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lunedì 3 agosto 2020

Sepoltura di Stefano e inizio della persecuzione.


VOLUME X CAPITOLO 646


Stefano protomartire - Wikipedia

DCXLVI. Sepoltura di Stefano e inizio della persecuzione.

   8 agosto 1951.
 
 1 È notte alta, ed anche oscura perché la luna è già tramontata, quando Maria esce dalla casetta del Getsemani insieme a Pietro, Giacomo d'Alfeo, Giovanni, Nicodemo e lo Zelote.
   Data la notte scura, Lazzaro, che è ad attenderli davanti alla casa, là dove ha inizio il sentiero che porta al cancello più basso, accende una lucerna ad olio, che ha munita di un riparo di sottili lastre di alabastro o altra materia trasparente. La luce è tenue ma, tenuta bassa verso terra come viene tenuta, la lucerna serve sempre a vedere i sassi e gli ostacoli che possono trovarsi sul percorso. Lazzaro si pone a fianco di Maria, perché soprattutto Lei veda bene. Giovanni è dall'altro lato e sorregge per un braccio la Madre. Gli altri sono dietro, in gruppo.
   Vanno sino al Cedron e proseguono costeggiandolo, in modo da essere seminascosti dai cespugli selvatici che sorgono presso le rive di esso. Anche il fruscio delle acque serve ad occultare e confondere quello dei sandali dei camminatori.
   Sempre seguendo la parte esterna delle mura sino alla porta più prossima al Tempio, e poi inoltrandosi nella zona disabitata e brulla, giungono là dove fu lapidato Stefano. Si dirigono al mucchio di pietrame sotto cui è semi sepolto e ne rimuovono le pietre, sinché il povero corpo appare. È ormai livido, e per la morte e per le percosse e la lapidazione avute, duro, irrigidito, raggomitolato in se stesso così come lo colse la morte.


 2 Maria, che era stata pietosamente trattenuta lontana di qualche passo da Giovanni, si svincola e corre a quel povero corpo lacero e sanguinoso. Senza curarsi delle macchie che il sangue raggrumato imprime sulla sua veste, Maria, aiutata da Giacomo d'Alfeo e da Giovanni, depone il corpo su un telo steso sulla polvere, in un posto privo di pietre, e con un lino, che bagna in un'anforetta che le porge lo Zelote, deterge, così come può, il volto di Stefano, ne ravvia i capelli, cercando di condurli sulle tempie e sulle guance ferite per coprire le orrende tracce lasciate dalle pietre. Deterge anche le altre membra e vorrebbe ricomporle in una posa meno tragica. Ma il gelo della morte, avvenuta già da molte ore, non lo permette che parzialmente.
   Ci si provano anche gli uomini, più forti fisicamente e moralmente di Maria, che sembra di nuovo la Madre Dolorosa del Golgota e del Sepolcro. Ma anche loro devono rassegnarsi a lasciarlo come sono riusciti a ridurlo dopo tanti sforzi. Lo rivestono di una lunga veste monda, perché la sua è stata dispersa o rubata per spregio dai lapidatori e la tunichetta, che gli avevano lasciata, è ormai uno straccio tutto rotto e sanguinoso.
   Fatto ciò, sempre alla tenue luce della lucerna che Lazzaro tiene molto vicina al povero corpo, lo sollevano e lo depongono su un altro telo ben pulito. Nicodemo raccoglie il primo telo, bagnato dell'acqua usata per lavare il martire e del suo sangue raggrumato, e se lo pone sotto il manto. Giovanni e Giacomo dalla parte del capo, Pietro e lo Zelote dalla parte dei piedi, sollevano il telo contenente il corpo e iniziano la via del ritorno, preceduti da Lazzaro e da Maria. Non tornano però per la via fatta nel venire, ma anzi, addentrandosi per la campagna e girando ai piedi dell'uliveto, raggiungono la via che conduce a Gerico e a Betania.


 3 Lì si fermano, per riposarsi e per parlare. E Nicodemo, che per essere stato presente, sebbene in maniera passiva, alla condanna di Stefano, e per essere uno dei capi dei giudei sapeva meglio degli altri le decisioni del Sinedrio, avverte i presenti che è stata scatenata e ordinata la persecuzione contro i cristiani, e che Stefano non è che il primo di una lunga lista di nomi già designati, perché di seguaci del Cristo.
   Il primo grido di tutti gli apostoli è: «Facciano ciò che vogliono! Noi non muteremo, né per minaccia, né per prudenza!».
   Ma i più giudiziosi dei presenti, ossia Lazzaro e Nicodemo, fanno osservare a Pietro e a Giacomo d'Alfeo che la Chiesa ha ancora ben pochi sacerdoti del Cristo e che, se venissero uccisi i più potenti di essi, ossia Pietro pontefice e Giacomo vescovo di Gerusalemme, la Chiesa difficilmente si salverebbe. Ricordano anche a Pietro che il loro Fondatore e Maestro aveva lasciato la Giudea per la Samaria per non essere ucciso prima di averli ben formati, e come avesse consigliato ai suoi servi di imitare il suo esempio sino a che i pastori fossero tanti da non far temere la dispersione dei fedeli per la morte dei pastori. E terminano dicendo: «Spargetevi voi pure per la Giudea e la Samaria. Fatevi là dei proseliti, degli altri, numerosi pastori, e da lì spargetevi per la Terra onde, come Egli comandò di fare, tutte le genti conoscano il Vangelo».


 4 Gli apostoli sono perplessi. Guardano Maria, quasi per sapere il suo giudizio in merito.
   E Maria, che capisce quegli sguardi, dice: «Il consiglio è giusto. Ascoltatelo. Non è viltà, ma prudenza. Egli ve lo insegnò: "Siate semplici come le colombe e prudenti come le serpi. Vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Guardatevi dagli uomini…"».
   Giacomo la interrompe: «Sì, Madre. Però disse anche: "Quando sarete posti nelle loro mani e tradotti davanti ai governanti, non turbatevi per ciò che dovrete rispondere. Non sarete voi a parlare, ma parlerà per voi e in voi lo Spirito del Padre vostro". E io resto qui. Il discepolo deve essere come il Maestro. Egli è morto per dar vita alla Chiesa. Ogni morte nostra sarà una pietra aggiunta al grande nuovo Tempio, un aumento di vita al grande immortale corpo della Chiesa universale. Mi uccidano pure, se vogliono. Vivente in Cielo, sarò più felice, perché al fianco del Fratel mio, e più potente ancora. Non temo la morte. Ma il peccato. Abbandonare il mio posto mi pare imitare il gesto di Giuda, il perfetto traditore. Quel peccato Giacomo d'Alfeo non lo farà mai. Se devo cadere, cadrò da eroe al mio posto di lotta, in quel posto in cui Egli mi volle».
   Maria gli risponde: «Nei tuoi segreti con l'Uomo-Dio io non penetro. Se Egli così ti ispira, fa' così. Lui solo, che è Dio, può aver diritto di ordinare. A noi tutti spetta solo di ubbidirgli sempre, in tutto, per fare la sua Volontà».


 5 Pietro, meno eroico, confabula con lo Zelote per sentire il suo parere in merito.
   Lazzaro, che è vicino ai due e sente, propone: «Venite a Betania. È vicina a Gerusalemme e vicina alla via per la Samaria. Da lì partì il Cristo tante volte per sfuggire ai suoi nemici…».
   Nicodemo, a sua volta, propone: «Venite nella mia casa di campagna. È sicura e vicina sia a Betania che a Gerusalemme, e sulla via che conduce, per Gerico, ad Efraim».
   «No, è meglio la mia, protetta da Roma», insiste Lazzaro.
   «Sei già troppo odiato, da quando Gesù ti risuscitò, affermando così, potentemente, la sua Natura divina. Pensa che la sua sorte fu decisa per questo motivo. Che tu non abbia a decidere la tua», gli risponde Nicodemo.
   «E la mia casa dove la mettete? In realtà è di Lazzaro. Ma ha ancora nome di mia», dice Simone lo Zelote.
   Maria interviene dicendo: «Lasciate che io rifletta, pensi, giudichi ciò che è meglio fare. Dio non mi lascerà senza la sua luce. Quando saprò, ve lo dirò. Per ora venite con me, al Getsemani».
   «Sede d'ogni sapienza, Madre della Parola e della Luce, sempre ci sei Stella di guida sicura. Ti ubbidiamo», dicono tutti insieme, quasi veramente lo Spirito Santo avesse parlato nei loro cuori e sulle loro labbra.


 6 Si alzano dall'erba su cui si erano seduti ai margini della strada, e mentre Pietro, Giacomo, Simone e Giovanni vanno con Maria verso il Getsemani, Lazzaro e Nicodemo sollevano il telo che involge il corpo di Stefano e, alle prime luci dell'alba, si dirigono verso la via di Betania e Gerico.
   Dove portano il martire? Mistero.

AMDG et DVM

mercoledì 20 novembre 2019

Fermiamoci ancora sull'eroica figura di santo STEFANO Protomartire

Santo Stefano Protomartire (Liturgia)

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Gesù e santo Stefano
San Pier Damiani apre il suo Discorso nella celebrazione  di Santo Stefano con le seguenti parole:
“Abbiamo ancora fra le braccia il Figlio della Vergine, e onoriamo con le nostre carezze l’infanzia di un Dio. Maria ci ha condotti all’augusta culla; bella fra le figlie degli uomini, benedetta fra le donne, ci ha presentato Colui che è bello tra i figli degli uomini e più di tutti essi, colmo di benedizioni. Ella solleva per noi il velo delle profezie, e ci mostra i disegni di Dio compiuti. Chi di noi potrebbe distogliere gli occhi dalla meraviglia di questa nascita? 
Tuttavia, mentre il neonato ci concede i baci della sua tenerezza, e ci lascia nello stupore con sì grandi prodigi, d’improvviso Stefano, pieno di grazia e di forza opera cose meravigliose in mezzo al popolo (At 6,8). Lasceremo dunque il Re per rivolgere lo sguardo su uno dei suoi soldati? No certo, eccetto che il Principe stesso ce lo ordini. Orbene, ecco che il Re, Figlio di Re, si leva egli stesso, e viene ad assistere alla battaglia del suo servo. Corriamo dunque ad uno spettacolo al quale egli stesso corre, e consideriamo questo porta-bandiera dei Martiri”.
La santa Chiesa, nell’Ufficio, ci fa leggere l’inizio d’un Discorso di san Fulgenzio sulla festa di santo Stefano: “Ieri, abbiamo celebrato la Nascita temporale del nostro Re eterno; oggi, celebriamo la Passione trionfale del suo soldato. Ieri il nostro Re, rivestito della carne, è uscito dal seno della Vergine e si è degnato di visitare il mondo; oggi, il combattente è uscito dalla tenda del suo corpo, ed è salito trionfante al cielo. Il primo, pur conservando la maestà della sua eterna divinità, ha assunto l’umile cintura della carne, ed è entrato nel campo di questo secolo per combattere; il secondo, deponendo l’involucro corruttibile del corpo, è salito alla magione del cielo per regnarvi per sempre. L’uno è disceso sotto il velo della carne, l’altro è salito sotto gli allori imporporati del suo sangue. L’uno è disceso da mezzo alla gioia degli Angeli, l’altro è salito da mezzo ai Giudei che lo lapidavano. Ieri, i Santi Angeli, pieni di gaudio, hanno cantato: Gloria a Dio nel più alto dei cieli! Oggi, hanno ricevuto giubilanti Stefano nella loro compagnia. Ieri, Cristo è stato per noi avvolto in fasce; oggi, Stefano è stato da lui rivestito della veste dell’immortalità. Ieri, un’angusta mangiatoia ha ricevuto il Cristo bambino; oggi l’immensità del cielo ha ricevuto Stefano nel suo trionfo”.
Così, la divina Liturgia unisce le gioie della Natività del Signore con l’allegrezza che le ispira il trionfo del primo dei suoi Martiri; e, per di più, Stefano non sarà il solo a ottenere gli onori di questa gloriosa Ottava. Dopo di lui celebriamo Giovanni, il discepolo prediletto; gli Innocenti di Betlemme; Tommaso, il Martire della libertà della Chiesa; Silvestro, il Pontefice della Pace. Ma, in questa splendida scorta del Re neonato, il posto d’onore appartiene a Stefano, il Protomartire che, come canta la Chiesa, ha restituito per primo al Salvatore la morte che il Salvatore ha sofferto per lui. Così meritava di essere onorato il Martirio, questa sublime testimonianza che compensa pienamente Dio dei doni concessi alla nostra stirpe e sigilla con il sangue dell’uomo la verità che il Signore ha affidata alla terra.
Il martire, testimone di Cristo
Per comprendere bene ciò, è necessario considerare il piano divino per la salvezza del mondo. Il Verbo di Dio è inviato per ammaestrare gli uomini; egli semina la sua divina parola, e le sue opere rendono testimonianza di lui. Ma, dopo il suo Sacrificio, sale nuovamente alla destra del Padre; e la sua testimonianza, per essere ricevuta dagli uomini che non hanno visto né sentito quel Verbo di vita, ha bisogno d’una nuova testimonianza. Ora, questa nuova testimonianza, sono i Martiri che gliela renderanno; e la renderanno non già semplicemente con la confessione della bocca, ma con l’effusione del proprio sangue. La Chiesa s’innalzerà dunque per la Parola e il Sangue di Gesù Cristo; ma si sosterrà, attraverserà i tempi e trionferà di tutti gli ostacoli per il sangue dei Martiri, membra di Cristo; e questo sangue si mescolerà con quello del Capo divino, in uno stesso e identico Sacrificio.
I Martiri rassomiglieranno in tutto al loro supremo Re. Saranno, come egli ha detto, “simili ad agnelli in mezzo ai lupi” (Mt 10,16). Il mondo sarà forte contro di essi; al suo confronto, essi saranno deboli e disarmati; ma, in questa lotta impari, la vittoria dei Martiri sarà ancora più splendida e più divina. L’Apostolo ci dice che il Cristo crocifisso è la forza e la sapienza di Dio (1Cor 1,24). I Martiri sono immolati, e tuttavia sono i conquistatori del mondo. Con una testimonianza che il mondo stesso comprenderà, attesteranno che Cristo che hanno confessato e il quale ha dato loro la costanza e la vittoria, è veramente la forza e la sapienza di Dio. È dunque giusto che siano associati a tutti i trionfi dell’Uomo-Dio, e che il ciclo liturgico li glorifichi, come la Chiesa stessa li onora ponendo sotto la pietra dell’altare le loro sante reliquie, onde il Sacrificio del loro Capo trionfatore non sia mai celebrato senza che essi siano offerti con lui nell’unità del suo Corpo mistico.
“La testimonianza” di santo Stefano
La lista gloriosa dei Martiri del Figlio di Dio comincia da santo Stefano; vi risplende per il suo bel nome che significa l’Incoronato, divino presagio della sua vittoria. Egli dirige, sotto l’impero di Cristo, la Bianca armata cantata dalla Chiesa, essendo stato chiamato per primo, prima degli stessi Apostoli, e avendo risposto degnamente all’onore dell’appello. Stefano ha reso una forte e coraggiosa testimonianza alla divinità dell’Emmanuele, davanti alla Sinagoga dei Giudei; ha urtato le loro orecchie incredule, proclamando la verità; e subito una gragnuola di pietre è stata scagliata contro di lui dai nemici di Dio divenuti anche i suoi nemici. Egli ha ricevuto quell’affronto restando dritto e senza vacillare; si sarebbe detto, secondo la bella espressione di san Gregorio Nisseno, che una neve dolce e silenziosa cadesse su di lui a falde leggere, o anche che una pioggia di rose scendesse mollemente sul suo capo. Ma, attraverso le pietre che s’incrociavano per recargli la morte, una luce divina giungeva fino a lui: Gesù, per il quale egli moriva, si manifesta al suo sguardo; e un’ultima testimonianza alla divinità dell’Emmanuele vibrava nella bocca del Martire. Quindi, sull’esempio del suo divino Maestro per rendere il proprio sacrificio completo, il Martire pronuncia l’ultima preghiera per i suoi stessi carnefici: piega le ginocchia, e chiede che non sia loro imputato quel peccato. Così tutto è consumato; e il tipo del Martire è ormai noto alla terra per essere imitato e seguito per tutte le generazioni, sino alla fine dei secoli, fino all’ultimo compimento del numero dei Martiri. Stefano si addormenta nel Signore, e viene sepolto nella pace, in pace, fino a quando la sua sacra tomba non sarà rinvenuta, e la sua gloria si diffonderà nuovamente per tutta la Chiesa a motivo di quella miracolosa Invenzione, come per una resurrezione anticipata.
Stefano ha dunque meritato di fare la guardia presso la culla del suo Re, come capo dei valenti campioni della divinità del celeste Bambino che noi adoriamo. Preghiamolo, insieme con la Chiesa, di facilitarci l’avvicinamento all’umile giaciglio in cui si trova il nostro sommo Signore. Chiediamogli di iniziarci ai misteri di quella divina Infanzia che dobbiamo tutti conoscere e imitare in Cristo. Nella semplicità della mangiatoia, egli non ha contato il numero dei suoi nemici, non ha tremato di fronte al loro furore, non si è sottratto ai loro colpi, non ha imposto il silenzio alla sua bocca. Ha perdonato al loro furore, e la sua ultima preghiera è stata per essi. O fedele imitatore del Bambino di Betlemme! Gesù non ha fulminato gli abitanti della città che rifiutò un asilo alla Vergine Maria nel momento in cui stava per dare alla luce il Figlio di David, né arresterà il furore di Erode che presto lo cercherà per farlo morire; fuggirà piuttosto in Egitto, come un proscritto, dal cospetto del volgare tiranno. Attraverso tutte quelle apparenti debolezze mostrerà la sua divinità, e il Dio Bambino sarà il Dio Forte. Passerà Erode, e con lui la sua tirannia; Cristo invece resterà, sempre più grande nella sua mangiatoia dove fa tremare un re che è sovrano sotto la porpora tributaria dei Romani; più grande dello stesso Cesare Augusto, il cui impero colossale dovrà servire di sgabello alla Chiesa che sarà costituita da quel Bambino così umilmente iscritto nei registri della città di Betlemme.
Santa MESSA [1]
La santa Chiesa comincia con le parole del santo Martire che, attingendo al linguaggio di David, ricorda il consiglio tenuto contro di lui dai malvagi, e l’umile fiducia che l’ha fatto trionfare delle loro persecuzioni. Dall’effusione del sangue di Abele fino ai futuri Martiri che deve immolare l’Anticristo, la Chiesa è sempre perseguitata; il suo sangue non cessa di scorrere in una regione o in un’altra, ma il suo rifugio è nella fedeltà allo Sposo, e nella semplicità che il Bambino del Presepio è venuto a insegnarle con il suo esempio.
“I prìncipi si sono radunati, e hanno pronunciato sentenza contro di me, e i cattivi mi hanno perseguitato; soccorrimi, Signore mio Dio, perché il tuo servo si è esercitato nella pratica della tua legge”.
EPISTOLA (At 6,8-10; 7,54-59)
In quei giorni: Stefano, pieno di grazia e di fortezza, faceva prodigi e segni grandi in mezzo al popolo. Ma alcuni della sinagoga detta dei Liberti, e Cirenei e Alessandrini, con quelli della Cilicia e dell’Asia si levarono su a disputare con Stefano; ma non potevano resistere alla sapienza e allo Spirito che parlava. Ed essi, nell’udire queste cose, fremevano nei loro cuori e digrignavano i denti contro di lui. Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi nel cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio; ed esclamò: Ecco vedo aperti i cieli, ed il Figlio dell’uomo stare alla destra di Dio. Ma quelli, alzando grandi grida, si turarono le orecchie e tutti insieme gli s’avventarono addosso. E, trascinatolo fuori della città, si diedero a lapidarlo e i testimoni deposero le loro vesti ai piedi di un giovane chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: Signore Gesù, ricevi il mio spirito. Poi piegati i ginocchi, gridò a gran voce: Signore, non imputar loro questo peccato. Ciò detto, si addormentò nel Signore.
Così, o glorioso Principe dei Martiri, fosti condotto fuori delle porte della città per essere immolato, e messo a morte con il supplizio dei bestemmiatori. Il discepolo doveva essere in tutto simile al Maestro. Ma né l’ignominia di quella morte, né la crudeltà del supplizio intimidirono la tua grande anima: tu portavi il Cristo nel Cuore, e con lui, eri più forte di tutti i tuoi nemici. Ma quale fu la tua gioia allorché, apertisi i cieli sul tuo capo, il Dio Salvatore ti apparve nella sua carne glorificata ritto alla destra del Padre, e gli occhi del divino Emmanuele incontrarono i tuoi! Quello sguardo di un Dio sulla sua creatura che deve soffrire per lui, della creatura verso il Dio per il quale si immola, ti rapì fuori di te stesso. Invano le pietre crudeli piovevano sul tuo capo innocente: nulla poté distrarti dalla visione del Re eterno che alzandosi dal suo trono, muoveva incontro a te, con la Coronache ti aveva preparata da tutta l’eternità e che tu ricevevi in quell’ora. Chiedi dunque oggi nella gloria in cui regni, che anche noi siamo fedeli, e fedeli fino alla morte, a quel Cristo che non si limitò a levarsi, ma è disceso fino a noi sotto le vesti dell’infanzia.
VANGELO (Mt 23,34-39)
In quel tempo, diceva Gesù agli Scribi e ai Farisei: Ecco io vi mando profeti e savi e Scribi, e di questi ne ucciderete, ne crocifiggerete e ne flagellerete nelle vostre sinagoghe, e li perseguiterete di città in città, finché non venga su di voi tutto il sangue giusto, sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele a quello di Zaccaria, figlio di Barachia, che voi uccideste fra il tempio e l’altare. In verità vi dico: tutto ciò avverrà su questa generazione. Gerusalemme Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte io ho voluto radunare i tuoi figli come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le ali, e non hai voluto! Ecco, la vostra casa vi sarà lasciata deserta. E vi dico: non mi vedrete più finché non diciate: Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
I Martiri sono offerti al mondo per continuare sulla terra il ministero di Cristo, rendendo testimonianza alla sua parola, e sigillando col proprio sangue tale testimonianza. Il mondo li ha misconosciuti; come il loro Maestro, hanno saputo risplendere nelle tenebre, e le tenebre non li hanno compresi. Tuttavia, parecchi hanno ricevuto la loro testimonianza, e sono nati alla fede da quel seme fecondo. La Sinagoga è stata respinta per aver versato il sangue di Stefano, dopo quello di Cristo; guai dunque a chiunque misconosce il merito dei Martiri! Ascoltiamo piuttosto le sublimi lezioni che ci offre il loro sacrificio; e la nostra religione verso di essi testimoni la nostra riconoscenza per il sublime ministero che essi hanno adempiuto e che adempiono ogni giorno nella Chiesa. La Chiesa infatti non è mai senza Martiri come non è mai senza miracoli; è la duplice testimonianza che essa renderà sino alla fine dei secoli, e attraverso la quale si manifesta la vita divina che il suo autore ha posto in essa.
O Stefano, tu che sei il primo e il principe dei Martiri, noi ci uniamo alle lodi che ti inviano tutti i secoli cristiani! Ci felicitiamo con te per essere stato scelto dalla santa Chiesa per assiderti al posto d’onore, presso la culla del supremo Signore di tutte le cose. Come è gloriosa la confessione che fu hai resa fra i sassi mortali che laceravano le tue membra generose! Come è risplendente la porpora che ti ricopre come un trionfatore! Come son luminose le cicatrici delle ferite che ricevesti per il Cristo! Quanto è numerosa e magnifica l’armata dei Martiri che ti segue come suo capo, e che continua gloriosamente fino alla consumazione dei secoli!
In questi giorni della Nascita del nostro comune Salvatore, noi ti preghiamo, o Stefano, di farci penetrare nelle profondità dei misteri del Verbo incarnato. Spetta a te, fedele custode del Presepio, introdurci presso il celeste Bambino che vi riposa. Tu hai reso testimonianza alla sua divinità e alla sua umanità; l’hai predicato, questo Uomo-Dio, fra le grida furenti della Sinagoga. Invano i Giudei si turarono le orecchie; bisognò che sentissero la tua voce risonante che denunciava il deicidio da loro commesso, condannando a morte Colui che è insieme il Figlio di Maria e il Figlio di Dio. Mostra anche a noi questo Redentore del mondo, non ancora trionfante alla destra del Padre, ma umile e dolce, nelle prime ore della sua manifestazione,avvolto in fasce e posto nella mangiatoia. Anche noi vogliamo rendergli testimonianza, annunciare la sua Nascita piena d’amore e di misericordia, far vedere con le nostre opere che è nato anche nei nostri cuori. Ottienici quella devozione al divino Bambino, che ti ha reso forte nel giorno della prova. Noi l’avremo, se siamo semplici senza timori, come sei stato tu, se abbiamo l’amore di questo Bambino; perché l’amore è più forte della morte. Non ci avvenga mai di dimenticare che ogni cristiano deve essere pronto al martirio, per il fatto stesso che è cristiano. La vita di Cristo che comincia in noi, vi si sviluppi mediante la nostra fedeltà e le nostre opere, di modo che possiamo giungere, come dice l’Apostolo, alla pienezza del Cristo (Ef 4,13).
Ricordati, o glorioso Martire, ricordati anche della santa Chiesa, in quelle regioni in cui i disegni del Signore esigono che essa resista fino al sangue. Ottieni che il numero dei tuoi fratelli si completi con tutti quelli che sono provati, e che nessuno venga meno nella lotta. Che né l’età né il sesso inclinino a vacillare, affinché la testimonianza sia piena, e la Chiesa colga ancora, nella sua vecchiezza, le palme e le corone immortali che hanno onorato i primi anni di cui tu fosti l’ornamento. Intercedi, affinché il sangue dei Martiri sia fecondo, come negli antichi giorni; affinché la terra ingrata non lo assorba, ma ne faccia germogliare ricche messi. Che l’infedeltà ritragga sempre più le sue tristi frontiere; che l’eresia si spenga e cessi di divorare, come lebbra, quelle membra il cui vigore costituirebbe la gloria e la consolazione della Chiesa. Che il Signore, tocco dalle tue preghiere, conceda ai nostri ultimi Martiri il compimento delle speranze che hanno fatto palpitare il loro cuore, nell’istante in cui curvavano il capo sotto la spada, o spiravano la propria anima fra i tormenti.
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[1] La Stazione è alla basilica di S. Stefano sul Monte Celio, cominciata da Papa Simplicio (468-483) e portata a termine da Felice IV (526-530). Il culto di santo Stefano era molto popolare, e Roma contava, nel medioevo, fino a trentacinque chiese dedicate al Santo. Nella ricorrenza di oggi, il Papa si recava alla basilica con i Cardinali della sua Corte, e celebrava egli stesso la Messa stazionale.
da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 137-145
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri 

sabato 16 novembre 2019

Riflettiamoci di più




...Stefano e la sua lapidazione. Le opposte vie di Saulo e di Gamaliele alla santità.




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6 Saulo, con un atto d'ira, va via sgarbatamente, tornando nel cortile prospiciente all'aula del Sinedrio, cortile nel quale dura il gridio della folla esasperata contro Stefano. Saulo raggiunge gli aguzzini in questo cortile, si unisce a loro, che lo attendevano, ed esce insieme agli altri dal Tempio e poi dalle mura della città. Insulti, dileggi, percosse continuano ad esser lanciati contro il diacono, che procede già spossato, ferito, barcollante, verso il luogo del supplizio.
   Fuori delle mura vi è uno spazio incolto e sassoso, assolutamente deserto. Là giunti, i carnefici si allargano in cerchio, lasciando solo, al centro, il condannato, con le vesti lacere e sanguinante in molte parti del corpo per le ferite già ricevute. Gliele strappano prima di allontanarsi. Stefano resta con una tunichetta cortissima. Tutti si levano le vesti lunghe, rimanendo con le sole tuniche, corte come quella di Saulo, al quale affidano le vesti, dato che egli non prende parte alla lapidazione, o perché scosso dalle parole di Gamaliele, o perché si sa incapace di colpire bene.

 7 I carnefici raccolgono i grossi ciottoli e le aguzze selci, che abbondano in quel luogo, e cominciano la lapidazione.
   Stefano riceve i primi colpi rimanendo in piedi e con un sorriso di perdono sulla bocca ferita, che, un istante prima dell'inizio della lapidazione, ha gridato a Saulo, intento a raccogliere le vesti dei lapidatori: «Amico mio, ti attendo sulla via di Cristo». Al che Saulo gli aveva risposto: «Porco! Ossesso!», unendo alle ingiurie un calcio vigoroso sugli stinchi del diacono, che solo per poco non cade, e per l'urto e per il dolore.
   Dopo diversi colpi di pietra, che lo colpiscono da ogni parte, Stefano cade in ginocchio puntellandosi sulle mani ferite e, certo ricordando un episodio lontano, mormora, toccandosi le tempie e la fronte ferita: «Come Egli m'aveva predetto! La corona… I rubini… O Signore mio, Maestro, Gesù, ricevi lo spirito mio!».
   Un'altra grandine di colpi sul capo già ferito lo fanno stramazzare del tutto al suolo, che si impregna del suo sangue. Mentre si abbandona tra i sassi, sempre sotto una grandine di altre pietre, mormora spirando: «Signore… Padre… perdonali… non tener loro rancore per questo loro peccato… Non sanno quello che…». La morte gli spezza la frase tra le labbra, un estremo sussulto lo fa come raggomitolare su sé stesso, e così resta. Morto.
   I carnefici gli si avvicinano, gli lanciano addosso un'altra scarica di sassate, lo seppelliscono quasi sotto di esse. Poi si rivestono e se ne vanno, tornando al Tempio per riferire, ebbri di zelo satanico, ciò che hanno fatto.

 8 Mentre parlano col Sommo Sacerdote e altri potenti, Saulo va in cerca di Gamaliele. Non lo trova subito. Torna, acceso d'odio verso i cristiani, dai sacerdoti, parla con loro, si fa dare una pergamena col sigillo del Tempio che lo autorizza a perseguitare i cristiani. Il sangue di Stefano deve averlo reso furente come un toro che veda il rosso, o un vino generoso dato ad un alcoolizzato.
   Sta per uscire dal Tempio quando vede, sotto il portico dei Pagani, Gamaliele. Va da lui. Forse vuole iniziare una disputa o una giustificazione. Ma Gamaliele traversa il cortile, entra in una sala, chiude la porta in faccia a Saulo che, offeso e furente, esce di corsa dal Tempio per perseguitare i cristiani.
           
 9 [Dice Gesù:]
   «Mi sono manifestato molte volte e a molti, anche nelle straordinarie manifestazioni. Ma non in tutti in ugual modo la mia manifestazione operò. Possiamo vedere come ad ogni mia manifestazione corrisponda una santificazione di coloro che possedevano la buona volontà richiesta agli uomini per avere Pace, Vita, Giustizia.
   Così, nei pastori la Grazia lavorò per i trent'anni del mio nascondimento e poi fiorì con spiga santa quando fu il tempo in cui i buoni si separarono dai malvagi per seguire il Figlio di Dio, che passava per le vie del mondo gettando il suo grido d'amore per chiamare a raccolta le pecore del Gregge eterno, sparpagliate e sperdute da Satana. Presenti tra le turbe che mi seguivano, messi miei, perché, coi loro semplici e convinti racconti, bandivano il Cristo dicendo: "È Lui. Noi lo riconosciamo. Sul suo primo vagito scesero le ninna-nanne degli angeli. E a noi, dagli angeli, fu detto che avranno pace gli uomini di buona volontà. Buona volontà è il desiderio del Bene e della Verità. Seguiamolo! Seguitelo! Avremo tutti la Pace promessa dal Signore".
   Umili, ignoranti, poveri, i miei primi messi tra gli uomini si scaglionarono come scolte lungo le vie del Re d'Israele, del Re del mondo. Occhi fedeli, bocche oneste, cuori amorosi, incensieri esalanti il profumo delle loro virtù per fare meno corrotta l'aria della Terra intorno alla mia divina Persona, che s'era incarnata per loro e per tutti gli uomini, e persino ai piedi della Croce li ho trovati, dopo averli benedetti col mio sguardo lungo la via sanguinosa del Golgota, unici, con pochissimi altri, che non maledicessero fra la plebe scatenata ma che amassero, credessero, sperassero ancora, e che mi guardassero con occhi di compassione, pensando alla notte lontana del mio Natale e piangendo sull'Innocente, il cui primo sonno fu su un legno penoso e l'ultimo su un legno ancor più doloroso. Questo perché la mia manifestazione a loro, anime rette, li aveva santificati.
   E così pure avvenne ai tre Savi d'Oriente, a Simeone ed Anna nel Tempio, ad Andrea e Giovanni al Giordano, e a Pietro, Giacomo e Giovanni al Tabor, a Maria di Magdala nell'alba pasquale, agli undici perdonati sull'Uliveto, e ancor prima a Betania, del loro smarrimento… No. Giovanni, il puro, non ebbe bisogno di perdono. Fu il fedele, l'eroe, l'amante sempre. L'amore purissimo che era in lui e la sua purezza di mente, di cuore, di carne, lo preservò da ogni debolezza.

 10Gamaliele, e con lui Hillele, non erano semplici come i pastori, santi come Simeone, sapienti come i tre Savi. In lui, e nel suo maestro e parente, era il viluppo delle liane farisaiche a soffocare la luce e la libera espansione della pianta della Fede. Ma nel loro essere farisei era purità d'intenzione. Credevano di essere nel giusto e desideravano di esserlo. Lo desideravano per istinto, perché erano dei giusti, e per intelletto, perché il loro spirito gridava malcontento: "Questo pane è mescolato a troppa cenere. Dateci il pane della vera Verità".
   Gamaliele però non era forte al punto di avere il coraggio di spezzare queste liane farisaiche. L'umanità sua lo teneva ancor troppo schiavo e, con essa, le considerazioni della stima umana, del pericolo personale, del benessere famigliare. Per tutte queste cose Gamaliele non aveva saputo comprendere "il Dio che passava tra il suo popolo", né usare "quell'intelligenza e quella libertà" che Dio ha dato ad ogni uomo perché le usi per il suo bene. Solo il segno atteso per tanti anni, il segno che lo aveva atterrato e torturato con rimorsi che non cessavano più, avrebbe suscitato in lui il riconoscimento del Cristo e la mutazione del suo antico pensiero, per cui, da rabbi dell'errore — avendo gli scribi, i farisei ed i dottori corrotta l'essenza e lo spirito della Legge, soffocandone la semplice e luminosa verità, venuta da Dio, sotto cumuli di precetti umani, sovente errati, ma sempre di utilità per loro — sarebbe divenuto, dopo lunga lotta tra il suo io antico e il suo io attuale, discepolo della Verità divina.

 11Non era, del resto, stato il solo nell'essere incerto nel decidere e forte nell'agire. Anche Giuseppe d'Arimatea, e più ancora Nicodemo, non seppero mettere subito sotto i piedi le consuetudini e le liane giudaiche e abbracciare palesemente la nuova Dottrina, tanto che usavano venire dal Cristo "in occulto" per timore dei giudei, oppure costumavano incontrarlo come per caso, e per lo più nelle loro case di campagna o in quella di Betania, da Lazzaro, perché la sapevano più sicura e più temuta dai nemici del Cristo, ai quali era ben nota la protezione di Roma per il figlio di Teofilo.
   Certamente, però, sempre molto più avanti nel Bene e più coraggiosi questi rispetto a Gamaliele, al punto da osare i gesti pietosi del Venerdì Santo. Meno avanti rabbi Gamaliele.

 12Ma osservate, voi che leggete, la potenza della sua retta intenzione. Per essa la sua giustizia, umanissima, si intinge di sovrumano. Quella di Saulo, invece, si sporca di demoniaco nell'ora che lo scatenarsi del male pone lui e il suo maestro Gamaliele davanti al bivio della scelta tra il Bene e il Male, tra il giusto e l'ingiusto.
   L'albero del Bene e del Male si drizza davanti ad ogni uomo per presentargli, col più invitante e appetitoso aspetto, i suoi frutti del Male, mentre tra le fronde, con ingannevole voce di usignolo, sibila il Serpente tentatore. Sta all'uomo, creatura dotata di ragione e di un'anima datagli da Dio, saper discernere e volere il frutto buono tra i molti che buoni non sono e che dànno lesione e morte allo spirito, e quello cogliere, anche se pungente e faticoso a cogliersi, amaro a gustarsi e meschino d'aspetto. La sua metamorfosi, per cui diviene tanto più liscio e morbido al tatto, dolce al gusto, bello all'occhio, avviene solo quando, per giustizia di spirito e ragione, si sa scegliere il frutto buono e ci si è nutriti del suo succo, amaro ma santo.
   Saulo tende le mani avide al frutto del Male, dell'odio, del­l'in­giu­stizia, del delitto, e le tenderà sinché non verrà folgorato, abbattuto, fatto cieco della vista umana perché acquisti la vista sovrumana e divenga non solo giusto, ma apostolo e confessore di Colui che prima odiava e perseguitava nei suoi servi.
   Gamaliele, spezzando le liane tenaci della sua umanità e dell'ebraismo, per il nascere e fiorire del lontano seme di luce e giustizia, non solo umana ma anche sovrumana, che la mia quarta epifania — o manifestazione, che forse vi è parola più chiara e comprensibile — gli aveva posto in cuore, nel suo cuore dalle rette intenzioni, seme che egli aveva custodito e difeso con onesta affezione ed eletta sete di vederlo nascere e fiorire, tende le mani al frutto del Bene. Il suo volere ed il mio Sangue ruppero la dura scorza di quel lontano seme, che egli aveva conservato nel cuore per decenni, in quel cuore di roccia che si fendette insieme al velo del Tempio e alla terra di Gerusalemme — e che gridò il suo supremo desiderio a Me, che più non potevo udirlo con udito umano ma che ben l'udivo col mio spirito divino — là, gettato a terra ai piedi della croce. E sotto il fuoco solare delle parole apostoliche e dei discepoli migliori e la pioggia del sangue di Stefano, primo martire, quel seme mette radici, fa pianta, fiorisce e fruttifica.
   La pianta novella del suo cristianesimo, nata là dove la tragedia del Venerdì Santo aveva abbattuto, sradicato, distrutto tutte le piante ed erbe antiche. La pianta del suo nuovo cristianesimo e della sua santità nuova è nata e s'erge davanti agli occhi miei.
   Perdonato da Me, benché colpevole per non avermi compreso avanti, per la sua giustizia che non volle partecipare alla mia condanna né a quella di Stefano, il suo desiderio di divenire mio seguace, figlio della Verità, della Luce, viene benedetto anche dal Padre e dallo Spirito Santificatore, e da desiderio diviene realtà, senza bisogno di una potente e violenta folgorazione quale fu necessaria per Saulo sulla via di Damasco, per il protervo che con nessun altro mezzo avrebbe potuto esser conquistato e condotto alla Giustizia, alla Carità, alla Luce, alla Verità, alla Vita eterna e gloriosa dei Cieli».

AMDG et DVM

martedì 26 dicembre 2017

«Amico mio, ti attendo sulla via di Cristo».

645. Il processo a Stefano e la sua lapidazione. 
Le opposte vie di Saulo a di Gamaliele alla santità.
 Atti 6, 8-15; 7; 8, 1 

 Lapides torrentis * illi dulces fuérunt: ipsum sequúntur omnes ánimæ iustæ. - Adhæsit ánima mea * post te, quia caro mea lapidáta est pro te, Deus meus. - Stephanus vidit * cælos apertos, vidit, et introívit: beátus homo, cui cæli patebant.
Le pietre del torrente * furon dolci per lui: lui seguono tutte le anime giuste. - L'anima mia * s'è attaccata a te, perché la mia carne è stata lapidata per te, o mio Dio. - Stefano vide * i cieli aperti, li vide e ci entrò: beato lui, cui si aprivano i cieli.
*
 L’aula del Sinedrio, uguale, e per disposizione e per persone, a come era nella notte tra il giovedì e il venerdì, durante il processo di Gesù.
Il Sommo Sacerdote e gli altri sono sui loro scanni.
Al centro, davanti al Sommo Sacerdote, nello spazio vuoto dove, durante il processo, era Gesù, è ora Stefano.

Egli deve aver già parlato (come in: Atti 6, 8-15; 7, 1-54), confessando la sua fede e testimoniando sulla vera Natura del Cristo e sulla sua Chiesa, perché il tumulto è al colmo e nella sua violenza è in tutto simile a quello che si agitava contro il Cristo nella notte fatale del tradimento e deicidio.

Pugni, maledizioni, bestemmie orrende sono lanciati contro il diacono Stefano che, sotto le percosse brutali, traballa e vacilla mentre con ferocia lo stiracchiano qua e là. Ma egli conserva la sua calma e dignità.

Anzi più ancora. È non solo calmo e dignitoso, ma persino beato, quasi estatico. Senza curarsi degli sputi che gli rigano il volto, né del sangue che gli scende dal naso violentemente colpito, alza, ad un certo momento, il suo volto ispirato e il suo sguardo luminoso e sorridente per affissarsi su una visione nota a lui solo. Apre poi le braccia in croce, le alza e le tende verso l’alto, come per abbracciare ciò che vede, poscia cade in ginocchio esclamando:
«Ecco, io vedo aperti i Cieli, ed il Figlio dell’Uomo, Gesù, il Cristo di Dio, che voi avete ucciso, stare alla destra di Dio».

Allora il tumulto perde quel minimo che ancora conservava di umanità e di legalità e, con la furia di una muta di lupi, di sciacalli, di belve idrofobe, tutti si slanciano sul diacono, lo mordono, lo calpestano, lo afferrano, lo rialzano sollevandolo per i capelli, lo trascinano, facendolo cadere di nuovo, facendo ostacolo con la furia alla furia, perché, nella ressa, chi cerca di strascinare fuori il martire è ostacolato da chi lo tira in altra direzione per colpirlo, per calpestarlo di nuovo.

Tra i furenti più furenti vi è un giovane basso e brutto, che chiamano Saulo. La ferocia del suo volto è indescrivibile.

In un angolo della sala sta Gamaliele. Egli non ha mai preso parte alla zuffa, né mai ha rivolto parola a Stefano né ad alcun potente. Il suo disgusto per la scena ingiusta e feroce è palese.

In un altro angolo, anche lui disgustato e non partecipante al processo e alla mischia, sta Nicodemo, che guarda Gamaliele, il cui volto è di una espressione più chiara di ogni parola. Ma, ad un tratto, e precisamente quando vede per la terza volta sollevare Stefano per i capelli, Gamaliele si ammanta nel suo amplissimo mantello e si dirige verso un’uscita opposta a quella verso cui è strascinato il diacono. L’atto non sfugge a Saulo, che grida: «Rabbi, te ne vai?». Gamaliele non risponde. Saulo, temendo che Gamaliele non abbia capito che la domanda era diretta a lui, ripete e specifica: «Rabbi Gamaliele, ti astrai da questo giudizio?». Gamaliele si volge tutto d’un pezzo e, con uno sguardo terribile tanto è disgustato, altero e glaciale, risponde soltanto: «Sì». Ma è un “sì” che vale più d’un lungo discorso.
Saulo capisce tutto quanto c’è in quel “sì” e, abbandonando la muta feroce, corre verso Gamaliele. Lo raggiunge, lo ferma e gli dice:
«Non vorrai dirmi, o rabbi, che tu disapprovi la nostra condanna».
Gamaliele non lo guarda e non gli risponde.

Saulo incalza: «Quell’uomo è doppiamente colpevole, per aver rinnegato la Legge, seguendo un samaritano posseduto da Belzebù, e per averlo fatto dopo esser stato tuo discepolo».
Gamaliele continua a non guardarlo e a tacere.

Saulo allora chiede: «Ma sei tu forse, anche tu, seguace di quel malfattore detto Gesù?».

Gamaliele ora parla e dice: «Non lo sono ancora. Ma, se Egli era Colui che diceva, e in verità molte cose stanno a dimostrare che lo era, io prego Dio che io lo divenga».

«Orrore!», grida Saulo.

«Nessun orrore. Ognuno ha un’intelligenza per adoperarla e una libertà per applicarla. Ognuno dunque l’usi secondo quella libertà che Dio ha dato ad ogni uomo e quella luce che ha messo nel cuore di ognuno. I giusti, prima o poi, li useranno, questi due doni di Dio, nel bene, ed i malvagi nel male». E se ne va, dirigendosi verso il cortile dove è il gazofilacio, e va ad appoggiarsi contro la stessa colonna contro la quale Gesù parlò alla povera vedova che dà al Tesoro del Tempio tutto quanto ha: due piccioli. (Vol 9 Cap 596).

È lì da poco quando lo raggiunge nuovamente Saulo e gli si pianta davanti. Il contrasto tra i due è fortissimo.

Gamaliele alto, di nobile portamento, bello nei tratti fortemente semitici, dalla fronte alta, dai nerissimi occhi intelligenti, penetranti, lunghi e molto incassati sotto le sopracciglia folte e diritte, ai lati del naso pure diritto, lungo e sottile, che ricorda un poco quello di Gesù. Anche il colore della pelle, la bocca dalle labbra sottili, ricordano quelle di Cristo. Solo che Gamaliele ha la barba e i baffi, un tempo nerissimi, ora molto brizzolati e più lunghi.

Saulo invece è basso, tarchiato, quasi rachitico, con gambe corte e grosse, un poco divaricate ai ginocchi, che si vedono bene perché si è levato il manto ed ha solo una veste a tunica corta e bigiognola. Ha le braccia corte e nerborute come le gambe, collo corto e tozzo, sorreggente una testa grossa, bruna, con capelli corti e ruvidi, orecchie piuttosto sporgenti, naso camuso, labbra tumide, zigomi alti e grossi, fronte convessa, occhi scuri, piuttosto bovini, per nulla dolci e miti, ma molto intelligenti sotto le ciglia molto arcuate, folte e arruffate. Le guance sono coperte da una barba ispida come i capelli e foltissima, però tenuta corta. Forse, per causa del collo così corto, pare lievemente gobbo o con spalle molto tonde.  Per un poco tace, fissando Gamaliele. Poi gli dice qualcosa sottovoce.

Gamaliele gli risponde, con voce ben netta e forte: «Non approvo la violenza. Per nessun motivo. Da me non avrai mai approvazione ad alcun disegno violento. L’ho detto anche pubblicamente, a tutto il Sinedrio, quando furono presi, per la seconda volta, Pietro e gli altri apostoli e furono portati davanti al Sinedrio perché li giudicasse. E ripeto le stesse cose: “Se è disegno e opera degli uomini, perirà da sé; se è da Dio, non potrà essere distrutta dagli uomini, ma anzi questi potranno esser colpiti da Dio”. Ricordalo».

«Sei protettore di questi bestemmiatori seguaci del Nazareno, tu, il più grande rabbi d’Israele?».

«Sono protettore della giustizia. E questa insegna ad essere cauti e giusti nel giudicare. Te lo ripeto. Se è cosa che viene da Dio resisterà, se no cadrà da sé. Ma io non voglio macchiarmi le mani di un sangue che non so se meriti la morte».

«Tu, tu, fariseo e dottore, parli così? Non temi l’Altissimo?».

«Più di te. Ma penso. E ricordo... Tu non eri che un piccolo, non ancora figlio della Legge, ed io insegnavo già in questo Tempio con il rabbi più saggio di questo tempo... e con altri, saggi ma non giusti. La nostra saggezza ebbe, tra queste mura, una lezione che ci fece pensare per tutto il resto della vita. (Quella di Gesù adolescente, al Vol 1 Cap 41). Gli occhi del più saggio e giusto del tempo nostro si chiusero sul ricordo di quell’ora e la sua mente sullo studio di quelle verità, udite dalle labbra di un fanciullo che si rivelava agli uomini, specie se giusti. I miei occhi hanno continuato a vigilare e la mia mente a pensare, coordinando eventi e cose... Io ho avuto il privilegio di udire l’Altissimo parlare per mezzo della bocca di un fanciullo, che fu poi uomo giusto, sapiente, potente, santo, e che fu messo a morte proprio per queste sue qualità. Le sue parole di allora hanno poi avuto conferma dai fatti accaduti molti anni dopo, all’epoca detta da Daniele (9)... Misero me che non compresi avanti! che attesi l’ultimo terribile segno per credere, per capire! Misero popolo d’Israele che non comprese allora e non comprende neppur ora! La profezia di Daniele, e quella d’altri profeti e della Parola di Dio, continuano e si compiranno per Israele cocciuto, cieco, sordo, ingiusto, che continua a perseguitare il Messia nei suoi servi!».

«Maledizione! Tu bestemmi! Veramente non vi sarà più salvezza per il popolo di Dio se i rabbi d’Israele bestemmiano, rinnegano Javé, il Dio vero, per esaltare e credere in un falso Messia!».

«Non io bestemmio. Ma tutti coloro che insultarono il Nazareno e continuano a fargli spregio, spregiando i suoi seguaci. Tu sì che lo bestemmi, poiché tu odi, in Lui e nei suoi. Ma hai detto giusto dicendo che non c’è più salvezza per Israele. Ma non perché vi sono israeliti che passano nel suo gregge, ma perché Israele ha colpito Lui, a morte».

«Mi fai orrore! Tradisci la Legge, il Tempio!».

«Denunciami allora al Sinedrio, perché io abbia la stessa sorte di colui che sta per essere lapidato. Sarà l’inizio e il compendio felice della tua missione. E io sarò perdonato, per questo mio sacrificio, di non aver riconosciuto e compreso il Dio che passava, Salvatore e Maestro, tra noi, suoi figli e suo popolo».

Saulo, con un atto d’ira, va via sgarbatamente, tornando nel cortile prospiciente all’aula del Sinedrio, cortile nel quale dura il gridio della folla esasperata contro Stefano. Saulo raggiunge gli aguzzini in questo cortile, si unisce a loro, che lo attendevano, ed esce insieme agli altri dal Tempio e poi dalle mura della città. Insulti, dileggi, percosse continuano ad esser lanciati contro il diacono, che procede già spossato, ferito, barcollante, verso il luogo del supplizio.

Fuori delle mura vi è uno spazio incolto e sassoso, assolutamente deserto. Là giunti, i carnefici si allargano in cerchio, lasciando solo, al centro, il condannato, con le vesti lacere e sanguinante in molte parti del corpo per le ferite già ricevute. Gliele strappano prima di allontanarsi. Stefano resta con una tunichetta cortissima.

Tutti si levano le vesti lunghe, rimanendo con le sole tuniche, corte come quella di Saulo, al quale affidano le vesti, dato che egli non prende parte alla lapidazione, o perché scosso dalle parole di Gamaliele, o perché si sa incapace di colpire bene. I carnefici raccolgono i grossi ciottoli e le aguzze selci, che abbondano in quel luogo, e cominciano la lapidazione.

Stefano riceve i primi colpi rimanendo in piedi e con un sorriso di perdono sulla bocca ferita, che, un istante prima dell’inizio della lapidazione, ha gridato a Saulo, intento a raccogliere le vesti dei lapidatori: «Amico mio, ti attendo sulla via di Cristo».

Al che Saulo gli aveva risposto: «Porco! Ossesso!», unendo alle ingiurie un calcio vigoroso sugli stinchi del diacono, che solo per poco non cade, e per l’urto e per il dolore.

Dopo diversi colpi di pietra, che lo colpiscono da ogni parte, Stefano cade in ginocchio puntellandosi sulle mani ferite e, certo ricordando un episodio lontano (Vol 5 Cap 354), mormora, toccandosi le tempie e la fronte ferita: «Come Egli m’aveva predetto! La corona... I rubini... O Signore mio, Maestro, Gesù, ricevi lo spirito mio!». Un’altra grandine di colpi sul capo già ferito lo fanno stramazzare del tutto al suolo, che si impregna del suo sangue. Mentre si abbandona tra i sassi, sempre sotto una grandine di altre pietre, mormora spirando: «Signore... Padre... perdonali... non tener loro rancore per questo loro peccato... Non sanno quello che...».
La morte gli spezza la frase tra le labbra, un estremo sussulto lo fa come raggomitolare su sé stesso, e così resta. Morto.

I carnefici gli si avvicinano, gli lanciano addosso un’altra scarica di sassate, lo seppelliscono quasi sotto di esse. Poi si rivestono e se ne vanno, tornando al Tempio per riferire, ebbri di zelo satanico, ciò che hanno fatto.

Mentre parlano col Sommo Sacerdote e altri potenti, Saulo va in cerca di Gamaliele. Non lo trova subito. Torna, acceso d’odio verso i cristiani, dai sacerdoti, parla con loro, si fa dare una pergamena col sigillo del Tempio che lo autorizza a perseguitare i cristiani. Il sangue di Stefano deve averlo reso furente come un toro che veda il rosso, o un vino generoso dato ad un alcoolizzato.
Sta per uscire dal Tempio quando vede, sotto il portico dei Pagani, Gamaliele. Va da lui. Forse vuole iniziare una disputa o una giustificazione.
Ma Gamaliele traversa il cortile, entra in una sala, chiude la porta in faccia a Saulo che, offeso e furente, esce di corsa dal Tempio per perseguitare i cristiani.

 [Dice Gesù:] «Mi sono manifestato molte volte e a molti, anche nelle straordinarie manifestazioni. Ma non in tutti in ugual modo la mia manifestazione operò. Possiamo vedere come ad ogni mia manifestazione corrisponda una santificazione di coloro che possedevano la buona volontà richiesta agli uomini per avere Pace, Vita, Giustizia.

Così, nei pastori la Grazia lavorò per i trent’anni del mio nascondimento e poi fiorì con spiga santa quando fu il tempo in cui i buoni si separarono dai malvagi per seguire il Figlio di Dio, che passava per le vie del mondo gettando il suo grido d’amore per chiamare a raccolta le pecore del Gregge eterno, sparpagliate e sperdute da Satana.
Presenti tra le turbe che mi seguivano, messi miei, perché, coi loro semplici e convinti racconti, bandivano il Cristo dicendo: “È Lui. Noi lo riconosciamo. Sul suo primo vagito scesero le ninna-nanne degli angeli. E a noi, dagli angeli, fu detto che avranno pace gli uomini di buona volontà. Buona volontà è il desiderio del Bene e della Verità. Seguiamolo! Seguitelo! Avremo tutti la Pace promessa dal Signore” .

Umili, ignoranti, poveri, i miei primi messi tra gli uomini si scaglionarono come scolte lungo le vie del Re d’Israele, del Re del mondo.
Occhi fedeli, bocche oneste, cuori amorosi, incensieri esalanti il profumo delle loro virtù per fare meno corrotta l’aria della Terra intorno alla mia divina Persona, che s’era incarnata per loro e per tutti gli uomini, e persino ai piedi della Croce li ho trovati, dopo averli benedetti col mio sguardo lungo la via sanguinosa del Golgota, unici, con pochissimi altri, che non maledicessero fra la plebe scatenata ma che amassero, credessero, sperassero ancora, e che mi guardassero con occhi di compassione, pensando alla notte lontana del mio Natale e piangendo sull’Innocente, il cui primo sonno fu su un legno penoso e l’ultimo su un legno ancor più doloroso.
Questo perché la mia manifestazione a loro, anime rette, li aveva santificati. 

E così pure avvenne ai tre Savi d’Oriente, a Simeone ed Anna nel Tempio, ad Andrea e Giovanni al Giordano, e a Pietro, Giacomo e Giovanni al Tabor, a Maria di Magdala nell’alba pasquale, agli undici perdonati sull’Uliveto, e ancor prima a Betania, del loro smarrimento...

No. Giovanni, il puro, non ebbe bisogno di perdono. Fu il fedele, l’eroe, l’amante sempre. L’amore purissimo che era in lui e la sua purezza di mente, di cuore, di carne, lo preservò da ogni debolezza. Gamaliele, e con lui Hillele, non erano semplici come i pastori, santi come Simeone, sapienti come i tre Savi.

In lui, e nel suo maestro e parente, era il viluppo delle liane farisaiche a soffocare la luce e la libera espansione della pianta della Fede. Ma nel loro essere farisei era purità d’intenzione. Credevano di essere nel giusto e desideravano di esserlo. Lo desideravano per istinto, perché erano dei giusti, e per intelletto, perché il loro spirito gridava malcontento: “Questo pane è mescolato a troppa cenere. Dateci il pane della vera Verità”.

Gamaliele però non era forte al punto di avere il coraggio di spezzare queste liane farisaiche. L’umanità sua lo teneva ancor troppo schiavo e, con essa, le considerazioni della stima umana, del pericolo personale, del benessere famigliare. Per tutte queste cose Gamaliele non aveva saputo comprendere “il Dio che passava tra il suo popolo”, né usare “quell’intelligenza e quella libertà” che Dio ha dato ad ogni uomo perché le usi per il suo bene.

Solo il segno atteso per tanti anni, il segno che lo aveva atterrato e torturato con rimorsi che non cessavano più, avrebbe suscitato in lui il riconoscimento del Cristo e la mutazione del suo antico pensiero, per cui, da rabbi dell’errore -- avendo gli scribi, i farisei ed i dottori corrotta l’essenza e lo spirito della Legge, soffocandone la semplice e luminosa verità, venuta da Dio, sotto cumuli di precetti umani, sovente errati, ma sempre di utilità per loro -- sarebbe divenuto, dopo lunga lotta tra il suo io antico a il suo io attuale, discepolo della Verità divina.

Non era, del resto, stato il solo nell’essere incerto nel decidere e forte nell’agire. Anche Giuseppe d’Arimatea, e più ancora Nicodemo, non seppero mettere subito sotto i piedi le consuetudini e le liane giudaiche e abbracciare palesemente la nuova Dottrina, tanto che usavano venire dal Cristo “in occulto” per timore dei giudei, oppure costumavano incontrarlo come per caso, e per lo più nelle loro case di campagna o in quella di Betania, da Lazzaro, perché la sapevano più sicura e più temuta dai nemici del Cristo, ai quali era ben nota la protezione di Roma per il figlio di Teofilo. Certamente, però, sempre molto più avanti nel Bene e più coraggiosi questi rispetto a Gamaliele, al punto da osare i gesti pietosi del Venerdì Santo.

Meno avanti rabbi Gamaliele.
Ma osservate, voi che leggete, la potenza della sua retta intenzione. Per essa la sua giustizia, umanissima, si intinge di sovrumano.

Quella di Saulo, invece, si sporca di demoniaco nell’ora che lo scatenarsi del male pone lui e il suo maestro Gamaliele davanti al bivio della scelta tra il Bene e il Male, tra il giusto e l’ingiusto.
L’albero del Bene e del Male si drizza davanti ad ogni uomo per presentargli, col più invitante e appetitoso aspetto, i suoi frutti del Male, mentre tra le fronde, con ingannevole voce di usignolo, sibila il Serpente tentatore. Sta all’uomo, creatura dotata di ragione e di un’anima datagli da Dio, saper discernere e volere il frutto buono tra i molti che buoni non sono e che dànno lesione e morte allo spirito, e quello cogliere, anche se pungente e faticoso a cogliersi, amaro a gustarsi e meschino d’aspetto.

La sua metamorfosi, per cui diviene tanto più liscio e morbido al tatto, dolce al gusto, bello all’occhio, avviene solo quando, per giustizia di spirito e ragione, si sa scegliere il frutto buono e ci si è nutriti del suo succo, amaro ma santo.
Saulo tende le mani avide al frutto del Male, dell’odio, dell’ingiustizia, del delitto, e le tenderà sinché non verrà folgorato, abbattuto, fatto cieco della vista umana perché acquisti la vista sovrumana e divenga non solo giusto, ma apostolo e confessore di Colui che prima odiava e perseguitava nei suoi servi.
Gamaliele, spezzando le liane tenaci della sua umanità e dell’ebraismo, per il nascere e fiorire del lontano seme di luce e giustizia, non solo umana ma anche sovrumana, che la mia quarta epifania - o manifestazione, che forse vi è parola più chiara e comprensibile - gli aveva posto in cuore, nel suo cuore dalle rette intenzioni, seme che egli aveva custodito e difeso con onesta affezione ed eletta sete di vederlo nascere e fiorire, tende le mani al frutto del Bene. Il suo volere ed il mio Sangue ruppero la dura scorza di quel lontano seme, che egli aveva conservato nel cuore per decenni, in quel cuore di roccia che si fendette insieme al velo del Tempio a alla terra di Gerusalemme - e che gridò il suo supremo desiderio a Me, che più non potevo udirlo con udito umano ma che ben l’udivo col mio spirito divino - là, gettato a terra ai piedi della croce.
E sotto il fuoco solare delle parole apostoliche e dei discepoli migliori e la pioggia del sangue di Stefano, primo martire, quel seme mette radici, fa pianta, fiorisce e fruttifica. La pianta novella del suo cristianesimo, nata là dove la tragedia del Venerdì Santo aveva abbattuto, sradicato, distrutto tutte le piante ed erbe antiche.

La pianta del suo nuovo cristianesimo e della sua santità nuova è nata e s’erge davanti agli occhi miei. Perdonato da Me, benché colpevole per non avermi compreso avanti, per la sua giustizia che non volle partecipare alla mia condanna né a quella di Stefano, il suo desiderio di divenire mio seguace, figlio della Verità, della Luce, viene benedetto anche dal Padre e dallo Spirito Santificatore, e da desiderio diviene realtà, senza bisogno di una potente e violenta folgorazione quale fu necessaria per Saulo sulla via di Damasco, per il protervo che con nessun altro mezzo avrebbe potuto esser conquistato e condotto alla Giustizia, alla Carità, alla Luce, alla Verità, alla Vita eterna e gloriosa dei Cieli».
*
Gesù Solo Salva
AMDG et DVM