sabato 18 febbraio 2012

La Mamma: Il Cuore di Dio è tutto Bontà e Tenerezza


Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi

10.02.12


La Mamma parla agli eletti



Figli amati, pensate ai peccatori e pregate per essi senza interruzione: sono molti e corrono un grande rischio, perché il nemico è forte, seduce e inganna con i suoi molti volti. 

Figli cari, con la preghiera fervente si ottengono le Grazie più belle; molti si perdono, perché non sono abbastanza aiutati dalle preghiere e dai sacrifici di coloro che credono

Figli Miei, non siate fiacchi nel pregare: pregate sempre, senza interruzione, e supplicate le Grazie di salvezza. Il Cuore di Dio è tutto Bontà e Tenerezza; questo è, ma vuole essere supplicato per concedere: le suppliche ardenti di pochi aiutano molti. Andate col pensiero al passato: quante volte Dio ha fermato il castigo, per le preghiere ardenti di pochi? Figli amati, voi non immaginate neppure cosa possa accadere nel mondo, se persevera nella grande ribellione! Potete ancora ottenere attenuazione, per l’ardente preghiera.

Mi dice la Mia piccola: “Madre amata, Madre cara, vogliamo unire la nostra debole preghiera alla Tua, meravigliosa e potente, per ottenere da Dio più possibile. Permettici di pregare ogni giorno, uniti a Te, profondamente, nel cuore e nella mente. Giungano al Cielo suppliche potenti che otterranno le Grazie più grandi.

Figli amati, è bene ciò che volete, Dio vuole ascoltarvi ed esaudirvi. Dio vi ama, Dio vuole la salvezza di ogni uomo: è un Padre amoroso, una Madre piena di Dolcezza. Confidate in Lui ed unitevi a Me ogni giorno, col cuore e con la mente, per la preghiera più ardente.

Mi dice la Mia piccola: “Con la preghiera, così, ho capito che molto otterremo, sempre di più; ma ciò che subito abbiamo è la grande gioia nel cuore, la speranza che non tramonta.”

Figli amati, uniamo i cuori per la lode a Dio, il ringraziamento, l’adorazione continua. Vi amo tutti.
Ti amo, angelo Mio.

                                                                                              Maria Santissima

Laudetur Iesus Christus!
Laudetur cum Maria! 
Semper laudentur

venerdì 17 febbraio 2012

Dichiarazione dell'Arcivescovo di Bologna






Il Cardinale Carlo Caffarra contro lo spettacolo blasfemo di Castellucci



Dichiarazione dell'Arcivescovo di Bologna

In relazione allo spettacolo blasfemo “Sul concetto di volto nel figlio di Dio”, offensivo nei confronti di Cristo e del sentimento religioso dei fedeli cattolici, di prossima programmazione a Casalecchio di Reno (BO), il Cardinale Arcivescovo ha comunicato:

«Dall’insulto alla sua Madre, rivoltole nella nostra città alcuni anni or sono, si passerà ora ad una rappresentazione teatrale obiettivamente blasfema nei confronti di Gesù e del suo Volto Santo. Siamo sdegnati e addolorati, come cittadini e come credenti. Come cittadini nel vedere che l’esercizio della libertà espressiva non conosce più neppure i limiti del rispetto dell’altro. Come credenti nel vedere inserito il Volto Santo – il quale gli angeli desiderano guardare – in uno spettacolo indegno, offensivo, e obiettivamente blasfemo e sacrilego. 
Sacrilegio è anche trattare indegnamente i simboli sacri, così come la bestemmia si estende anche alle sante immagini. Vengono a mente le parole della Scrittura: «poiché hanno odiato la sapienza e non hanno amato il timore del Signore […] mangeranno il frutto della loro condotta e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni» [Pr 1,29.31]. 
Dio continui ad usarci misericordia, anche quando giungiamo perfino al disprezzo del dono più grande che ci ha fatto: il suo Figlio unigenito. «Uomo dei dolori, davanti a cui ci si copre la faccia» [Is 53,3]. Cristo è sceso nelle più amare pieghe dell’umana angoscia; Dio ha voluto sperimentare il nostro duro mestiere di vivere. Ma per donarci speranza, per riportarci alla nostra primigenia verità e splendore. Vederlo disprezzato in questa sua sofferta bellezza, è spegnere ogni speranza. “Volto santo di Cristo, luce che rischiara le tenebre del dubbio e della tristezza, vita che ha sconfitto per sempre il potere del male e della morte … rendici pellegrini di Dio in questo mondo, assetati di infinito” [Benedetto XVI]. Sono sicuro che i buoni fedeli di Casalecchio in unione coi loro pastori sapranno reagire in modo fermo e composto. Chiedo ai parroci di Casalecchio di fare, dopo la celebrazione delle sante Messe feriali di venerdì e sabato, una preghiera di riparazione, nella forma e modo che riterranno più opportuno. Non escludano eventualmente la celebrazione della S. Messa «per la remissione dei peccati». E che Dio abbia pietà di noi!».

Fonte:


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come educare 

nella società contemporanea"

Cento, 19 maggio 2011


Durante la cena pasquale ebraica, ad un certo punto il figlio doveva rivolgersi al padre dicendo: "perché diversa è questa notte da tutte le notti? Infatti tutte le notti noi mangiamo lievitato e azzimo; questa notte tutto quanto azzimo…". Il padre rispondeva: "schiavi fummo in Egitto del Faraone, e il Signore Dio nostro ci fece uscire di là con mano forte e con braccio disteso" [cit. da C. Girando, Eucaristia per la Chiesa, Gregorian University Press-Morcelliana, Roma-Brescia 1989, 134-135].
Questo testo ci aiuta a capire profondamente che senso ha parlare oggi di "emergenza educativa": e questo sarà il primo punto della mia riflessione. E ci aiuterà ad individuare alcuni fondamentali orientamenti pratici per uscire da essa e dare origine ad una grande stagione educativa nella nostra Chiesa e nella società civile: e questo sarà il secondo punto della mia riflessione.
1. L’emergenza educativa.
Ritorniamo al testo ebraico. Esso ci mostra come si può stringere un legame buono fra le generazioni: la generazione dei padri e la generazione dei figli.
La prima costatazione. Il legame è istituito dalla narrazione del fatto che ha fondato l’identità e quindi la libertà del popolo a cui il bambino appartiene. È stata la liberazione dalla schiavitù egiziana a dare origine ad Israele; è stato l’evento fondatore della sua identità.
La narrazione viene ripetuta ogni anno – ogni anno la Pasqua deve essere celebrata – perché si custodisca la memoria dell’evento fondatore "di generazione in generazione". La memoria deve essere custodita, perché quando si perde la memoria si perde la consapevolezza della propria identità; si è sradicati, spaesati, esiliati da se stessi. Dunque la narrazione che il padre fa al figlio impedisce a questi di ignorare la sua origine, di ignorare la sua dignità di uomo libero, e gli consente di sentire la propria libertà come un bene condiviso con gli altri.
In questo modo, mediante quella narrazione, il rapporto fra le generazioni non era solo biologico ma diventava pienamente umano. La generazione dei figli, già legata biologicamente a quella dei padri, entrava nello stesso universo dei padri: la stessa religione, la stessa legislazione, gli stessi valori. Si costituiva un popolo non solo in senso etnico, ma anche culturale. Israele è l’Israele di Dio e Dio è il "Santo di Israele".
Ma c’è un altro aspetto ancora più importante; anzi è il più importante di tutti. La risposta del padre al figlio si conclude nel modo seguente: "in ogni generazione e generazione ognuno è obbligato a vedere se stesso come essendo proprio lui uscito dall’Egitto" [ibid. pag. 111].
La narrazione del padre racconta l’evento fondatore non semplicemente come un fatto che definitivamente appartiene al passato, ma come un avvenimento che continua anche ora ad esercitare il suo influsso. Anche ora, ogni generazione di figli ha bisogno di sapere la sua origine, di accedere alla dignità di uomini liberi, di condividerla dentro una comunità di persone. La tradizione che si trasmette di generazione in generazione è una dimensione essenziale del presente, dal cui riconoscimento o negazione dipende la costituzione del proprio io. Ed è la generazione dei padri a testimoniare questa presenza, ed introdurre così il figlio nella vita.
Si potrebbero dire molte altre cose, ma mi fermo nella considerazione del rito ebraico. Vorrei farvi vedere come esso sia come il paradigma educativo di ogni vero rapporto educativo. Quando nelle vostre famiglie il rapporto padre-figli "funziona", anche in esse accade tutto ciò che accadeva la sera di Pasqua in ogni famiglia ebraica.
Parto da un episodio realmente accaduto in una famiglia. Essa fu colpita da un gravissimo lutto. La bambina di pochi mesi fu colpita da un tumore che la portò alla morte. Il fratellino di qualche anno di vita, dopo qualche giorno dal funerale, chiese a sua madre: "mamma, ma quando torna a casa Lucia?".
La risposta a questa domanda, una delle più radicali che l’uomo possa compiere, ha dato inizio in senso forte alla grande narrazione della vita che i genitori fecero al loro bambino.
Essi non partivano dal niente: dentro al niente si può cadere, ma dal niente non si può partire. Sono due sposi: il matrimonio è condivisione amorosa dello stesso destino. Sono due sposi radicati e fondati dentro l’avvenimento cristiano. Essi hanno risposto narrando quell’incontro che avevano fatto con Cristo risorto dai morti. Un incontro che in quel momento, mediante la testimonianza dei suoi genitori, accadeva anche per il bambino, rispondendo al bisogno di una presenza: la presenza della persona amata. La Tradizione cristiana mediante la testimonianza dei padri diveniva risposta adeguata al bisogno del cuore dei figli: questa è l’educazione.
Possiamo ora tentare come una definizione. L’educazione è la tradizione che diventa presenza dentro alla testimonianza che i padri ne fanno ai figli. Queste tre categorie, tradizione-presenza-testimonianza, costituiscono l’atto educativo. Ho chiamato questa presenza-testimonianza anche la narrazione della vita fatta di generazione in generazione.
A questo punto della nostra riflessione siamo in grado di capire che cosa significa emergenza educativa e perché noi ci troviamo dentro ad una vera e propria "emergenza educativa".
Proviamo a fare una serie di ipotesi, sempre considerando il rapporto fra le generazioni.

Se colui che deve trasmettere una visione della vita ed introdurre dunque il nuovo arrivato nell’universo di senso – diciamo: la generazione dei padri – si sradica dalla tradizione, non possono non succedere che una delle seguenti due conseguenze. O si instaura un rapporto di permissivismo, caratterizzato da una sorta di scetticismo e di indifferentismo: non esiste una verità circa il bene della persona [scetticismo], e quindi tutto alla fine è permesso [indifferentismo], purché non ci si faccia del male. O si instaura un rapporto di egemonia e di autoritarismo: non si fa più nessuna proposta; si impone.

Prima di procedere oltre vorrei solo accennare al fatto che sia l’uno che l’altro esito è accompagnato da una mancanza di vera condivisione del destino dell’altro. Ma non abbiamo ora il tempo di approfondire questo aspetto della questione.

Che cosa significa "se la generazione dei padri si sradica dalla tradizione"? quando e come accade questo sradicamento? Richiamiamo alla memoria ancora una volta il rito ebraico e la domanda del bambino rimasto privo della sorellina.
Alla richiesta del figlio il padre non riuscirebbe a rispondere se avesse perso la memoria dell’evento fondatore oppure se non lo avesse ritenuto vero, realmente accaduto cioè. Smemoratezza e/o incredulità sradicano la generazione dei padri dalla tradizione. Non a caso il Signore attraverso i suoi profeti metteva in guardia Israele soprattutto contro due rischi: la perdita di memoria ["ricordati, Israele…", non dimenticare, Israele…"] e la sfiducia o incredulità ["se non crederete, non avrete stabilità"].

Alla richiesta del bambino la madre non avrebbe saputo rispondere se non in maniera inadeguata ["non può ritornare, perché è morta"], se non avesse in quel momento fatto memoria dell’evento fondatore di senso, la risurrezione di Gesù, e non lo avesse ritenuto un fatto vero.

In un caso e nell’altro la generazione dei padri o diventa una generazione di testimoni ["è accaduto un fatto, e questo fatto ti riguarda ora, poiché esso è il fatto che illumina la tua ragione, dona consistenza al tuo io, rende la tua libertà capace di grande rischi"] o diventa la generazione che apre la porta di casa della generazione dei figli all’ospite più inquietante, il nichilismo.

Possiamo finalmente dire in che cosa consiste l’emergenza educativa in cui ci troviamo. Essa è data da due fattori. Da una parte la generazione dei figli chiede – e non può non farlo – di entrare dentro ad un universo vero, buono, bello; dall’altra parte la generazione dei padri è divenuta straniera all’universo di senso: non sa più che cosa dire. L’emergenza educativa è l’interruzione della narrazione che una generazione fa all’altra: è l’afasia della generazione dei padri e l’incapacità della generazione dei figli di articolare perfino la domanda che urge dentro al loro cuore. I padri non rendono presente nessuna tradizione, perché ne hanno perso la memoria, e diventano testimoni del nulla e trasmettitori di regole. I figli si trovano a vagabondare in un deserto privo di strade, non sapendo più da dove vengono e dove sono diretti.

2. Come uscire dall’emergenza educativa.
Mi rendo conto che dovrei argomentare lungamente le affermazioni precedenti. Mi interessa però soprattutto indicare alcune vie, percorrendo le quali si può uscire dall’emergenza educativa.
Parto da una constatazione. Nonostante tutto, esiste la Chiesa. Esiste cioè una realtà, un popolo che custodisce la memoria del fatto che può dare consistenza invincibile alla nostra fragilità mortale; che compie questa custodia attraverso la testimonianza: la testimonianza dei misteri celebrati, l’opera della carità. È questo un fatto innegabile.
Non solo, ma questo fatto [custodia della memoria-testimonianza-carità] ha generato, e non poteva essere diversamente, una cultura, cioè un modo di essere nel mondo e di vivere [di sposarsi, di lavorare, di curare le malattie, di ragionare…] che è precisamente la modalità cristiana. È la grande tradizione cristiana, intesa almeno come forma di vita che ha plasmato un popolo.
A questo punto non posso procedere oltre senza dirvi però che ci sono due modi fondamentali di dimorare dentro a questa tradizione: quello proprio del credente e quello proprio del non credente. Presuppongo che cosa significa credere, e quindi non-credere.
2.1 Mi rivolgo ora ai credenti. Come uscire dall’emergenza educativa? Nessuno ha ricette preconfezionate. Tanto meno io. Voglio però indicarvi una via di uscita, facendo prima una necessaria breve premessa.
Il momento più forte in cui la memoria-testimonianza della Chiesa diventa eminentemente chiara è la celebrazione festiva dell’Eucaristia. Tutto quanto era il rito ebraico prefigurava il rito eucaristico; ciò che ho detto all’inizio è vero perfettamente nel rito eucaristico.
Il primo passo per uscire dall’emergenza educativa è il coinvolgimento pieno dei padri e dei figli dentro alla memoria eucaristica vissuta ogni domenica; è la partecipazione famigliare alla celebrazione eucaristica. Senza questo reale radicarsi dentro quell’evento che dona senso al tutto e alla vita di ciascuno, la narrazione dei padri ai figli rischia di essere vacua: priva di una trama vera. Cioè: incapace di generare un vita vera, buona, bella.
Questo incipit della narrazione della vita può incontrare subito due difficoltà: o il figlio, se piccolo, non capisce; o il figlio, se adolescente, si rifiuta. È la situazione analoga alla domanda da cui è partita tutta la nostra riflessione: "ma che cosa è tutto questo?".
È a questo punto che la costruzione della risposta deve essere condivisa fra la generazione dei padri e la madre Chiesa, la quale offre questa condivisione attraverso una vera e propria proposta educativa. Non si esce dall’emergenza educativa se non si costruisce questa condivisione, nei due sensi di marcia: della Chiesa da parte della famiglia, e della famiglia da parte della Chiesa.
Non voglio dilungarmi ulteriormente su tutta questa problematica. Ho già avuto varie occasioni per farlo, e cerco di non perderne neppure una fra quelle che mi si presentano. Vorrei solo aggiungere che la capacità educativa insita nel fatto cristiano rimane intatta, anche nella condizione di emergenza educativa in cui ci troviamo. Anzi, la storia dimostra che questa capacità si manifesta soprattutto nei momenti di maggior difficoltà e di crisi.

2.2. Mi rivolgo ora ai non-credenti o comunque a chi vive in una condizione di grave incertezza sui temi che stiamo affrontando. Lo faccio iniziando da alcune semplici osservazioni.
Il rapporto educativo istituisce una relazione fra due persone, alla fine. Ciò che è in questione e a rischio nell’atto educativo è una persona; è qualcuno, non qualcosa. Una realtà dunque di incomparabile preziosità.
La tradizione cristiana si presenta come quel terreno nel quale è radicata la vita del nostro popolo, di cui si nutre la nostra cultura. È sapiente che si educhi la generazione dei figli partendo da una censura, da un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con la religione come tale? Poiché questo è ciò che oggi si va proponendo, in nome di una male intesa laicità e tolleranza. E qui si pone la seconda osservazione.

Voglio richiamare la vostra attenzione su un fatto. Immaginiamo che in una scuola si voglia celebrare il Natale. Può essere che ci sia qualche insegnante nelle scuole che … per rispetto a qualche bambino musulmano presente in aula parli e presenti il Natale come la festa del solstizio, con l’inevitabile presenza di Babbo Natale, e gli immancabili sermoni sulla pace e la solidarietà. Si trasforma cioè una narrazione storica in un "mito" che offre lo spunto per esortazioni moralistiche. Si compie in realtà un’operazione ideologica, che viene imposta al bambino, sradicandolo dalla tradizione in cui vive.
La seconda osservazione quindi è la seguente. L’oblio della tradizione o la sua trascuratezza ci fa ripartire dal niente, costringendoci a costruzioni ideologiche dettate dal momento. Il padre che nella cena ebraica rispondeva al figlio, la madre che rivela al bambino il senso ultimo della morte della sorellina, mostrano che siamo dentro ad una dimora; che non stiamo vagabondando in un deserto da cui ci si salva solo col nostro impegno. È un popolo, quello di Israele, voluto e protetto da una Potenza infinita; perfino la morte della persona amata non distrugge il senso dell’esistenza, poiché Cristo ci ha redenti.

Una terza osservazione. L’azione educativa è sempre a rischio. Generando una persona libera, è sempre possibile che prima o poi chi è stato educato faccia scelte contrarie alla proposta educativa che lo ha formato. È il rischio educativo. Esso non è solo presente in un rapporto educativo non riuscito, ma in ogni rapporto educativo.
Tutto quanto ho detto nelle due osservazioni precedenti va letto alla luce di questa terza. Radicarsi nella nostra tradizione cristiana non significa rinuncia ad educare alla libertà. Al contrario. Significa però rifiutare l’idea astratta di libertà secondo la quale è libero chi non appartiene a niente e a nessuno. Chi vive così finisce nella schiavitù.

Queste tre osservazioni si proponevano alla fine un solo scopo sul quale consentono credenti, dubbiosi e non-credenti. La vita del nostro popolo, la capacità dei padri di educare i figli; il legame più necessario nella vita di una nazione e più difficile da realizzare, quello cioè fra la generazione dei padri e la generazione dei figli, dipendono dalla custodia della nostra memoria cristiana; dalla testimonianza resa dai padri ai figli che essa è memoria di un fatto che ora dona consistenza e senso alla vita; dal confronto con le sfide inedite di oggi. Memoria, testimonianza, confronto: sono queste le cifre dell’impegno, della bellezza e della fatica di educare.
 
Conclusione
Avrete notato che la mia riflessione ha sempre parlato di rapporto educativo che si istituisce fra la generazione dei padri e la generazione dei figli. C’è una ragione per cui ho compiuto questa scelta: quel rapporto è il rapporto educativo originario. Ho taciuto completamente – il tempo a disposizione me lo imponeva – sulla scuola, pur essendo tema fondamentale. Essa entra nel fatto educativo con un modo suo proprio, la modalità dell’insegnamento, che richiederebbe una riflessione molto accurata.
Qualche anno fa, è apparso un libro di U. Galimberti: L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani [Feltrinelli, Milano 2007]. Per molti aspetti ci siamo trovati concordi; per altri e ben più decisivi, all’opposto. Quale è una delle tesi fondamentali del libro? Che sradicati dalla grande tradizione che li ha generati, i giovani si sono trovati in casa l’ospite più inquietante: il nichilismo. Non illudiamoci: questa è la condizione di molti giovani oggi. Ed allora?
Il profeta Malachia preannuncia che la venuta del Messia coinciderà colla "conversione del cuore dei padri verso i figli e del cuore dei figli verso i padri" e che sarà questa reciproca conversione a "risparmiare il paese dallo sterminio" [cfr. 3,24]. Quando l’angelo apparve a Zaccaria, gli preannuncia la missione del figlio Giovanni colle parole del profeta [cfr. Lc 1,17].
Il legame, anzi più profondamente la conversione intergenerazionale è già stata donata e rassodata: è un fatto già accaduto. È una grazia già donata nell’evento cristiano. Non dilapidiamola.


giovedì 16 febbraio 2012

Papa Pio XI ordinò di pubblicare la seguente stringente esortazione: "Nell'amministrazione del sacramento eucaristico si deve mostrare un particolare zelo, affinché non si perdano i frammenti delle ostie consacrate, giacché in ognuna di esse è presente il corpo intero di Cristo. Perciò si prenda la massima cura perché i frammenti non si separino facilmente dall'ostia e non cadano per terra, dove - horribile dictu! - si potranno mescolare con la sporcizia ed essere calpestati con i piedi".





   Il fatto che un frammento eucaristico cadesse in terra san Girolamo lo considerava preoccupante e un pericolo spirituale:

"Quando andiamo a ricevere il corpo di Cristo - chi è fedele lo intende - se cadesse un frammento a terra ci poniamo in pericolo". In Ps. 147,14.

   Nella tradizione liturgica della Chiesa copta si trova la seguente avvertenza:

"Non c'è nessuna differenza tra le parti maggiori o minori dell'Eucaristia, persino quelle minime che non si possono percepire con l'acutezza della vista; esse meritano la stessa venerazione e possiedono la stessa dignità come il pane intero". Denzinger...

   In alcune liturgie orientali il pane consacrato è designato con il nome "perla" (margarita). Così nelle Collectiones Canonum Copticae si dice: "Dio non voglia! Che nulla delle perle o dei frammenti consacrati aderisca alle dita o cada a terra!". Denzinger...

Nella tradizione della Chiesa siriaca, il pane eucaristico era comparato con il fuoco dello Spirito Santo. C'era una viva coscienza di fede nella presenza di Cristo persino nei minimi frammenti del pane eucaristico, come attesta sant'Efrem:

"Gesù ha riempito il pane di Se stesso e di Spirito e lo ha chiamato il Suo corpo vivo. Ciò che adesso vi ho dato, diceva Gesù, non lo considerate pane, nemmeno calpestate i suoi frammenti. Il minimo frammento di questo pane può santificare milioni di uomini e basta per dare la vita a tutti quelli che lo mangiano". Sermones in hebdomada sancta, 4, 4.

   
    In un tempo in cui si amministrava la Comunione soltanto in bocca e si usava persino il piattino della Comunione, Papa Pio XI ordinò di pubblicare la seguente stringente esortazione: "Nell'amministrazione del sacramento eucaristico si deve mostrare un particolare zelo, affinché non si perdano i frammenti delle ostie consacrate, giacché in ognuna di esse è presente il corpo intero di Cristo. Perciò si prenda la massima cura perché i frammenti non si separino facilmente dall'ostia e non cadano per terra, dove - horribile dictu! - si potranno mescolare con la sporcizia ed essere calpestati con i piedi". Istruzione della Sacra Congragazione della disciplina dei sacramenti del 26 marzo 1929: AAS 21 (1929) 635.







mercoledì 15 febbraio 2012

Tutto può colui che, diffidando completamente di se stesso, pone la sua fiducia e sua speranza unicamente in Dio.



15 FEBBRAIO
SAN CLAUDIO DE LA COLOMBIÈRE s.j. 
sacerdote



Martirologio Romano: A Paray-le-Monial in Burgundia, in Francia, san Claudio La Colombière, sacerdote della Compagnia di Gesù: uomo assai dedito alla preghiera, con il suo saldo e retto consiglio avviò molti all’amore di Dio.

SECONDA LETTURA

Dalle note spirituali del beato Claudio Clombiere, sacerdote (Londra   1677)

Io posso, o mio Dio, vivere in qualsiasi parte della terra e predicare a tutti i popoli ciò che tu a buon diritto aspetti dai tuoi servi e amici! Avendo dunque Dio manifestalo il suo disegno alla suddetta persona [S. Margherita Maria Alacoquee avendomi essa riferite le sue parole, io le comandai di met­terle in iscritto; né a me è rincresciuto di trascriverle in questo diario dei miei Esercizi; Dio infatti vuole che questa impresa venga promossa anche per opera mia. Così dunque parlava quella santa per­sona: " Trovandomi dinanzi al santissimo Sacramento in uno dei giorni dell'ottava della sua festa, ricevetti dal mio Dio straordinarie prove del suo amore. Provando io desiderio di corrispondere al suo amo­re quanto mi fosse possibile, il Signore, volendomi esaudire, mi disse: " Tu non mi puoi far cosa più gradita che eseguire ciò che tante volte ti ho do­mandato ".

Scoprendo allora il suo sacratissimo Cuore, sog­giunse: " Ecco il mio Cuore, quel Cuore che ha tanto amato gli uomini, che nulla ha risparmiato, fino a esaurirsi e consumarsi interamente per atte­star loro in tanti modi l'immenso suo amore. Molti di loro invece, piuttosto che mostrarsene grati, mi offendono continuamente in questo mistero di amo­re; ma quello che più mi addolora è che sono co­stretto a soffrire tali ingiurie da persone a me con­sacrate. Perciò io ti domando che il primo venerdì dopo l'ottava del santissimo Sacramento sia dedi­cata a una festa particolare per onorare il mio Cuo­re; in tal giorno, accostandosi alla sacra mensa, riparino con una pubblica espiazione gli oltraggi infitti al mio Cuore nel mistero dell'altare, special­mente nel tempo in cui sono stato esposto alla venerazione dei fedeli. E io ti prometto che il mio Cuore si dilaterà per spargere con abbondanza le grazie del suo divino amore sopra coloro che gli renderanno tale onore ".

" Ma ahimè! mio Signore ", rispose essa " quale indegna cooperatrice ti sei scelta dei tuoi disegni! La mia viltà e il gran numero dei miei peccati ser­viranno piuttosto a ostacolarli che non ad aiutarli; mentre invece vi sono tanti altri tuoi servi molto più pronti a eseguire con impegno quando tu brami ".

Allora Gesù: " Eh! povera semplice che sei! Non sai tu che io scelgo ciò che nel mondo è più debole confondere i forti e che so servirmi di persone dappoco per eseguire i miei disegni? In tal modo esse, nulla presumendo di se stesse, onoreranno mag­giormente la mia potenza ".

Allora ella: " Indicami, o mio  Signore, il modo e la via per eseguire quanto mi comandi ".

Gesù replicò: " Rivolgiti al mio servo N. [Claudio La Colombièree digli da parte mia di fare il pos­sibile per stabilire questa devozione e prestare que­sto ossequio al mio divin Cuore. Che egli non si scoraggi per le difficoltà che incontrerà, perché non gliene mancheranno; sappia che tutto può colui che, diffidando completamente di se stesso, pone la sua fiducia e sua speranza unicamente in Dio.

RESPONSORIO
Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose aisapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai pic­coli. * Sì, o Padre, perchè così è piaciuto a te.
II mio amore è Dio; è Dio la mia sorte per sem­pre.
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.

orazione   Signore e Padre santo, che hai parlato a san Claudio, tuo servo fedele, perché testimoniasse il tuo immenso amore, concedi alla tua Chiesa di essere illuminata e consolata dai doni della tua grazia. Per il nostro Signore,

PAPA: PER QUANTO DURE SIANO LE PROVE NON CADREMO FUORI DALLE MANI DI DIO

Bartolome Esteban Murillo 1650.jpg




Il Papa: per quanto dure siano le prove non cadremo fuori dalle mani di Dio. Il Vangelo ci insegna a perdonare i nemici ed anche a scusarli. Con il buon ladrone il Vangelo ci dice che possiamo salvarci (Izzo)

PAPA: PER QUANTO DURE SIANO PROVE NON CADREMO FUORI DA MANI DIO 

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 15 feb. 

"Per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio" che "ci hanno creato, ci sostengono e ci accompagnano nel cammino dell'esistenza, perche' guidate da un amore infinito e fedele". 
Lo ha detto il Papa nella catechesi all'Udienza Generale di oggi dedicata "alle parole di Gesu' sulla croce negli ultimi istanti della sua vita terrena, che - ha spiegato Benedetto XVI - offrono indicazioni impegnative alla nostra preghiera, ma la aprono anche ad una serena fiducia e ad una ferma speranza". 
"Gesu' - infatti - e' consapevole di entrare direttamente nella comunione col Padre e di riaprire all'uomo la via per il paradiso di Dio. 
Cosi' attraverso questa risposta dona la ferma speranza che la bonta' di Dio puo' toccarci anche nell'ultimo istante della vita e la preghiera sincera, anche dopo una vita sbagliata, incontra le braccia aperte del Padre buono che attende il ritorno del figlio".
Nella sua riflessione, il Papa teologo si e' soffermato a lungo sulle parole di Gesu' riguardo "alle mani del Padre". 
"La preghiera di Gesu' di fronte alla morte - ha ricordato - e' drammatica come lo e' per ogni uomo, ma, allo stesso tempo, e' pervasa da quella calma profonda che nasce dalla fiducia nel Padre e dalla volonta' di consegnarsi totalmente a Lui". 

Come nel Getsemani, anche ora, "negli ultimi istanti, Gesu' si rivolge al Padre dicendo quali sono realmente le mani a cui Egli consegna tutta la sua esistenza". 

Secondo il Pontefice, "Gesu' si e' lasciato consegnare nelle mani degli uomini, ma e' nelle mani del Padre che Egli pone il suo spirito; cosi', come afferma l'Evangelista Giovanni, tutto e' compiuto, il supremo atto di amore e' portato sino alla fine, al limite e al di la' del limite". 

In questo "momento di sofferenza", la preghiera di Gesu' "e' un forte grido di estremo e totale affidamento a Dio", ed esprime "la piena consapevolezza di non essere abbandonato".

"Dall'inizio alla fine, quello che determina completamente il sentire di Gesu', la sua parola, la sua azione, e' la relazione unica con il Padre". 

"Anche sulla Croce - ha concluso - vive pienamente, nell'amore, questa sua relazione filiale con Dio, che anima la sua preghiera". 

© Copyright (AGI)

PAPA: VANGELO CI INSEGNA A PERDONARE I NEMICI E ANCHE A SCUSARLI 
Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 15 feb. 

"Gesu' che chiede al Padre di perdonare coloro che lo stanno crocifiggendo ci invita al difficile gesto di pregare anche per coloro che ci fanno torto, ci hanno danneggiato, sapendo perdonare sempre, affinche' la luce di Dio possa illuminare il loro cuore; ci invita, cioe', a vivere, nella nostra preghiera, lo stesso atteggiamento di misericordia e di amore che Dio ha nei nostri confronti", come ripetiamo nel Padre nostro". 
Gesu' - ha fatto notare Papa Ratzinger - pone, cioe', "l'ignoranza, il non sapere, come motivo della richiesta di perdono al Padre, perche' essa lascia aperta la via verso la conversione". 
"La prima preghiera che Gesu' rivolge al Padre - ha ricordato ancora il Pontefice - e' di intercessione: chiede il perdono per i propri carnefici" e con questo gesto Gesu' "compie in prima persona quanto aveva insegnato nel discorso della montagna. Adesso, dalla Croce, Egli non solo perdona i suoi carnefici, ma si rivolge direttamente al Padre intercedendo a loro favore". Un "atteggiamento", questo, che trova "un'imitazione commovente nel racconto della lapidazione di santo Stefano, primo martire", che "si rivolge al Signore Risorto e chiede che la sua uccisione non sia imputata ai suoi lapidatori". 

© Copyright (AGI)

PAPA: CON IL BUON LADRONE VANGELO CI DICE CHE POSSIAMO SALVARCI 
Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 15 feb. 

Con le parole di Gesu' al Buon Ladrone il Vangelo ci insegna che ci si puo' pentire e dunque salvarsi anche dopo una vita sbagliata". 
Lo ha ricordato Benedetto XVI nella catechesi all'udienza Generale di oggi sottolineando che "la seconda parola di Gesu' sulla croce riportata da san Luca "e' una parola di speranza" in risposta alla preghiera di uno dei due uomini crocifissi con Lui. 
"Il buon ladrone - ha spiegato il Papa - davanti a Gesu', rientra in se stesso e si pente, si accorge di trovarsi di fronte al Figlio di Dio, e lo prega: 'Gesu', ricordati di me quando entrerai nel tuo regno'". 
Secondo il Papa, la risposta del Signore a questa preghiera "va ben oltre la richiesta. Gesu' e' consapevole di entrare direttamente nella comunione col Padre e di riaprire all'uomo la via per il paradiso di Dio. Cosi' attraverso questa risposta dona la ferma speranza che la bonta' di Dio puo' toccarci anche nell'ultimo istante della vita e la preghiera sincera, anche dopo una vita sbagliata, incontra le braccia aperte del Padre buono che attende il ritorno del figlio". 

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AVE MARIA!
Laudetur Iesus Christus!
Laudetur cum Maria! Semper laudentur