ricordarli coi loro suffragi, e ad inci­tare i fedeli a suffragarli. Non sarà piccolo il merito che si acquisteranno per quest'opera e grande la ricompensa che ne avranno nell'altra vita.

L'ordine delle nostre preghiere

Finalmente è dovere di giustizia pregare per tutti coloro che in un modo o in un altro si trovano in Purgatorio per causa nostra. Pensiamo che dirado il peccato è commesso nascostamente, e che il più delle volte esercita un'azione malefica su coloro che ne furono complici o testimoni! Ahimè! che gran male apporta lo scandalo! Quanta spaventevole responsabilità ap­porta ad un'anima! Eppure chi è fra di noi che possa dire di non aver mai commesso atto o pronunciata parola che non abbia fornito occasione di caduta a qualcuno de' suoi fratelli, il quale dovrà espiare la sua colpa o in questo mondo o nell'altro? Direte forse che non è sempre facile conoscere quali siano queste anime. Non importa: Dio le conosce, ed è nostro do­vere di avere ogni giorno un ricordo speciale di co­loro che debbono a noi la loro sorte sventurata.
E qui siamo spinti a dire poche parole sull'ordine che dobbiamo tenere nel ripartire i nostri suffragi in favore delle anime purganti, se vogliamo che a cia­scuna sia reso il suo. - In primo luogo, partendo da quell'assioma che nessuno ha diritto di mostrarsi li­berale se non ha prima cominciato dal liberar se stes­so dai suoi debiti, dobbiamo pensare a coloro ai quali siamo legati da obblighi speciali, e quindi per esem­pio, i sacerdoti, da quelli pei quali ricevettero incarico di celebrar Messe; gli eredi, da coloro che li hanno incaricati di soddisfare qualche pio legato. Dobbiamo quindi pensare ai pastori delle anime, ai sommi Pon­tefici, ai Vescovi, ai prelati, ai sacerdoti che ci am­ministrarono i Sacramenti e che furono istrumenti della nostra conversione, nonchè ai nostri parenti, pa­dre, madre, fratelli, sorelle, spose, figli, ed a tutti co­loro dai quali, abbiamo ricevuto educazione o confor­to quando vissero su questa terra. Dobbiamo poi ri­cordarci dei nostri benefattori, dei nostri amici e di tutti quelli che con un titolo qualunque ci hanno fatto del bene; e finalmente dobbiamo formare un'intenzio­ne generale per tutti coloro che si trovano in Purga­torio per cagion nostra, e questo non per devozione o liberalità, ma per stretto obbligo di giustizia.
Ciò facendo avremo reso a ciascuno il suo, avremo soddisfatto ogni nostro debito, ed allora potremo at­tendere fiduciosamente la sentenza che la giustizia di­vina pronunzierà a nostro carico, lieti di quanto è scritto nelle sacre pagine, che cioè le nostre azioni saranno misurate con la stessa misura con cui noi avremo misurata quella degli altri: Eadem mensura remetietu.r vobis (Matth., 7, s).

CAPITOLO XV
CARITA’ E SUFFRAGI
Doveri di carità
Abbiamo esposto i doveri di giustizia che ci legano alle anime del Purgatorio; adesso rimane da parlare dei doveri di carità, i quali devono impegnarci nella nostra crociata non meno dei doveri di giustizia.
In virtù della Comunione dei Santi le anime pur­ganti fanno parte, come noi, della grande famiglia di Cristo, e quindi sono nostri i loro interessi e nostre devono essere le loro pene. Il bisogno che esse hanno di noi è immenso, data la grandezza e la durata delle loro pene; i loro appelli alla nostra carità sono con­tinui, i mezzi a nostra disposizione per aiutarle sono enormi; da qui sorge per noi il dovere di venire in loro soccorso. In questo mondo, dinanzi alle disgrazie dei nostri fratelli tutti ci commoviamo, tutti corria­mo; la nostra sensibilità e la nostra coscienza ci spin­gono a soccorrere perfino i nemici; chi mai perciò po­trà rimanere insensibile dinanzi al martirio di milioni di nostri fratelli, martoriati in Purgatorio da pene im­mani, da fiamme accese dalla giustizia divina? A questo mondo le più atroci sofferenze durano poco, e quanto più sono vive tanto più sono corte: il corpo soccombe presto sotto il dolore e l'anima del martire si sottrae con la morte alla veemenza dei dolori della carne. Ma in Purgatorio si tratta di supplizi che du­rano a lungo, forse più a lungo di quanto comune­mente si crede, e noi non presteremo la nostra opera per abbreviare quelle torture? E si noti che queste anime sventurate che per indolenza omettiamo di suffragare, sono anime sante e predestinate, sono, se an­che noi avremo la sorte dì salire al Cielo, le future compagne della nostra gloria. Eppure esse per ora non possono nulla senza di noi! Noi soli possiamo soccorrerle, e senza sacrificarci gran che, senza esau­rire le nostre forze, senza dar fondo ai nostri averi. In ultimo, quelle anime sono figlie predilette di Dio la giustizia di lui le punisce, mentre la di lui infinita misericordia implora soccorsi per loro. Coi nostri suffragi affretteremo il giorno in cui esse glorificheranno Iddio in Paradiso. Disse il nostro Signore a S. Gel­trude che ogni volta che lìberiamo un'anima dal Pur­gatorio, facciamo cosa così gradita a lui, come se li­berassimo lui stesso dal carcere. Che vogliamo di più per eccitare il nostro zelo? I Santi, che avevano ben compreso queste raccomandazioni uscite dal cuore ar­dente del Salvatore, ebbero tutti viva compassione di quelle povere anime, fino a spingere all'eroismo la lo­ro commiserazione. Il P. Nieremberg della C. di Gesù si offrì come vittima per un'anima che avrebbe dovuto penar lungamente in Purgatorio, e dal momento della sua offerta si sentì oppresso da ogni sorta di pene nel corpo e nell'anima; la sua vita divenne un lungo pur­gatorio e quel martire di carità non trovò altro sollie­vo che nella morte, che lo colpì dopo lunghi anni di indicibili sofferenze.
Soffriamo anche noi in questo mondo, ma le nostre sofferenze son ben lontane dal paragonarsi a quelle delle anime purganti, e forse per questo pensiamo tan­to di rado al Purgatorio e a chi vi pena. Nelle Con­templazioni di S. Margherita Maria Alacoque leggia­mo il fatto seguente.
Vidi in sogno - è la Santa che parla - una reli­giosa che soffriva immensamente e mi pregò di aiu­tarla coi miei suffragi. Destata, non vi badai più tan­to, perchè ai sogni non bisogna credere; ma intanto quell'anima non mi dava pace e non cessava dal pre­garmi che volessi cedere a suo vantaggio tutte le mie opere soddisfattorie. Col permesso della Superiora fi­nalmente le feci detta concessione, ma da quel giorno fui aggravata da tali dolori, che pareva volessero schiacciarmi. Mi ordinarono di coricarmi, ed allora mi vedevo ai fianchi quella religiosa, che così mi di­ceva: - Stai bene tu nel tuo letto, ma io, guarda! - E vidi un orribile letto, che solo a pensarci tremo c'erano delle punte aguzze di fuoco, che le entravano nelle carni. - Questo, diceva, per la mia soverchia delicatezza. Mi stracciano il cuore con pettini di ferro infuocati, per aver pensato male del prossimo; la mia lingua è rosa da vermi, poichè ho parlato contro la carità; la mia bocca è piena d'ulceri, perchè ho poco osservato il silenzio! - A questa vista i miei dolori crescevano a dismisura; ma l'anima mi si presentava, e così mi diceva: - A te si pensa!... ma ad allegge­rire i miei mali non pensa alcuno!... - (Riportato da Vitali, Il Mese di Novembre, pag. 140).

Intenzioni speciali
Sul finire del capitolo precedente abbiamo parlato dell'ordine che per giustizia siamo obbligati a tenere nel ripartire i nostri suffragi: qui parleremo di alcune intenzioni che possiamo proporci nel farli. Moltissimi Santi hanno avuto abitudine di pregare a preferenza per le anime abbandonate e che non hanno al mondo chi pensi a loro; abitudine che sarebbe ottima ad ab­bracciarsi specialmente ai nostri giorni in cui essendo molte famiglie irreligiose, indifferenti o scettiche, spessissimo accade che tanti poveri defunti, compiuta la cerimonia dei funerali, non ricevano più soccorsi di preghiere. - Molti hanno l'uso di pregare per quelle anime che essendo giunte alla fine della loro espiazione, un altro solo suffragio può forse farle en­trare in Paradiso, dall'alto del quale ci proteggeranno poi efficacemente presso Dio. - Altri sogliono inte­ressarsi per una data classe di defunti, come per esem­pio pei poveri, che talvolta, in conseguenza della mi­seria delle loro famiglie, sono esposti a restar privi di suffragi dopo morte, come in vita furono spesso privi di pane. - Santa Maria Denize, monaca della Visi­tazione, e che al secolo era appartenuta ad una delle più nobili famiglie della Francia, aveva invece abitu­dine di pregare specialmente pei ricchi e pei grandi della terra, in considerazione che essi sono esposti ad un cumulo immenso di debiti spirituali che contrag­gono nella loro vita, tutta fatta per affascinare il senso e fomentare la concupiscenza. - Altri sì sentono tra­sportati a pregare pei sacerdoti, pei religiosi o reli­giose, ecc., altri per quelle anime che praticarono in vita le divozioni particolari che praticano essi, come S. Maria Maddalena de' Pazzi, che pregava partico­larmente pei divoti del SS. Sacramento, e S. Marghe­rita M. Alacoque pei devoti del S. Cuore. Molte ani­me buone hanno poi un'affezione speciale verso le anime che furono divote della beata Vergine, o di San Giuseppe, o del Santo del loro nome, o degli Angeli custodi. Finalmente nella vita di un san'tuomo abbia­mo trovato notata un'altra divozione che ci sembra molto efficace per l'emenda dei nostri difetti, quella cioè di pregare per le anime che soffrono in espiazione dei falli e difetti che noi pure siamo soliti di commet­tere.
- Tutte queste divozione sono ugualmente buone, e ciascuno può scegliere quella che più gli piaccia l'importante però si è di fare quatche cosa, di non in­golfarsi nella tiepidezza e nella negligenza, di pensare che Dio e la manifestazione della sua gloria hanno molti interessi in quel mondo invisibile, e che se la giustizia c'impone d'interessarci per qualcuna di quel­le anime, la carità fraterna e la comunione dei Santi, che formano di noi una sola famiglia, ci obbligano non meno severamente a non restare indifferenti alle pene di ciascuna e singola anima. Voglia Iddio che questa massima che qui inculchiamo non sia da noi dimenticata giammai nella pratica!

CAPITOLO XVI
LE NOSTRE POSSIBILITA’

Le nostre opere e il loro valore
Resta ora a vedere più da vicino quali possibilità abbiamo di sollevare le anime purganti dalle loro pene.
Sulla scorta della Teologia affermiamo che le nostre opere buone, finchè viviamo, possono essere merito­rie, impetratorie e soddisfattorie, secondo che ci dan­no diritto ad un nuovo grado di gloria in Paradiso, o muovono Iddio a concederci qualche grazia parti­colare, o valgono a rimetterci una parte più o meno grande della pena che ci rimarrebbe a scontare in que­sto mondo o nell'altro per le nostre colpe passate.
Che ogni opera buona fatta nelle debite condizioni sia meritoria pel cielo, è un punto di fede che il Con­cilio di Trento stabilì contro i protestanti, i quali so­stenevano che tutto il merito consiste nella fede, anche se accompagnata dalle opere. Le promesse evangeli­che sono chiare ed assolute a questo riguardo: sarà ricompensato il buon servo che fu fedele nelle piccole cose, quia super pauca fuisti fidelis (Matth. 25,-23) dice S. Matteo; e in altro luogo ci raccomanda di acca­parrarci per mezzo delle nostre buone opere tesori pel cielo (6, 2o), e ci avverte che nel dì del giudizio gli eletti entreranno in possesso della gloria eterna ap­punto per le loro opere di carità: Io ebbi fame, e voi mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere (Matth. 25, 35). Ed affinchè non avessimo a credere che solo le opere grandi saranno rimunerate, sog­giunge: In verità vi dico: se darete un solo bicchier d'acqua ad un povero in nome mio, ne riceverete ri­compensa (Matth. 10 42). Egli è chiaro quindi che ogni opera buona, per quanto piccola ed indifferente, merita un premio eterno.
Di più quest'opera può essere impetratoria, cioè può valere ad ottenere da Dio questa o quella grazia per noi o per gli altri. Così nella sacra Scrittura vediamo Giuditta e Davide digiunare e distribuire elemosine, la prima per ottenere la buona riuscita della sua ardita intrapresa, il secondo per impetrare la guarigione del figlio avuto da Bersabea. Lo stesso Signor nostro Ge­sù Cristo c'insegna a digiunare per iscacciare certi demoni che solo coll'astinenza si vincono. Questi esempi, ed altri molti che potremmo citare, chiara­mente ci mostrano che le nostre opere buone possono avere, se noi lo vogliamo, anche il valore di preghie­re, ed inclinare Dio, nostro Padre e Signore, ad usarci misericordia.
Finalmente che le nostre opere siano soddisfattorie, è un punto di fede basato pure sulla Scrittura. Le più consolanti opere di pietà, come la preghiera, la co­munione, le elemosine, portano impresso questo carattere soddisfattorio, poichè la corruzione e fiacchezza della nostra natura è tale, che non v'è opera buona per quanto felice e consolante, che non ci costi un poco di sacrificio e spesso anzi moltissimo, sicchè vi si rivela sempre un carattere penitenziale ed espiato­rio. Che se il fervore della carità toglie alle nostre opere il primo carattere e ce le rende facili, esse, non sono perciò meno soddisfattorie, dice S. Tommaso; che anzi, invece di diminuire, questa virtù soddisfat­toria s'aumenta a cagione della carità più perfetta col­la quale noi allora operiamo (In suppl. 3 p., q. 15, art. 2). Ciò posto, qual sarà nelle nostre opere buone la parte che possiamo applicare alle anime purganti?
1° Non possiamo ceder loro il nostro merito, il quale ha un carattere d'inalienabilità assoluta.
2° Quanto al valore impetratorio delle opere buo­ne, i teologi sono comunemente d'accordo nell'affer­mare che si possa applicare a vantaggio delle anime del Purgatorio. Infatti se possiamo coi nostri atti vir­tuosi ottenere grazie e favori celesti ai nostri fratelli viventi, perchè non lo potremo verso i defunti? Se possiamo digiunare per ottenere la guarigione di un malato, perchè non potremo fare altrettanto per otte­nere il sollievo e la liberazione d'un'anima che ci è cara?
3° Tutti convengono poi nell'affermare che noi possiamo cedere a profitto delle anime purganti la parte soddisfattoria delle nostre opere, e precisamente in questo consiste l'offerta di cui si tratta. Quest'of­ferta è un atto di carità purissima, in forza del quale ci priviamo di soddisfare per noi stessi, non potendo, come la ragione c'insegna, pagare colla stessa somma due debiti in una volta.
Nondimeno riteniamo che anche facendo questa ge­nerosa cessione, noi non perdiamo nulla; poichè que­st'atto eroico di carità, accrescendo considerevolmente il merito dell'opera nostra, accresce pure la ricompen­sa a questa riservata; e siccome il più piccolo grado di gloria nel cielo dura eternamente, perciò non avrà proporzione alcuna colle sofferenze del Purgatorio, che per quanto lunghe e dure possano essere, son sempre limitate ad un dato tempo. In secondo luogo, restano a nostro vantaggio le indulgenze della Chie­sa, destinate a pagare i nostri debiti verso la divina giustizia, e quella disposizione caritatevole in cui ci pone questo dono delle nostre opere ai defunti, la quale è attissima a farcene ottenere il merito nella sua integrità. Inoltre le anime che avremo in tal modo suffragate, diremo, quasi a nostre spese, ci assisteran­no e ci proteggeranno in vita ed in morte, e dovremo forse alle loro efficaci preghiere se sfuggiremo all'In­ferno meritato coi nostri peccati. Finalmente Iddio, che non si lascia mai vincere in generosità, ricom­penserà la nostra larghezza concedendoci grazie più abbondanti, che varranno a farci evitare molti peccati e risparmiarci così molti anni di Purgatorio.
Queste considerazioni sono confermate da un'appa­rizione di nostro Signore ad una pia vergine per no­me Geltrude, raccontata da Dionigi Certosino. Que­sta santa fanciulla, che aveva l'abitudine di offrire quotidianamente tutte le buone opere della giornata a vantaggio delle anime del Purgatorio, venuta a morte fu assalita fieramente dal demonio che, facendola di­sperare della sua salvezza, le andava dicendo: Stolta e presuntuosa che fosti nello spogliarti di tanti meriti a vantaggio altrui! Fra breve te ne pentirai quando sarai tormentata dai più orribili supplizi, men­tre io riderò dei tuoi tormenti. Che bisogno avevi tu di prodigare in tal modo i tuoi meriti a vantaggio di chi t'era straniero? Fu l'orgoglio che t'accieca, ma ben caro lo pagherai! - A tali insinuazioni quell'anima pia, gemendo e desolandosi, andava gridando: - Me infelice! me infelice! Fra pochi istanti andrò a ren­der conto a Dio di tutte le mie azioni, senza aver nulla di buono serbato per me! Ohi che tremendo purga­torio mi aspetta senza speranza di sollievo e di con­solazione! - Il Signore però non volendo lasciare in tanta angoscia la sua serva fedele, apparendole pieno di maestà e dolcezza, le disse: - Perché tanto ti af­fliggi, o mia figlia? Sappi che la tua carità mi riuscì così gradita, che io ti condono fin da questo momento tutte le pene che ti erano riservate, e siccome ho pro­messo il centuplo a coloro che obliano se stessi per amore dei loro fratelli, così col centuplo aumenterò la tua ricompensa nel cielo: Sappi poi che tutte le anime da te salvate verranno fra breve ad incontrarti per in­trodurti nella celeste Gerusalemme. - Alla quale con­solante assicurazione la pia vergine sentì dissiparsi ogni tristezza, e, raccontato l'accaduto alle persone che la circondavano, col sorriso de' predestinati sulle labbra andò a ricevere la ricompensa della sua eroica carità.
Le condizioni poi che si richiedono percbè le buo­ne, opere siano applicabili alle anime del Purgatorio, sono le seguenti
1° Bisogna che l'opera buona sia fatta in maniera sopranaturale e senza secondi fini, poichè allora sol­tanto Iddio la ricompensa;
2° Bisogna che sia fatta in istato di grazia, poichè col peccato mortale sull'anima non si può soddisfare nè per sè nè per altri;
3° Bisogna che nel farla abbiamo l'intenzione di applicarla alle anime purganti in generale, o a qual­che anima in particolare, o ad una data categoria di anime, come dicemmo alla fine del capitolo precedente. Rimane ora a dimostrare come i Santi ci abbiano dato il buon esempio, spogliandosi in vita dei meriti delle loro buone opere a favore dei defunti. I fatti che potremmo citare sarebbero innumerevoli, poichè tutti i Santi più o meno hanno praticato quest'atto eroico, ma per brevità ci limiteremo solo ad alcuni più rilevanti.
Cristina, sopranominata l'Ammirabile per la sua vita esemplarissima, offriva tutte le sue penitenze a suffragio dei defunti. Fa rabbrividire il racconto dei martirii quali si sottoponeva per sollevare quelle po­vere anime. Non bastando all'ardore del suo zelo i ci­lizi, e le discipline più sanguinose, passava intieri giorni senza mangiare nè bere, ravvolgevasi fra le spine, d'onde usciva coperta di sangue; e più volte, ispirata da Dio, si slanciava sui carboni ardenti, e quindi uscita appena dalle fiamme illesa per miraco­lo, correva a gettarsi in uno stagno ghiacciato, dove lungamente rimaneva in preghiera. Una volta si fece travolgere da una ruota di molino che le fratturò tutte le membra, sicchè se Dio non l'avesse miracolosa­mente salvata, sarebbe mille volte perita, Egli però che glie le ispirava, sostenevala nell'esercizio di sì aspre penitenze, e le anime del Purgatorio, che aveva così a migliaia liberato, le apparivano a torme per ringraziarla. Ma il punto più interessante della sua vita è certamente il seguente: Un giorno ella morì, e presentatasi al tribunale di Dio, il Signore le disse che essendo giunta nel soggiorno dei beati, lasciava a sua scelta o di rimanere per sempre fra questi, o di ritornare sulla terra ancora per molti anni per suffra­gare le anime del Purgatorio. - Signore, rispose quell'anima generosa, io vi chiedo in grazia di ritor­nare sulla terra per soffrire e sacrificarmi a vantaggio dei defunti. - Le concesse il Signore tal grazia, e ri­suscitata infatti in presenza di quelli che erano venuti già per seppellirla, aumentò per modo le sue mortifi­cazioni e penitenze, che se autori i piú seri e testimoni oculari non ne facessero fede, ci rifiuteremmo di cre­dervi, tanto sorpassano le forze umane (Vita di Cri­stina l'Ammirabile, Surio, 23 Giugno).
Quell'umile e mansueta vergine che fu Maria Vil­lani, senza praticar penitenze sì straordinarie liberò ella pure un numero non inferiore di anime, che Dio un giorno le fece vedere in una processione di personaggi riccamente vestiti e capitanati da lei. Ella pure offriva quotidianamente tutto il merito delle sue opere per la liberazione di quelle anime, e spingeva a tal punto la sua carità, da implorar dal Signore che le facesse soffrire nella propria carne i loro patimenti ciò che ottenne, come dicemmo altrove. Un giorno della Commemorazione dei morti essendo occupata nella copia di un manoscritto, e deplorando fra sè e sè che quel dovere impostole dall'obbedienza le impe­disse di consacrare tutta la giornata a vantaggio dei defunti, le apparve nostro Signore e le promise che ogni linea di quel giorno da lei trascritta avrebbe li­berato un'anima dal Purgatorio. Dal che si vede che davanti a Dio non v'è distinzione di opere piccole o grandi, quando sono ispirate dalla carità (Vita di Ma­ria Villani).
La beata Orsola Benincasa, religiosa teatina, mo­strò la stessa abnegazione, poiché stando in agonìa sua sorella Cristina, e paventando le atroci pene del Purgatorio, che credeva le fossero preparate, Orsola pregò il Signore di tribolare lei in questa vita con quei tormenti che nell'altra erano riservati a sua so­rella: e fu esaudita, poiché Cristina spirò tra la pace e la calma più perfetta, mentre Orsola subito dopo fu assalita dai più atroci dolori che la accompagnarono fino alla tomba (Bagata, Vita della beata Orsola Be­nincasa).
S. Filippo Neri aveva l'uso di offrire una parte del­le sue buone opere per le anime del Purgatorio e l'al­tra per la conversione dei peccatori. Specialmente verso i suoi antichi penitenti defunti era largo di suf­fragi, sicché essi molte volte gli apparivano o per rac­comandarsi alle sue preghiere, o per ringraziarlo della sua carità, e in punto di morte tutte le anime da lui liberate gli vennero incontro per fargli corteggio ed introdurlo nella gloria beata.
S. Ignazio pregava moltissimo per le anime del Purgatorio. Il P. Lainez, secondo Generale della Compagnia di Gesù, offriva ogni giorno a suffragio di quelle anime le sue preghiere, i suoi studi e le grandi opere che faceva per la Chiesa, ed esortava tutti i suoi confratelli a fare altrettanto. Se si voles­sero poi nominare tutti quelli che hanno zelato ed aiu­tato colle loro opere la liberazione delle anime del Purgatorio, bisognerebbe citare la vita di quasi tutti i Santi. Possano perciò questi esempi da noi riferiti non essere sterili per le anime pie, per maggior istruzione delle quali raggrupperemo nei seguenti capitoli le va­rie opere che, fatte nelle condizioni già accennate, val­gono efficacemente a liberare le anime del Purgatorio, e sono l'elemosina, la mortificazione, la preghiera, la Messa e l'applicazione delle indulgenze.

CAPITOLO XVII
ELEMOSINE E MORTIFICAZIONE

Un balsamo salutare

Fra tutte le opere di carità evangelica, poche ve n'ha che ci siano con tanta insistenza nella Scrittura raccomandate, quanto l'elemosina. Per mezzo di que­sta, diceva l'angelo a Tobia, l'uomo si salva dalla morte e trova grazia dinanzi a Dio (Tobia XII, 9). Il nuovo Testamento ne parla con tali espressioni, che par quasi sia promessa ricompensa a quelli soli che praticheranno questa virtù. L'Ecclesiastico dice che come l'acqua spegne il fuoco, così l'elemosina spegne il peccato (Eccli. III, 33). Quindi è che il far l'elemo­sina coll'intenzione di applicarne il merito alle anime del Purgatorio è lo stesso che versare balsamo salu­tare sulle piaghe che le divorano. Di più, quest'atto acquista allora doppio merito per chi lo fa quello della carità esercitata verso i poveri e quello del sol­lievo delle anime purganti; sicchè facendo l'elemosi­na in questo modo si viene ad acquistare con un atto solo il diritto a un doppio grado di gloria nel cielo. Quest'atto poi contribuisce in due maniere al sollievo dei defunti: primo, col valore soddisfattorio che ha di per sè; secondo, colle preghiere che i poveri cosa beneficati fanno pei loro benefattori, preghiere che Dio ha promesso di esaudire in modo tutto speciale: Desiderium pauperum exaucdivit Dominus (Ps. g, 37). Oltre a ciò l'elemosina è quasi la sola opera che possa essere fatta utilmente per le anime del Purgatorio an­che da coloro che per disgrazia vivono in peccato mortale, poichè sebbene non abbia per essi la sua vir­tù soddisfattoria, non cessa tuttavia dall'avere effica­cia, se si consideri che le preghiere del povero bene­ficato sono profittevoli e a colui che ha fatto l'elemo­sina per ottenergli la grazia della conversione, e al­l'anima penante in suffragio della quale l'elemosina è stata fatta, per mitigarne le sofferenze. Non deve quindi stupirci il vedere molte anime pie e molti Santi devoti delle anime del Purgatorio ricorrere a questo mezzo tanto efficace. Era questa l'opera prediletta di S. Gregorio Magno, il quale per sollevare più effica­cemente quelle meschine, l'accoppiava sempre all'o­blazione del divin Sacrificio, e le numerose apparizio­ni che ebbe gli rivelarono quanto fosse efficace questa duplice carità. Tale uso invalse poi e divenne legge presso i Benedettini ed in molte famiglie religiose, tanto che, come dicemmo altrove, la regola di S. Be­nedetto prescrive che quando uno dei monaci passa all'altra vita, venga offerto per trenta giorni in riposo dell'anima sua il santo Sacrificio, e durante questo tempo si distribuisca ai poveri la sua porzione di cibo.
Le esortazioni poi dei santi Padri a questo proposito sono incessanti ed assai istruttive. S. Ambrogio dice: Quando la morte v'abbia tolto un figlio o un parente amato, per la cui perdita il vostro dolore è inenarrabile, e vorreste ancora poterlo assistere, con­sigliare, difendere, senza che però possiate far ciò, pensate allora che nulla v'ha di più efficace e gradito a colui che rimpiangete e che forse avreste voluto la­sciar vostro erede, quanto l'assistere i suoi coeredi vi­venti cioè i poveri, a vantaggio dei quali potete fare quel che avreste voluto dare e fare a pro dell'estinto. Così assistendo nella persona dei poveri la persona da voi perduta, metterete questa più sollecitamente in possesso dei beni eterni, invece di qualche misero bene temporale che avreste potuto lasciargli (S. Am­brogio, Sermo de fide resurrectionis): - Dio volesse che i consigli di questo santo Vescovo fossero fedel­mente eseguiti! Le anime dei nostri defunti sarebbero efficacemente sollevate, e seguiterebbero a godere in­direttamente di quei beni che loro appartenevano, e cori quell'oro che spesso serve ad alimentare la vanità dei vivi persino in futili dimostrazioni di duolo, quelle povere infelici guadagnerebbero il cielo. O mio Dio, inserite voi nel cuore dei ricchi il sentimento sublime che il povero solo può formare la loro felicità.
Un dotto scrittore suggerisce il consiglio, che noi ri­teniamo molto utile, che quando un povero batte alla porta della nostra casa, o ci stende la mano per la via, noi fingiamo sia un'anima del Purgatorio, quella per esempio d'uno dei nostri parenti, che si rivolge alla nostra carità e ci prega di non dimenticarla: in tal modo non negheremo l'elemosina e faremo efficacissimo suffragio al defunto che ci è caro. Se questo bellissimo pensiero fosse profondamente scolpito nella nostra mente, i poveri vi guadagnerebbero molto in questo mondo, e le anime del Purgatorio ne trarreb­bero immensi vantaggi nell'altro.
I Santi, che sono veri modelli di ogni sorta di buo­ne opere, comprendevano tanto bene queste divine le­zioni, che la loro carità arrivava all'eroismo. - Il Pa­dre Magnanti, dell'Oratorio, scrupoloso seguace della povertà verso se stesso, era santamente prodigo quan­do trattavasi di sollevare con l'elemosina le anime del Purgatorio, alle quali aveva dedicato tutta la sua vi­ta; e ogni anno distribuiva a tal uopo somme immense che vari pii signori, conoscendo la sua carità, face­vano passare per le sue mani, e non contento di ciò si faceva mendicante egli stesso per sollecitare elemo­sine a favore dei defunti. Aveva nella sua stanza una borsa che soleva chiamare il tesoro delle anime, cru­mena animarum, e che quantunque si colmasse ogni giorno, era tuttavia sempre vuota, tanto che questo povero religioso, il quale al mondo non possedeva nulla, arrivò a distribuire in tal modo nel corso di sua vita elemosine da re, soccorrendo così le membra sof­ferenti del nostro Salvatore Gesù e in questo mondo e nell'altro (Hist. Congr. Orator., lib. a, cap. ag). - Questo fatto del P. Magnanti ci fa ricordare che fin dal quinto secolo S. Giovanni Crisostomo consigliava ai fedeli di Costantinopoli di tenere sempre una bor­setta appesa presso il capezzale, affinchè ogni sera pri­ma d'addormentarsi non dimenticassero di gettarvi una moneta, per darla indi ai poveri, affin di liberare con quell'elemosina qualche anima dalle fiamme del Purgatorio, accumulando in tal modo tesori pel cielo. Coloro poi che si trovassero in povertà e fossero quindi impotenti a soccorrere con elemosine le anime del Purgatorio, non debbono creder per questo di es­ser dispensati dal farle, ma diano in proporzione della loro povertà, poichè Colui che benedisse l'obolo della vedova, terrà conto della loro buona volontà e del­l'offerta, anche meschina, che faranno. Se poi non possono esser generosi di denaro, lo siano del loro tempo e delle loro cure, poichè con una parola di con­forto che diranno ad un affitto, con un servigio ma­teriale che a loro poco costerà e che forse gioverà molto al loro prossimo, con un'opera misericordiosa qualunque, potranno ottenere allo stesso modo l'in­tento; diano l'anima loro, il loro cuore, la loro buona volontà a vantaggio dei propri fratelli. Forse gioveranno meglio di ogni altro il loro simile; perché poveri ancor essi e formati alle dure lezioni della miseria, sapranno con più esperienza assistere e confortare nella sventura. E poi la carità è ingegnosa, più ingegnosa dell'avarizia e della sete di guadagno.
Un povero laico della Compagnia di Gesù, zelantis­simo delle anime del Purgatorio, deplorando di non esser sacerdote per poterle suffragare col santo Sacri­ficio della Messa, e trovandosi d'altro lato senza mezzi e relazioni di sorta che lo mettessero in grado di gio­varle in altro modo, ricorse ad una santa astuzia, poichè essendo egli portinaio del convento, ogni volta che vedeva entrare qualche personaggio ricco o po­tente, gli chiedeva elemosina per le povere anime del Purgatorio, e con una parte delle offerte che così ri­ceveva faceva da alcuni ecclesiastici celebrar Messe pei defunti, erogando l'altra parte a vantaggio dei poveri. Per meglio accrescere poi il tesoro dei suoi fratelli defunti, coltivava presso l'ingresso della casa un giardino pieno di bei fiori, che poi offriva ai visi­tatori, domandando loro in compenso un'offerta per le anime purganti. Non è a dire come quel buon reli­gioso gioisse nel vedere di giorno in giorno aumen­tare il suo piccolo tesoro. Giunto a morte fu però am­piamente compensato delle sue premure, poichè le anime da lui liberate e sollevate accorsero al suo letto per assisterlo nell'agonia, e lo condussero senza alcun dubbio in cielo a ricevere la ricompensa della sua in­gegnosa carità (Heroes et victimae Societatis Jesu, an. 1656)..
Volete, dice S. Agostino, imparare a trafficar bene e a trarre dal vostro denaro copiosi interessi? Date quel che non potete conservar sempre, affin di otte­nere quel che non potete perdere mai. Infatti l'elemo­sina, oltre ad essere utile per le anime penanti, ha una virtù preservativa tutta speciale per impedire che si cada in Purgatorio o per abbreviare la pena di colui che l'ha fatta, poichè Iddio non si lascia vincer giam­mai in generosità dalle sue creature, che si mostra­rono generose verso le altre. Date e vi sarà dato, è la regola evangelica, ed i fatti ci mostrano la verità di tale efficacia.
S. Pier Damiani narra di un'apparizione avuta da un sacerdote nella chiesa di S. Cecilia in Roma, nella quale vide che mentre in mezzo al tempio, sopra un trono magnifico stava la SS. Vergine circondata da S. Cecilia, da S. Agnese, da S. Agata e da uno stuolo di angeli e di beati, si presentò in mezzo a quel cele­ste consesso una povera vecchia ricoperta di sordide vesti, e con sulle spalle un ricchissimo mantello, la quale appressandosi al divin trono, e inginocchian­dosi e piangendo, scongiurò la Madre di misericordia ad aver pietà dell'anima di Giovanni Patrizi suo be­nefattore morto di recente, e che stava soffrendo in Purgatorio crudeli tormenti. E poichè la SS. Vergine non sembrava commuoversi a tali parole, la vecchie­rella ripetè per una seconda e poi per una terza volta la sua domanda, ma sempre invano. Allora invocando maggiormente pietà, con dirotto pianto espose alla Vergine come essendo ella in vita una povera mendi­cante, che nel cuor dell'inverno, coperta da misera­bili cenci, domandava l'elemosina sulla porta della basilica a lei consacrata in Roma, un giorno di gran­de intemperie essendo entrato in chiesa Giovanni Pa­trizi, ed avendogli essa in nome della Vergine chiesto la carità, egli toltosi dalle spalle il ricco mantello da cui era ricoperto, volle donarglielo. Supplicava quin­di che tanta carità, fatta in nome di lei, meritasse al­l'infelice Patrizio la sua compassione. A tali parole la Regina delle Vergini, rivolgendo alla supplice uno sguardo d'amore, rispose: - L'anima per la quale tu preghi sarebbe condannata per molto tempo a dure pene per le sue numerose colpe, ma poichè in vita praticò in modo speciale la virtù della carità verso i poveri e la devozione verso di me, voglio usarle mi­sericordia. - E ordinato che le fesse condotto dinanzi Giovanni, eccolo comparire fra una schiera di de­moni che lo tenevano incatenato, e, pallido e sfigu­rato come uomo straziato da acuti dolori, fermarsi da­vanti al trono della celeste Regina, la quale impose ai demoni di lasciare all'istante il loro prigioniero, affinchè andasse a congiungersi al coro dei beati che la circondavano. Ubbidirono essi, e la visione dispar­ve, insegnando così a quel buon sacerdote il gran me­rito dell'elemosina e la sua efficacia nel preservare e liberare le anime dal Purgatorio (S. Pier Damiani, opusc. XXXIX, capo 4).
E qui vorremmo fare una riflessione e una propo­sta che potrebbe essere abbracciata da tante anime generose e pie, le quali sempre pronte a venire in soc­corso di tutte le opere buone, non negano mai l'obolo della carità, e vorremmo dir loro: Volete voi ricavare doppio profitto spirituale nell'elargire le vostre ele­mosine a tanti nobili e svariati scopi? Ebbene, nel­l'erogare il vostro denaro a pro di questa o quell'o­pera, formate sempre l'intenzione di suffragare le anime del Purgatorio. Gioverete così alla Chiesa mi­litante e alla purgante, e oltre al conforto e al merito del bene che fate, guadagnerete protettrici nel cielo. Sul quale proposito vogliamo narrare qui un fatto molto commovente.
Un povero vecchio portinaio d'un seminario, du­rante la sua vita aveva accumulato soldo per soldo, coi suoi risparmi, la somma di 800 franchi; non aven­do famiglia a cui lasciarli, li aveva destinati a far celebrare tante Messe in suffragio dell'anima sua quan­do fosse morto. Un giovane chierico che stava per abbandonare quel seminario per recarsi nelle missioni straniere, ebbe occasione di parlare della sua partenza al povero vecchio, il quale, ispirato da Dio, si decise all'istante di erogare a vantaggio della propagazione della fede il suo piccolo peculio, e preso in disparte il giovane missionario, gli disse che quantunque aves­se destinato quella somma per far celebrar tante Messe in suffragio dell'anima propria, preferiva nondimeno di restar dopo morto un po' più di tempo in Purga­torio, purchè il nome di Dio fosse glorificato sulla terra e il Vangelo si dilatasse pel mondo. Il giovane sacerdote, commosso fino alle lacrime a tale offerta, volle rifiutarla, ma l'altro insistette tanto e tanto sup­plicò, che finalmente dovette cedere. Pochi mesi dopo quel buon vecchio morì, e sebbene nessuna rivelazio­ne sia venuta finora a svelarcelo, ci pare di poter af~ fermare che la sua sorte nell'altra vita sia più che as­sicurata in forza di quest'atto sì eroico. Il cuore di Gesù, nostro padre, è tanto amabile e generoso, che avrà certo data larga ricompensa a colui che si affidò alle fiamme del Purgatorio perchè il suo santo Nome fosse recato agl'infedeli, e l'avrà voluto in cielo senza indugi, dove contemplerà quel Dio che tanto aveva amato su questa terra.

La mortificazione

Il secondo mezzo per soccorrere le anime del Pur­gatorio è il digiuno, sotto il qual nome generico si comprendono tutti gli atti di mortificazione interiore ed esteriore, tutto ciò che contraddice la natura, e facendola soffrire, ne doma i malvagi istinti. Non insi­stiamo sull'efficacia di questa virtù per sollevare le anime purganti, diciamo solo che mentre la preghìera e l'elemosina hanno solo per accidens un carattere pe­nitenziale e soddisfattorio, la mortificazione è l'opera soddisfattoria per eccellenza, è il prezzo di riscatto dei peccati commessi. Questa virtù ci deve stare tanto più a cuore, in quanto che è indispensabile, in un certo grado, alla nostra salvazione. L'oracolo divino ha detto che se non faremo penitenza periremo: Nisi poenitentiam habuentis, omnes simititer peribitis (Lu­ca, 11 3). Mortificare quindi il proprio corpo coll'in­tenzione di suffragare le anime del Purgatorio è lo stesso che assicurare la propria santificazione e pro­curare nello stesso tempo efficacemente il sollievo dei poveri defunti. Non è poi questa una costumanza che si sia introdotta ai giorni nostri, ma risale fino agli antichissimi tempi; leggendosi infatti nel primo libro dei Re che gli abitanti di Jabes in Galaad appena eb­bero appreso la notizia della morte di Saul e dei suoi tre figli, sorsero tosto, e camminando tutta la notte, presero i corpi dei defunti, e seppellitili, digiunarono per sette giorni (Reg. XXX, 13). Sappiamo bene che la parola mortificazione ripugna agli orecchi delicati degli uomini del nostro secolo, i quali considerandola come un avanzo del medio evo, destinato a scomparire in­sieme colle altre anticaglie, cercano (e in gran parte vi sono pur troppo riusciti) di bandirla dal seno dei cristiani, fra i quali ormai rarissimi sono quelli che la praticano. Sappiamo che la quaresima è diventata una parola vuota di senso, che il digiuno del venerdì è andato in disuso, e che quei pochi obblighi che re­stano sono da molti derisi e criticati. Però, siccome di peccati se ne commettono come una volta e forse più, e siccome ogni peccato se non è scontato in que­sto mondo colla penitenza, dovrà essere poi più rigorosamente scontato nell'altro, se noi non c'inca­richeremo di pagare i nostri debiti in questa vita, troveremo grandi e spaventosi conti da saldare nel Purgatorio! Abbiamo, è vero, le indulgenze, ma an­che queste sono concesse dalla Chiesa soltanto ai veri penitenti, non potendo essa incoraggiare la tiepidezza dei fedeli, ma solo volendo venire in aiuto di quelli che fanno quanto possono per cancellare le loro col­pe. Quindi è necessario ritornare alcun poco alla pra­tica dell'antica mortificazione se non vogliamo che si accumuli tanto debito e ci si prepari un purgatorio dolorosissimo e lungo. Dirà taluno che dovendo pen­sare a pagar tanto del nostro, è assai strano esortarci a pagare i debiti altrui, mortificandoci per suffragare le anime del Purgatorio; ma, come dicemmo parlando dell'elemosina, dobbiamo pensare che se noi avremo carità verso i nostri fratelli defunti, pagando i loro debiti, inclineremo Dio, nostro gran creditore, ad usarci misericordia, e in ogni caso il merito delle no­stre opere, che è inalienabile, sarà sempre goduto da noi.. Ci siano poi sempre di guida i Santi che ci han­no dato ammirabili esempi di penitenza.
Il beato Francesco da Fabriano, francescano, era solito di offrire a sollievo delle anime purganti tutte le austerità che imponevagli la regola, e tutte le mag­giori penitenze che il suo fervore gli suggeriva, sicché nulla riserbando per sè, riposavasi interamente sulla misericordia di Dio pel soddisfacimento dei pro­pri debiti; per rendere poi più accette al Signore le sue penitenze, le univa sempre alle pene patite da Gesù Cristo sulla croce. La sua compassione verso i defunti era sì viva, che non poteva fermare il pen­siero sui loro tormenti senza tremare da capo a pie­di. Numerose apparizioni di anime da lui liberate gli dimostrarono però quanto la sua carità fosse accetta a Dio.
La beata Caterina da Racconigi, che ricevette da Dio stesso l'ordine di fare mortificazioni in suffragio delle anime del Purgatorio, in una delle sue estasi vide il Salvatore dal cui Cuore usciva abbondante sangue, del quale una parte scendeva sul capo dei peccatori e l'altra sulle anime del Purgatorio. Da ciò comprese di dover praticare la mortificazione per i due grandi scopi della conversione dei peccatori e della liberazione delle anime del Purgatorio. E Iddio benedisse le austerità da lei fatte per la salute dei primi; quanto alle seconde le molte visioni da lei avute la fecero certa che le sue mortificazioni avevano prodotto in Purgatorio frutto non minore che sulla terra.
S. Nicola da Tolentino digiunava spesso a pane ed acqua per le anime del Purgatorio, si martoriava con discipline, e per aver sempre vivo alla mente il pen­siero di quelle infelici, portava intorno ai reni una cintura di ferro strettamente serrata, le cui punte gli penetravano profondamente nella carne. Anche a lui apparivano spesso le anime del Purgatorio, come dicemmo altrove, per raccomandarsi ai suoi suffragi o per ringraziarnelo.
In tempi più recenti poi la vener. Maria Francesca del SS. Sacramento diè prova di non minor zelo, di­giunando quasi tutto l'anno a pane ed acqua in suf­fragio de' defunti, lacerando ogni giorno le sue carni con discipline, e non abbandonando mai un aspro ci­lizio che tormentavala giorno e notte, sicchè perfino quel po' di riposo che per le esigenze della natura concedeva al suo corpo, le si convertiva in una mor­tificazione. Anche di questa dicemmo altrove come fosse ricompensata della sua eroica carità con innu­merevoli apparizioni (Vita della Venerabile, lib. II).
Durus est hic serino. Dure sono queste parole, dirà taluno, e troppo straordinari questi esempi, perchè possano essere anche da lungi imitati. Si rassicurino però i deboli, poichè Iddio guarda più alla generosità del cuore che all'atto in se stesso, e senza disciplinarsi ed affievolire le proprie forze e la propria salute, pos­siamo con piccole astinenze e mortificazioni che ci si possono offrire ogni giorno ed ogni ora, scontare i nostri falli é suffragare quelle povere anime.

Obbedienza e suffragi

A consolazione poi di coloro che vivono sotto ob­bedienza religiosa, e che non sono liberi della loro volontà, aggiungeremo che facendo essi la volontà dei superiori, tornano a Dio più graditi e soccorrono le anime purganti più efficacemente che se facessero grandi mortificazioni. Su di che riesce molto istruttivo l'esempio di S. Margherita M. Alacoque, la cui generosità spingendola ad eccedere la misura delle sue forze, le superiore erano costrette a sorvegliare e reprimere i suoi passi nel cammino della penitenza. Nondimeno ella le pregava ogni giorno per ottenere il permesso d'infliggersi nuovi tormenti, e grande era la sua desolazione quando glielo negavano. Un giorno in cui aveva avuto licenza di disciplinarsi in suffragio delle anime del Purgatorio, lasciatasi tra­sportare da soverchio zelo, oltrepassò i limiti dall'ob­bedienza concessile; ed ecco le anime del Purgatorio circondarla, e gemendo lamentarsi con lei perchè le angosciava invece di sollevarle; in tal modo volle mostrarle il Signore che l'obbedienza è la più bella mortificazione per una persona religiosa, e ch'ei non accetta tutto ciò che vien fatto in contrarietà di essa.
Del resto chi voglia essere esatto nel praticare la regola, trova in comunità molte occasioni di mortifi­cazione. Diceva S. Giov. Berchmans che la sua peni­tenza maggiore era quella della vita comune, e un santo religioso paragonava la vita monastica, quando sia severamente praticata, ad un martirio più penoso del martirio di sangue, a cagione della sua durata, e però assai meritorio ed efficace a preservarci dal Pur­gatorio.
Nel convento delle Domenicane di Vercelli, dove era superiora la beata Emilia, v'era fra le altre una prescrizione della regola che vietava di bere fra un pasto e l'altro senza permesso della superiora, la qua­le però lo concedeva rarissimamente, eccitando le con­sorelle a questo piccolo sacrificio in memoria della sete che Gesù patì sul Calvario. Una monaca, Cecilia Avogadro, andata un giorno da lei per chiederle il permesso di bere, ne ebbe il solito divieto, al quale sebbene arsa dalla sete, non mancò di uniformarsi. Ne fu però ben ricompensata, poichè morta poche setti­mane dopo, in capo a tre giorni apparve tutta rag­giante di gloria alla superiora, ringraziandola di averla indotta a quella mortificazione, in forza della quale era stato di molto abbreviato il suo purgatorio, che avrebbe dovuto essere invece di lunga durata a motivo del troppo affetto da lei portato ai proprii parenti (Diario Dommicano, 3 Marzo).

Quelli poi che vivono nel secolo possono allo stesso modo preservare l'anima loro dalle pene del Purga­torio accettando con rassegnazione e senza lamenti le croci che a Dio piace mandare. Ma purtroppo son rari quelli che sanno profittare delle contrarietà della vita, spesso le tribolazioni che Dio ci manda per fornirci occasione di merito, non servono che ad aumentare i nostri debiti. Sottomettiamoci invece con piacere ed ilarità al peso della croce, e quando le afflizioni ci opprimono, e sentiamo lo spirito nostro triste fino alla morte, specchiamoci nel divino Modello, offriamo al Padre celeste la nostra angoscia, pensiamo che siamo predestinati, e sopportiamo tutto per le anime che ci son care e che gemono in Purgatorio; soffriamo pel nostro prossimo, pei nostri amici ed anche pei nemici, che in mezzo a quelle fiamme si raccomandano ai loro fratelli viventi.

CAPITOLO XVIII
PREGHIERA E MESSA PER I DEFUNTI

Rugiada di refrigerio

Un altro efficacissimo mezzo a nostra disposizione per sollevare le anime del Purgatorio è la preghiera, opera facile a praticarsi da tutti, dato che non richie­de gran sacrificio e può esser fatta anche durante le azioni giornaliere e con una semplice aspirazione di cuore.
Racconta il Rossignoli, nella sua opera sul Purga­torio più volte da noi citata, che un religioso aveva il pio costume di recitare un Requiem aeternam ogni volta che passava davanti ad un cimitero. Un giorno però, essendo immerso in gravi pensieri, omise que­sta preghiera; ebbe allora l'impressione di vedere i morti uscire dalle loro tombe e seguirlo cantando il ­versetto del Salmo: « Et non dixerunt qui praeteri­bant: Benedictio Domini super vos » (Salmo 128, 7). Alle quali parole, il religioso confuso e mortificato ri­spose. « Benedicimus vobis in nomine Domini » (Id.), e allora soltanto i morti ritornarono nelle loro tombe suffragati abbastanza da quella piccola preghiera.
Da questo fatto possiamo argomentare quale rugia­da di refrigerio sia per i morti anche una semplice invocazione a Dio in loro suffragio. Quando tuttavia intendiamo portare più notevole sollievo e contribuire maggiormente alla liberazione di un'anima, non dob­biamo lusingarci di poterlo fare con così poco, poi­chè, come dicemmo altrove parlando della durata del­le pene del Purgatorio, Iddio esige un più conside­revole riscatto, tanto che S. Roberto Bellarmino arriva a dire non doversi mai cessare di pregare per un defunto, anche dopo la sua apparizione.
La preghiera poi dev'essere perseverante e ferva­rosa, giacchè si tratta di far violenza con essa al cuore di Dio, e di ottenere ad un'anima la grazia della vi­sione beatifica, grazia di cui non v'ha la maggiore e che non si ottiene se non con una grande perseve­ranza. Diceva un giorno nostro Signore a S. Lut­garda: - Figliuola mia, hai fatto tanta violenza al mio cuore, che non posso resistere alle tue preghiere sii dunque tranquilla, poichè l'anima per la quale preghi sarà ben presto liberata dalle sue pene. - Inol­tre perchè la nostra preghiera sia esaudita è necessa­rio che noi ci troviamo in istato di grazia. Infatti colui che col peccato mortale è divenuto nemico di Dio, come potrebbe mai servire di intermediario fra la divina giustizia e le anime del Purgatorio? Scimus Quia peccatores Deus non audit (Io. 9, 31), dice la di­vina Sapienza, e se non si ha l'anima pura da colpa grave, è sterile ogni nostra orazione.
Quanto alle preghiere che utilmente si possono fare pei defunti, oltre al santo Sacrificio e alle orazioni privilegiate d'indulgenze, diremo col P. Faber che è in nostra facoltà di scegliere quelle che più si affanno al nostro spirito e per le quali ci sentiamo più incli­nati: tuttavia vogliamo enumerarne qui alcune che l'esperienza ci ha dimostrato più efficaci. In primo luogo va annoverata la preghiera canonica, ossia l'Uf­ficio dei defunti, preghiera salutare che la Chiesa in­nalza a Dio a favore dei suoi figli infelici, e che pre­sentata a lui in nome di essa, è da credere gli torni accetta a preferenza di molte altre. La Madre Fran­cesca del Sacramento, malgrado le sue molteplici oc­cupazioni, era solita di recitarlo ogni giorno, e santa Teresa racconta di se stessa che una volta nel giorno de' morti essendosi ritirata di sera nell'oratorio del monastero per recitare l'Ufficio dei defunti, vide com­parire un orribile mostro, che posatosi sul libro, le impediva di leggere e di pregare. Scacciatolo col se­gno della croce, per tre volte il maligno spirito si ri­trasse; ma appena la Santa ritornava a recitare i Sal­mi, egli nuovamente la disturbava, finchè per liberar­sene, asperso il libro d'acqua benedetta, ed essendone alcune goccie cadute sul mostro, questo fuggi a pre­cipizio. Terminata appena la preghiera, vide la Santa salire dal Purgatorio al cielo parecchie anime liberate appunto da quel suffragio, e per cagion delle quali il demonio invidioso voleva opporsi in quei odio alla preghiera ch'essa faceva. - Anche la recita del Sal­terio può considerarsi molto utile per le anime pur­ganti, quantunque oggi ben pochi siano i cattolici che la praticano. Nel medio evo l'imperatore Ottone IV, insigne benefattore degli Ordini religiosi in Germania, apparendo dopo morte ad una sua zia, le disse che malgrado le buone opere da lui fatte in vita e la fama di pietà lasciata nel mondo, soffriva atrocemente in Purgatorio; le chiese perciò in grazia di invitare tutti i monasteri da lui beneficati a recitare per molte volte il Salterio in suo suffragio. Soddisfatto il desi­derio del defunto, fu veduto pochi giorni dopo tutto sfolgorante di luce salire al cielo (Catimpré, Apum, lib. Il, cap. 51, num. 19). Che se il Salterio sembrasse a taluni troppo lungo, vi si può supplire colla recita dei sette Salmi penitenziali. Ad un santo Vescovo, ogni volta che li recitava ed arrivato alla fine di cia­scun Salmo ripeteva il Requiescant in pace, un coro di voci era solito rispondere Amen.
Un'altra pia pratica ancor più comoda e breve è quella di recitare il Salmo De profundis, che è pure efficacissimo per suffragare i defunti. Il P. Carneille della Compagnia di Gesù era solito farlo ogni volta che si fosse lavate le mani, e molte apparizioni lo as­sicurarono che in tal modo apparentemente ridicolo aveva liberato un gran numero di anime. - Bellis­simo uso è pur quello della Via Crucis, sia per le indulgenze che vi sono annesse, sia per l'eccellenza della preghiera in se stessa, la quale ricorda la grande immolazione del Calvario. Gesù Cristo appa­rendo alla venerabile Maria d'Antigna, e rimprove­randola d'aver per qualche tempo tralasciato questa divozione, le significò che essa era utilissima per la liberazione delle anime purganti, e la esortò a propa­garla tra i fedeli più che le fosse possibile. – E’ pure efficacissima la recita del santo Rosario. La venerabile Maria Francesca del Sacramento non mancava mai di recitarlo ogni giorno, inserendovi il Requiem invece del Gloria Patri, e chiamava la corona la sua elemosiniera, perchè per suo mezzo poteva esser generosa verso le anime del Purgatorio salvandone molte che poi per gratitudine venivano nella sua stanza a baciargliela ringraziandola. E quindi lodevolissimo l'uso introdotto in parecchi collegi e comunità reli­giose di recitare per turno ogni giorno il Rosario, o di aggiungere alle cinque decine di esso una sesta in suffragio delle anime del Purgatorio, terminandola poi col De profundis.
Quantunque davanti a Dio tutti i giorni siano uguali, e il suo Cuore sia sempre disposto ad acco­gliere la preghiera dei fedeli, la santa Chiesa ha riservato alcuni giorni particolari per suffragare i defunti, e cioè il terzo, il settimo, il trentesimo e l'an­niversario della morte, nei quali le sacre rubriche pre­scrivono orazioni speciali pei medesimi, prescrizioni che abbiamo visto seguite dai Benedettini e da altre famiglie religiose nei trenta giorni che seguono la morte, e che sono destinati ad offrire suffragi e distri­buire elemosine pei defunti, la qual tradizione risale al tempo di S. Gregorio Magno, e si basa sopra una rivelazione di cui parleremo più tardi. - Altra otti­ma costumanza è quella delle novene per le anime purganti. Il sinodo giansenista di Pistoia ripudiava queste pie usanze dei nostri padri, riponendole fra le superstizioni, dalle quali pretendeva di purgare la Chiesa: ma Pio VI di s. m. condannando formalmente questa proposizione ci ha incoraggiato a seguire quel pio uso. - Così pure in molti luoghi si suol consacrare in suffragio di quelle anime.un gior­no della settimana; che ordinariamente è il venerdì, e ai nostri tempi la divozione sempre crescente ha sug­gerito ai fedeli di dedicar loro un intero mese.
Queste sono in compendio le varie preghiere che più efficacemente possono offrirsi a Dio in favore di quelle anime penanti, e che ogni fedele dovrebbe es­sere generoso nello scegliere e nel praticare, affin di meritare la protezione di Dio e la riconoscenza eterna di quelle meschine.

La S. Messa
Prima di parlare dell'eccellenza del S. Sacrificio della Messa applicato per i defunti, accenniamo ad un altro eccellente mezzo di suffragio: la S. Comunione. Quando Gesù è tutto nostro entro il nostro petto, è mai possibile che non ci ascolti, se lo invochiamo per i nostri morti, se li raccomandiamo a lui, se imploria­mo, la sua divina misericordia su di loro? Ai dì nostri va molto estendendosi il pio costume di suffragare i morti per mezzo della S. Comunione, tuttavia non sarà mai raccomandata abbastanza questa pia ed ef­ficacissima pratica. Si diano perciò premura i sacer­doti di invitare i fedeli, specialmente i parenti dei defunti, ad accostarsi ai Santi Sacramenti, in occa­sione di Messe di suffragio, di Ufficiature funebri, di funerali. Si facciano Comunioni Generali nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti e si ripetano nell'Ottavario dei Morti, in altri giorni del mese di Novembre ed ogni volta che se ne presta la opportunità. Sarà un'opera di grande sollievo per i defunti e arrecherà enormi vantaggi spirituali a quelli che la praticheranno.
Ed ora passiamo a parlare del divin Sacrificio, della Oblazione santa, della preghiera che l'eterno Padre esaudisce sopra ogni altra, perchè innalzatagli dallo stesso suo Unigenito.
A S. Maria Maddalena de' Pazzi, che era solita di offrire all'eterno Padre il Sangue del suo divin Figlio con una commemorazione della Passione, che faceva ben cinquanta volte al giorno, in una delle sue estasi il divin Salvatore fece vedere molti peccatori con­vertiti, molte anime del Purgatorio liberate in forza di questa sua pratica, e disse che ogni volta che una creatura umana offre al Padre quel Sangue col quale è stata riscattata, offre un dono di prezzo infinito, che nessun tesoro al mondo potrebbe compen­sare. Se tanta adunque è l'efficacia di una semplice commemorazione della Passione, che dovrà mai dirsi della Messa che ne è la quotidiana rinnovazione vera e reale? E non è già un individuo particolare qua­lunque, sia pur santo, quello che la compie, ma la Chiesa stessa, la quale offre a Dio tutto il Sangue sparso dal suo Figlio sul Calvario in espiazione dei peccati del mondo.
O splendore e bontà dell'amor divino! Non bastava che il Cristo si fosse immolato una volta sull'altare della croce, ma ogni giorno, ad ogni ora dall'oriente all'occidente, in ogni angolo della terra il Sangue del Redentore viene sparso ed offerto di nuovo pel riscatto delle anime! Ecco perchè i Santi che comprende­vano questo mistero avevano in tanto pregio il tesoro del Sacrificio dell'altare. S. Nicola da Tolentino, dopo aver rifuggito per tanti anni dal sacerdozio ritenen­dosene indegno, s'indusse in fine ad abbracciarlo, pensando che colla celebrazione quotidiana della Mes­sa avrebbe potuto più efficacemente aiutare le anime del Purgatorio. S. Vincenzo de' Paoli spesso cele­brava e faceva celebrare ai suoi confratelli per le po­vere anime del Purgatorio abbandonate. Il P. Corneille della Compagnia di Gesù s'era imposto per voto di celebrare quattro volte la settimana in suffra­gio di esse. Che poi quelle anime sappiano apprez­zare assai meglio di noi il valore infinito di questo divin Sacrificio, lo provano moltissime apparizioni fatte ai loro devoti. Un monaco di Chiaravalle, che era stato liberato dal Purgatorio per le preghiere di S. Bernardo e de' suoi confratelli, apparso ad un re­ligioso della comunità che più ertisi interessato per lui, mostrandogli l'altare su cui in quel momento si celebrava la santa Messa, gli disse: - Ecco le armi che hanno contribuito più di tutto a liberarmi dalla mia cattività: ecco il prezzo del mio riscatto, che mi fa ora salire al cielo. -
Se però una sola Messa ha di per sè un valore in­fnito, non è altrettanto della sua applicazione, la quale viene limitata dalla volontà divina; poichè es­sendo infinito il valore del Sacrificio, basterebbe che l'offerta di esso fosse fatta una volta sola per ischiu­dere le porte del cielo a tutte le anime del Purgato­rio. I teologi dividono ordinariamente in tre parti il frutto della Messa, insegnando che una parte si ri­versa nel tesoro dela Chiesa, ed in forza della comu­nione dei Santi va a vantaggio di tutti i suoi membri; un'altra a benefizio del sacerdote, al quale spetta quasi per diritto d'anzianità; la terza a profitto di colui per l'intenzione del quale la Messa si celebra; e quest'ul­tima parte, in quella misura che Iddio solo conosce, è la sola che sia applicabile ai defunti. Ed è per ciò che non bisogna contentarsi di far celebrare una Messa per un defunto, ma, per quanto è possibile, bisogna ripetere più volte l'oblazione del Sacrificio di­vino, non potendosi mai sapere in qual misura ne sia applicato l'effetto all'anima che si vuol suffragare, e se la giustizia di Dio ne sia rimasta pienamente sod­disfatta. Così, per esempio, sappiamo che dopo venti anni S. Agostino raccomandava sull'altare l'anima della sua santa madre Monica, e nei tempi di gran fede, come il medio evo e i primi secoli della Chiesa, le famiglie cristiane largheggiavano di prodigalità nell'offrire spessissimo il divin Sacrificio per la libe­razione dei defunti. Quando morì in Ispagna Mar­gherita d'Austria moglie di Filippo III, nel solo giorno delle esequie furono celebrate in Madrid non meno di 1100 Messe, e quando, aperto il suo testa­mento il Re vide che la sua consorte aveva ordinato ne fossero celebrate in suo suffragio solo mille, volle che se ne aggiungessero venti mila. Alla morte del-. l'arciduca Alberto la vedova di lui Isabella fece celebrare in suo suffragio quaranta mila Messe, ascoltan­done essa per un mese intiero dieci al giorno. È vero che queste sono munificenze reali, ma non valgono forse assai più di tutti i mausolei e monumenti che sogliono innalzarsi ai defunti, e non ci dimostrano il sentimento dell'efficacía di tanto Sacrificio?
Quello poi che v'ha di singolare nell'oblazione del­la santa Messa si è che essa opera indipendentemente dalle disposizioni di colui che l'offre o la fa offrire, in modo che quantunque questi siano macchiati di colpe mortali, e il Sangue di Cristo gridi vendetta contro di loro, tuttavia questo Sangue implora espia­zione e scende ristoratore sulle anime del Purgatorio; che se il sacerdote che celebra è colpevole, la sua colpa non infirma il valore dell'atto, poichè non è egli che l'offre, ma Cristo stesso nella persona di lui. Però se il frutto del Sacrificio rimane essenzialmente lo stesso, qualunque possa essere l'indegnità del mini­stro, è certo anche che vi è un frutto accidentale di­pendente più o meno dalle disposizioni del celebran­te. Ed ecco il motivo perchè molti sacerdoti ottengono col santo Sacrificio grazie che altri sacerdoti non val­gono ad ottenere.

Messe gregoriane

Un uso molto divulgato in Italia e in vigore in molti monasteri benedettini e quello di cui vogliamo ora parlare. - S. Gregorio Magno racconta ne' suoi Dialoghi (lib. IV, c. 10) che un monaco del suo con­vento per nome Giusto, esercitava, con permesso dei superiori, la medicina. Avendo accettato una volta di nascosto all'Abate la moneta di tre scudi in oro con mancanza gravissima contro la povertà religiosa, mos­so dai rimproveri che glie ne aveva fatti il monaco Copioso, e umiliato dalla pena della scomunica nella quale era incorso, fu tanto afflitto dal dolore, che am­malatosi gravemente, se ne morì, pentito però e in pace con Dio. Nondimeno volendo S. Gregorio incu­tere nei suoi religiosi un salutare terrore contro quel fallo che lede uno dei voti più importanti della vita religiosa, non tolse al defunto la scomunica, e lo fece seppellire separatamente in luogo dove si deponevano le immondizie, e, gettati i tre scudi nella fossa, fece ripetere ai religiosi le parole di S. Pietro a Simon Mago: Pereat pecunia tua tecum; il tuo denaro peri­sca con te. Qualche tempo dopo il santo Abate sen­tendosi tocco da compassione, fece venire a sè l'eco­nomo del monastero, e gli disse: - Da molto tempo il nostro confratello defunto è tormentato dalle pene del Purgatorio, e la carità ci consiglia a liberarnelo. Va dunque, e incominciando da oggi offri per lui il santo Sacrificio per lo spazio di trenta giorni, senza tralasciar d'immolare neppure una volta l'Ostia pro­piziatoria per la sua liberazione. - L'economo ubbi­dì, ma non avendo pensato, per le troppe preoccupa­zioni, a contare i giorni, una notte il defunto apparve a Copioso, dicendogli che se ne saliva al cielo, libero dalle pene del Purgatorio. Furono allora contati i giorni dall'inizio delle celebrazioni e si trovò che quello era precisamente il trentesimo. D'allora in poi invalse l'uso di far celebrare le trenta Messe pei de­funti, uso che esiste ancora oggidì nei monasteri dei Benedettini e dei Trappisti, e che Dio con molte ri­velazioni ha dato a conoscere essere a lui molto ac­cetto.
Avendo quindi in nostre mani tanti tesori, saremmo veramente crudeli se lasciassimo languire in quel carcere tante povere anime. Pensiamo che nel giorno del rendiconto ci pentiremo, ma troppo tardi, di non aver saputo spendere sì preziosa moneta. Mettiamo dunque in pratica il consiglio di Tobia: Panem tuum super sepulturam fusti constitue: posa il tuo pane sul sepolcro del giusto: questo pane è la SS. Eucaristia, pane vivo sceso dal cielo e che solo può saziar la fame di quelle anime, le quali anelano di andare a godere svelatamente in Paradiso colui che nei giorni di lor vita mortale hanno adorato sotto i veli eucaristici.

CAPITOLO XIX
LE INDULGENZE
Dottrina delle indulgenze
Il primo meraviglioso effetto del sacramento della Penitenza è quello di rimettere i peccati gravi e leg­geri. Si tratta perciò di un ritorno alla vita della gra­zia o di un aumento di questa vita medesima, se illan­guidita da colpe non gravi. Si tratta di un ritorno dei figli al Padre o di un abbraccio più amoroso e più sincero.
Il secondo effetto del Sacramento della Penitenza è la commutazione della pena eterna, dovuta al peccato mortale, in pena temporale, la quale però, secondo il grado del dolore può essere anche rimessa completa­mente. Tolto il peccato e ritornata l'amicizia divina, è tolta la causa della eterna condanna: il Padre per­dona e al tempo stesso riapre al figlio pentito le porte della sua Casa.
La pena temporale può anche essere completamente rimessa dal sacramento della Penitenza, ma ciò è difficile che accada, perchè in genere il dolore che si ha dei peccati non è così grande da compensare la divina Giustizia, e quindi accade che rimane da compensare in parte con opere di espiazione in questa o nell'altra vita.
L'indulgenza è una remissione di pena temporanea dovuta per i peccati, che la Chiesa concede sotto certe condizioni a chi è in grazia, applicandogli i meriti e le soddisfazionì sovrabbondanti di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi, le quali costituiscono il tesoro della Chiesa. Così la Chiesa a nostro conforto e con­sapevole della nostra deficienza viene in nostro aiuto prescrivendoci opere buone alle quali ha legato in no­stro favore l'applicazione dei meriti e delle soddisfa­zioni sovrabbondanti di Cristo, della Vergine e dei Santi. Essa, sapendo che molti dei suoi figli sono onerati di debiti spirituali, tanto che le loro risorse non varrebbero ad estinguerli, se non con grande dif­ficoltà e dopo lunghissimo tempo, li soccorre a questo scopo in tutto o in parte, mettendo a loro disposizione i guadagni esuberanti di altri suoi figli più vigilanti ed operosi. Questa benevola concessione oltre a corri­spondere allo spirito di carità comandato da Gesù Cri­sto ai suoi seguaci, suscita sempre nuova riconoscen­za, da cui nascono novelli propositi di bene e di amore verso Iddio » (Mariani, Lezioni catechistiche, vol. III, pag. 343)
Che la Chiesa abbia il potere di concedere le indul­genze non possiamo metterlo in dubbio dal momento che Cristo disse a Pietro e agli Apostoli: « In verità in verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra, sarà legato anche in cielo e tutto quello che scio­glierete sulla terra, sarà sciolta anche nel cielo... a chi rimetterete i peccati saranno rimessi... » (Matth. 18, 18; Giov. 20, 23). Altrove Gesù promise a Pietro di dargli le chiavi del Regno dei Cieli, quindi il potere di impedire agli indegni l'ingresso in Paradiso o di concederlo e di affrettarlo a coloro per i quali rite­nesse ciò opportuno. Nel corso dei secoli la Chiesa ha sempre esercitato questo potere sia a vantaggio dei vivi che dei fedeli defunti: ecco quindi la tradizione a convalidare la tesi. Ci risparmiamo di ricordare i Padri, i Dottori della Chiesa, i Pontefici e i Concili che stanno a testimoniare la verità delle indulgenze (Denzinger, Enchir. Symb. et Definit. Index system. XII l. - Rouèt De Journel, Enchir. Patristicum, Index theologicus 550-551, Edizioni 1932), limitandoci a ri­cordare che nessuno fino ai protestanti del secolo xvi ha mai negato alla Chiesa il potere delle indulgenze, e allora il Concilio di Trento, infallibilmente definì che sarebbe scomunicato chiunque negasse l'utilità delle indulgenze e il potere della Chiesa di conce­derle.
E' certo altresì che le indulgenze si possono acqui­stare anche per i defunti. Non avendo la Chiesa giu­risdizione sulle anime dei trapassati, le quali si tro­vano ormai sotto l'immediato governo di Dio, essa concede loro le indulgenze non per modo di assolu­zione, ma per modo di suffragio, « pregando cioè il Signore che, nella sua infinita misericordia, si degni accettare, a favore dei trapassati, quelle soddisfazioni che gli vengono presentate dai fedeli, mediante l'acquisto delle indulgenze ad esse applicabili.
«Che poi il Signore accetti incondizionatamente tutte le indulgenze applicate ai defunti, nel modo che intendiamo noi, ciò sfugge in tutto alla nostra cono­scenza. Sappiamo soltanto che le materne cure della Chiesa hanno un grandissimo valore presso Dio, che nulla va perduto e che tutto è in corrispondenza della giusta, sapiente e misericordiosa volontà divina, la quale ogni cosa dirige a bene dei suoi eletti » (Maria-ni, op. cit., pag. 351).
L'indulgenza può essere di due specie: plenaria e parziale, secondo che consiste nella remissione com­pleta di tutta la pena temporanea dovuta per i peccati o nella remissione di una parte soltanto di detta pena. Quando però parliamo di indulgenze di un anno, di cento giorni, di una quarantena, ecc., non si deve in­tendere nel senso che ci venga diminuita in Purga­torio la pena di un anno, di cento giorni, di una quarantena e via dicendo, ma si deve intendere nel senso che ci viene rimessa tanta pena temporale quan­ta ne avremmo scontata facendo una penitenza di un anno, di cento giorni, di quaranta giorni, che secondo l'antica disciplina ecclesiastica facevano i cristiani sot­tomessi alle pene canoniche in soddisfazione dei loro peccati.

Condizioni per l'acquisto delle indulgenze

Le condizioni generali che si richiedono per acqui­stare le indulgenze, sia plenarie che parziali, sono: lo stato di grazia l'intenzione e l'osservanza di tutte le opere ingiunte nel modo e nel tempo prescritto.
E' evidente che si richieda lo stato di grazia chi è in peccato mortale è nemico di Dio, è meritevole del­l'inferno, quindi indegno dei doni divini. Di più, come si potrebbe parlare a suo favore di remissione di pena temporale, quando ha addosso una condanna di pena eterna?
Quando poi per l'acquisto di una data indulgenza è prescritta la Confessione e la Comunione, la Chiesa permette di fare la Confessione tra gli otto giorni che precedono o seguono quello stabilito per l'indulgen­za, e di ricevere la santa Comunione o alla vigilia del detto giorno o fra l'ottava; fermo sempre restando l'obbligo di osservare tutte le altre prescrizioni nel modo e nel tempo stabilito. Chi è solito confessarsi almeno due volte al mese o fare la Comunione quo­tidiana, sebbene se ne astenga una o due volte la settimana, può lucrare le indulgenze anche senza l'at­tuale confessione, eccettuate quelle indulgenze conces­se sotto forma di giubileo sia ordinario che straordi­nario. Se si è tenuti ad un'opera, questa non giova per l'indulgenza senza concessione speciale; ma se fu imposta in confessione ed è indulgenziata, giova an­che per l'indulgenza. Lo stato di grazia si richiede almeno al termine delle opere prescritte (C. J. C., cc. 925-932).
L'intenzione per l'acquisto delle indulgenze è sem­pre richiesta. "Mancando l'intenzione, le opere buone alle quali le indulgenze sono annesse, non avrebbero altro merito che quello che hanno in se stesse, e secondo le disposizioni con le quali sono compiute. A­fine di acquistare il maggior numero possibile di in­dulgenze si può formare al mattino l'intenzione di voler acquistare tutte quelle indulgenze che saranno an­nesse alle opere buone fatte nella giornata.
In ultimo è necessaria l'osservanza di tutte le opere prescritte nel modo e nel tempo stabilito.
Se qualche condizione prescritta da chi ha concesso l'indulgenza venisse a mancare o in sè o nel modo di eseguirla, naturalmente l'indulgenza non si potrebbe lucrare.
Dobbiamo aggiungere che mentre in uno stesso giorno si possono lucrare più volte le stesse indul­genze parziali ripetendo le opere ingiunte, non si può lucrare più di una volta la stessa indulgenza plenaria, anche ripetendone le condizioni volute, a meno che non sia altrimenti disposto.
Nessuno può applicare ai viventi le indulgenze; ma si possono applicare alle anime del Purgatorio tutte le indulgenze concesse dal Sommo Pontefice, se non è stabilito diversamente.
Grande favore è dunque quello delle indulgenze, e si dimostrerebbe, ingrato verso il Signore, imprevi­dente verso se stesso e niente affatto caritatevole verso le anime del Purgatorio, chi non ne facesse il debito pregio. E' in nostra mano un gran mezzo per abbre­viare per noi e per i nostri cari trapassati le terribili pene del Purgatorio.
Moltissime sono le preghiere e i pii esercizi arric­chiti di indulgenze applicabili alle anime del Purga­torio. (…)
Il fatto seguente, riportato da Giov. Joergensen nella Vita di S. Francesco d'Assisi (Torino 1939, pagina 271), stia a dimostrare quale gratitudine nutrano le anime del Purgatorio per coloro che vollero acqui­stare indulgenze in loro suffragio.
«Fra Giovanni Rigaud O. F. M. nel libro che si intitola: Compendium Theologiae pauperis, alla que­stione: Utrum indulgentiae defunctis valeant, dopo aver dimostrato essere in arbitrio del Papa poter ap­plicare anche ai defunti le sacre Indulgenze, conferma la sua tesi con queste parole: - Io poi riferirò qui fedelmente ciò che a questo proposito mi fu raccon­tato nel luogo della Porziuncola, presso Assisi, nel qual luogo il beato Francesco fondò l'Ordine dei frati Minori, e santamente vi passò di questa vita. Ora è a sapere che per il medesimo luogo il beato Francesco ottenne dal Sommo Pontefice l'indulgenza plenaria di tutti i peccati a coloro che vi si fossero recati il primo giorno di agosto. Io vi andai l'anno del Signore 1301 E fu là che un frate molto intelligente e divoto, mi raccontò che in quello stesso anno due uomini di Milano erano venuti alla Porziuncola, e come ad uno di essi era morto di recente il figliuolo, che amava svi­sceratamente. Or mentre costoro tornavano in patria, quegli al quale era morto il figliuolo, si fece a pre­gare instantemente il compagno, perchè si degnasse concedergli il frutto dell'Indulgenza per l'anima del figliuol suo, che, a suo credere, doveva ancora trovarsi a penare tra le fiamme del Purgatorio. E quegli con grande liberalità gliela donò, con questa intenzione, che fosse applicata in suffragio dell'anima del Defunto. Ed ecco che nella medesima notte, il morto figliuolo apparve visibilmente al padre, il quale era già desto; e dopo di avergli rese vivissime grazie per l'Indulgenza ottenutagli, lo assicurò che in virtù di essa era stato incontanente liberato dalle pene del Purgatorio, e trasportato nel regno degli eletti, su in Cielo. Trascorso un anno, i sopraddetti uomini di Milano vennero nuovamente all'Indulgenza della Por­ziuncola, e con ordine esposero al Frate suddetto, tutto come le cose s'erano passate ».

CAPITOLO XX
L'ATTO EROICO
Eccellenza di questo atto
Abbiamo visto fino ad ora quali siano le diverse opere che possiamo offrire a Dio in sollievo delle ani­me purganti; resta quindi ad esporre l'atto virtuoso - per eccellenza, cioè, quello di offrire tutte queste opere insieme a vantaggio di quelle meschine e di applicarle loro senza alcuna riserva o restrizione, di fare insom ma quel che si chiama comunemente l'atto eroico di carità. Eroico è infatti questo dono generale che noi fedeli possiamo fare di tutti i nostri meriti soddisfat­torii, quest'atto di completa privazione che possiamo compiere a vantaggio dei defunti, poichè con esso noi veniamo a rinunziare generosamente a tutte le ric­chezze spirituali colle quali potremmo pagare i nostri debiti e risparmiarci tante pene del Purgatorio. Quan­tunque però l'eccellenza di questo atto sia così grande, non occorre per compierlo essere un eroe di santità, ma basta solo amar di tutto cuore Iddio e la salute dei fratelli, e di comprendere i proprii veri interessi.
L'atto eroico è una volontaria donazione che noi facciamo alle anime del Purgatorio della parte sod­disfattoria che in sè racchiude ciascun'opera buona. Questa donazione si usa fare ordinariamente nelle mani di Maria SS., onde ne disponga a completo van­taggio di quelle anime. Come abbiamo detto altrove, non si tratta con ciò di cedere il merito propriamente detto delle nostre opere, nè la parte impetratoria di esse, ma bensì la sola parte soddisfattoria, in modo che a vantaggio nostro non rimanga soddisfazione al­cuna in isconto dei peccati, ed è appunto in questo che consiste l'eroismo dell'atto: Quantunque da alcu­ni sia considerato e chiamato voto, esso nondimeno è revocabile a piacere del fedele, e non obbliga affatto sotto pena di peccato. Per farlo poi non è necessaria alcuna formala speciale, ma basta una ferma decisione della volontà. Trattandosi di opera si caritatevole ed eccellente, è naturale che molti Santi ce ne abbiano dato l'esempio, ed è perciò che la storia ecclesiastica di ricorda i nomi di S. Cristina l'Ammirabile, di santa Geltrude, di S. Caterina da Siena e di molti altri Santi del medio evo; e in tempi a noi più vicini santa Teresa, la beata M. Alacoque, la madre Francesca di Pamplona e il cardinal Ximenes, il quale ultimo fece tale donazione per consiglio stesso di Maria SS. Non si può dire quindi che questa sia una devozione nuova e recente, ma è bensì antica e praticata da molti fe­deli. Solo è da osservare con piacere che ai giorni nostri, per una misericordiosa provvidenza di Dio, la quale forse vorrà così supplire alla negligenza che tanti cristiani adoperano nel sollevare le anime del Purgatorio, quest'uso dell'atto eroico si è divulgato per tutte il mondo e si va sempre più estendendo. Il P. Olinden, religioso Teatino, fu il promotore più zelante di tal divozione, per la quale ottenne da Benedetto XIII indulgenze e privilegi straordinari. Da quell'epoca furono visti interi Ordini religiosi fare quest'atto, e la Compagnia di Gesù suggerirlo a tutti i suoi membri, e ai giorni nostri fondare a Parigi una congregazione religiosa chiamata delle Ausiliatrici del Purgatorio, le cui componenti, senza eccezione, fanno voto di offrire tutte le loro opere di soddisfazione e tutti i meriti della loro vita, di pregare, di lavorare, di soffrire a vantaggio delle anime del Purgatorio.
Esempi tanto mirabili, e le indulgenze concedute dai sommi Pontefici a questa divozione, mostrano a sufficienza come quest'atto di donazione possa legitti­mamente farsi dal cristiano; siccome però è stato op­pugnato da molti, esporremo qui, rispondendo breve­mente, le obbiezioni addotte e che si possono ridurre a tre. Dicono infatti: 1. Che quest'atto è contrario alla carità che dobbiamo avere verso noi stessi; 2. All'amore e alla compassione che dobbiamo avere verso i nostri parenti ed amici; 3. Agli obblighi spe­ciali di giustizia che ciascun di noi può avere verso qualche defunto.
Alla prima obbiezione, rispondiamo che quantun­que noi ci esponiamo a prolungare di qualche tempo il nostro soggiorno in Purgatorio, l'immenso accre­scimento però di gloria eterna che corrisponde al me­rito di quest'opera è tale, che anche se si trattasse di prolungare il nostro purgatorio fino alla fine del mondo, il cambio che si farebbe sarebbe sempre vantag­giosissimo. E poi chi non ammetterà che Dio, in considerazione di questo nostro disinteresse, sia più liberale verso di noi, concedendoci in ricompensa moltissime grazie, e non converrà che in forza di esso ci accaparriamo nel cielo altrettante protettrici in quel­le anime che avremo in tal modo salvate?
Alla seconda obbiezione rispondiamo, che siccome resta sempre intatta la parte impetratoria delle nostre opere, noi possiamo, ogni volta che lo vogliamo, pre­gare per le anime dei parenti od amici che ci son care, far celebrar Messe secondo i loro bisogni, e anche nel­l'offrire a Dio quest'atto eroico, raccomandargliele sempre colla quasi certezza che il Signore accolga favorevolmente la preghiera nostra.
Alla terza obbiezione, che sarebbe in apparenza la più seria se avesse un logico fondamento, rispondia­mo che nè i sommi Pontefici avrebbero approvato, ne i Santi messo in pratica quest'atto se l'avessero ri­conosciuto contrario alla giustizia. Inoltre i Papi nell'approvare questa divozione hanno formalmente escluso tutto ciò che potesse ledere i nostri obblighi di giustizia verso quelle anime. Nel Breve infatti di Benedetto XIII è dichiarato espressamente, fra le altre cose, che questa donazione non impedisce al sacer­dote di accettare onorari di Messe e di offrire il santo Sacrificio secondo le intenzioni che gli sono imposte; altrettanto quindi sarà di qualunque altro obbligo che a noi incombesse di pregare o di far pregare pei de­funti. D'altra parte il Signore che conosce i nostri doveri non mancherebbe di sollevare egli stesso quelle anime, sicchè apporteremo loro più utilità con questa offerta generale e completa, che non applicando indi­vidualmente le nostre preghiere od indulgenze. Fi­nalmente per tranquillizzare la coscienza di qualche anima timorosa, noi proporremmo di aggiungere al nostro atto una clausola restrittiva che togliamo dal­l'opera del P. cle Munford, e che è così concepita: Io cedo alle anime del Purgatorio tutti i miei meriti soddisfattorii in quanto ne possa aver diritto e torni di gradimento a Dio. - In tal modo non si offende nessun dovere di giustizia o di carità, e si esclude ogni obbiezione possibile.

È a nostro vantaggio
Stabilito così che quest'offerta di tutte le nostre opere non nuoce nè a noi nè agli altri, vogliamo ora mostrare che in quanto riguarda noi, non possiamo che guadagnarvi moltissimo, e per provarlo riassume­remo qui in poche parole quel che dice il De Munford già citato.
Dopo aver ricordato che in ciascuna azione virtuosa è da considerarsi la parte meritoria, impetratoria e soddisfattoria, tutte e tre le parti di essa azione ac­quistano un valore più considerevole, poichè in primo luogo il merito propriamente detto s'accresce conside­revolmente, insegnando i teologi che un'opera tanto più è meritoria quanto più è fatta con fine disinteres­sato e con carità, e nell'offrire ai defunti questa parte; soddisfattoria di tutte le nostre azioni, ci mettiamo di fatto nell'impossibilità di agire altrimenti che per motivi disinteressati, dal momento che queste opere non ci possono più servire pel pagamento dei nostri de­biiti spirituali. Di più, l'atto stesso col quale facciamo questa cessione universale è di un merito straordinario, perchè essendo revocabile, se ogni volta che ci venga in pensiero di rinunziarvi perseveriamo nella nostra generosa offerta, meritiamo un accrescimento sempre maggiore di gloria nel cielo, e quindi sotto questo rapporto il nostro guadagno è immenso.
In secondo luogo, quanto alla parte impetratoria che le nostre opere acquistano quando le indirizziamo a Dio come preghiera per ottenere una grazia qualunque, non minore è il guadagno che ne ricaviamo, poiché col disporre che di questa facciamo a vantag­gio dei defunti non si diminuisce affatto il merito dell'opera stessa, mentre resta sempre in nostra facoltà d'impetrare con essa da Dio, oltre alla liberazione delle anime, quelle grazie che più ci sono a cuore, e così oltre al merito dell'atto in sè e della carità che facciamo, avremo quello di aver salvate tante anime, che, unendo le loro alle preghiere nostre, ci renderan­no più facile l'esaudimeroto dei nostri voti. - Da ul­timo, quanto alla parte soddisfattoria, quantunque es­sendo l'unica che possiamo cedere interamente a van­taggio dei defunti, parrebbe che non potesse giovare a chi la offre, tuttavia, almeno in parte, ha questa prerogativa. E' detto nel libro dei Proverbi (Xl, 24) Vi sono taluni che danno quel che hanno, e diven­gon più ricchi, e partendo da quel principio che Dio è infinitamente liberale verso le sue creature e non si lasciamai vincere da esse in generosità, e pensando, alla promessa da lui fattaci nel Vangelo di ricambiar noi colla misura di cui ci saremo serviti verso gli al­tri, nonchè a quanto egli stesso disse a santa Geltru­de, che cioè avrebbe considerato come fatto a lui quel che facciamo per le anime purganti, possiamo ferma­mente sperare che in punto di morte userà molta mi­sericordia a coloro che per amor suo e per carità verso quelle anime si saranno privati della parte soddisfat­toria delle loro opere. Se è scritto nei libri santi che la carità ricopre molti peccati e che l'elemosina libera dalla morte, perché non dovrà esser così nel caso no­stro? Qual miglior elemosina di questa che non dà il solo superfluo, ma tutto offre a vantaggio del prossi­mo? E' vero che per noi non rimane nulla che valga a farci scontare le pene dovute ai nostri falli, ma dob­biamo considerare che Dio, in ricompensa della no­stra carità, ci concederà molte grazie straordinarie, fra le quali in punto di morte quella di una carità perfetta e di una viva contrizione che basti a ottenerci la remissione di tutti i peccati; e che ispirerà alle anime purganti che avremo liberate durante la nostra vita, di assisterci potentemente coi loro suffragi dopo la morte, e ai nostri superstiti e alle anime buone che lasciamo sulla terra, di pensare a noi come noi pen­siamo alle altre anime. Perciò, conclude il Munford, vi e molto a sperare che coloro i quali con purità e rettitudine d'intenzione avranno fatto questa cessione così generosa andranno esenti dal Purgatorio, o almeno vi dimoreranno tanto poco tempo che più non avrebbero ottenuto conservando per sè la parte soddisfattoria delle loro azioni.

CAPITOLO XXI
PRESERVIAMOCI DAL PURGATORIO

Mezzi generali e mezzi particolari

Avvicinandoci al termine di queste povere pagine è necessario dedurre da quanto si è detto fin qui una conseguenza pratica e salutare. Per ciò che riguarda i defunti questa conseguenza è chiara ed evidente, come abbiamo ormai abbastanza provato, ed è che dobbiamo pregare e pregar molto per essi, più assai di quello che abbiamo fatto finora. Quanto a noi stessi ed all'interesse che dobbiamo avere ad evitare le fiam­me del Purgatorio, due sono le specie di mezzi de' quali possiamo disporre: i mezzi generali cioè ed i particolari; gli uni e gli altri a noi già noti per le ri­velazioni citate finora e che in questo capitolo vedremo di riassumere brevemente nel modo più pratico pos­sibile.
I mezzi generali si possono ridurre ad uno solo fuga assidua e costante del peccato e specialmente del peccato veniale, il quale appunto per la sua minore gravità è lo scoglio su cui periscono moltissime anime. Non disprezziamo le cose piccole e quei debitucci che si vanno accumulando ogni giorno intorno a noi, perchè in fin di vita formeranno un totale che spa­venta l'immaginazione. Pensiamo che di tutto dovre­mo render conto a Dio, anche di una parola inutile: De omni ve bo otioso reddent rationem. E siccome malgrado tutti i nostri sforzi commetteremo sempre difetti, che dovremo necessariamente espiare in que­sto mondo o nell'altro, facciamo penitenza su questa terra, penitenza che ci si ridurrà molto più facile se a quella sacramentale aggiungeremo la rassegnazione alle tribolazioni della nostra vita, mediante la quale e mediante le indulgenze della Chiesa potremo esser sicuri di scontare in anticipazione il nostro purgatorio e di dimorar quindi in quel carcere il minor tempo che sia possibile.
Quanto ai mezzi particolari da usarsi sebbene tutte le virtù siano di per se stesse eccellenti, ve ne sono però alcune che per il cuore di Dio sembrano avere, diremo così, un incanto speciale che lo inclina ad usa­re gran misericordia a coloro che le praticano. - E innanzi tutto va annoverata la divozione a Maria san­tissima, a questa divina Madre che, come ci hanno mostrato tanti esempi citati nel corso di questo volu­me, non solo assiste i suoi devoti nell'ora suprema della morte disponendoli a contrizione perfetta spe­cialmente se peccatori, e nel momento del giudizio patrocinando la loro causa davanti al tribunale di Dio, ma ha promesso ancora di scendere a confortarli nel Purgatorio e di liberarli ben presto dalle loro pene. - Altro mezzo efficacissimo a sollevare nel Purgato­rio quelli che la praticarono in vita è la divozione alla SS. Eucaristia. Una religiosa di un monastero fon­dato da S. Geltrude, apparendo dopo morte a questa Santa, le diceva: - Quanto debbo rallegrarmi, mia buona Madre; di essere stata divota in vita della San­tissima Eucaristia, poichè in forza di questa devozio­ne ora raccolgo frutti si abbondanti e speciali dal­l'offerta che si fa per me dell'Ostia santa, che non tarderò molto ad essere introdotta nella celeste Geru­salemme! - Una terza pratica molto efficace è di es­sere in vita generosi verso le anime del Purgatorio, poichè Iddio ricompenserà con misericordia coloro che si mostrarono generosi con quelle infelici, mentre pu­nirà coll'oblio coloro che le trascurarono.
Altro mezzo eccellente per essere generosamente trattati dal Giudice divino, è quello di praticare in vita la elemosina, che a detta della Scrittura libera dalla morte. Beatus qui intelligit super egenum èt pauperem, in die vela liberabit eurn Dominus (Salmo 40, 1). Tutti abbiamo la possibilità di aiutare il prossimo: nessuno è tanto povero che non veda dietro a sè qualcuno più povero di lui. E' il cuore, è la buona volontà che manca! Come abbiamo accennato altro­ve, elemosina fatta a un povero, in suffragio dei morti, ottiene un effetto molteplice: solleva il povero, apporta refrigerio alle anime che soffrono in Purga­torio, placa Iddio adirato a causa dei nostri peccati. Ricchi o poveri, finche viviamo usiamo di quel molto o di quel poco che abbiamo con criteri e con fini soprannaturali e non avremo a pentircene nel dì dell­'ira. Ora possiamo e non vogliamo, allora vorremo, - ma non potremo.

Finalmente una virtù graditissima a Dio ed atta a farsi specialmente negli ultimi momenti della vita, è l'accettazione umile e sommessa della morte in espia­zione dei peccati, accettazione che inclina molto a nostro favore la divina misericordia.

Evitiamo adunque ogni specie di peccato e vegliamo con molta cura intorno ai veniali; domandiamo poi aiuto a Dio, senza il quale nulla possiamo, e alla preghiera accoppiamo la vigilanza, vigilanza continua e rigorosa su noi stessi; adempiamo con coscienza tutti i doveri generali della vita cristiana e quelli par­ticolari del nostro stato; abbiamo cara la divozione alla Vergine santissima, e ogni volta che la invochia­mo coll'Ave Maria meditiamo quelle ultime parole Sancta Maria, ora pro nobis nunc et in hora mortis nostrae: Santa Maria, prega per noi adesso e nell'ora della nostra morte. Accostiamoci con amore, con frequenza, con rispetto al SS. Sacramento dell'altare nei rapporti col nostro prossimo siamo buoni, carita­tevoli, prudenti; amiamo i poveri, che sono i predi­letti di Dio; preghiamo molto per le anime purganti: e non ci limitiamo verso di esse ad una divozione egoistica; insomma pensiamo agli altri mentre vivia­mo, se vogliamo che poi gli altri pensino a noi. I religiosi che hanno la sorte di vivere in istato di maggior perfezione portino con amore il giogo dell'obbedienza e dei doveri inerenti al loro stato sublime. Niuno peri faccia con negligenza l'opera di Dio), e così quando verrà per noi l'ora suprema, ci addormenteremo con fiducia ed amore fra le braccia di Gesù e di Maria.

CAPITOLO XXII
IL PARADISO


« Hai spezzato te mie catene »
Dopo la descrizione di tanti dolori e di tante pene, eccoci giunti finalmente a parlare di quell'ora bene­detta nella quale l'anima purificata dall'espiazione se ne vola al cielo, pura come quando Iddio la ebbe creata e felice di sentirsi unita per sempre al suo be­ne. Chi potrà riferire le gioie di quel momento?... Il paragone dell'esule che ritorna in patria dopo i lunghi giorni dell'assenza e rivedendo le rive amene della terra natia, pazzo di gioia riabbraccia i parenti e gli amici che colle festose accoglienze gli fan di­menticare il pane amaro dell'esilio, e troppo debole, per confrontarsi a quell'ora, ora benedetta, in cui l'a­nima non rientra nella misera patria terrena, ma nella felice dimora celeste preparatale dal suo Dio. Niuna lingua può ridire, senza averlo prima provato, il giu­bilo di quell'ora. Unico mezzo che ci resta per for­marci una languida idea di quel momento fortunato, sono le rivelazioni dei Santi, sulla scorta delle quali esporremo brevemente in questo capitolo l'avvenire riserbato alle anime. Si tratta di una festa per tutto il Paradiso. Per la liberazione di un'anima dal Purga­torio, ne gode il Signore e la Vergine, gli Angeli e i Santi ne esultano; i beati comprensori si fanno in­contro alla nuova fortunata, ormai loro compagna per tutta l'eternità.
S. Teresa mentre stava un giorno ad ascoltare la S. Messa in suffragio di un Padre Gesuita virtuosis­simo e morto poco tempo prima, vide nostro Signore scendere in Purgatorio, col volto raggiante di bontà e di misericordia, a cercare quell'anima fortunata per condurla in cielo, e questo in ricompensa della grande umiltà professata in vita dal defunto, come ebbe a dire nostro Signore alla Santa (Vita della Santa, ca­pit. 38).
Chi potrà poi dirci lo splendore della gloria che irradierà quelle anime? Diceva santa Caterina da Siena, che l'anima santa nel possesso della sua felicità è spettacolo così meraviglioso e sublime, che se a noi fosse dato una volta sola contemplarlo, non potrem- mo sostenerne la vista e ne morremmo di felicità. Occhio umano non ha mai visto cose più belle, orec­chio umano non udì mai armonie più soavi di quelle che si godono in cielo! Speriamo di vedere un giorno anche noi, fra gli splendori dell'eternità, le maravi­glie di quel regno beato; ma fino a quel giorno noi poveri bambini balbettanti non potremo mai arrivare a parlare di cose tanto sublimi, e lasciando inesplorati i solenni decreti del cielo, ci sarà sol di conforto la speranza di possedere in un tempo non lontano la scienza divina di quelle perfezioni! - Quantunque a stretto rigore l'anima non venga mai liberata prima che sia giunto il momento preciso in cui finisce la sua espiazione, vi sono tuttavia alcuni giorni dell'anno che sembra siano stati particolarmente destinati da Dio alla liberazione di quegli spiriti eletti. Oltre al privilegio del sabato pei confratelli dello Scapolare, e oltre le feste della beata Vergine, di cui già parlam­mo, vi sono altri giorni di speciali favori. Caterina Emmérich, nelle sue rivelazioni tanto importanti sulla passione del Salvatore, ci dice che in ogni anniver­sario del sacrificio del Calvario Gesù Cristo scende nel Purgatorio a liberare l'anima di qualcuno di coloro che si trovarono presenti al grande spettacolo della sua passione. Altre rivelazioni ci fanno noto che ogni anno nel giorno dell'Ascensione, il divin Maestro rin­nova in certo qual modo il mistero del suo ingresso trionfale nel cielo, scendendo in Purgatorio a liberare molte anime che gli fanno corteggio nel rientrare nel soggiorno beato. Finalmente nel giorno della Comme­morazione di tutti i fedeli defunti, che è quello più specialmente consacrato ai suffragi, moltissime anime sono liberate da quelle pene. Una rivelazione citata dal P. Faber ci dice che Iddio fa uso, in codesta circo­stanza, della sua generosità, specialmente per quelle anime alle quali resta poco altro tempo per compiere fa loro espiazione.
E qui pure ci troviamo impotenti ad immaginare il divino spettacolo e le splendide feste che si faranno in cielo in quelle occasioni così solenni. Se nei giorni delle grandi solennità della Chiesa quando centinaia di fedeli dopo, essersi nel mattino accostati alla sacra Mensa, tornano a sera coll'anima pura e col sorriso sulle labbra nel tempio santo di Dio dov'egli; rifulge tra gli ori del tabernacolo, tra i profumi dei fiori e le nubi d'incenso, noi ci sentiamo commossi e rapiti quasi fuori di noi stessi dalla gioia, e quando la be­nedizione divina fra il silenzio religioso del santuario scende sui nostri capi sussultiamo di allegrezza, che cosa mai dovrà essere lassù nel cielo in quei giorni di tanta festa, nei quali la Trinità augusta circondata dalla sua gloria, e l'Umanità santissima del Salvatore raggiante amore dalle sue piaghe divine, e la Vergine Maria e gli Apostoli e i Martiri e le Vergini e i Cori degli angeli accoglieranno l'anima eletta nella santa città? Oh! sì, pensiamo, pensiamo a queste gioie se­rene, a queste allegrezze divine, e dopo aver finora parlato dei rigori della divina giustizia, solleviamo fi­ducioso lo sguardo al Paradiso e vediamo che cosa sia lassù preparato per ciascuno di noi.
Appena entrata in cielo, l'anima riceve il posto che le compete a seconda dell'ordine e della natura de' suoi meriti. Si crede comunemente che una gran parte delle creature umane che si salvano vada a riempire nei cori degli angeli il vuoto prodottovi da Satana e dai suoi compagni ribelli. Molte altre poi entrano in altre categorie di spiriti separatamente costituite, e così mentre il coro degli Apostoli partecipa del potere giudiziario di Cristo, quello dei Martiri e dei Dottori avrà il privilegio di un'aureola speciale di gloria, e le anime che sino alla fine della vita si saranno con­serviate pure da ogni macchia, godranno del singolar privilegio di seguire l'Agnello divino in qualunque luogo vada, e canteranno nel cielo il cantico sublime della verginità. Pensiamo adunque spesso agli splendori dell'eternità beata che ci attende. La vita è triste e dolorosa, è vero, specialmente in certe occasioni, ma non ci perdiamo di coraggio; passeran­no le pene, e avrà fine la prova. Senza dubbio avremo ancora da scontare in Purgatorio i fallì che la fralezza umana ci ha fatto commettere in vita, ma per quanto lunghe ed atroci potranno essere le nostre pene, final­mente verrà quel giorno, a Dio solo noto, in cui chia­mati dall'alto andremo ad occupare il posto che ci sarà riservato fra i beati del cielo. Questo posto che verrà assegnato a ciascuno di noi, sarà indipendente dal maggiore o minor tempo passato in Purgatorio, e cor­risponderà soltanto ai meriti da noi acquistati in vita. Maria Lataste riferisce nelle sue rivelazioni che una novizia del suo monastero, morta in odore di santità le apparve dopo solo nove giorni del suo passaggio di questa vita, e le disse che si trovava già liberata dal Purgatorio, e saliva al cielo. Di lì a pochi mesi es­sendo morta dopo una vita santissima un'altra mo­naca di età assai avanzata, la Lataste seppe per rive­lazione che sebbene per alcune colpe commesse durante il corso della sua lunga vita avesse dovuto re­stare in Purgatorio parecchi mesi, quando però entrò in cielo le fu assegnato un posto assai più glorioso ed elevato di quello della novizia. La spiegazione di questo fatto a prima vista strano, non è difficile a darsi, perchè i meriti che l'anima può avere acquistati sulla terra, sono assolutamente indipendenti dalle col­pe che si debbono espiare. Nel corso di una lunga, vita si possono guadagnare molti meriti, come contrarre molti debiti; ma i debiti si pagano con una espiazione temporanea, mentre il più lieve merito corrisponde ad un nuovo grado eternamente incancellabile di gloria, vale a dire ad una eterna ricompensa. Lavoriamo quindi con coraggio intorno al nostro perfezionamen­to morale, affin di servire con purità e zelo il nostro buon padrone Iddio, il quale è tanto generoso, che se esige dai suoi debitori fino all'ultimo centesimo, promette pure ai suoi fedeli una ricompensa infinitamente superiore ai loro meriti: Merces magna nimis.
E qui dopo aver parlato della giustizia e della misericordia di Dio sulle anime a lui fedeli, dopo aver mostrato come questa giustizia e misericordia si eser­citino ammirabilmente e sapientemente in quel carcere di dolore, poniamo fine a questo scritto, augurandoci che queste povere pagine producendo un po' di bene alle anime, possano meritarci la protezione della Ver­gine nel giorno estremo nel quale dovremo anche noi comparire al tribunale divino; che se saremo riusciti ad accendere nel cuore di qualche fedele l'amore e lo zelo verso i nostri fratelli defunti, speriamo che le anime del Purgatorio, alle quali avremo in tal guisa giovato, ci otterranno da Dio il perdono dei nostri peccati, unica ricompensa alla quale aneliamo.

APPENDICE

MANIFESTAZIONI DI UN'ANIMA PURGANTE 
AVVENUTE IN MONTEFALCO
Riportiamo in appendice la narrazione delle mani­festazioni di un'anima purgante, avvenute a Monte­falco, in archidiocesi di Spoleto, dal 2 sett. 1918 al 9 nov. 1919.
Secondo noi l'importanza di queste manifestazioni, per i particolari che le accompagnarono, per il loro numero, per la irreprensibilità delle persone che ne furono testimoni, per gli insegnamenti e i moniti che - offrono è tale da costringerci a credere che esse siano di primissima importanza, e per alcuni rispetti, come ebbe a scrivere Mons. Giov. Capobianco, tali che non - se ne rinvengano altre simili nella storia delle manife­stazioni d'oltre tomba e nelle rivelazioni fatte ai Santi. Di quanto siamo andati dicendo via via nel corso del nostro lavoro, nulla viene smentito da queste re­centissime manifestazioni, anzi molte cose rimangono confermate. Il fatto poi che esse siano avvenute al tempo nostro e che dal processo tenuto dal tribunale ecclesiastico, a ciò incaricato, risulti confermata la veridicità e la storicità della narrazione fatta dai te­stimoni, rappresenta per noi moderni, generalmente dubbiosi in materia, e abituati troppo poco a vivere nel clima del soprannaturale, un grande conforto, un monito e un invito a ricordarci dell'al di là e di coloro che già vi si trovano.
Le straordinarie manifestazioni - 28 in tutte ebbero luogo nel Monastero di S. Leonardo in Mon­tefalco, ove vive una numerosa comunità di suore Clarisse, negli anni 1918 e 1919; ed ecco come avven­nero.
Il 2 settembre 1918, sentito suonare il campanello della sacrestia, Suor Maria Teresa di Gesù, Abba­dessa del Monastero andò a rispondere, e una voce le disse: - Devo lasciare qui questa elemosina. - La ruota girò, e sopra v'erano dieci lire. Avendo l'Abbadessa domandato se dovevano farsi tridui o altre preghiere oppure far celebrare delle Messe, fu risposto: - Senza nessun obbligo.
- Se è lecito, chi lei? - chiese l'Abbadessa. Non occorre saperlo. - La voce era gentile, ma mesta, lontana e frettolosa, come fosse nascosta.
La cosa si ripetè il 5 ott. il 31 ott. il 29 nov. il 9 dicembre, il 1° gennaio 1919 e il 29 gennaio, nel me­desimo modo e sempre fu lasciata la somma di lire 10 sulla ruota. Domandando l'Abbadessa se si dovevano fare preghiere, le fu risposto: - La preghiera è sem­pre buona.
Il 14 marzo, in tempo dell'esame, circa le ore 20, il campanello suonò due volte, ed essendo andata l'Abbadessa a rispondere, trovò 10 lire sulla ruota, ma alle sue domande nessuno rispose. La chiesa ester­na era chiusa e le chiavi l'avevano le suore. Chiamata la fattora e fatto guardare in chiesa, non vi fu trovato nessuno. Da quella sera le suore incominciarono a pensare che colui che faceva l'elemosina non era per­sona di questo mondo.
L'11 aprile, nel modo come sopra, furono portate altre 10 lire e la voce, per la prima volta, chiese pre­ghiere per un defunto.
Il 2 maggio si ebbe la decima manifestazione. Poco prima del silenzio, circa le ore 21,30, inteso suonare il campanello, le suore andarono a rispondere in quat­tro: l'Abbadessa, Suor Maria Francesca delle Cinque Piaghe, Suor Amante Maria di S. Antonio e Suor Angelica Ruggeri. Furono trovate lire 20 sulla ruota (due carte messe a forma di croce). La chiesa esterna era chiusa.
Il 25 maggio, il 4 giugno e il 21 giugno furono trovate sulla ruota 10 lire ogni volta, senza sapere donde venissero.
Il 7 luglio, circa le ore 14, in tempo di ritiro, suonò due volte il campanello, ma l'Abbadessa, credendo che fossero bambini in chiesa, non volle rispondere. Essendosi appoggiata per riposare, una voce fuori della camera le disse: - Hanno suonato il campanello della sacrestia. Andata subito a rispondere, udì la solita voce dire: - Lascio qui lire 10 per preghiere.
Ella domandò: - Da parte di Dio, chi è? - Le fu risposto:
- Non è permesso - e non sentì altro. Domandò poi alle suore chi l'avesse chiamata, ma nessuna di loro era stata.
Il 18 luglio, dopo il silenzio della sera, circa le ore: 21,30, scesa la Badessa a chiudere la porta del forno rimasta aperta, mentre risaliva udì il suono del campanello; andata alla ruota, al saluto « Lodato Gesù e Maria »sentì rispondersi «Amen» e poi soggiungere
Lascio questa elemosina per le solite preghiere. La Badessa si fece animo e domandò:
- In nome di Dio e della SS. Trinità, chi è? - ­E la stessa voce rispose: - Non è permesso. - E non udí altro. La chiesa esterna era chiusa.
Il 27 luglio, andata l'Abbadessa alla ruota prima della Messa, trovò 10 lire senza sapere chi ce le avesse messe.
Il 12 agosto, circa le ore 20, suonato il salito campanello, andarono a vedere l'Abbadessa, Suor Maria Nazarena dell'Addolorata e Suor Chiara Benedetta Giuseppa del S. Cuore; trovarono sulla ruota 10 lire. Avendo scongiurato in nome di Dio, nessuna rispo­sta. La chiesa era chiusa. Essendo stata chiamata la servigiana per guardare se c'era nessuno in chiesa, vi andarono il Rev. D. Alessandro Clinati, priore di S. Bartolomeo e confessore delle suore, D. Agazio Tabarrini, parroco di Casale e cappellano del Mona­stero, e P. Angelo, Guardiano dei Cappuccini, ma in chiesa non trovarono nessuno.
Il 19 agosto, circa le ore 18,30 essendo suonato il campanello, l'Abbadessa andò a rispondere. Al saluto - «Lodato Gesù e Maria », la voce rispose « Amen », e - subito soggiunse: - Lascio quest'elemosina per preghiere. - L'Ab­badessa rispose:
- Noi pregheremo lo stesso, l'elemosina la dia a qualche altra persona più bisognosa. - Allora la vo­ce, fattasi compassionevole: - No, la prendano, è una misericordia. - E' permesso sapere chi è ?
- Sono sempre la medesima - rispose, e non si udì altro. Lasciò lire 10.
Altrettanto accadde il 28 agosto e il 4 settembre, ma alle domande dell'Abbadessa non rispose nessuno.
Il 16 settembre, circa le ore 2 l'Abbadessa chiuse il dormitorio e sentì suonare il campanello. An­data a rispondere con un'altra suora, nessuno parlò, ma sulla ruota v'erano 10 lire. Rifiutando l'Abbadessa di prendere il denaro, le fu risposto: - Le prenda, è per soddisfare la divina giustizia. -­ L'Abbadessa fece ripetere al suo misterioso interlo­cutore la giaculatoria: « Sia benedetta la santa, pu­rissima ed immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria» e la giaculatoria fu fedelmente ripe­tuta.
Il 21 settembre, si trovano sulla ruota altre 10 lire. Il 3 ottobre, circa le ore 21, dopo il silenzio, mentre l'Abbadessa era affacciata alla finestra della camera, le parve di sentir suonare. Andata a rispondere e ri­cusando le 20 lire che le venivano date in elemosina, col dire che il confessore non era contento dubitando di una manifestazione diabolica, fu risposto: - No, sono un'anima purgante: sono 40 anni che mi trovo in Purgatorio; per aver dissipato beni ecclesiastici. -
Il 6 ottobre fu fatta celebrare una Messa in suffragio di quell'anima. Dopo poco suonò il campanello; an­data la Badessa a sentire, la solita voce disse: - Lascio quest'elemosina, grazie tanto. - La Ba­dessa fece altre domande, ma non ebbe risposta. La sacrestia era chiusa, e sulla ruota furono lasciate le solite 10 lire.
Altrettanto accadde il 10 ottobre. Alle richieste del­l'Abbadessa circa la sua identità, l'anima rispose: - Il giudizio di Dio è giusto e retto.
- Ma come? Io le ho fatto dire delle Messe, e se una sola basta per liberare un'anima, come lei non è ancora libera?
- Io ne ricevo la minima parte. - Ad altre do­mande non rispose e anche questa volta lasciò 20 lire. Il 20 ottobre, alle ore 20,45, appena suonato il si­lenzio, mentre l'Abbadessa saliva con due altre mo­nache, Suor Maria Rosalia della Croce e Suor Chiara Giuseppa del S. Cuore, udirono suonare il campanel­lo, ed andata l'Abbadessa a rispondere, trovò le 10 lire sulla ruota, ma non rispose nessuno. Tornò l'Ab­badessa a chiudere la porta del dormitorio, quando sentì suonare di nuovo; tornò, e al saluto « Lodato Gesù e Maria » l'anima rispose: « Amen », con voce assai intelligibile, e siccome l'Abbadessa non aveva preso le 10 lire, così soggiunse: - Prenda quest'elemosina; è una misericordia. - Avendola presa, disse: - Grazie!
- Ma si potrebbe sapere chi è? - Preghi, preghi, preghi, preghi. -
Il 30 ottobre, alle ore 2,45, l'Abbadessa da una voce fuori della camera sentì dirsi: - È suonato il campanello della sacrestia. Andata a rispondere, al solito saluto, l'anima rispose. «A­men» e poi subito: - Lascio qui quest'elemosina. - Ma l'Abbadessa, senza far finire la parola, soggiunse: - Io per ordine del confessore non posso prender­la In nome di Dio e per ordine del confessore, mi dica chi è: è sacerdote? - Si.
- Erano di questo monastero i beni che ha dissi­pati? - No; ma ho il permesso di portarli qui. E dove li prende?
- Il giudizio di Dio è giusto.
- Ma io ci credo poco che sia un'anima, penso sempre che sia qualcuno che scherza.
- Vuole un segno?
No, che ho paura. Se chiamo qualcuna? Faccio subito...
- No, che non mi è permesso. - L'Abbadessa pre­se le dieci lire e lui disse: - Grazie, adesso entro a parte delle preghiere. L'Abbadessa soggiunse: - Lei pregherà per me, per la mia Comunità, per il Confessore?
Benedictus Deus qui... - E si allontanò mor­morando a bassa voce, e non si capì altro. La voce di quest'ultima volta era meno frettolosa e meno cupa, anzi prima sembrava che stesse fuori, adesso come parlasse all'orecchio destro, e quando si allontanava era udita meglio dal sinistro.
Il 9 novembre ebbe luogo l'ultima manifestazione. Alle ore 4,15 circa, l'Abbadessa dal dormitorio intese suonare il campanello della sacrestia. Andata a rispon­dere, al saluto « Lodato Gesù e Maria » la solita voce rispose: - Sia iodato in eterno. Io ringrazio lei e la religiosa Comunità: sono fuori di ogni pena. - E i sacerdoti che hanno detto più Messe, no? Il confessore, il P. Luigi Bianchi, D. Agazio?
- Io ringrazio tutti. - A me piacerebbe di andare in Purgatorio, dove si trovava lei, così starei sicura... - Faccia la volontà dell'Altissimo. - Pregherà per me, per la Comunità, per i miei genitori se sono in Purgatorio, per il confessore, per il P. Luigi Bianchi, per il Papa, per il Vescovo, per il Cardinale Ascalesi? - Si.
- Benedica me e le persone che ho nominate. Benedictio Domini super vos.
La mattina avanti fu fatta celebrare una Messa dal Luigi Bianchi S. J., alla chiesa del Gesù in Roma all'altare privilegiato. La voce del sacerdote defunto, che sul principio era mesta, poi man mano, sembrava più lieta e nell'ultima volta si capiva che era felicis­sima. Il suono del campanello era mesto e flebile e pareva che facesse scendere un senso di pace e di contento nel cuore di chi l'udiva, cosicchè ormai tutte le Suore lo conoscevano e pregavano, appena lo udi­vano, per il defunto. Furono portate lire 300 e furono applicate 38 Messe di suffragio.
Così la relazione delle suore del Monastero di San Leonardo in Montefalco.
Di queste manifestazioni furono subito messi al corrente l'Arcivescovo di Spoleto Mons. Pietro Paci­fici, l'E.mo Cardinale Pompili, Vicario di S. Santità in Roma, l'E.mo Cardinale Ascalesi di Napoli, il Di­rettore della Rivista « Il Purgatorio visitato dalla ca­rità dei fedeli », ed altre personalità.
Fu conservato un biglietto di banca da lire 10, che - portava i numeri di serie 041161 e 2694. Le Suore pre­garono sempre con fervore per quell'anima purgante e non risparmiarono mortificazioni e penitenze in suf­fragio di lei.
In data 8 febbraio 1920, l'Arcivescovo di Spoleto Mons, Pacifici, interpellato dal Direttore della Rivista « Il Purgatorio visitato dalla carità dei fedeli», rispondeva con la seguente lettera;
« Rev.mo P. Benedetti,
Dei fatti svoltisi recentemente nel monastero di S. Leonardo in Montefalco io n'ebbi cognizione fin da principio. Lasciai che le cose si chiarissero da sè e non parlai mai nè con l'Abbadessa nè con le monache, benchè tutte si mostrassero estremamente im­paurite, sospettando che si trattasse di un inganno diabolico.
Le cose sono terminate come la P. V. Rev.ma già sa: per me v'è la certezza morale che trattisi vera­mente di apparizioni di un'anima purgante. L'Abbadessa e monache danno pieno affidamento di serietà. Ho consigliato io medesimo la pubblicazione del fatto sul periodico diretto dalla P. V. Ad ogni modo, mi propongo, durante l'anno, di fare un processo canonico di quanto è avvenuto, facendo venire da Roma persona capace per la compilazione del medesimo. Per far questo richiederei anche la cooperazione della P. V. Rev.ma.
La ringrazio vivamente della memoria che lei conserva per me, e l'assicuro che non la dimentico.
Preghi per me, e si abbia distinti ossequi dal Suo in G. C.
+ Pino, Arcivescovo ».
Nel Luglio 1921 Mons. Arcivescovo costituì il tri­bunale pel processo ordinario, che fu tenuto dal 27 Luglio al giorno 8 Agosto. Gli atti originali, che comprendono più di duecento facciate in protocollo, si conservano nell'Archivio della Curia Arcivescovile di Spoleto. In essi sono raccolte le deposizioni di do­dici testi, indotti dal Postulatore, tra i quali sette mo­nache, il Rev. D. Agazio Tabarrini, Cappellano del Monastero, il P. Valentino da Giano, cappuccino, Millei Caterina, servigiana, il Rev. Tommaso Cascio­la, Vice Parroco di S. Bartolomeo, e il Sig. Ponziano Vergari.
Inoltre le deposizioni di tre testi indotti ex officio - l'E.mo Cardinale Ascalesi, Mons. Climati e il Dottor Alessandro Tassinari, Medico-chirurgo di Montefal­co. - In appendice ad essi, sono riportati, tra altri documenti, gli atti della prima Istruttoria e la rela­zione del P. Luigi Bianchi, Gesuita, autenticata dal suo Provinciale, non avendo potuto detto Padre, re­cassi a deporre in persona.
L'esito del processo fu positivo, ma non fu emanata sentenza per ragioni contingenti. Nella relazione fatta dal Rev.mo Mons. Giovanni Capobianco, Giudice del Tribunale che aveva condotto a termine il processo, al Clero di Spoleto in occasione di un'adunanza dei casi, si leggono queste parole: «Allo stato degli atti, risulta dunque Provato con sufficiente certezza storica il fatto della manifestazione di un'anima purgante nel Monastero delle Francescane di S. Leonardo in Mon­tefalco?
- A mio giudizio si deve rispondere di si; perché la certezza storica di un fatto é sopratutto certezza, ossia fondata sulla scienza e veracità dei testi e i numerosi testimoni addotti nel processo, godono tutti di tali dotti in grado eminente.
Quindi la manifestazione merita fede umana, e credo che in seguito potrà essere, dalla competente autorità, emanata analoga sentenza».

La sacrestia, dove accaddero le manifestazioni, venne trasfor­mata in Cappella dedicata al suffragio delle Anime del Purgatorio e specialmente di quelle dei sacerdoti defunti. Fu benedetta il 26 febbraio 1924, ed è centro ardentissimo di pietà per le povere penanti. Ivi è eretta una confraternita in suffragio delle Anime del Purgatorio, specie sacerdotali, aggregata nella Primaria esistente nella Chiesa del S. Cuore del Suffragio a Lungotevere Prati in Roma.


Tratto dal Sito: www.preghiereagesuemaria.it

AMDG et B.V.M.