645. Il processo a Stefano e la sua lapidazione.
Le opposte vie di Saulo a di Gamaliele alla santità.
Atti 6, 8-15; 7; 8, 1
Lapides torrentis * illi dulces fuérunt: ipsum sequúntur omnes ánimæ iustæ. - Adhæsit ánima mea * post te, quia caro mea lapidáta est pro te, Deus meus. - Stephanus vidit * cælos apertos, vidit, et introívit: beátus homo, cui cæli patebant.
Le pietre del torrente * furon dolci per lui: lui seguono tutte le anime giuste. - L'anima mia * s'è attaccata a te, perché la mia carne è stata lapidata per te, o mio Dio. - Stefano vide * i cieli aperti, li vide e ci entrò: beato lui, cui si aprivano i cieli.
Le pietre del torrente * furon dolci per lui: lui seguono tutte le anime giuste. - L'anima mia * s'è attaccata a te, perché la mia carne è stata lapidata per te, o mio Dio. - Stefano vide * i cieli aperti, li vide e ci entrò: beato lui, cui si aprivano i cieli.
*
L’aula del Sinedrio, uguale, e per disposizione e per persone, a come era nella notte tra il giovedì e il
venerdì, durante il processo di Gesù.
Il Sommo Sacerdote e gli altri sono sui loro scanni.
Al centro, davanti
al Sommo Sacerdote, nello spazio vuoto dove, durante il processo, era Gesù, è ora Stefano.
Egli deve aver già parlato (come in: Atti 6, 8-15; 7, 1-54), confessando la sua fede e testimoniando sulla vera
Natura del Cristo e sulla sua Chiesa, perché il tumulto è al colmo e nella sua violenza è in tutto simile a quello che si agitava contro il Cristo nella notte fatale del tradimento e deicidio.
Pugni, maledizioni,
bestemmie orrende sono lanciati contro il diacono Stefano che, sotto le percosse brutali, traballa e vacilla
mentre con ferocia lo stiracchiano qua e là. Ma egli conserva la sua calma e dignità.
Anzi più ancora. È non
solo calmo e dignitoso, ma persino beato, quasi estatico.
Senza curarsi degli sputi che gli rigano il volto, né del sangue che gli scende dal naso violentemente colpito,
alza, ad un certo momento, il suo volto ispirato e il suo sguardo luminoso e sorridente per affissarsi su una
visione nota a lui solo. Apre poi le braccia in croce, le alza e le tende verso l’alto, come per abbracciare ciò
che vede, poscia cade in ginocchio esclamando:
«Ecco, io vedo aperti i Cieli, ed il Figlio dell’Uomo, Gesù, il
Cristo di Dio, che voi avete ucciso, stare alla destra di Dio».
Allora il tumulto perde quel minimo che ancora conservava di umanità e di legalità e, con la furia di una
muta di lupi, di sciacalli, di belve idrofobe, tutti si slanciano sul diacono, lo mordono, lo calpestano, lo
afferrano, lo rialzano sollevandolo per i capelli, lo trascinano, facendolo cadere di nuovo, facendo ostacolo
con la furia alla furia, perché, nella ressa, chi cerca di strascinare fuori il martire è ostacolato da chi lo tira in
altra direzione per colpirlo, per calpestarlo di nuovo.
Tra i furenti più furenti vi è un giovane basso e brutto, che chiamano Saulo. La ferocia del suo volto è
indescrivibile.
In un angolo della sala sta Gamaliele. Egli non ha mai preso parte alla zuffa, né mai ha rivolto parola a
Stefano né ad alcun potente. Il suo disgusto per la scena ingiusta e feroce è palese.
In un altro angolo, anche
lui disgustato e non partecipante al processo e alla mischia, sta Nicodemo, che guarda Gamaliele, il cui volto
è di una espressione più chiara di ogni parola. Ma, ad un tratto, e precisamente quando vede per la terza volta
sollevare Stefano per i capelli, Gamaliele si ammanta nel suo amplissimo mantello e si dirige verso un’uscita
opposta a quella verso cui è strascinato il diacono.
L’atto non sfugge a Saulo, che grida: «Rabbi, te ne vai?».
Gamaliele non risponde.
Saulo, temendo che Gamaliele non abbia capito che la domanda era diretta a lui, ripete e specifica: «Rabbi
Gamaliele, ti astrai da questo giudizio?».
Gamaliele si volge tutto d’un pezzo e, con uno sguardo terribile tanto è disgustato, altero e glaciale, risponde
soltanto: «Sì». Ma è un “sì” che vale più d’un lungo discorso.
Saulo capisce tutto quanto c’è in quel “sì” e, abbandonando la muta feroce, corre verso Gamaliele. Lo
raggiunge, lo ferma e gli dice:
«Non vorrai dirmi, o rabbi, che tu disapprovi la nostra condanna».
Gamaliele non lo guarda e non gli risponde.
Saulo incalza: «Quell’uomo è doppiamente colpevole, per aver rinnegato la Legge, seguendo un samaritano
posseduto da Belzebù, e per averlo fatto dopo esser stato tuo discepolo».
Gamaliele continua a non guardarlo e a tacere.
Saulo allora chiede: «Ma sei tu forse, anche tu, seguace di quel malfattore detto Gesù?».
Gamaliele ora parla e dice: «Non lo sono ancora. Ma, se Egli era Colui che diceva, e in verità molte cose
stanno a dimostrare che lo era, io prego Dio che io lo divenga».
«Orrore!», grida Saulo.
«Nessun orrore. Ognuno ha un’intelligenza per adoperarla e una libertà per applicarla. Ognuno dunque l’usi
secondo quella libertà che Dio ha dato ad ogni uomo e quella luce che ha messo nel cuore di ognuno. I giusti,
prima o poi, li useranno, questi due doni di Dio, nel bene, ed i malvagi nel male».
E se ne va, dirigendosi verso il cortile dove è il gazofilacio, e va ad appoggiarsi contro la stessa colonna
contro la quale Gesù parlò alla povera vedova che dà al Tesoro del Tempio tutto quanto ha: due piccioli.
(Vol 9 Cap 596).
È lì da poco quando lo raggiunge nuovamente Saulo e gli si pianta davanti. Il contrasto tra i due è fortissimo.
Gamaliele alto, di nobile portamento, bello nei tratti fortemente semitici, dalla fronte alta, dai nerissimi occhi
intelligenti, penetranti, lunghi e molto incassati sotto le sopracciglia folte e diritte, ai lati del naso pure diritto,
lungo e sottile, che ricorda un poco quello di Gesù. Anche il colore della pelle, la bocca dalle labbra sottili,
ricordano quelle di Cristo. Solo che Gamaliele ha la barba e i baffi, un tempo nerissimi, ora molto brizzolati
e più lunghi.
Saulo invece è basso, tarchiato, quasi rachitico, con gambe corte e grosse, un poco divaricate ai ginocchi, che
si vedono bene perché si è levato il manto ed ha solo una veste a tunica corta e bigiognola. Ha le braccia
corte e nerborute come le gambe, collo corto e tozzo, sorreggente una testa grossa, bruna, con capelli corti e
ruvidi, orecchie piuttosto sporgenti, naso camuso, labbra tumide, zigomi alti e grossi, fronte convessa, occhi
scuri, piuttosto bovini, per nulla dolci e miti, ma molto intelligenti sotto le ciglia molto arcuate, folte e
arruffate. Le guance sono coperte da una barba ispida come i capelli e foltissima, però tenuta corta. Forse,
per causa del collo così corto, pare lievemente gobbo o con spalle molto tonde. Per un poco tace, fissando Gamaliele. Poi gli dice qualcosa sottovoce.
Gamaliele gli risponde, con voce ben netta e forte: «Non approvo la violenza. Per nessun motivo. Da me non
avrai mai approvazione ad alcun disegno violento. L’ho detto anche pubblicamente, a tutto il Sinedrio,
quando furono presi, per la seconda volta, Pietro e gli altri apostoli e furono portati davanti al Sinedrio
perché li giudicasse. E ripeto le stesse cose: “Se è disegno e opera degli uomini, perirà da sé; se è da Dio, non
potrà essere distrutta dagli uomini, ma anzi questi potranno esser colpiti da Dio”. Ricordalo».
«Sei protettore di questi bestemmiatori seguaci del Nazareno, tu, il più grande rabbi d’Israele?».
«Sono protettore della giustizia. E questa insegna ad essere cauti e giusti nel giudicare. Te lo ripeto. Se è
cosa che viene da Dio resisterà, se no cadrà da sé. Ma io non voglio macchiarmi le mani di un sangue che
non so se meriti la morte».
«Tu, tu, fariseo e dottore, parli così? Non temi l’Altissimo?».
«Più di te. Ma penso. E ricordo... Tu non eri che un piccolo, non ancora figlio della Legge, ed io insegnavo
già in questo Tempio con il rabbi più saggio di questo tempo... e con altri, saggi ma non giusti. La nostra
saggezza ebbe, tra queste mura, una lezione che ci fece pensare per tutto il resto della vita. (Quella di Gesù
adolescente, al Vol 1 Cap 41). Gli occhi del più saggio e giusto del tempo nostro si chiusero sul ricordo di
quell’ora e la sua mente sullo studio di quelle verità, udite dalle labbra di un fanciullo che si rivelava agli
uomini, specie se giusti. I miei occhi hanno continuato a vigilare e la mia mente a pensare, coordinando
eventi e cose... Io ho avuto il privilegio di udire l’Altissimo parlare per mezzo della bocca di un fanciullo,
che fu poi uomo giusto, sapiente, potente, santo, e che fu messo a morte proprio per queste sue qualità. Le
sue parole di allora hanno poi avuto conferma dai fatti accaduti molti anni dopo, all’epoca detta da Daniele
(9)... Misero me che non compresi avanti! che attesi l’ultimo terribile segno per credere, per capire! Misero
popolo d’Israele che non comprese allora e non comprende neppur ora! La profezia di Daniele, e quella
d’altri profeti e della Parola di Dio, continuano e si compiranno per Israele cocciuto, cieco, sordo, ingiusto,
che continua a perseguitare il Messia nei suoi servi!».
«Maledizione! Tu bestemmi! Veramente non vi sarà più salvezza per il popolo di Dio se i rabbi d’Israele
bestemmiano, rinnegano Javé, il Dio vero, per esaltare e credere in un falso Messia!».
«Non io bestemmio. Ma tutti coloro che insultarono il Nazareno e continuano a fargli spregio, spregiando i
suoi seguaci. Tu sì che lo bestemmi, poiché tu odi, in Lui e nei suoi. Ma hai detto giusto dicendo che non c’è
più salvezza per Israele. Ma non perché vi sono israeliti che passano nel suo gregge, ma perché Israele ha
colpito Lui, a morte».
«Mi fai orrore! Tradisci la Legge, il Tempio!».
«Denunciami allora al Sinedrio, perché io abbia la stessa sorte di colui che sta per essere lapidato. Sarà
l’inizio e il compendio felice della tua missione. E io sarò perdonato, per questo mio sacrificio, di non aver
riconosciuto e compreso il Dio che passava, Salvatore e Maestro, tra noi, suoi figli e suo popolo».
Saulo, con un atto d’ira, va via sgarbatamente, tornando nel cortile prospiciente all’aula del Sinedrio, cortile
nel quale dura il gridio della folla esasperata contro Stefano. Saulo raggiunge gli aguzzini in questo cortile, si
unisce a loro, che lo attendevano, ed esce insieme agli altri dal Tempio e poi dalle mura della città. Insulti,
dileggi, percosse continuano ad esser lanciati contro il diacono, che procede già spossato, ferito, barcollante,
verso il luogo del supplizio.
Fuori delle mura vi è uno spazio incolto e sassoso, assolutamente deserto. Là giunti, i carnefici si allargano in
cerchio, lasciando solo, al centro, il condannato, con le vesti lacere e sanguinante in molte parti del corpo per
le ferite già ricevute. Gliele strappano prima di allontanarsi. Stefano resta con una tunichetta cortissima.
Tutti
si levano le vesti lunghe, rimanendo con le sole tuniche, corte come quella di Saulo, al quale affidano le
vesti, dato che egli non prende parte alla lapidazione, o perché scosso dalle parole di Gamaliele, o perché si
sa incapace di colpire bene.
I carnefici raccolgono i grossi ciottoli e le aguzze selci, che abbondano in quel luogo, e cominciano la
lapidazione.
Stefano riceve i primi colpi rimanendo in piedi e con un sorriso di perdono sulla bocca ferita, che, un istante
prima dell’inizio della lapidazione, ha gridato a Saulo, intento a raccogliere le vesti dei lapidatori: «Amico
mio, ti attendo sulla via di Cristo».
Al che Saulo gli aveva risposto: «Porco! Ossesso!», unendo alle ingiurie
un calcio vigoroso sugli stinchi del diacono, che solo per poco non cade, e per l’urto e per il dolore.
Dopo diversi colpi di pietra, che lo colpiscono da ogni parte, Stefano cade in ginocchio puntellandosi sulle
mani ferite e, certo ricordando un episodio lontano (Vol 5 Cap 354), mormora, toccandosi le tempie e la
fronte ferita: «Come Egli m’aveva predetto! La corona... I rubini... O Signore mio, Maestro, Gesù, ricevi lo
spirito mio!».
Un’altra grandine di colpi sul capo già ferito lo fanno stramazzare del tutto al suolo, che si impregna del suo
sangue. Mentre si abbandona tra i sassi, sempre sotto una grandine di altre pietre, mormora spirando: «Signore... Padre... perdonali... non tener loro rancore per questo loro peccato... Non sanno quello che...».
La
morte gli spezza la frase tra le labbra, un estremo sussulto lo fa come raggomitolare su sé stesso, e così resta.
Morto.
I carnefici gli si avvicinano, gli lanciano addosso un’altra scarica di sassate, lo seppelliscono quasi sotto di
esse. Poi si rivestono e se ne vanno, tornando al Tempio per riferire, ebbri di zelo satanico, ciò che hanno
fatto.
Mentre parlano col Sommo Sacerdote e altri potenti, Saulo va in cerca di Gamaliele. Non lo trova subito.
Torna, acceso d’odio verso i cristiani, dai sacerdoti, parla con loro, si fa dare una pergamena col sigillo del
Tempio che lo autorizza a perseguitare i cristiani. Il sangue di Stefano deve averlo reso furente come un toro
che veda il rosso, o un vino generoso dato ad un alcoolizzato.
Sta per uscire dal Tempio quando vede, sotto il portico dei Pagani, Gamaliele. Va da lui. Forse vuole iniziare
una disputa o una giustificazione.
Ma Gamaliele traversa il cortile, entra in una sala, chiude la porta in faccia
a Saulo che, offeso e furente, esce di corsa dal Tempio per perseguitare i cristiani.
[Dice Gesù:]
«Mi sono manifestato molte volte e a molti, anche nelle straordinarie manifestazioni. Ma non in tutti in ugual
modo la mia manifestazione operò. Possiamo vedere come ad ogni mia manifestazione corrisponda una santificazione
di coloro che possedevano la buona volontà richiesta agli uomini per avere Pace, Vita, Giustizia.
Così, nei pastori la Grazia lavorò per i trent’anni del mio nascondimento e poi fiorì con spiga santa quando
fu il tempo in cui i buoni si separarono dai malvagi per seguire il Figlio di Dio, che passava per le vie del
mondo gettando il suo grido d’amore per chiamare a raccolta le pecore del Gregge eterno, sparpagliate e
sperdute da Satana.
Presenti tra le turbe che mi seguivano, messi miei, perché, coi loro semplici e convinti
racconti, bandivano il Cristo dicendo: “È Lui. Noi lo riconosciamo. Sul suo primo vagito scesero le
ninna-nanne degli angeli. E a noi, dagli angeli, fu detto che avranno pace gli uomini di buona volontà. Buona
volontà è il desiderio del Bene e della Verità. Seguiamolo! Seguitelo! Avremo tutti la Pace promessa dal
Signore” .
Umili, ignoranti, poveri, i miei primi messi tra gli uomini si scaglionarono come scolte lungo le vie del Re
d’Israele, del Re del mondo.
Occhi fedeli, bocche oneste, cuori amorosi, incensieri esalanti il profumo delle
loro virtù per fare meno corrotta l’aria della Terra intorno alla mia divina Persona, che s’era incarnata per
loro e per tutti gli uomini, e persino ai piedi della Croce li ho trovati, dopo averli benedetti col mio sguardo
lungo la via sanguinosa del Golgota, unici, con pochissimi altri, che non maledicessero fra la plebe scatenata
ma che amassero, credessero, sperassero ancora, e che mi guardassero con occhi di compassione, pensando
alla notte lontana del mio Natale e piangendo sull’Innocente, il cui primo sonno fu su un legno penoso e
l’ultimo su un legno ancor più doloroso.
Questo perché la mia manifestazione a loro, anime rette, li aveva
santificati.
E così pure avvenne ai tre Savi d’Oriente, a Simeone ed Anna nel Tempio, ad Andrea e Giovanni al
Giordano, e a Pietro, Giacomo e Giovanni al Tabor, a Maria di Magdala nell’alba pasquale, agli undici
perdonati sull’Uliveto, e ancor prima a Betania, del loro smarrimento...
No. Giovanni, il puro, non ebbe
bisogno di perdono. Fu il fedele, l’eroe, l’amante sempre. L’amore purissimo che era in lui e la sua purezza
di mente, di cuore, di carne, lo preservò da ogni debolezza.
Gamaliele, e con lui Hillele, non erano semplici come i pastori, santi come Simeone, sapienti come i tre Savi.
In lui, e nel suo maestro e parente, era il viluppo delle liane farisaiche a soffocare la luce e la libera espansione
della pianta della Fede. Ma nel loro essere farisei era purità d’intenzione. Credevano di essere nel giusto e
desideravano di esserlo. Lo desideravano per istinto, perché erano dei giusti, e per intelletto, perché il loro
spirito gridava malcontento: “Questo pane è mescolato a troppa cenere. Dateci il pane della vera Verità”.
Gamaliele però non era forte al punto di avere il coraggio di spezzare queste liane farisaiche. L’umanità sua
lo teneva ancor troppo schiavo e, con essa, le considerazioni della stima umana, del pericolo personale, del
benessere famigliare. Per tutte queste cose Gamaliele non aveva saputo comprendere “il Dio che passava tra
il suo popolo”, né usare “quell’intelligenza e quella libertà” che Dio ha dato ad ogni uomo perché le usi per il
suo bene.
Solo il segno atteso per tanti anni, il segno che lo aveva atterrato e torturato con rimorsi che non
cessavano più, avrebbe suscitato in lui il riconoscimento del Cristo e la mutazione del suo antico pensiero,
per cui, da rabbi dell’errore -- avendo gli scribi, i farisei ed i dottori corrotta l’essenza e lo spirito della Legge,
soffocandone la semplice e luminosa verità, venuta da Dio, sotto cumuli di precetti umani, sovente errati, ma
sempre di utilità per loro -- sarebbe divenuto, dopo lunga lotta tra il suo io antico a il suo io attuale, discepolo
della Verità divina.
Non era, del resto, stato il solo nell’essere incerto nel decidere e forte nell’agire. Anche Giuseppe
d’Arimatea, e più ancora Nicodemo, non seppero mettere subito sotto i piedi le consuetudini e le liane giudaiche e abbracciare palesemente la nuova Dottrina, tanto che usavano venire dal Cristo “in occulto” per
timore dei giudei, oppure costumavano incontrarlo come per caso, e per lo più nelle loro case di campagna o
in quella di Betania, da Lazzaro, perché la sapevano più sicura e più temuta dai nemici del Cristo, ai quali era
ben nota la protezione di Roma per il figlio di Teofilo.
Certamente, però, sempre molto più avanti nel Bene e più coraggiosi questi rispetto a Gamaliele, al punto da
osare i gesti pietosi del Venerdì Santo.
Meno avanti rabbi Gamaliele.
Ma osservate, voi che leggete, la potenza della sua retta intenzione. Per essa la sua giustizia, umanissima, si
intinge di sovrumano.
Quella di Saulo, invece, si sporca di demoniaco nell’ora che lo scatenarsi del male
pone lui e il suo maestro Gamaliele davanti al bivio della scelta tra il Bene e il Male, tra il giusto e l’ingiusto.
L’albero del Bene e del Male si drizza davanti ad ogni uomo per presentargli, col più invitante e appetitoso
aspetto, i suoi frutti del Male, mentre tra le fronde, con ingannevole voce di usignolo, sibila il Serpente
tentatore. Sta all’uomo, creatura dotata di ragione e di un’anima datagli da Dio, saper discernere e volere il
frutto buono tra i molti che buoni non sono e che dànno lesione e morte allo spirito, e quello cogliere, anche
se pungente e faticoso a cogliersi, amaro a gustarsi e meschino d’aspetto.
La sua metamorfosi, per cui
diviene tanto più liscio e morbido al tatto, dolce al gusto, bello all’occhio, avviene solo quando, per giustizia
di spirito e ragione, si sa scegliere il frutto buono e ci si è nutriti del suo succo, amaro ma santo.
Saulo tende le mani avide al frutto del Male, dell’odio, dell’ingiustizia, del delitto, e le tenderà sinché non
verrà folgorato, abbattuto, fatto cieco della vista umana perché acquisti la vista sovrumana e divenga non
solo giusto, ma apostolo e confessore di Colui che prima odiava e perseguitava nei suoi servi.
Gamaliele, spezzando le liane tenaci della sua umanità e dell’ebraismo, per il nascere e fiorire del lontano
seme di luce e giustizia, non solo umana ma anche sovrumana, che la mia quarta epifania - o manifestazione,
che forse vi è parola più chiara e comprensibile - gli aveva posto in cuore, nel suo cuore dalle rette
intenzioni, seme che egli aveva custodito e difeso con onesta affezione ed eletta sete di vederlo nascere e
fiorire, tende le mani al frutto del Bene. Il suo volere ed il mio Sangue ruppero la dura scorza di quel lontano
seme, che egli aveva conservato nel cuore per decenni, in quel cuore di roccia che si fendette insieme al velo
del Tempio a alla terra di Gerusalemme - e che gridò il suo supremo desiderio a Me, che più non potevo
udirlo con udito umano ma che ben l’udivo col mio spirito divino - là, gettato a terra ai piedi della croce.
E
sotto il fuoco solare delle parole apostoliche e dei discepoli migliori e la pioggia del sangue di Stefano, primo
martire, quel seme mette radici, fa pianta, fiorisce e fruttifica.
La pianta novella del suo cristianesimo, nata là dove la tragedia del Venerdì Santo aveva abbattuto, sradicato,
distrutto tutte le piante ed erbe antiche.
La pianta del suo nuovo cristianesimo e della sua santità nuova è nata
e s’erge davanti agli occhi miei.
Perdonato da Me, benché colpevole per non avermi compreso avanti, per la sua giustizia che non volle
partecipare alla mia condanna né a quella di Stefano, il suo desiderio di divenire mio seguace, figlio della
Verità, della Luce, viene benedetto anche dal Padre e dallo Spirito Santificatore, e da desiderio diviene
realtà, senza bisogno di una potente e violenta folgorazione quale fu necessaria per Saulo sulla via di
Damasco, per il protervo che con nessun altro mezzo avrebbe potuto esser conquistato e condotto alla
Giustizia, alla Carità, alla Luce, alla Verità, alla Vita eterna e gloriosa dei Cieli».
*
Gesù Solo Salva
AMDG et DVM