Visualizzazione post con etichetta indissolubilità del Matrimonio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta indissolubilità del Matrimonio. Mostra tutti i post

venerdì 20 giugno 2014

SESTO COMANDAMENTO


IL SESTO COMANDAMENTO
« Non commettere adulterio » (Es 20,14). 217
« Avete inteso che fu detto: "Non commettere adulterio"; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore » (Mt 5,27-28).

2331 « Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione e di amore. Creandola a sua immagine [...] Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione ». 218
« Dio creò l'uomo a sua immagine; [...] maschio e femmina li creò » (Gn 1,27); « Siate fecondi e moltiplicatevi » (Gn 1,28); « Quando Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini quando furono creati » (Gn 5,1-2).
2332 La sessualità esercita un'influenza su tutti gli aspetti della persona umana, nell'unità del suo corpo e della sua anima. Essa concerne particolarmente l'affettività, la capacità di amare e di procreare, e, in un modo più generale, l'attitudine ad intrecciare rapporti di comunione con altri.
2333 Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. Ladifferenza e la complementarità fisiche, morali e spirituali sono orientate ai beni del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare. L'armonia della coppia e della società dipende in parte dal modo in cui si vivono tra i sessi la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto.
2334 « Creando l'uomo "maschio e femmina", Dio dona la dignità personale in egual modo all'uomo e alla donna ». 219 « L'uomo è una persona, in eguale misura l'uomo e la donna: ambedue infatti sono stati creati ad immagine e somiglianza del Dio personale ». 220
2335 Ciascuno dei due sessi, con eguale dignità, anche se in modo differente, è immagine della potenza e della tenerezza di Dio. L'unione dell'uomo e della donna nel matrimonio è una maniera di imitare, nella carne, la generosità e la fecondità del Creatore: « L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne » (Gn 2,24). Da tale unione derivano tutte le generazioni umane. 221
2336 Gesù è venuto a restaurare la creazione nella purezza delle sue origini. Nel discorso della montagna dà un'interpretazione rigorosa del progetto di Dio: « Avete inteso che fu detto: "Non commettere adulterio"; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore » (Mt 5,27-28). L'uomo non deve separare quello che Dio ha congiunto. 222
La Tradizione della Chiesa ha considerato il sesto comandamento come inglobante l'insieme della sessualità umana.

2337 La castità esprime la raggiunta integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l'unità interiore dell'uomo nel suo essere corporeo e spirituale. La sessualità, nella quale si manifesta l'appartenenza dell'uomo al mondo materiale e biologico, diventa personale e veramente umana allorché è integrata nella relazione da persona a persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell'uomo e della donna.
La virtù della castità, quindi, comporta l'integrità della persona e l'integralità del dono.

L'integrità della persona
2338 La persona casta conserva l'integrità delle forze di vita e di amore che sono in lei. Tale integrità assicura l'unità della persona e si oppone a ogni comportamento che la ferirebbe. Non tollera né doppiezza di vita, né doppiezza di linguaggio. 223
2339 La castità richiede l'acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L'alternativa è evidente: o l'uomo comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia asservire da esse e diventa infelice. 224 « La dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso o per mera coazione esterna. Ma l'uomo ottiene tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù delle passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti ». 225
2340 Colui che vuole restare fedele alle promesse del suo Battesimo e resistere alle tentazioni, avrà cura di valersi dei mezzi corrispondenti: la conoscenza di sé, la pratica di un'ascesi adatta alle situazioni in cui viene a trovarsi, l'obbedienza ai divini comandamenti, l'esercizio delle virtù morali e la fedeltà alla preghiera. « La continenza in verità ci raccoglie e ci riconduce a quell'unità, che abbiamo perduto disperdendoci nel molteplice ». 226
2341 La virtù della castità è strettamente dipendente dalla virtù cardinale della temperanza, che mira a far condurre dalla ragione le passioni e gli appetiti della sensibilità umana.
2342 Il dominio di sé è un'opera di lungo respiro. Non lo si potrà mai ritenere acquisito una volta per tutte. Suppone un impegno da ricominciare ad ogni età della vita. 227 Lo sforzo richiesto può essere maggiore in certi periodi, quelli, per esempio, in cui si forma la personalità, l'infanzia e l'adolescenza.
2343 La castità conosce leggi di crescita, la quale passa attraverso tappe segnate dall'imperfezione e assai spesso dal peccato. L'uomo virtuoso e casto « si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita ». 228
2344 La castità rappresenta un impegno eminentemente personale; implica anche uno sforzo culturale, poiché « il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società [sono] tra loro interdipendenti ». 229 La castità suppone il rispetto dei diritti della persona, in particolare quello di ricevere un'informazione ed un'educazione che rispettino le dimensioni morali e spirituali della vita umana.
2345 La castità è una virtù morale. Essa è anche un dono di Dio, una grazia, un frutto dello Spirito.230 Lo Spirito Santo dona di imitare la purezza di Cristo 231 a colui che è stato rigenerato dall'acqua del Battesimo.

L'integralità del dono di sé
2346 La carità è la forma di tutte le virtù. Sotto il suo influsso, la castità appare come una scuola del dono della persona. La padronanza di sé è ordinata al dono di sé. La castità rende colui che la pratica un testimone, presso il prossimo, della fedeltà e della tenerezza di Dio.
2347 La virtù della castità si dispiega nell'amicizia. Indica al discepolo come seguire ed imitare colui che ci ha scelti come suoi amici, 232 si è totalmente donato a noi e ci ha reso partecipi della sua condizione divina. La castità è promessa di immortalità.
La castità si esprime particolarmente nell'amicizia per il prossimo. Coltivata tra persone del medesimo sesso o di sesso diverso, l'amicizia costituisce un gran bene per tutti. Conduce alla comunione spirituale.

Le diverse forme della castità
2348 Ogni battezzato è chiamato alla castità. Il cristiano si è rivestito di Cristo, 233 modello di ogni castità. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a condurre una vita casta secondo il loro particolare stato di vita. Al momento del Battesimo il cristiano si è impegnato a vivere la sua affettività nella castità.
2349 « La castità deve distinguere le persone nei loro differenti stati di vita: le une nella verginità o nel celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a Dio solo, con cuore indiviso; le altre, nella maniera quale è determinata per tutti dalla legge morale e secondo che siano sposate o celibi ». 234 Le persone sposate sono chiamate a vivere la castità coniugale; le altre praticano la castità nella continenza:
« Ci sono tre forme della virtù di castità: quella degli sposi, quella della vedovanza, infine quella della verginità. Non lodiamo l'una escludendo le altre. [...] Sotto questo aspetto, la disciplina della Chiesa è ricca ». 235
2350 I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l'un l'altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell'amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità.

Le offese alla castità
2351 La lussuria è un desiderio disordinato o una fruizione sregolata del piacere venereo. Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione.
2352 Per masturbazione si deve intendere l'eccitazione volontaria degli organi genitali, al fine di trarne un piacere venereo. « Sia il Magistero della Chiesa – nella linea di una tradizione costante – sia il senso morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato ». « Qualunque ne sia il motivo, l'uso deliberato della facoltà sessuale al di fuori dei rapporti coniugali normali contraddice essenzialmente la sua finalità ». Il godimento sessuale vi è ricercato al di fuori della « relazione sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, in un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana ». 236
Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l'azione pastorale, si terrà conto dell'immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d'angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare, se non addirittura ridurre al minimo, la colpevolezza morale.
2353 La fornicazione è l'unione carnale tra un uomo e una donna liberi, al di fuori del matrimonio. Essa è gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana naturalmente ordinata sia al bene degli sposi, sia alla generazione e all'educazione dei figli. Inoltre è un grave scandalo quando vi sia corruzione dei giovani.
2354 La pornografia consiste nel sottrarre all'intimità dei partner gli atti sessuali, reali o simulati, per esibirli deliberatamente a terze persone. Offende la castità perché snatura l'atto coniugale, dono intimo e reciproco degli sposi. Lede gravemente la dignità di coloro che vi si prestano (attori, commercianti, pubblico), poiché l'uno diventa per l'altro oggetto di un piacere rudimentale e di un illecito guadagno. Immerge gli uni e gli altri nell'illusione di un mondo irreale. È una colpa grave. Le autorità civili devono impedire la produzione e la diffusione di materiali pornografici.
2355 La prostituzione offende la dignità della persona che si prostituisce, ridotta al piacere venereo che procura. Colui che paga pecca gravemente contro se stesso: viola la castità, alla quale lo impegna il Battesimo e macchia il suo corpo, tempio dello Spirito Santo. 237 La prostituzione costituisce una piaga sociale. Normalmente colpisce donne, ma anche uomini, bambini o adolescenti (in questi due ultimi casi il peccato è, al tempo stesso, anche uno scandalo). Il darsi alla prostituzione è sempre gravemente peccaminoso, tuttavia l'imputabilità della colpa può essere attenuata dalla miseria, dal ricatto e dalla pressione sociale.
2356 Lo stupro indica l'entrata con forza, mediante violenza, nell'intimità sessuale di una persona. Esso viola la giustizia e la carità. Lo stupro lede profondamente il diritto di ciascuno al rispetto, alla libertà, all'integrità fisica e morale. Arreca un grave danno, che può segnare la vittima per tutta la vita. È sempre un atto intrinsecamente cattivo. Ancora più grave è lo stupro commesso da parte di parenti stretti (incesto) o di educatori ai danni degli allievi che sono loro affidati.

Castità e omosessualità

2357 L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni,238 la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ». 239 Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.

2360 La sessualità è ordinata all'amore coniugale dell'uomo e della donna. Nel matrimonio l'intimità corporale degli sposi diventa un segno e un pegno della comunione spirituale. Tra i battezzati, i legami del matrimonio sono santificati dal sacramento.
2361 « La sessualità, mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano solo se è parte integrante dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte »: 240
« Tobia si alzò dal letto e disse a Sara: "Sorella, alzati! Preghiamo e domandiamo al Signore che ci dia grazia e salvezza". Essa si alzò e si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza, dicendo: "Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri [...]. Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: non è cosa buona che l'uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui. Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d'intenzione. Degnati di avere misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia". E dissero insieme: "Amen, amen!". Poi dormirono per tutta la notte » (Tb 8,4-9).
2362 « Gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi ». 241 La sessualità è sorgente di gioia e di piacere:
« Il Creatore stesso [...] ha stabilito che nella reciproca donazione fisica totale gli sposi provino un piacere e una soddisfazione sia del corpo sia dello spirito. Quindi, gli sposi non commettono nessun male cercando tale piacere e godendone. Accettano ciò che il Creatore ha voluto per loro. Tuttavia gli sposi devono saper restare nei limiti di una giusta moderazione ». 242
2363 Mediante l'unione degli sposi si realizza il duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita. Non si possono disgiungere questi due significati o valori del matrimonio, senza alterare la vita spirituale della coppia e compromettere i beni del matrimonio e l'avvenire della famiglia.
L'amore coniugale dell'uomo e della donna è così posto sotto la duplice esigenza della fedeltà e della fecondità.

La fedeltà coniugale
2364 La coppia coniugale forma una « intima comunità di vita e di amore [che], fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale ». 243 Gli sposi si donano definitivamente e totalmente l'uno all'altro. Non sono più due, ma ormai formano una carne sola. L'alleanza stipulata liberamente dai coniugi impone loro l'obbligo di conservarne l'unità e l'indissolubilità. 244 « L'uomo [...] non separi ciò che Dio ha congiunto » (Mc 10,9). 245
2365 La fedeltà esprime la costanza nel mantenere la parola data. Dio è fedele. Il sacramento del Matrimonio fa entrare l'uomo e la donna nella fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. Mediante la castità coniugale, essi rendono testimonianza a questo mistero di fronte al mondo.
San Giovanni Crisostomo suggerisce ai giovani sposi di fare questo discorso alla loro sposa: « Ti ho presa tra le mie braccia, ti amo, ti preferisco alla mia stessa vita. Infatti l'esistenza presente è un soffio, e il mio desiderio più vivo è di trascorrerla con te in modo tale da avere la certezza che non saremo separati in quella futura. [...] Metto l'amore per te al di sopra di tutto e nulla sarebbe per me più penoso che il non essere sempre in sintonia con te ». 246

La fecondità del matrimonio

2366 La fecondità è un dono, un fine del matrimonio; infatti l'amore coniugale tende per sua natura ad essere fecondo. Il figlio non viene ad aggiungersi dall'esterno al reciproco amore degli sposi; sboccia nel cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento. Perciò la Chiesa, che « sta dalla parte della vita », 247 insegna che « qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto per sé alla trasmissione della vita ». 248 « Tale dottrina, più volte esposta dal Magistero della Chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo ». 249

2367 Chiamati a donare la vita, gli sposi partecipano della potenza creatrice e della paternità di Dio.250 « Nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla, che deve essere considerato come la loro propria missione, i coniugi sanno di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e come suoi interpreti. E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità ». 251

2368 Un aspetto particolare di tale responsabilità riguarda la regolazione della procreazione. Per validi motivi 252 gli sposi possono voler distanziare le nascite dei loro figli. Devono però verificare che il loro desiderio non sia frutto di egoismo, ma sia conforme alla giusta generosità di una paternità responsabile. Inoltre regoleranno il loro comportamento secondo i criteri oggettivi della moralità:
« Quando si tratta di comporre l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona umana e dei suoi atti, criteri che rispettano, in un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale ». 253
2369 « Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l'atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore e il suo ordinamento all'altissima vocazione dell'uomo alla paternità ». 254
2370 La continenza periodica, i metodi di regolazione delle nascite basati sull'auto-osservazione e il ricorso ai periodi infecondi 255 sono conformi ai criteri oggettivi della moralità. Tali metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano tra loro la tenerezza e favoriscono l'educazione ad una libertà autentica. Al contrario, è intrinsecamente cattiva « ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione ». 256
« Al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all'altro in totalità: ne deriva non soltanto il positivo rifiuto all'apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell'interiore verità dell'amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale. [...] La differenza antropologica e al tempo stesso morale, che esiste tra la contraccezione e il ricorso ai ritmi temporali [...], coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili ». 257
2371 « Sia chiaro a tutti che la vita dell'uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati solo a questo tempo e non si possono commisurare e capire in questo mondo soltanto, ma riguardano sempre il destino eterno degli uomini ». 258
2372 Lo Stato è responsabile del benessere dei cittadini. È legittimo che, a questo titolo, prenda iniziative al fine di orientare l'incremento della popolazione. Può farlo con un'informazione obiettiva e rispettosa, mai però con imposizioni autoritarie e cogenti. Non può legittimamente sostituirsi all'iniziativa degli sposi, primi responsabili della procreazione e dell'educazione dei propri figli. 259 In questo campo non è autorizzato a intervenire con mezzi contrari alla legge morale.


Il dono del figlio

2373 La Sacra Scrittura e la pratica tradizionale della Chiesa vedono nelle famiglie numerose un segno della benedizione divina e della generosità dei genitori. 260
2374 Grande è la sofferenza delle coppie che si scoprono sterili. « Che mi darai? », chiede Abramo a Dio. « Io me ne vado senza figli... » (Gn 15,2). « Dammi dei figli, se no io muoio! », grida Rachele al marito Giacobbe (Gn 30,1).
2375 Le ricerche finalizzate a ridurre la sterilità umana sono da incoraggiare, a condizione che si pongano « al servizio della persona umana, dei suoi diritti inalienabili e del suo bene vero e integrale, secondo il progetto e la volontà di Dio ». 261
2376 Le tecniche che provocano una dissociazione dei genitori, per l'intervento di una persona estranea alla coppia (dono di sperma o di ovocita, prestito dell'utero) sono gravemente disoneste. Tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiali eterologhe) ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono « il diritto esclusivo [degli sposi] a diventare padre e madre soltanto l'uno attraverso l'altro ». 262
2377 Praticate in seno alla coppia, tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiali omologhe) sono, forse, meno pregiudizievoli, ma rimangono moralmente inaccettabili. Dissociano l'atto sessuale dall'atto procreatore. L'atto che fonda l'esistenza del figlio non è più un atto con il quale due persone si donano l'una all'altra, bensì un atto che « affida la vita e l'identità dell'embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull'origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e all'uguaglianza che dev'essere comune a genitori e figli ». 263 « La procreazione è privata dal punto di vista morale della sua perfezione propria quando non è voluta come il frutto dell'atto coniugale, e cioè del gesto specifico dell'unione degli sposi [...]; soltanto il rispetto del legame che esiste tra i significati dell'atto coniugale e il rispetto dell'unità dell'essere umano consente una procreazione conforme alla dignità della persona ». 264
2378 Il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono. Il « dono più grande del matrimonio » è una persona umana. Il figlio non può essere considerato come oggetto di proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso « diritto al figlio ». In questo campo, soltanto il figlio ha veri diritti: quello « di essere il frutto dell'atto specifico dell'amore coniugale dei suoi genitori e anche il diritto a essere rispettato come persona dal momento del suo concepimento ». 265
2379 Il Vangelo mostra che la sterilità fisica non è un male assoluto. Gli sposi che, dopo aver esaurito i legittimi ricorsi alla medicina, soffrono di sterilità, si uniranno alla croce del Signore, sorgente di ogni fecondità spirituale. Essi possono mostrare la loro generosità adottando bambini abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo.



2380 L'adulterio. Questa parola designa l'infedeltà coniugale. Quando due persone, di cui almeno una è sposata, intrecciano tra loro una relazione sessuale, anche episodica, commettono un adulterio. Cristo condanna l'adulterio anche se consumato con il semplice desiderio. 266 Il sesto comandamento e il Nuovo Testamento proibiscono l'adulterio in modo assoluto. 267 I profeti ne denunciano la gravità. Nell'adulterio essi vedono simboleggiato il peccato di idolatria. 268
2381 L'adulterio è un'ingiustizia. Chi lo commette viene meno agli impegni assunti. Ferisce quel segno dell'Alleanza che è il vincolo matrimoniale, lede il diritto dell'altro coniuge e attenta all'istituto del matrimonio, violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell'unione stabile dei genitori.
Il divorzio
2382 Il Signore Gesù ha insistito sull'intenzione originaria del Creatore, che voleva un matrimonio indissolubile. 269 Ha abolito le tolleranze che erano state a poco a poco introdotte nella Legge antica. 270
Tra i battezzati « il Matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte ». 271
2383 La separazione degli sposi, con la permanenza del vincolo matrimoniale, può essere legittima in certi casi contemplati dal diritto canonico. 272
Se il divorzio civile rimane l'unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale.
2384 Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto, liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l'uno con l'altro fino alla morte. Il divorzio offende l'Alleanza della salvezza, di cui il Matrimonio sacramentale è segno. Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente:
« Se il marito, dopo essersi separato dalla propria moglie, si unisce ad un'altra donna, è lui stesso adultero, perché fa commettere un adulterio a tale donna; e la donna che abita con lui è adultera, perché ha attirato a sé il marito di un'altra ». 273
2385 Il carattere immorale del divorzio deriva anche dal disordine che esso introduce nella cellula familiare e nella società. Tale disordine genera gravi danni: per il coniuge, che si trova abbandonato; per i figli, traumatizzati dalla separazione dei genitori, e sovente contesi tra questi; per il suo effetto contagioso, che lo rende una vera piaga sociale.
2386 Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale. C'è infatti una differenza notevole tra il coniuge che si è sinceramente sforzato di rimanere fedele al sacramento del Matrimonio e si vede ingiustamente abbandonato, e colui che, per sua grave colpa, distrugge un Matrimonio canonicamente valido. 274


Altre offese alla dignità del matrimonio

2387 Si comprende il dramma di chi, desideroso di convertirsi al Vangelo, si vede obbligato a ripudiare una o più donne con cui ha condiviso anni di vita coniugale. Tuttavia la poligamia è in contrasto con la legge morale. Contraddice radicalmente la comunione coniugale; essa, « infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo ». 275 Il cristiano che prima era poligamo, per giustizia, ha il grave dovere di rispettare gli obblighi contratti nei confronti delle donne che erano sue mogli e dei suoi figli.
2388 L'incesto consiste in relazioni intime tra parenti o affini, in un grado che impedisce tra loro il matrimonio. 276 San Paolo stigmatizza questa colpa particolarmente grave: « Si sente da per tutto parlare d'immoralità tra voi [...] al punto che uno convive con la moglie di suo padre! [...] Nel nome del Signore nostro Gesù, [...] questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne... » (1 Cor 5,1.3-5). L'incesto corrompe le relazioni familiari e segna un regresso verso l'animalità.
2389 Si possono collegare all'incesto gli abusi sessuali commessi da adulti su fanciulli o adolescenti affidati alla loro custodia. In tal caso la colpa è, al tempo stesso, uno scandaloso attentato all'integrità fisica e morale dei ragazzi, i quali ne resteranno segnati per tutta la loro vita, ed è altresì una violazione della responsabilità educativa.
2390 Si ha una libera unione quando l'uomo e la donna rifiutano di dare una forma giuridica e pubblica a un legame che implica l'intimità sessuale.
L'espressione è fallace: che senso può avere una unione in cui le persone non si impegnano l'una nei confronti dell'altra, e manifestano in tal modo una mancanza di fiducia nell'altro, in se stessi o nell'avvenire?
L'espressione abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine. 277 Tutte queste situazioni costituiscono un'offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l'idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l'atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale.
2391 Molti attualmente reclamano una specie di « diritto alla prova » quando c'è intenzione di sposarsi. Qualunque sia la fermezza del proposito di coloro che si impegnano in rapporti sessuali prematuri, tali rapporti « non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna, e specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci ». 278 L'unione carnale è moralmente legittima solo quando tra l'uomo e la donna si sia instaurata una comunità di vita definitiva. L'amore umano non ammette la « prova ». Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro. 279


2392 « L'amore è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano ». 280
2393 Creando l'essere umano uomo e donna, Dio dona all'uno e all'altra, in modo uguale, la dignità personale. Spetta a ciascuno, uomo e donna, riconoscere e accettare la propria identità sessuale.
2394 Cristo è il modello della castità. Ogni battezzato è chiamato a condurre una vita casta, ciascuno secondo lo stato di vita che gli è proprio.
2395 La castità significa l'integrazione della sessualità nella persona. Richiede che si acquisisca la padronanza della persona.
2396 Tra i peccati gravemente contrari alla castità, vanno citati la masturbazione, la fornicazione, la pornografia e le pratiche omosessuali.
2397 L'alleanza liberamente contratta dagli sposi implica un amore fedele. Essa impone loro l'obbligo di conservare l'indissolubilità del loro Matrimonio.
2398 La fecondità è un bene, un dono, un fine del matrimonio. Donando la vita, gli sposi partecipano della paternità di Dio.
2399 La regolazione delle nascite rappresenta uno degli aspetti della paternità e della maternità responsabili. La legittimità delle intenzioni degli sposi non giustifica il ricorso a mezzi moralmente inaccettabili (per esempio, la sterilizzazione diretta o la contraccezione).
2400 L'adulterio e il divorzio, la poligamia e la libera unione costituiscono gravi offese alla dignità del matrimonio.

(217) Cf Dt 5,18.
(218)Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 11: AAS 74 (1982) 91-92.
(219)Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 22: AAS 74 (1982) 107; cf Concilio Vaticano II, Cost. past.Gaudium et spes, 49: AAS 58 (1966) 1070.
(220)Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 6: AAS 80 (1988) 1663.
(221) Cf Gn 4,1-2.25-26; 5,1.
(222) Cf Mt 19,6.
(223) Cf Mt 5,37.
(224) Cf Sir 1,22.
(225)Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 17: AAS 58 (1966) 1037-1038.
(226)Sant'Agostino, Confessiones, 10, 29, 40: CCL 27, 176 (PL 32, 796).
(227) Cf Tt 2,1-6.
(228)Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 34: AAS 74 (1982) 123.
(229)Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 25: AAS 58 (1966) 1045.
(230) Cf Gal 5,22-23.
(231) Cf 1 Gv 3,3.
(232) Cf Gv 15,15.
(233) Cf Gal 3,27.
(234)Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 11: AAS 68 (1976) 90-91.
(235)Sant'Ambrogio, De viduis 23: Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis opera, v. 141 (Milano-Roma 1989) p. 266 (PL 16, 241-242).
(236) Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 9: AAS 68 (1976) 86.
(237) Cf 1 Cor 6,15-20.
(238) Cf Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10.
(239) Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 8: AAS 68 (1976) 85.
(240)Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 11: AAS 74 (1982) 92.
(241) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 49: AAS 58 (1966) 1070.
(242) Pio XII, Discorso ai partecipanti al Convegno dell'Unione Cattolica Italiana delle Ostetriche (29 ottobre 1951): AAS 43 (1951) 851.
(243) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 48: AAS 58 (1966) 1067.
(244) Cf CIC canone 1056.
(245) Cf Mt 19,1-12; 1 Cor 7,10-11.
(246) San Giovanni Crisostomo, In epistulam ad Ephesios, homilia 20, 8: PG 62, 146-147.
(247) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 30: AAS 74 (1982) 116.
(248) Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 11: AAS 60 (1968) 488.
(249) Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 12: AAS 60 (1968) 488; cf Pio XI, Lett. enc. Casti connubii: DS 3717.
(250) Cf Ef 3,14-15; Mt 23,9.
(251) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 50: AAS 58 (1966) 1071.
(252) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 50: AAS 58 (1966) 1071.
(253) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 51: AAS 58 (1966) 1072.
(254) Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 12: AAS 60 (1968) 489.
(255) Cf Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 16: AAS 60 (1968) 491-492.
(256) Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 14: AAS 60 (1968) 490.
(257) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 32: AAS 74 (1982) 119-120.
(258) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 51: AAS 58 (1966) 1073.
(259) Cf Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 37: AAS 59 (1967) 275-276; Id., Lett. enc. Humanae vitae, 23: AAS 60 (1968) 497-498.
(260) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 50: AAS 58 (1966) 1071.
(261) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, Introductio, 2: AAS 80 (1988) 73.
(262) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, 2, 1: AAS 80 (1988) 87.
(263) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, 2, 5: AAS 80 (1988) 93.
(264) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, 2, 4: AAS 80 (1988) 91.
(265) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, 2, 8: AAS 80 (1988) 97.
(266) Cf Mt 5,27-28.
(267) Cf Mt 5,32; 19,6; Mc 10,11-12; 1 Cor 6,9-10.
(268) Cf Os 2,7; Ger 5,7; 13,27.
(269) Cf Mt 5,31-32; 19,3-9; Mc 10,9; Lc 16,18; 1 Cor 7,10-11.
(270) Cf Mt 19,7-9.
(271) CIC canone 1141.
(272) Cf CIC canoni 1151-1155.
(273) San Basilio Magno, Moralia, regula 73: PG 31, 852.
(274) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 84: AAS 74 (1982) 185.
(275) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 19: AAS 74 (1982) 102; cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 47: AAS 58 (1966) 1067.
(276) Cf Lv 18,7-20.
(277) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 81: AAS 74 (1982) 181-182.
(278) Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 7: AAS 68 (1976) 82.
(279) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 80: AAS 74 (1982) 180-181.
(280) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 11: AAS 74 (1982) 92.

mercoledì 5 marzo 2014

Ciò che DIO ha unito


.......
Il padre George H. Joyce, nel suo studio storico-dottrinale sul Matrimonio cristiano (1948) ha dimostrato che durante i primi cinque secoli dell’era cristiana non si può incontrare nessun decreto di un Concilio, né alcuna dichiarazione di un Padre della Chiesa che sostenga la possibilità di scioglimento del vincolo matrimoniale. 


<>Quando, nel secondo secolo, Giustino, Atenagora, Teofilo di Antiochia, accennano alla proibizione evangelica del divorzio, non danno alcuna indicazione di eccezione. Clemente di Alesandria e Tertulliano sono ancora più espliciti. E Origene, pur cercando qualche giustificazione per la prassi adottata da alcuni vescovi, precisa che essa contraddice la Scrittura e la Tradizione della Chiesa (Comment. In Matt., XIV, c. 23, in Patrologia Greca, vol. 13, col. 1245). Due tra i primi concili della Chiesa, quello di Elvira (306) e quello di Arles (314), lo ribadiscono chiaramente. In tutte le parti del mondo la Chiesa riteneva lo scioglimento del vincolo come impossibile e il divorzio con diritto a seconde nozze era del tutto sconosciuto. Quello, tra i Padri, che trattò la questione dell’indissolubilità più ampiamente fu sant’Agostino, in molte sue opere, dal De diversis Quaestionibus (390) al De Coniugijs adulterinis (419). Egli confuta chi si lamentava della severità della Chiesa in materia matrimoniale ed è sempre incrollabilmente fermo sull’indissolubilità del matrimonio, dimostrando che esso, una volta contratto non si può più rompere per qualunque ragione o circostanza. E’ a lui che si deve la celebre distinzione tra i tre beni del matrimonio: proles, fides e sacramentum.



<> 
<>Altrettanto falsa è la tesi di una duplice posizione, latina e orientale, di fronte al divorzio, nei primi secoli della Chiesa. Fu solo dopo Giustiniano che la Chiesa di Oriente iniziò a cedere al cesaropapismo, adeguandosi alle leggi bizantine che tolleravano il divorzio, mentre la Chiesa di Roma affermava la verità e l’indipendenza della sua dottrina di fronte al potere civile. Per quanto riguarda san Basilio invitiamo il cardinale Kasper a leggere le sue lettere e a trovare in esse un passo che autorizzi esplicitamente il secondo matrimonio. Il suo pensiero è riassunto da quanto scrive nell’Ethica: “Non è lecito ad un uomo rimandare la sua moglie e sposarne un’altra. Né è permesso ad un uomo sposare una donna che sia stata divorziata da suo marito” (Ethica, Regula 73, c. 2, in Patrologia Greca, vol. 31, col. 852). Lo stesso si dica dell’altro autore citato dal cardinale, san Gregorio Nazianzeno, che con chiarezza scrive: “il divorzio è assolutamente contrario alle nostre leggi, sebbene le leggi dei Romani giudichino diversamente” (Epistola 144, in Patrologia Greca, vol. 37, col. 248).



<> 
<>La “pratica penitenziale canonica” che il cardinale Kasper propone come via di uscita dal “dilemma”, aveva nei primi secoli un significato esattamente opposto a quello che egli sembra volergli attribuire. Essa non veniva compiuta per espiare il primo matrimonio, ma per riparare il peccato del secondo, ed esigeva ovviamente il pentimento di questo peccato. L’undicesimo concilio di Cartagine (407), ad esempio, emanò un canone così concepito: “Decretiamo che, secondo la disciplina evangelica ed apostolica, la legge non permette né ad un uomo divorziato dalla moglie, né a una donna ripudiata dal marito, di passare ad altre nozze; ma che tali persone devono rimanere sole, oppure si riconcilino a vicenda, e che se violano questa legge, essi debbono fare penitenza” (Hefele-Leclercq, Histoire des Conciles, vol. II (I), p. 158).



<> 
<>La posizione del cardinale si fa qui paradossale. Invece di pentirsi della situazione di peccato in cui si trova, il cristiano risposato si dovrebbe pentire del primo matrimonio, o quanto meno del suo fallimento, di cui magari egli è totalmente incolpevole. Inoltre, una volta ammessa la legittimità delle convivenze postmatrimoniali, non si vede perché non dovrebbero essere consentite le convivenze prematrimoniali, se stabili e sincere. Cadono gli “assoluti morali”, che l’enciclica di Giovanni Paolo II Veritatis splendor aveva con tanta forza ribadito. Ma il cardinale Kasper prosegue tranquillo nel suo ragionamento.
<> “Se un divorziato risposato -1. Si pente del suo fallimento nel primo matrimonio, 2. Se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro, 3. Se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il nuovo matrimonio civile, 4. Se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede e di educare i propri figli nella fede, 5. Se ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione, dobbiamo o possiamo negargli, dopo un tempo di nuovo orientamento (metanoia), il sacramento della penitenza e poi della comunione?”.



<> A queste domande ha già risposto il cardinale Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (La forza della grazia, “L’Osservatore Romano”, 23 ottobre 2013) richiamando la Familiaris consortio, che al n. 84 fornisce delle precise indicazioni di carattere pastorale coerenti con l’insegnamento dogmatico della Chiesa sul matrimonio: “Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza. La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”.



<> 
<> La posizione della Chiesa è inequivocabile. La comunione ai divorziati risposati viene negata perché il matrimonio è indissolubile e nessuna delle ragioni addotte dal cardinale Kasper permette la celebrazione di un nuovo matrimonio o la benedizione di un’unione pseudo-matrimoniale. La Chiesa non lo permise ad Enrico VIII, perdendo il Regno di Inghilterra, e non lo permetterà mai perché, come ha ricordato Pio XII ai parroci di Roma il 16 marzo 1946: “Il matrimonio fra battezzati validamente contratto e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà sulla terra, nemmeno dalla Suprema Autorità ecclesiastica”. 



<> Ovvero nemmeno dal Papa e tantomeno del cardinale Kasper. 

mercoledì 6 novembre 2013

Domenica 10 novembre 2013, XXXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta




Domenica 10 novembre 2013, XXXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 20, 27-38.

Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda:

«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. 
C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 
Allora la prese il secondo 
e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. 
Da ultimo anche la donna morì. 
Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie». 
Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 
ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; 
e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. 
Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 
Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui».
Traduzione liturgica della Bibbia 




Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 9 Capitulo 594 pagina 377.




1  Stanno per rientrare in città, sempre per la stessa stradicciuola remota presa la mattina avanti, quasi che Gesù non volesse essere circondato dalla gente in attesa prima di essere nel Tempio, al quale presto si accede entrando in città dalla porta del Gregge che è vicina alla Probatica. Ma oggi molti dei settantadue lo attendono già al di là del Cedron, prima del ponte, e non appena lo vedono apparire fra gli ulivi verde-grigi, nella sua veste porpurea, gli vanno incontro. Si riuniscono e procedono verso la città.

Pietro, che guarda avanti, giù per la china, sempre in sospetto di veder apparire qualche malintenzionato, vede fra il verde fresco delle ultime pendici un ammasso di foglie vizze e pendenti che si spenzola sull’acqua del Cedron. Le foglie accartocciate e morenti, qua e là già macchiate come per ruggine, sono simili a quelle di una pianta che le fiamme hanno essiccata. Ogni tanto la brezza ne stacca una e la seppellisce nelle acque del torrente. 
«Ma quello è il fico di ieri! Il fico che Tu hai maledetto!», grida Pietro, una mano puntata ad indicare la pianta seccata, la testa volta indietro a parlare al Maestro. 
Accorrono tutti, meno Gesù che viene avanti col suo solito passo. Gli apostoli narrano ai discepoli il precedente del fatto che vedono e tutti insieme commentano guardando strabiliati Gesù. Hanno visto migliaia di miracoli su uomini ed elementi. Ma questo li colpisce come molti altri non lo hanno fatto. 

2  Gesù, che è sopraggiunto, sorride nell’osservare quei visi stupiti e timorosi, e dice: «E che? Tanto vi fa meraviglia che per la mia parola sia seccato un fico? Non mi avete visto forse risuscitare i morti, guarire i lebbrosi, dar vista ai ciechi, moltiplicare i pani, calmare le tempeste, spegnere il fuoco? E vi stupisce che un fico dissecchi?». 
«Non è per il fico. È che ieri era vegeto quando l’hai maledetto, e ora è seccato. Guarda! Friabile come argilla disseccata. I suoi rami non hanno più midollo. Guarda. Vanno in polvere», e Bartolomeo sfarina fra le dita dei rami che ha con facilità spezzato. 
«Non hanno più midollo. Lo hai detto. Ed è la morte quando non c’è più midollo, sia in una pianta, che in una nazione, che in una religione, ma c’è soltanto dura corteccia e inutile fogliame: ferocia ed ipocrita esteriorità. Il midollo, bianco, interno, pieno di linfa, corrisponde alla santità, alla spiritualità. La corteccia dura e il fogliame inutile, all’umanità priva di vita spirituale e giusta. Guai a quelle religioni che divengono umane perché i loro sacerdoti e fedeli non hanno più vitale lo spirito. Guai a quelle nazioni i cui capi sono solo ferocia e risuonante clamore privo di idee fruttifere! Guai agli uomini in cui manca la vita dello spirito!». 
«Però, se Tu avessi a dire questo ai grandi d’Israele, ancorché il tuo parlare sia giusto, non saresti sapiente. Non ti lusingare perché essi ti hanno finora lasciato parlare. Tu stesso lo dici che non è per conversione di cuore, ma per calcolo. Sappi allora Tu pure calcolare il valore e le conseguenze delle tue parole. Perché c’è anche la sapienza del mondo, oltre che la sapienza dello spirito. E occorre saperla usare a nostro vantaggio. Perché, infine, per ora si è nel mondo, non già nel Regno di Dio», dice l’Iscariota senza acredine ma in tono dottorale. 
«Il vero sapiente è colui che sa vedere le cose senza che le ombre della propria sensualità e le riflessioni del calcolo le alterino. Io dirò sempre la verità di ciò che vedo». 

3  «Ma insomma questo fico è morto perché sei stato Tu a maledirlo, o è un... caso... un segno... non so?», chiede Filippo. 
«È tutto ciò che tu dici. Ma ciò che Io ho fatto voi pure potrete fare, se giungerete ad avere la fede perfetta. Abbiatela nel Signore altissimo. E quando l’avrete, in verità vi dico che potrete questo e ancor più. In verità vi dico che, se uno giungerà ad avere la fiducia perfetta nella forza della preghiera e nella bontà del Signore, potrà dire a questo monte: “Spostati di qua e gettati in mare”, e se dicendolo non esiterà nel suo cuore, ma crederà che quanto egli ordina si possa avverare, quanto ha detto si avvererà» . 
«E sembreremo dei maghi e saremo lapidati, come è detto per chi esercita magia. Sarebbe un miracolo ben stolto, e a nostro danno!», dice l’Iscariota crollando il capo. 
«Stolto tu sei, che non capisci la parabola!», gli rimbecca l’altro Giuda. 
Gesù non parla a Giuda. Parla a tutti: «Io vi dico, ed è vecchia lezione che ripeto in quest’ora: qualunque cosa chiederete con la preghiera, abbiate fede di ottenerla e l’avrete. Ma se prima di pregare avete qualcosa contro qualcuno, prima perdonate e fate pace per aver amico il Padre vostro che è nei Cieli, che tanto, tanto vi perdona e benefica, dalla mattina alla sera e dal tramonto all’aurora». 

4  Entrano nel Tempio. I soldati dell’Antonia li osservano passare. Vanno ad adorare il Signore, poi tornano nel cortile dove i rabbi insegnano. 
Subito verso Gesù, prima ancora che la gente accorra e si affolli intorno a Lui, si avvicinano dei saforim, dei dottori d’Israele e degli erodiani, e con bugiardo ossequio, dopo averlo salutato, gli dicono: «Maestro, noi sappiamo che Tu sei sapiente e veritiero, e insegni la via di Dio senza tener conto di cosa o persona alcuna, fuorché della verità e giustizia, e poco ti curi del giudizio degli altri su Te, ma soltanto di condurre gli uomini al Bene. Dicci allora: è lecito pagare il tributo a Cesare, oppure non è lecito farlo? Che te ne pare?». 
Gesù li guarda con uno di quei suoi sguardi di una penetrante e solenne perspicacia, e risponde: «Perché mi tentate ipocritamente? Eppure alcuno fra voi sa che Io non vengo ingannato con ipocriti onori! Ma mostratemi una moneta, di quelle usate per il tributo». 
Gli mostrano una moneta. La osserva nel retto e nel verso e, tenendola appoggiata sul palmo della sinistra, vi batte sopra l’indice della destra dicendo: «Di chi è quest’immagine e che dice questa scrittura?». 
«Di Cesare è l’immagine, e l’iscrizione porta il suo nome. Il nome di Caio Tiberio Cesare, che è ora imperatore di Roma». 
«E allora rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio date quel che è di Dio», e volge loro le spalle dopo aver reso il denaro a chi glielo aveva dato. 

5  Ascolta questo e quello dei molti pellegrini che lo interrogano, conforta, assolve, guarisce. Passano le ore. 
Esce dal Tempio per andare forse fuori porta, a prendere il cibo che gli portano i servi di Lazzaro incaricati a questo. 
Rientra nel Tempio che è pomeriggio. Instancabile. Grazia e sapienza fluiscono dalle sue mani posate sugli infermi, dalle sue labbra in singoli consigli dati ai molti che lo avvicinano. Sembra che voglia tutti consolare, tutti guarire, prima di non poterlo più fare. 
È già quasi il tramonto e gli apostoli, stanchi, stanno seduti per terra sotto il portico, sbalorditi da quel continuo rimuoversi di folla che sono i cortili del Tempio nell’imminenza pasquale, quando all’Instancabile si avvicinano dei ricchi, certo ricchi a giudicare dalle vesti pompose. 
Matteo, che sonnecchia con un occhio solo, si alza scuotendo gli altri. Dice: «Vanno dal Maestro dei sadducei. Non lasciamolo solo, che non lo offendano o cerchino di nuocergli e di schernirlo ancora». 
Si alzano tutti raggiungendo il Maestro, che circondano subito. Credo intuire che ci sono state rappresaglie nell’andare o tornare al Tempio a sesta. 

6  I sadducei, che ossequiano Gesù con inchini persino esagerati, gli dicono: «Maestro, hai risposto così sapientemente agli erodiani che ci è venuto desiderio di 
avere noi pure un raggio della tua luce. Senti. Mosè ha detto: “Se uno muore senza figli, il suo fratello sposi la vedova, dando discendenza al fratello”. 
Ora c’erano fra noi sette fratelli. Il primo, presa in moglie una vergine, morì senza lasciar prole e perciò lasciò la moglie al fratello. Anche il secondo morì senza lasciar prole, e così il terzo che sposò la vedova dei due che lo precederono, e così sempre, sino al settimo. In ultimo, dopo aver sposato tutti i sette fratelli, morì la donna. Di’ a noi: alla risurrezione dei corpi, se è pur vero che gli uomini risorgono e che a noi sopravviva l’anima e si ricongiunga al corpo all’ultimo giorno riformando i viventi, quale dei sette fratelli avrà la donna, posto che l’ebbero sulla Terra tutti e sette?». 



«Voi sbagliate. Non sapete comprendere né le Scritture né la potenza di Dio. Molto diversa sarà l’altra vita da questa, e nel Regno eterno non saranno le necessità della carne come in questo. Perché, in verità, dopo il Giudizio finale la carne risorgerà e si riunirà all’anima immortale riformando un tutto, vivo come e meglio che non sia viva la mia e la vostra persona ora, ma non più soggetto alle leggi e soprattutto agli stimoli e abusi che vigono ora. Nella risurrezione, gli uomini e le donne non si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno simili agli angeli di Dio in Cielo, i quali non si ammogliano né si maritano, pur vivendo nell’amore perfetto che è quello divino e spirituale. In quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto come Dio dal roveto parlò a Mosè? Che disse l’Altissimo allora? “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Non disse: “Io fui”, facendo capire che Abramo, Isacco e Giacobbe erano stati ma non erano più. Disse: “Io sono”. Perché Abramo, Isacco e Giacobbe sono. Immortali. Come tutti gli uomini nella parte immortale, sino a che i secoli durano, e poi, anche con la carne risorta per l’eternità. Sono, come lo è Mosè, i profeti, i giusti, come sventuratamente è Caino e sono quelli del diluvio, e i sodomiti, e tutti coloro morti in colpa mortale. Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi». 


7  «Anche Tu morrai e poi sarai vivente?», lo tentano. Sono già stanchi di essere miti. L’astio è tale che non sanno contenersi. 
«Io sono il Vivente e la mia Carne non conoscerà sfacimento. L’arca ci fu levata e l’attuale sarà levata anche come simbolo. Il Tabernacolo ci fu tolto e sarà distrutto. Ma il vero Tempio di Dio non potrà essere levato e distrutto. Quando i suoi avversari crederanno di averlo fatto, allora sarà l’ora che si stabilirà nella vera Gerusalemme, in tutta la sua gloria. Addio». 
E si affretta verso il cortile degli Israeliti, perché le tube d’argento chiamano al sacrificio della sera. 

8   Mi dice Gesù: «Così come ti ho fatto segnare la frase “al mio calice” nella visione della madre di Giovanni e Giacomo chiedente un posto per i suoi figli, così ti dico di segnare nella visione di ieri il punto: “chi cadrà contro questa pietra si sfracellerà”. Nelle traduzioni è sempre usato “sopra”. Ho detto contro e non sopra. Ed è profezia contro i nemici della mia Chiesa. Coloro che l’avversano, avventandosi contro ad Essa, perché Essa è la Pietra angolare, saranno sfracellati. La storia della Terra, da venti secoli, conferma il mio detto. I persecutori della Chiesa si sfracellano avventandosi sulla Pietra angolare. Però anche, e lo tengano presente anche quelli che per essere della Chiesa si credono salvi dai castighi divini, colui sul quale cadrà il peso della condanna del Capo e Sposo di questa mia Sposa, di questo mio Corpo mistico, colui sarà stritolato. 

9

E prevenendo ad una obbiezione dei sempre viventi scribi e sadducei, malevoli ai servi miei, Io dico: se in queste ultime visioni risultano frasi che non sono nei Vangeli, quali queste della fine della visione di oggi e del punto in cui Io parlo sul fico seccato e altri ancora, ricordino costoro che gli evangelisti erano sempre di quel popolo, e vivevano in tempi nei quali ogni urto troppo vivo poteva avere ripercussioni violente e nocive ai neofiti. 

Rileggano gli atti apostolici e vedranno che non era placida la fusione di tanti pensieri diversi, e che se a vicenda si ammirarono, riconoscendo gli uni agli altri i meriti, non mancarono fra loro i dissensi, perché vari sono i pensieri degli uomini e sempre imperfetti. E ad evitare più profonde fratture fra l’uno e l’altro pensiero, illuminati dallo Spirito Santo, gli evangelisti omisero volutamente dai loro scritti qualche frase che avrebbe scosso le eccessive suscettibilità degli ebrei e scandalizzato i gentili, che avevano bisogno di credere perfetti gli ebrei, nucleo dal quale venne la Chiesa, per non allontanarsene dicendo: “Sono simili a noi”. Conoscere le persecuzioni di Cristo, sì. Ma le malattie spirituali del popolo di Israele ormai corrotto, specie nelle classi più alte, no. Non era bene. E più che poterono velarono. 

Osservino come i Vangeli si fanno sempre più espliciti, sino al limpido Vangelo del mio Giovanni, più furono scritti in epoche lontane dalla mia Ascensione al Padre mio. Solo Giovanni riporta interamente anche le macchie più dolorose dello stesso nucleo apostolico, chiamando apertamente “ladro” Giuda, e riferisce integralmente le bassezze dei giudei (cap. 6° - finta volontà di farmi re, le dispute al Tempio, l’abbandono di molti dopo il discorso sul Pane del Cielo, l’incredulità di Tommaso). Ultimo sopravvissuto, vissuto sino a vedere già forte la Chiesa, alza i veli che gli altri non avevano osato alzare. 
Ma ora lo Spirito di Dio vuole conosciute anche queste parole. E ne benedicano il Signore, perché sono tante luci e tante guide per i giusti di cuore».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/