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sabato 22 giugno 2013

Parabola che paragona la malattia al peccato


Le parabole di Gesù
(048)
Parabola che paragona la malattia al peccato (523.5)
A che paragonerò Io coloro che, dopo essere stati peccatori, poi si convertono? Li paragonerò a malati che guariscono.

A che paragonerò gli altri che non hanno pubblicamente peccato, o che, rari più di perle nere, non hanno fatto mai, neppur nel segreto, colpe gravi? Li paragonerò a delle persone sane.

Il mondo è composto di queste due categorie. Sia nello spirito che nella carne e sangue. Ma se uguali sono i paragoni, diverso è il modo del mondo di usare coi malati guariti, che erano malati nella carne, da quello che esso usa coi peccatori convertiti, ossia coi malati dello spirito che tornano in salute.

Noi vediamo che quando anche un lebbroso, che è il malato più pericoloso e più isolato perchè pericoloso, ottiene la grazia di guarigione, dopo essere stato osservato dal sacerdote e purificato, viene riammesso nel consorzio delle genti, e anzi quelli della sua città lo festeggiano perchè guarito, perchè resuscitato alla vita, alla famiglia, agli affari. Gran festa in famiglia e in città quando uno che era lebbroso riesce ad ottenere grazia e a guarire! E' una gara fra famigliari e i cittadini a portargli questo e quello, e se è solo e senza casa o mobili, a offrirgli letto o mobilia, e tutti dicono: "E' uno prediletto da Dio. Il suo dito lo ha sanato. Facciamogli dunque onore, e onoreremo Colui che lo ha creato e ricreato". 

E' giusto fare così. E quando, sventuratamente invece, uno ha i primi segni di lebbra, con che amore angoscioso parenti e amici lo colmano di tenerezze, finchè è possibile ancora farlo, quasi per dargli, tutto in una volta, il tesoro di affetti che gli avrebbero dato in molti anni, perchè se lo porti seco nel suo sepolcro di vivo.

Ma perchè allora per gli altri malati non si fa così? Un uomo comincia a peccare, e famigliari e soprattutto concittadini lo vedono? Perchè allora non cercano con amore di strapparlo al peccare? Una madre, un padre, una sposa, una sorella ancora lo fanno.

Ma è già difficile che lo facciano i fratelli, e non dico poi che lo facciano i figli del fratello del padre o della madre.

I concittadini infine, non sanno che criticare, schernire, insolentire, scandalizzarsi, esagerare i peccati del peccatore, segnalarselo a dito, tenerlo discosto come un lebbroso quelli che sono più giusti, farsi suoi complici, per godere alle sue spalle, quelli che giusti non sono.

Ma non c'è che ben raramente una bocca, e soprattutto un cuore, che vada dall'infelice con pietà e fermezza, con pazienza e amore soprannaturale, e si affanni a frenarne la discesa nel peccato.

E come? Non è forse più grave, veramente grave e mortale la malattia dello spirito? Non priva essa, e per sempre, del Regno di Dio? La prima delle carità verso Dio e verso il prossimo non deve essere questo lavoro di sanare un peccatore per il bene della sua anima e la gloria di Dio?

E quando un peccatore si converte, perchè quell'ostinatezza di giudizio su di lui, quel quasi rammaricarsi che egli sia tornato alla salute spirituale? Vedete smentiti i vostri pronostici di certa dannazione di un vostro concittadino? Ma dovreste esserne felici, perchè Colui che vi smentisce è il misericordioso Iddio, che vi dà una misura della sua bontà a rincuorarvi nelle vostre colpe più o meno gravi.


E perchè quel persistere a voler vedere sporco, spregevole, degno di stare nell'isolamento, ciò che Dio e la buona volontà di un cuore hanno fatto netto, ammirevole, degno della stima dei fratelli, anzi della loro ammirazione?
Ma ben giubilate anche se un vostro bue, un vostro asino o cammello, o la pecora del gregge o il colombo preferito guariscono da una malattia! Ben giubilate se un estraneo, che appena ricordate a nome per averne sentito parlare al tempo in cui fu isolato perchè lebbroso, torna guarito! E perchè allora non giubilate per queste guarigioni di spirito, per queste vittorie di Dio? Il Cielo giubila quando un peccatore si converte. Il Cielo: Dio, gli angeli purissimi, quelli che non sanno cosa è peccare. E voi, voi uomini, volete essere più intransigenti di Dio?......."

L'Apostola... degli Apostoli

martedì 11 giugno 2013

Il giardino dell'Eden (554.10)


Le parabole di Gesù
(050)
Parabola ai fanciulli: il giardino dell'Eden (554.10)

Un giorno il Signore Iddio disse: "Farò l'uomo e l'uomo vivrà nel Terrestre Paradiso dove è il gran fiume che poi si divide in quattro capi, che sono il Fison, il Geon, L'Eufrate e il Tigri, che scorrono la terra. E l'uomo sarà felice avendo tutte le bellezze e bontà del Creato e il mio amore per gaudio del suo spirito".


 E così fece. Era come se l'uomo fosse su una grande isola, ma ancor più fiorita di questa e con piante di ogni specie e con tutti gli animali. E sopra lui fosse l'amore di Dio a far da sole per l'anima, e la voce di Dio era nei venti, più melodiosa di canto d'uccello.


Ma ecco che in questa bell'isola fiorita, fra tutte le bestie e le piante, entrò strisciando un serpente diverso da quelli che erano stati creati da Dio e che erano buoni, senza veleno nei denti, senza ferocia nelle spire del corpo flessuoso.


Anche questo serpente si era vestito della pelle dai colori di gemme che avevano gli altri, anzi si era fatto ancor più bello di questi, tanto che pareva un grande monile di re che andasse guizzando fra gli splendidi alberi del Giardino.


Andò ad attorcigliarsi intorno ad un albero che sorgeva in mezzo al giardino, un albero bello, solitario, alto molto più di questo, coperto di foglie e frutti meravigliosi. E il serpente pareva un gioiello intorno al bell'albero, e scintillava al sole, e tutti gli animali lo guardavano perchè nessuno si ricordava di averlo visto creare e, nè di averlo visto prima di allora.
Ma nessuno gli si avvicinava, anzi tutti si allontanavano dall'albero, ora che aveva intorno al fusto il serpente.


Soltanto l'uomo e la donna si avvicinarono là. La donna prima dell'uomo perchè le piaceva quella cosa lucente che brillava al sole e muoveva il capo simile ad un fiore ancor semichiuso, e ascoltò quello che diceva il serpente, e disubbidì al Signore e fece disubbidire Adamo. Soltanto dopo aver disubbidito videro il serpente per ciò che era e compresero il peccato, perchè ormai avevano perduto l'innocenza del cuore. E si nascosero a Dio che li cercava e poi mentirono a Dio che li interrogava.


Allora Dio mise degli angeli al confine del Giardino e cacciò gli uomini da esso. Fu come se gli uomini fossero, dalla riva sicura dell'Eden, gettati nei fiumi terrestri colmi d'acque come quando vengono le piene di primavera. E Dio lasciò però nel cuore degli scacciati il ricordo del loro destino eterno, ossia del passaggio dal bel Giardino, dove sentivano la voce e l'amore di Dio, al Paradiso dove avrebbero goduto di Dio completamente. E col ricordo lasciò lo stimolo santo a risalire verso il luogo perduto con una vita di giustizia.

sabato 1 giugno 2013

Stessa quantità e qualità di olio, uno stoppino uguale, accesi alla stessa ora...


Le parabole di Gesù
(055)
Parabola dei due lumi (584.3)

Un uomo volle un giorno accendere due lumi per onorare il Signore in una festa. Prese dunque due vasi di uguale larghezza, vi mise la stessa quantità e qualità di olio, uno stoppino uguale, e li accese alla stessa ora, perchè pregassero per lui mentre egli lavorava come era concesso. Tornò dopo qualche tempo e vide che un lume fiammeggiava fortemente mentre l'altro aveva una fiammolina quieta, quieta, che appena metteva un punto di luce nell'angolo dove ardevano i lumi.


L'uomo pensò che fosse malfatto lo stoppino. Lo osservò. No, andava bene. Ma non voleva ardere così giocondamente come l'altro lume che vibrava la sua fiamma come fosse una lingua e pareva proprio mormorasse parole tanto era gioconda e tanto, nell'agitarsi divampando, aveva persino un lieve mormorio.

"Questo lume veramente canta le lodi del Signore Altissimo!" disse tra sè. "Mentre questo! Guardalo, anima mia! Sembra che gli pesi dover onorare il Signore tanto lo fa con poco ardore!" e se ne tornò ai suoi lavori.

Tornò dopo qualche tempo. Una fiamma si era ancor più alzata, e l'altra si era ancor più abbassata, e ardeva sempre più ferma e quieta quanto l'altra vibrava splendendo.

Tornò una seconda volta. La stessa cosa. Una terza: la stessa cosa. Ma venendo la quarta volta vide la stanza piena di fumo maleolente e scuro e una sola fiammolina splendere attraverso i veli del fumo spesso.

Andò alla mensola dove erano i lumi, e vide che quello che tanto fiammeggiava prima si era totalmente consumato e annerito, e aveva anche sporcato, con la sua lingua, la parete bianca. L'altro invece, continuava con la sua costante luce ad onorare il Signore.


Stava per riparare all'accaduto quando una voce gli risuonò vicino: "Non mutare le cose di come stanno. Ma medita su esse che sono un simbolo. Io sono il Signore":

L'uomo si gettò col volto al suolo adorando, e con grande tremore osò dire: "Io sono stolto. Spiegami, o Sapienza, il simbolo dei lumi, dei quali quello che pareva il più attivo nell'onorarti ha fatto danno e l'altro dura nella sua luce".

"Sì che lo farò. Così è dei cuori degli uomini come di questi due lumi. Vi sono quelli che al principio ardono e splendono e sono di ammirazione agli uomini tanto sembra perfetta e costante la loro fiamma. E vi sono quelli che hanno uno splendore mite che non attira l'attenzione e può parere tiepidezza nell'onorare il Signore. Ma passata la prima fiammata o la seconda, o la terza, fra la terza e la quarta fanno danno, e poi si spengono, con rovina, perché il loro non era un lume sicuro. Hanno voluto splendere più per gli uomini che per il Signore, e la superbia li ha consumati in breve ora, fra un fumo nero e pesante che ha ottenebrato anche l'aria. 
Gli altri hanno avuto una volontà unica e costante: onorare Dio solo, e senza curarsi se l'uomo li lodava, hanno consumato se stessi con lunga, nitida fiamma, priva di fumo e fetore. Sappi imitare il lume costante perchè esso solo è gradito al Signore."


L'uomo rialzò il capo... L'aria si era mondata dal fumo e la stella del lume fedele splendeva ora da sola, pura, ferma, in onore di Dio, facendo lucere il metallo del lume come fosse oro puro.
E lo guardò splendere, sempre uguale, per ore e ore, sinchè dolcemente, senza fumo o fetore, senza sporcare la sua veste, la fiamma si esalò in un guizzo, parendo salire al cielo e fissarsi fra le stelle, avendo degnamente onorato il Signore sino all'ultimo umore e all'ultimo stame della sua vita.

Te lucis ante terminum

mercoledì 29 maggio 2013

Parabola della perla

Le parabole di Gesù
(057)
Parabola della perla 
(Quaderni '43 -12/8/43)

Un granello di arena mosso dalle onde del mare viene inghiottito dalle valve del mollusco. Un sassolino greggio e spregevole, un frammento minuscolo di roccia, una scheggia di pomice, tutte cose che non meritano lo sguardo di un uomo. 

Quel granello di rena inghiottito così rimpiange certo, nel primo tempo, le sconfinate praterie del mare dove rotolava libero sotto la spinta delle correnti e dove vedeva tante cose belle, create dal Padre mio. Ma dopo qualche tempo intorno al grigio e ruvido granellino si fa una pellicola bianca, sempre più bella, più soda, più regolare. E il sassolino non rimpiange più la libertà selvaggia di prima, ma benedice il momernto in cui fu precipitato, da un volere superiore alla sua intenzione, fra le valve di quel mollusco. Se il granellino potesse parlare direbbe: "Sia benedetto quel momento in cui ho perduto la libertà! Sia benedetta la forza che la libertà mi ha levata e di me, povero e brutto, ha fatto una preziosa margarita!"


martedì 28 maggio 2013

Parabola del giardino

Le parabole di Gesù
(058)
Parabola del giardino 
(Quaderni '43 -5/7/43)

La mia Chiesa è simile ad un grande giardino che circonda il palazzo di un grande re. Il re per motivi suoi, non esce dal palazzo e perciò dopo avere seminato i fiori e le piante più belle, ha delegato un giardiniere a tutelare la sua Chiesa. Il giardiniere, a sua volta, ha molti aiutanti che lo coadiuvano.

Nel giardino vi sono fiori e piante di tutte le specie. Dal re furono sparpagliate sulle aiuole, per renderle fertili, tutte le sostanze fertilizzanti e una volta fiorivano solo fiori e piante utili e belle. Nel centro del giardino è una fontana dalle sette bocche che manda i suoi canali per ogni dove e alimenta e ristora piante e fiori.



Ma il Maligno, nell'assenza del re, è entrato ed ha sparso a sua volta semi nocivi. Di modo che ora il giardino presenta un aspetto disordinato, per non dire desolante. Erbacce malsane, spinose, venefiche, si sono distese dove prima erano bordure, aiuole, cespugli bellissimi e li hanno soffocati e resi grami perché hanno succhiato gli umori della terra e impedito al sole di scendere sulle pianticelle.



Il giardiniere e i suoi aiutanti si affannano a rimondare, ad estirpare, a raddrizzare pianticelle piegate sotto il peso di altre malsane. Ma se lavorano di quà, il Maligno lavora di là e così il giardino presenta sempre il suo aspetto desolato. Serpi, rospi, lumache approfittano del disordine per annidarsi. per rodere, per sbavare. Qua e là qualche pianta robusta resiste a tutto e fiorisce alta nel cielo, qualche aiuola anche, specie se di gigli e rose. Ma le belle bordure delle margheritine e delle violette sono quasi completamente cancellate.


Quando il re verrà, non conoscerà più il suo bel giardino divenuto selvaggio e con ira strapperà le erbacce, schiaccerà gli animali lubrici, coglierà i fiori rimasti e li porterà nel suo palazzo, cancellando per sempre il giardino.

Parabola del giardino (Quaderni '43 -5/7/43) Spiegazione

Il re è Gesù Cristo. Il giardino è la sua Chiesa militante. Il giardiniere è il mio Pietro e i suoi aiutanti sono i sacerdoti. I fiori e le piante, i consacrati fedeli, i sacramenti. I semi nocivi sono i vizi, le passioni, i peccati seminati da Satana in  odio a Me.
Il disordine è dato dal fatto che le piante buone non hanno reagito e si sono lasciate soffocare da quelle malvagie che annullano il beneficio del mio Sangue, dei miei Sacramenti, del Sole della Grazia.

Il Sommo Giardiniere e i suoi pochi, veri aiutanti, non riescono a mettere ordine per la mala volontà delle piante buone, per la loro pigrizia spirituale e per la mala volontà e pigrizia di molti falsi giardinieri che non si affaticano nel santo lavoro di coltivare, aiutare, raddrizzare le anime.

I serpi, i rospi e le lumache sono le tentazioni. Se tutti i giardinieri fossero solerti e se tutte le piante fossero vigilanti, essi verrebbero schiacciati. Invece le anime non chiamano in soccorso la chiesa quando comprendono che la tentazione è più forte di loro e gli ecclesiastici non accorrono, non tutti, quando una delle povere anime, che Io ha pagate col mio Dolore e affrancate in anticipo col mio Sangue, chiede soccorso.
Le piante buone che resistono sono i veri sacerdoti : dal mio Vicario, Giardiniere Sommo e sommo albero che alza fino al cielo la sua cima intrepida e retta, ai semplici sacerdoti che sono rimasti sale della terra.

Le aiuole, specie di rose e gigli, sono le anime verginali e le anime amanti. Ma le bordure delle margheritine: l’innocenza; e quelle delle violette: la penitenza, mostrano un aspetto desolante. L’innocenza nasce e fiorisce, ma presto non è più, perché la malizia, la lussuria,  il vizio, l’imprudenza, la distruggono. La penitenza è letteralmente prosciugata dalla gramigna della tiepidezza. Solo qualche esemplare resiste. Ed è quell’esemplare che profuma, con odore di purificazione, un largo raggio di giardino dai miasmi del Male.

Quando Io verrò, nell’ora mia terribile, strapperò, calpesterò, distruggerò erbe maledette e parassiti maledetti, cancellerò il giardino dell’universo, portando con Me, nell’interno della mia reggia, le piante benedette, i benedetti fiori che hanno saputo resistere e fiorire per la mia gioia.
E guai a coloro che saranno divelti da Me e lanciati nel regno di Mammona, il malvagio seminatore che hanno preferito al seminatore divino; e guai a coloro che hanno preferito ascoltare la voce delle serpi e dei rospi e il bacio delle lumache  alla voce dei miei angeli e al bacio della mia grazia. Meglio per loro sarebbe stato se mai non fossero nati!

Ma gioia, gioia eterna a coloro che mi sono rimasti servi buoni, fedeli, casti, innamorati. E gioia, ancora più grande, a quelli che hanno voluto essere doppiamente miei seguaci prendendo le vie del Calvario per loro via, per compiere nel loro corpo  quanto manca ancora all’eterna passione del Cristo. I loro corpi glorificati splenderanno come soli nella vita eterna perché si saranno nutriti del mio duplice pane: Eucaristia e Dolore, e avranno aumentato del loro sangue il gran lavacro iniziato da Gesù, il capo, e proseguito da essi, le membra, per mondare i fratelli e dare gloria a Dio.





lunedì 27 maggio 2013

Parabola della lana




Le parabole di Gesù
(059)
Parabola della lana (Quaderni '43 -17/7/43)
Hai mai visto come fanno coloro che vogliono avere della lana soffice per i loro sonni? Chiamano il materassaio il quale batte e ribatte la lana finchè è tutta una spuma. Più la lana è battura energicamente e più diviene soffice e pulita, perchè la polvere e i detriti cascano al suolo e i bioccoli restano ben mondi e spumosi.
Lo stesso, peggio ancora, lo si fa se quella lana la si vuole filare o tessere. Allora entra in opera anche il pettine di ferro che districa rudemente la lana e la rende stesa come capelli ben pettinati.
Così fa chi fila lino e canapa; e persino la seta del bozzolo, per essere usata, deve prima subire il tormento dell'acqua bollente, della spazzola ruvida e della macchina che la torce.

(Spiegazione)

domenica 26 maggio 2013

Nel negozio dell'orafo


SAGRARIO

(060)
Nel negozio dell'orafo 
(Quaderni '44 -25/11/44)

Da un orafo sono diversi calici d’argento, lavorati a sbalzo taluni, e con arte e intarsi d’oro e anche gemme, altri unicamente belli per il metallo e la forma liscia e svasata come calice di giglio su stelo sottile.

Vengono dei compratori e guardano. Molti, ricchi signori, comprano dei calici per la loro sontuosa dimora. Prendono i più belli, tutto intarsi, sbalzi e gemme. E se li portano via. Per ultimo, un umile prete acquista, con l’obolo dei suoi parrocchiani, un calice di solo argento. Il più semplice, umile come lo è quel prete e come lo è la chiesa che egli regge. Umile come ne permette l’acquisto la poca somma delle offerte, ammucchiate soldo a soldo.
Il povero prete porta via il suo tesoro. E’ felice di pensare che Gesù scenderà col suo Sangue e il suo Corpo, con la sua Anima e Divinità, in quel nuovo calice, più degno di Lui, Santissimo, che non nell’altro, ormai ridotto da decenni d’uso in proprio cattivo stato. E non vede l’ora che sia la mattina di domenica per poterlo usare, porre sulla pietra sacra, su esso pronunciare le sante parole: “Questo è il Calice del mio Sangue ….”. Oh! Come quel calice è santo agli occhi suoi e di quelli che credono dal momento che in esso la fede vede il Sangue di Gesù Cristo, Salvatore, Verbo di Dio, Figlio dell’Eterno Padre!   Splende non per il lucente e nuovo argento ma per tutta la Luce che in sé rinchiude!

Adoramus Te

venerdì 17 maggio 2013

(028) La parabola del buon Re pastore che arriva al suo regno con solo un agnello



La parabola del buon Re pastore che arriva al suo regno con solo un agnello (352.7)


"Un pastore molto buono, venuto a conoscenza che in un luogo del creato erano molte pecore abbandonate da pastori poco buoni, le quali pericolavano su vie perverse e in pascoli nocivi e andavano sempre più verso burroni privi di luce, venne in quel posto, e sacrificando tutto il suo avere acquistò quelle pecore e quegli agnelli.
Voleva portarli nel suo regno, perchè quel pastore era anche re come lo sono stati tanti re in Israele. Nel suo regno quelle pecore e quegli agnelli avrebbero tanti pascoli sani, fresche e pure acque, vie sicure e ripari inabbattibili contro i ladroni e i lupi feroci. Perciò quel pastore radunò le sue pecore e i suoi agnelli e disse loro:

<Sono venuto a salvarvi, a portarvi dove non soffrirete più, dove non conoscerete più insidie e dolore. Amatemi, seguitemi, perché Io vi amo tanto e per avervi mi sono sacrificato in tutti i modi. Ma se mi amerete il mio sacrificio non mi peserà. Venitemi dietro e andiamo>.

E il pastore avanti, dietro le pecore presero il cammino verso il regno della gioia.
Il pastore ogni momento si volgeva per vedere se lo seguivano, per esortare le stanche, per rincuorare le sfiduciate, per soccorrere le malate, per carezzare gli agnelli. Come le amava! Dava loro il suo pane e il suo sale e per primo assaggiava l'acqua delle fonti e la benediceva per sentire se era sana e per renderla santa.

Ma le pecore - lo credi Beniamino? - le pecore dopo qualche tempo si stancarono. Prima una, poi due, poi dieci, poi cento rimasero indietro a brucare l'erba fino ad empirsi senza poter più muoversi, e si sdraiarono stanche e sazie nella polvere e nel fango.
Altre si spenzolavano sui precipizi nonostante il pastore dicesse: <Non lo fate>; talune, perchè egli si metteva dove era maggior pericolo per impedire a loro di andarvi, lo urtarono con il capo protervo e tentarono di precipitarlo più di una volta. Così molte finirono nei burroni e morirono miseramente. Altre si azzuffarono fra loro, e, incorna e intesta, si uccisero fra loro.

Solo un agnellino non si distrasse mai. Esso correva, belando, e diceva col suo belato al pastore: <Ti amo>; correva dietro al pastore buono e quando giunsero alle porte del suo regno non erano che loro due: il pastore e l'agnellino fedele. Allora il pastore non disse:<entra>, ma disse: <vieni>, e lo prese sul petto, fra le braccia, e lo portò dentro chiamando tutti i suoi sudditi e dicendo loro: <Ecco. Costui mi ama. Voglio che sia meco in eterno. E voi amatelo perchè esso è il prediletto del mio cuore>".

 Domine Iesu,
Quaecumque eveniant

Accipiam a Te per Mariam.

lunedì 13 maggio 2013

L'avarizia e il ricco stolto


(020)

Ad un uomo ricco aveva fruttato molto bene la campagna. Proprio un raccolto da miracolo. Egli contempla felice tutta questa dovizia che si accumula nei suoi campi e le sue aie e che non trova posto nei granai tanto che è ospitata sotto tettoie provvisorie e persino nelle stanze della casa, e dice: "Ho lavorato come uno schiavo, ma la terra non mi ha deluso. Ho lavorato per dieci raccolti, e ora voglio riposare per altrettanto. Come farò a mettere a posto tutta questa raccolta? Venderne non voglio perchè mi costringerei a lavorare per avere il prossimo anno nuovo raccolto. Farò così: demolirò i miei granai e ne farò di più vasti, che c'entrino tutti i raccolti e i miei beni. E poi dirò all'anima mia: Oh, anima mia! Tu hai ora da parte dei beni per molti anni. Riposati dunque, mangia e bevi e godi."

Costui, come molti, confondeva il corpo con l'anima, e mescolava il sacro al profano, perchè realmente nelle gozzoviglie e nell'ozio l'anima non gode ma languisce, e anche costui, come molti, dopo il primo buon raccolto nei campi del bene, si fermava, parendogli di aver fatto tutto.
Ma non sapete che posta la mano all'aratro occorre perseverare uno e dieci e cent'anni, quanto la vita dura, perchè fermarsi è delitto verso se stessi ai quali si nega una gloria maggiore, è regredire perchè chi si ferma generalmente non solo non progredisce più, ma si volge indietro? Il tesoro del Cielo deve aumentare anno per anno per essere buono. Chè se la Misericordia sarà benigna anche con chi ebbe pochi anni per formarlo, non sarà complice dei pigri che avendo lunga vita fanno poco. E' un tesoro in continuo aumento. Se no non è più tesoro fruttifero, ma inerte, e ciò va a detrimento della pronta pace del Cielo.

Dio disse allo stolto: "Uomo stolto che confondi il corpo e i beni della terra con ciò che è spirito, e di una grazia di Dio te ne fai un male, sappi che questa notte stessa ti sarà chiesta l'anima e levata, e il corpo giacerà senza vita. Quanto hai preparato di chi sarà? Lo porterai teco? Te ne verrai nudo di raccolti terreni e di opere spirituali al mio cospetto e povero sarai nell'altra vita. Meglio ti era dei tuoi raccolti farne opere di misericordia al prossimo e a te. Perchè essendo misericorde agli altri alla tua anima eri misericorde. E invece di nutrire pensieri d'ozio, coltivare attività da cui trarre onesto utile al tuo corpo e grandi meriti alla tua anima finchè Io ti avessi chiamato". E l'uomo nella notte, morì e fu severamente giudicato.
AVE MARIA!

mercoledì 12 dicembre 2012

Maria Valtorta // Le parabole di Gesù





Le parabole di Gesù
I riferimenti posti alla fine del titolo delle parabole tratti da "L'Evangelo come mi è stato rivelato" si riferiscono ai numeri progressivi dei vari capitoli ed alla numerazione interna ad ogni singolo capitolo (ediz. 2005).
Le parabole raccolte in queste pagine sono in ordine cronologico come risulta anche dalla numerazione che ne individua la posizione nell'opera di Maria Valtorta
Alcune parabole sono quelle riportate nei Vangeli canonici, ma molte altre sono il frutto di dettati o di visioni di cui Maria Valtorta ha avuto dono con l'ordine di riportarle fedelmente.
Cliccare sul titolo per richiamare il testo
001)-
Mappa Galilea
Mappa Giudea
Nota: Le parabole con asterisco )* hanno la spiegazione


  • VENI DOMINE ET NOLI TARDARE

domenica 2 settembre 2012

Le iene non amano gigli e rose, gelsomini e canfore, cinnamomi e garofani.





XXII Domenica Tempo Ordinario: Anno B: 2 settembre 2012

Prima lettura Deuteronomio 4,1-2.6-8 /Salmo responsoriale Salmo 14

Seconda lettura Giacomo 1,17-18.21-22.27

Vangelo Marco 7,1-8.14-15.21-23 [da L’Evangelo come mi è stato rivelato, 300.6-9; 301.5-6]
[A Naim, Gesù è ospite in casa di Daniele, il giovane risuscitato. Nella stessa sono convenuti anche i notabili del paese che tempestano di domande il giovane].


“E allora perché i tuoi discepoli lo fanno?”.
La voce arrogante di un fariseo, che punto sul vivo alza il tono della stessa, richiama l’attenzione degli apostoli che sono nella stanza di fronte, separati da un corridoio largo poco più di un metro, non isolati da porte o tende pesanti. Sentendosi chiamati in causa, si alzano e vengono senza far rumore nel corridoio, in ascolto.
“In che lo fanno? Spiegati, e se la tua accusa è vera Io li avviserò di non fare più cosa contraria alla Legge”.
“In cosa lo so io, e con me molti altri. Ma Tu che risusciti i morti e ti dici più che profeta, scoprila da Te. Noi non te la diremo certo. Hai occhi, del resto, per vedere anche molte altre cose, fatte quando non si devono fare, o non fatte quando si devono fare, commesse dai tuoi discepoli. E Tu non te ne curi”.

“Vogliate indicarmene alcune”.

“Perché i tuoi discepoli trasgrediscono le tradizioni degli antichi? Oggi li abbiamo osservati. Anche oggi! Non più tardi di un’ora fa! Essi sono entrati nella loro sala per mangiare e non si sono purificate, avanti, le mani!”. Se i farisei avessero detto: “e prima hanno sgozzato dei cittadini”, non avrebbero avuto un tono simile di profondo orrore.
“Li avete osservati, sì. Ci sono tante cose da vedere. E belle, e buone. Cose che fanno benedire il Signore di averci dato la vita perché avessimo modo di vederle e perché ha creato o permesso quelle cose. Eppure voi non le osservate. E con voi molti altri. Ma perdete tempo e pace coll’inseguire le cose non buone.

Sembrate sciacalli, meglio, iene correnti sulla scia di un fetore, trascurando le ondate di profumi che vengono nel vento da giardini pieni di aromi. Le iene non amano gigli e rose, gelsomini e canfore, cinnamomi e garofani. Per loro sono sgradevoli odori. Ma il lezzo di un corpo putrefacente in fondo ad un burrone, o su una carraia, sepolto sotto i rovi dove l’ha gettato l’assassino, o gettato dalla tempesta sulla spiaggia deserta, gonfio, violaceo, crepato, orrendo, oh! quello è profumo gradevole alle iene! 
E fiutano il vento della sera, che condensa e trasporta con sé tutti gli odori che il sole ha distillato dalle cose che ha scaldato, per sentire questo vago, invitante odore, e scopertolo, e afferratane la direzione, eccole partire di corsa, col muso all’aria, i denti già scoperti nel fremito delle mascelle simile ad un isterico riso, per andare là dove è putrefazione. 
E, sia cadavere d’uomo o di quadrupede, o di biscia spezzata dal contadino, o di faina uccisa dalla massaia, fosse anche un semplice topo, oh! ecco che piace, piace, piace! E in quel fetore ribollente si affondano le zanne, e si pasteggia, e ci si lecca le labbra…

Degli uomini si santificano giorno per giorno? Non è cosa che interessi! Ma se uno solo fa del male, o in più d’uno lasciano, non un comando divino, ma una pratica umana — chiamatela pure tradizione, precetto, come volete, è sempre cosa umana — ecco che allora si va, si nota. Si va anche dietro a un sospetto… tanto per godere, vedendo che il sospetto è realtà.

Ma allora, rispondete, rispondete voi che siete venuti non per amore, non per fede, non per onestà, ma per malvagio scopo, rispondete: perché voi trasgredite il comando di Dio per una vostra tradizione? Non vorrete già dirmi che una tradizione è da più di un comandamento? 
Eppure Dio ha detto: “Onora il padre e la madre, e chi maledirà il padre e la madre è reo di morte”! E voi invece dite: “Chiunque abbia detto al padre e alla madre: ‘Quello che dovresti avere da me è corban’, non è più obbligato ad usarlo per padre e madre”. Dunque voi con la vostra tradizione avete annullato il comando di Dio.
Ipocriti! Ben disse di voi Isaia profetando: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me, perciò mi onorano invano insegnando dottrine e comandamenti d’uomo”.
Voi, mentre trascurate i precetti di Dio, state alle tradizioni degli uomini, alle lavature di anfore e calici, di piatti e di mani e simili altre cose. Mentre giustificate l’ingratitudine e l’avarizia di un figlio coll’offrirgli la scappatoia dell’offerta di sacrificio per non dare un pane a chi lo ha generato ed ha bisogno di aiuto, ed egli ha l’obbligo di onorarlo perché gli è genitore, avete scandalo perché uno non si lava le mani. 
Voi alterate e violate la parola di Dio per ubbidire a parole da voi fatte e da voi elevate a precetto. Voi vi proclamate perciò più giusti di Dio. Voi vi arrogate diritto di legislatori mentre Dio solo è Legislatore nel suo popolo. Voi…”.
E continuerebbe, ma il gruppo nemico esce, sotto la grandine delle accuse, urtando gli apostoli e quanti erano nella casa, ospiti o aiutanti della padrona, e che si erano raccolti nel corridoio, attirati dallo squillo della voce di Gesù.

Gesù, che si era alzato in piedi, si torna a sedere, facendo cenno ai presenti di entrare tutti dove Egli è, e dice loro: “Ascoltatemi tutti e intendete questa verità. Non vi è nulla fuori dell’uomo che entrando in esso possa contaminarlo. Ma quello che esce dall’uomo, questo è quello che contamina. Chi ha orecchie da intendere intenda e usi ragione per comprendere e volontà per attuare. E ora andiamo. Voi di Naim perseverate nel bene e sia sempre con voi la mia pace”.

[Gesù, allontanatosi da Naim, è di nuovo solo con gli apostoli che lo interrogano sul significato di una parabola]
“Questo che dici ora si riattacca con quanto hai detto in casa di Daniele, non è vero? Che non è ciò che entra nell’uomo ciò che contamina, ma ciò che da lui esce”, chiede pensoso Simone lo Zelote.
“Sì”, dice brevemente Gesù.

Pietro, dopo un silenzio, perché la serietà di Gesù congela anche i caratteri più esuberanti, chiede: “Maestro, io, e non io solo, non ho capito bene la parabola. Spiegacela un poco. Come è che ciò che entra non contamina e ciò che esce contamina? Io, se prendo un’anfora monda e vi metto acqua sporca, la contamino. Perciò, ciò che entra nell’anfora contamina la stessa. Ma, se da un’anfora colma di acqua pura io verso al suolo dell’acqua, non contamino l’anfora, perché dall’anfora esce acqua pura. E allora?”.

E Gesù: “Noi non siamo anfore, Simone. Non siamo anfore, amici. E non è tutto puro nell’uomo! Ma ora anche voi siete senza intelletto? Riflettete al caso che i farisei portavano a vostra accusa. Voi, dicevano, vi contaminavate perché portavate cibo alla bocca con mani polverose, sudate, impure insomma.

Ma quel cibo dove andava? Dalla bocca allo stomaco, da questo al ventre, dal ventre alla cloaca. Ma può dunque portare impurità a tutto il corpo e a ciò che nel corpo è contenuto, se passa solo dal canale a ciò destinato, compiendo il suo uffizio di nutrire la carne, questa sola, e finendo, come è giusto che finisca, in una fogna? Non è questo che contamina l’uomo! Quello che contamina l’uomo è ciò che è suo, unicamente suo, generato e partorito dal suo io.

Ossia ciò che egli ha nel cuore e dal cuore sale alle labbra e alla testa e corrompe il pensiero e la parola e contamina tutto l’uomo. È dal cuore che vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze e le bestemmie. È dal cuore che vengono le avarizie, le libidini, le superbie, le invidie, le ire, gli appetiti smodati, gli ozi peccaminosi.

È dal cuore che vengono i fomiti a tutte le azioni. E se il cuore è malvagio saranno malvagie come il cuore. Tutte le azioni: dalle idolatrie alle mormorazioni insincere… Tutte queste cose malvagie, che procedono dall’interno all’esterno, contaminano l’uomo, non il mangiare senza lavarsi le mani. La scienza di Dio non è cosa terra a terra, fanghiglia che ogni piede calpesta. Ma è sublime cosa che vive nelle plaghe delle stelle e di là scende con raggi di luce ad informare di sé i giusti. Non vogliate, voi almeno, strapparla dai cieli per avvilirla nel fango… Andate al riposo, ora. Io esco a pregare”.



a cura di Claudia Vecchiarelli © Centro Editoriale Valtortiano


AVE MARIA! 
COR NOBILISSIMUM, 
ORA PRO NOBIS.