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giovedì 3 ottobre 2013

4 ottobre: SERAFICO PADRE SAN FRANCESCO D'ASSISI, Patrono d'Italia



4 OTTOBRE
SAN FRANCESCO D'ASSISI,  CONFESSORE


La conformazione a Cristo.
Nella lettera ai Romani l'Apostolo san Paolo ci dà la regola di ogni santità con le parole: "Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagines Filii sui..." (Rom 8,29). Conformarci al divino modello, che si chiama Gesù.. È la conformità al Figlio di Dio, acquistata con la virtù, che fa i santi.

Celebriamo oggi un Santo, che fu copia ammirabile di Cristo Gesù, che il Sommo Pontefice Leone XIII chiama il più bello dei santi, che Papa Pio XI ci presenta come il santo che pare aver meglio compreso il Vangelo e conformata la vita al divino modello.
San Francesco infatti è un altro Cristo. Ha cercato Cristo, lo ha seguito, lo ha amato, lo ha dato agli altri, Cristo Gesù è tutta la sua vita. Non ci fermiamo sulle tradizioni graziose che vogliono che Francesco sia nato in una stalla, come Gesù, e su un poco di paglia; noi lo vediamo, giovane, arrestarsi improvvisamente in mezzo ai suoi sogni di piaceri e di feste, mentre pensa ad imprese cavalleresche, perché il Cristo di S. Damiano gli parla: "Francesco, che cosa vale di più? Servire il padrone o il servitore?". Francesco è affascinato da queste parole, comincia una vita nuova, apre il Vangelo e vi cerca Cristo cui consacrarsi interamente.
 
Amore del Vangelo.
Egli fa del Vangelo il suo nutrimento e, trovandovi una celeste soavità, esclama: "Ecco quello che da molto tempo cercavo!". Il Vangelo è suo sostegno, sua consolazione, rimedio a tutte le sofferenze, nelle prove non vuole altro conforto e un giorno dirà ai suoi frati: "Sono saturo di Vangelo, sono pieno di Vangelo". Il Vangelo diventa sua vita e quando vuole dare ai suoi frati una regola, scrive nelle prime pagine: "La regola e la vita dei Frati Minori è questa: osservare il santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo".
Povertà.
Ma il Vangelo è la storia dell'abbassamento del Figlio di Dio fino a noi e del suo amore per le nostre anime, è il Cristo povero, umile, piccolo, compassionevole e misericordioso, il Cristo Apostolo, il Cristo che ci ama e muore per noi. San Francesco, che lo ha scelto come regola di vita, lo vive alla lettera. Sull’esempio di Gesù, egli abbraccia la povertà e, davanti al Vescovo di Assisi si spoglia delle sue vesti, le restituisce al padre dicendo: "Adesso potrò veramente dire: Padre nostro, che sei nei cieli". E comincia la sua vita di povertà, povertà gioiosa e tutta piena di sole, non la povertà gelosa e afflitta, che troppo spesso vediamo nel mondo, povertà volontaria e amata. Va a tendere la sua mano delicata per le vie di Assisi ed è respinto come se fosse un pazzo, ma resta l'amante della povertà e, al momento della morte, è sua consolazione suprema essere stato fedele a "Madonna Povertà".
 
Umiltà.
Il Vangelo è Gesù Cristo umile e piccolo: parvus Dominus, il Grande piccolo Gesù, come lo chiama san Francesco. Egli medita questo insegnamento e si fa "l’umile Francesco", come lo chiamo l'autore dell'Imitazione. Si considera l'ultimo degli uomini, il più vile peccatore, e soffrire, essere disprezzato è per lui gioia perfetta e dà ai suoi figli il nome di Minori, cioè piccoli.
 
Misericordia.
Il Vangelo è Gesù Cristo compassionevole e misericordioso e, sul suo esempio, il cuore di Francesco è tutto pieno di misericordia. San Bonaventura, scrivendo la sua vita, ci dice: "La benignità, la bontà del nostro Salvatore Gesù Cristo è apparsa nel suo servo Francesco". Egli stesso, all'inizio del suo testamento, scrive: "Il Signore mi fece la grazia di cominciare a fare penitenza, perché quando ero nel peccato mi sembrava troppo amaro vedere dei lebbrosi, ma fui verso di loro misericordioso e quello che mi pareva amaro diventò per me dolcezza dell'anima e del corpo".
Francesco era misericordioso verso tutti i miseri e alla Tribuna del Parlamento italiano gli fu resa questa testimonianza: "Se san Francesco di Assisi non ha fondato istituzioni di carità, ha versato nel mondo tale una corrente di carità, che dopo sette secoli, nessuna opera di carità è stata fondata senza che egli ne sia stato ispiratore".
 
Apostolato.
Il Vangelo è Gesù Cristo apostolo. Egli è venuto perché gli uomini sentissero la parola di vita e con quale amore lascia cadere dal suo labbro le sue intenzioni divine! E Francesco, sulle orme di Cristo, si fa apostolo, traccia nell'aria il segno della Croce e manda i suoi discepoli ai quattro angoli del mondo. Egli ha capito bene le parole di Gesù: "Andate e insegnate a tutte le nazioni". Primo fra tutti i fondatori di Ordini moderni, manda i suoi figli nelle regioni infedeli e quando, dopo qualche mese, viene a sapere che cinque di essi hanno colto, nel Marocco, la palma del martirio, esclama con gioia: "Finalmente ho dei Vescovi!" I suoi vescovi erano i martiri. Dopo aver fondata l'opera sua, non sogna per sé che di offrire a Gesù la testimonianza del sangue e tre volte passa i mari, va a predicare Cristo fino alla presenza del Sultano infedele, ma Dio gli riserva un altro martirio per il giorno in cui gli manderà un Angelo a incidergli nelle sue carni le piaghe del divino Crocifisso.
 
Il dono di sé.
Il Vangelo è Gesù, che si dona e si immola e, come Gesù, Francesco si dona a sua volta. "Questo povero, piccolo uomo, dice san Bonaventura, non aveva che due cosa da offrire: il suo corpo e la sua anima". Dona a Dio il suo corpo con la penitenza e sappiamo come egli trattasse il suo corpo. Aveva diviso l'anno in nove quaresime successive, si contentava di pane secco e si rifiutava anche l'acqua necessaria alla sua sete, per non cedere alla sua sensualità. Era suo letto la terra nuda, suo cuscino un tronco di quercia e, tormentato spesso da malattie, ringraziava il Signore perché non lo risparmiava. Chiedeva a Dio di soffrire cento volte di più, se era sua volontà. Dava poi a Dio la sua anima con la preghiera e con lo zelo.
Ma san Francesco non è soltanto discepolo fedele di Cristo, perché copia la vita e le virtù del Maestro, ma è soprattutto il Santo dell'amore serafico. Egli è entrato nel Cuore di Gesù, ha compreso il Cuore di Gesù e gli rende amore per amore.
 
Amore dell’Eucaristia.
Con l'amore del Vangelo, un altro amore consuma il cuore di Francesco: l'amore dell'Eucaristia! Il mistero eucaristico era fatto apposta per  attirare la sua anima serafica! Un Dio disceso dal cielo per salvarci, fattosi carne in forma umana e morto sul Calvario come un delinquente, si abbassa ancora fino a prendere la forma di una piccola ostia, per unirsi a noi e farsi nostro cibo; un Dio, che, dopo la follia della Croce, giunge alla follia dell'Eucaristia e sta imprigionato nel tabernacolo, per attenderci e per riceverci, è un mistero ineffabile, che desta l'ammirazione delle anime amanti. Francesco, il grande amante del Vangelo, in cui trovava la parola vivente ed eterna di Gesù, il grande amante della Croce, in cui vede l'amore sacrificato, ama pure l'ostia dove è l'amore vivente, l'amore che si dona, l'amore che attira e trasforma le anime generose e pure! Per l'ostia egli corre a riparare i tabernacoli, per l'ostia va per le campagne a ripulire e ornare le chiese povere e abbandonate, per l'ostia dimentica la povertà e manda i frati a disporre sugli altari vasi d'oro e d'argento, per l'ostia si prostra lungo la via, quando vede spuntare la guglia di un campanile e passa ore davanti al tabernacolo, tremante per il freddo, in adorazione e in amore. Fa celebrare la Messa tutti i giorni e con fervore si comunica tutti i giorni.
In un'epoca in cui spesso il sacerdozio è avvilito, ricorda ai sacerdoti la loro grandezza. "Il vedo in essi il Figlio di Dio" e si mette in ginocchio davanti al sacerdote, e gli bacia le mani. Egli, il piccolo diacono, che si giudica indegno di salire l'altare, scrive a cardinali, a vescovi, a principi: "Vi prego, miei signori, baciando le vostre mani, fate in modo che il Corpo di Gesù sia trattato degnamente e da tutti debitamente rispettato". E Francesco prepara all'ostia anime adoratrici, circonda di anime vergini il tabernacolo con le Clarisse e ciborio, giglio, corona di spine diventano le armi di S. Damiano.
Vangelo, Croce, Eucaristia sono i grandi amori, che formano l'anima di Francesco, il segreto della sua azione nella Chiesa. Dopo aver cercato Gesù, dopo aver vissuto di Lui, dopo averlo amato, Francesco poteva attendere la morte, senza averne paura,. La grande Teresa d'Avila, mentre stava per morire esclamava: "È tempo di vederci, Gesù mio!". Francesco, nelle stese circostanze, si mette a cantare: "Voce mea ad Dominum clamavi, ad Dominum deprecatus sum. Chiamo il Signore con tutta la mia voce e prego il mio Signore". "Me exspectant iusti... I giusti mi attendono, essi vogliono essere testimoni della ricompensa che Dio mi darà" (Sal 140,1).
Quale incontro sarà quello dell'anima di Francesco con il Signore! Ricordiamo il quadro del Murillo, che ci presenta Cristo mentre stacca un braccio dalla croce e attirà a sé l'umile Francesco, per stringerlo al cuore. È questa la morte di Francesco. Con uno slancio sublime l'anima sua si getta tra le braccia di Dio e va a godere l'amore, che non ha fine.

VITA. - Francesco nacque ad Assisi nel 1182 e fin dalla giovinezza si mostrò caritatevole verso i poveri. Una malattia fu l'inizio di una vita di perfezione e risolvette di dare tutto quanto possedeva. Suo padre pretese la rinuncia all'eredità e Francesco rinunciò volentieri, spogliandosi tosto anche degli abiti che indossava. Fondò con alcuni compagni l'Ordine dei Frati Minori, che ebbe l'approvazione di Papa Innocenzo III. Francesco mandò i suoi religiosi a predicare dappertutto ed egli stesso, desideroso del martirio, partì per la Siria, ma avendo raccolto soltanto onori, tornò in Italia dove fondò presso la Chiesa di S. Damiano un Ordine di vergini, sotto la direzione di santa Chiara, e il Terz'Ordine, per dare anche alle persone viventi nel mondo un mezzo efficace di santificazione nella pratica delle virtù religiose. Nel 1224, mentre pregava sul monte Alvernia, gli apparve un serafino, che impresse nel suo corpo le piaghe di Crocifisso, in segno dell'amore che il santo nutriva per il Signore. Due anni dopo Francesco, molto ammalato, si fece portare alla chiesa di S. Maria degli Angeli e vi morì dopo aver esortato i suoi frati Minore ad amare la povertà, la pazienza e a difendere la fede della Chiesa Romana. Gregorio IX, che lo aveva conosciuto profondamente, lo iscrisse poco appresso nel catalogo del Santi.

Preghiera di san Francesco.
"Grande e magnifico Dio, mio Signore Gesù Cristo! Io ti supplico di darmi luce, di rischiarare le tenebre dell'anima mia. Dammi fede retta, speranza sicura, carità perfetta. Concedimi, o Signore, di conoscerti bene, per poter in tutte le cose agire nella tua luce secondo la tua volontà".

La Chiesa in rovina.
Così tu pregavi spesso e a lungo davanti al Crocifisso della vecchia chiesa di S. Damiano. E un giorno dal Crocifisso scese una voce che solo il tuo cuore poteva percepire e diceva: "Va', Francesco, ricostruisci la mia casa, che sta per crollare". E tu, tremante e felice insieme, rispondesti: "Andrò con gioia, o Signore, a fare quanto mi chiedi!".
La casa che stava per crollare era senza dubbio la vecchia e solitaria cappella di S. Damiano, ma il Signore pensava soprattutto alle rovine, accumulatesi nel corso degli ultimi secoli nella sua Chiesa.

L'Ordine dei Minori.
Il Papa, che lo aveva compreso, approvò l'Ordine dei Minori, che con il suo fervore, il suo amore per la povertà, lo zelo apostolico, non solo avrebbe riparato le rovine della Chiesa di Cristo, ma sarebbe andato a  costruire nuove cristianità nelle terre infedeli, col sangue dei migliori suoi figli.
Dalla gloria del cielo, dove il Signore ti concede ora così grande e gloriosa ricompensa, degnati, o san Francesco, di non dimenticare la Chiesa per cui non hai risparmiato fatiche.
Aiuta i tuoi figli, che proseguono l'opera tua nel mondo intero, e possano essi crescere in numero e in santità, prodigandosi sempre nell'insegnamento con la parola e con l'esempio.
Prega per tutto lo stato religioso, che acclama in te uno dei suoi Patriarchi illustri e tu, amico di san Domenico, mantieni tra le due famiglie quella fraternità, che non venne mai a mancare, conserva per l'Ordine Benedettino i sentimenti, che sono in questo giorno la tua gioia, stringendo ancora e legami, che il dono della Porziuncola ha annodato per l'eternità con i tuoi benefici (Porziuncola era una piccola proprietà dei Benedettini del Monte Subasio, ceduta a san Francesco, per essere la culla del suo Ordine).

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, Alba, 1959, p. 1138-1144

lunedì 30 settembre 2013

Santa Teresa del Bambino Gesù




L'Amore misericordioso.


«Figli prediletti, entrate nel Cenacolo spirituale del mio Cuore Immacolato, perché Io possa farvi penetrare nel divino mistero dell'Amore Misericordioso di mio figlio Gesù.

- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché in Lui si riflette la divina Misericordia del Padre, che ha tanto amato il mondo, da mandargli il suo Figlio Unigenito per la sua salvezza.

In Gesù la misericordia del Padre si fa Persona e si realizza nel suo disegno di redenzione.
Per mezzo di Lui il Padre fa scendere il suo perdono sulla umanità che si era allontanata col peccato e la riporta ad una piena comunione di amore e di vita con il suo Creatore e il suo Signore.

- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché, facendosi uomo, porta su di sé la fragilità, la debolezza, la sofferenza di tutta la umanità.

Quando è Bambino porta nel suo cuore i gemiti e i sospiri di tutti i bambini del mondo; 
da giovane vive le vicissitudini e le difficoltà della gioventù così fragile ed esposta al vento impetuoso delle passioni; 
quando giunge a maturità porta dentro la sua divina Persona i problemi, le angosce, i dolori di tutti.

Si china sui poveri per annunciare a loro il vangelo di salvezza; proclama la liberazione ai prigionieri; solleva i derelitti, perdona i peccatori, guarisce gli ammalati, consola gli afflitti e scaccia Satana da coloro che ha posseduto.
- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché è mite ed umile di cuore.
Lasciatevi attrarre dietro la sua mitezza.
Vedete come è dolce, sensibile, compassionevole con tutti; dai suoi nemici si lascia condurre docile e mansueto, come agnello che viene portato al suo cruento sacrificio.

Lasciatevi possedere dalla sua umiltà.
Il Primo si fa ultimo; il Maestro diventa discepolo; il Signore si mette al servizio di tutti.
La pienezza della sua divinità in Lui viene nascosta sotto il velo umano della sua umiltà.


- Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime.

- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché vuole attirare tutti dentro la fornace ardente del suo divino Amore.
Lasciatevi attirare da Lui.
Non resistete ai suoi richiami.
Camminate con Me sulla strada del suo divino amore.
Figli prediletti, fate anche voi la dolce esperienza dell'amore a Gesù.


Oggi celebrate la memoria liturgica di Santa Teresa del Bambino Gesù, di cui ricorre il primo centenario della sua nascita al cielo.
Oggi Io la dono a tutti voi come vostra piccola sorella.
Lei si è consacrata vittima all'Amore Misericordioso di Gesù.
Lei si è lasciata consumare tutta dal fuoco ardente della sua divina carità.
Imitatela in questa sua piccola via.
Diventate anche voi piccoli, semplici, umili, miti e mansueti.
Diventate tutti bambini, percorrendo la via della infanzia spirituale, che Lei vi ha tracciato.

Offritevi anche voi come vittime all'Amore Misericordioso di Gesù, perché, attraverso di voi, possa effondere presto sul mondo il grande prodigio della Divina Misericordia».

Sale (Alessandria), 1° ottobre 1997. Santa Teresa del Bambino Gesù. MSM.

Ad Te, Domina, clamabo et exaudies me:
in voce laudis tuae laetificabis me. 

martedì 10 settembre 2013

“Qual è veramente il posto giusto?”

“Qual è veramente il posto giusto?” – Omelia di Benedetto XVI del 1° settembre 2013

Benedetto XVI
Benedetto XVI ha celebrato domenica mattina, 1° settembre, nella cappella di Santa Maria Madre della Famiglia, nel palazzo del Governatorato del Vaticano, una messa  in occasione del tradizionale seminario estivo dei suoi ex allievi, il cosiddetto Ratzinger Schülerkreis. All’incontro di quest’anno, che di solito si svolge a Castel Gandolfo, Benedetto XVI non ha preso parte, per via della sua decisione di evitare impegni pubblici.
Alla messa hanno partecipato circa cinquanta persone. Con Benedetto XVI hanno concelebrato, tra gli altri, i cardinali Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna; l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, il vescovo Barthélemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, e il vescovo ausiliare di Amburgo, monsignor Hans-Jochen Jaschke.
L’omelia di Ratzinger ha preso spunto dalla domanda presente nella lettura del Vangelo domenicale: “Ognuno nella vita vuole trovare il suo posto buono: ma quale è veramente il posto giusto?”
Queste le parole del pontefice emerito, come riportato da L’Osservatore Romano:
«Un posto che può sembrare molto buono, può rivelarsi per essere un posto molto brutto: accade così che i primi siano stati rovesciati e improvvisamente siano diventati ultimi. Anche durante l’ultima Cena i discepoli litigano per i posti migliori: Gesù si presenta invece come colui che serve. Gesù, nato nella stalla e morto sulla Croce, ci dice che il posto giusto è quello vicino a lui, il posto secondo la sua misura. E l’apostolo, in quanto inviato di Cristo, è l’ultimo nell’opinione del mondo ma proprio per questo è vicino a Gesù.


Chi in questo mondo e in questa storia forse viene spinto in avanti e arriva ai primi posti, deve sapere di essere in pericolo; deve guardare ancora di più al Signore, misurarsi a lui, misurarsi alla responsabilità per l’altro, deve diventare colui che serve, quello che nella realtà è seduto ai piedi dell’altro, e così benedice e a sua volta diventa benedetto. 
Cristo, il Figlio di Dio, scende per servire noi e questo fa l’essenza di Dio, che consiste nel piegarsi verso di noi: l’amore, il sì ai sofferenti, l’elevazione dall’umiliazione. Ecco perché noi ci troviamo sulla via di Cristo, sulla giusta via se in sua vece e come lui proviamo a diventare persone che scendono per entrare nella vera grandezza, nella grandezza di Dio che è la grandezza dell’amore. La croce, nella storia, è l’ultimo posto e il crocifisso non ha nessun posto, è un non-posto: è stato spogliato, è un nessuno, eppure Giovanni nel Vangelo vede questa umiliazione estrema come la vera esaltazione.



Così, Gesù è più alto; sì, è all’altezza di Dio perché l’altezza della croce è l’altezza dell’amore di Dio, l’altezza della rinuncia di se stesso e la dedizione agli altri. Così, questo è il posto divino, e noi vogliamo pregare Dio che ci doni di comprendere questo sempre di più e di accettare con umiltà, ciascuno a modo proprio, questo mistero dell’esaltazione e dell’umiliazione.
Senza la gratuità del perdono nessuna società può crescere; le più grandi cose della vita, cioè l’amore, l’amicizia, la bontà, il perdono, non le possiamo pagare, perché sono gratis, nello stesso modo in cui Dio ci dona a titolo gratuito.



Così, pur nella lotta per la giustizia nel mondo, non dobbiamo mai dimenticare la gratuità di Dio, il continuo dare e ricevere, e dobbiamo costruire sul fatto che il Signore dona a noi, che ci sono persone buone che ci donano gratis la loro bontà, che ci sopportano a titolo gratuito, ci amano e sono buone con noi gratis; e poi, a nostra volta, donare questa gratuità per avvicinare così il mondo a Dio, per diventare simili a lui, per aprirci a lui».

*

Il posto giusto per noi è quello vicino a Cristo che scende per servire. Così il Papa emerito nella Messa con i suoi ex-allievi

Il posto giusto per noi è quello vicino a Cristo che scende per servire. Così il Papa emerito nella Messa con i suoi ex-allievi

Ci troviamo sulla via giusta se proviamo a diventare persone che “scendono” per servire e portare la gratuità di Dio. Così in sintesi il Papa emerito Benedetto XVI nella Messa celebrata stamani, alle 9.30, nella cappella del Governatorato in Vaticano, in occasione del tradizionale seminario estivo dei suoi ex-allievi, il cosiddetto Ratzinger Schülerkreis. L’incontro degli studenti come di consueto è organizzato a Castel Gandolfo ma quest’anno Benedetto XVI non vi ha partecipato. Questa 38.ma edizione è stata dedicata a “La questione di Dio sullo sfondo della secolarizzazione” alla luce della produzione filosofica e teologica di Rémi Brague, teorico francese premiato l'anno scorso con il "Premio Ratzinger" per la teologia. Una cinquantina di persone hanno partecipato alla Messa concelebrata con il Papa emerito dai cardinali Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna; gli arcivescovi Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia e Barthelemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, e il vescovo ausiliare di Amburgo, mons. Hans-Jochen Jaschke. Il servizio di Debora Donnini:

Ognuno nella vita vuole trovare il suo posto buono. Ma quale è veramente il posto giusto? L’omelia di Benedetto XVI nella Messa celebrata in occasione dell’incontro dei suoi ex-allievi è, in fondo, una risposta a questa domanda e parte dal Vangelo di oggi, nel quale Gesù invita a prendere l’ultimo posto. “Un posto che può sembrare molto buono, può rivelarsi per essere un posto molto brutto”, nota il Papa emerito facendo riferimento a quanto accaduto già in questo mondo, anche negli ultimi decenni, dove vediamo come “i primi” sono stati rovesciati e improvvisamente sono diventati “ultimi” e quel posto che sembrava buono era invece “sbagliato”. Anche nei discorsi che si tennero durante l’Ultima Cena, i discepoli si litigano i posti migliori. Gesù si presenta invece come Colui che serve. Lui “nato nella stalla” e “morto sulla Croce” “ci dice” – afferma Benedetto XVI – che il posto giusto è quello vicino a Lui, “il posto secondo la sua misura”. E l’apostolo, in quanto inviato di Cristo “è l’ultimo nell’opinione del mondo”, e proprio per questo è vicino a Gesù: 

Wer in dieser Welt und in dieser Geschichte vielleicht nach vorn gedrängt wird, …

“Chi, in questo mondo e in questa Storia forse viene spinto in avanti e arriva ai primi posti, deve sapere di essere in pericolo; deve guardare ancora di più al Signore, misurarsi a Lui, misurarsi alla responsabilità per l’altro, deve diventare colui che serve, quello che nella realtà è seduto ai piedi dell’altro, e così benedice e a sua volta diventa benedetto”.

E, dunque, qualunque sia il posto che la Storia vorrà assegnarci, quello che è determinante – sottolinea il Papa emerito – è “la responsabilità davanti a Lui, e la responsabilità per l’amore, per la giustizia e per la verità”. Nel Vangelo di oggi il Signore ricorda che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. E Benedetto XVI fa notare che “Cristo, il Figlio di Dio, scende per servire noi e questo fa l’essenza di Dio” che “consiste nel piegarsi verso di noi: l’amore, il ‘sì’ ai sofferenti, l’elevazione dall’umiliazione”: 

Wir sind auf dem Weg Christi auf dem richtigen Weg, wenn wir als Er und wie Er …

“Noi ci troviamo sulla via di Cristo, sulla giusta via se in Sua vece e come Lui proviamo a diventare persone che “scendono” per entrare nella vera grandezza, nella grandezza di Dio che è la grandezza dell’amore”.

Benedetto XVI fa dunque nell’omelia una catechesi sul senso dell’abbassamento di Cristo e sull’essenza dell’amore di Dio. “La Croce, nella Storia, è l’ultimo posto” e il “Crocifisso non ha nessun posto, è un ‘non-posto’”, è stato spogliato, “è un nessuno” eppure – nota Benedetto XVI – Giovanni nel Vangelo vede “questa umiliazione estrema” come “la vera esaltazione”:

Höher ist Jesus so; ja, Er ist auf der Höhe Gottes weil die Höhe des Kreuzes …

“Così, Gesù è più alto; sì, è all’altezza di Dio perché l’altezza della Croce è l’altezza dell’amore di Dio, l’altezza della rinuncia di se stesso e la dedizione agli altri. Così, questo è il posto divino, e noi vogliamo pregare Dio che ci doni di comprendere questo sempre di più e di accettare con umiltà, ciascuno a modo proprio, questo mistero dell’esaltazione e dell’umiliazione”.

Infine il Papa emerito ricorda che Gesù esorta a “invitare” a prescindere dai vantaggi, cioè a invitare i paralitici, gli storpi, i poveri perché Lui stesso lo ha fatto invitando “noi alla mensa di Dio”, e in questo modo mostrandoci cosa sia la gratuità. Giustamente l’economia si poggia sulla “giustizia commutativa”, sul do ut des, ma perfino in questo ambito rimane qualcosa di gratuito, ricorda Benedetto XVI sottolineando che “senza la gratuità del perdono nessuna società può crescere”, tanto è vero che le più grandi cose della vita, cioè “l’amore, l’amicizia, la bontà, il perdono” “non le possiamo pagare”, “sono gratis, nello stesso modo che in cui Dio ci dona a titolo gratuito”: 

So dürfen wir, mitten in allem Ringen für die Gerechtigkeit in der Welt, nie vergessen …

“Così, pur nella lotta per la giustizia nel mondo, non dobbiamo mai dimenticare la ‘gratuità’ di Dio, il continuo dare e ricevere, e dobbiamo costruire sul fatto che il Signore dona a noi, che ci sono persone buone che ci donano ‘gratis’ la loro bontà, che ci sopportano a titolo gratuito, ci amano e sono buone con noi ‘gratis’; e poi, a nostra volta, donare questa ‘gratuità’ per avvicinare così il mondo a Dio, per diventare simili a Lui, per aprirci a Lui”.

Quindi Benedetto XVI si sofferma sulla liturgia, sull’umiltà della liturgia cristiana che è insieme “incommensurabilmente grande” perché ci si unisce alle schiere degli angeli e dei santi nella festosa gioia di Dio. E il sangue di Cristo, che è al centro dell’Eucaristia, significa proprio “entrare nello splendore del raduno gioioso di Dio”: “questo Sangue è il suo amore - conclude Benedetto XVI – è il Monte di Dio e ci apre alla gloria di Dio”.

© Copyright Radio Vaticana 

lunedì 9 settembre 2013

Geniale






*Geniale commento al Vangelo del 1° settembre 2013 //  Vangelo di Luca (14, 1.7-14) Gesù dice: “Va’ a metterti all’ultimo posto… perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”, e: “Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”.
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Ognuno nella vita vuole trovare il suo posto buono. Ma qual è veramente il posto giusto? L’omelia di Benedetto XVI nella messa celebrata in occasione dell’incontro dei suoi ex-allievi è, in fondo, una risposta a questa domanda e parte dal Vangelo di oggi, nel quale Gesù invita a prendere l’ultimo posto.
“Un posto che può sembrare molto buono può rivelarsi per essere un posto molto brutto”, nota il papa emerito facendo riferimento a quanto accaduto già in questo mondo, anche negli ultimi decenni, dove vediamo come “i primi” sono stati rovesciati e improvvisamente sono diventati “ultimi” e quel posto che sembrava buono era invece “sbagliato”. 
Anche nei discorsi che si tennero durante l’Ultima Cena, i discepoli si litigano i posti migliori. Gesù si presenta invece come Colui che serve. Lui “nato nella stalla” e “morto sulla Croce” ci dice – afferma Benedetto XVI – che il posto giusto è quello vicino a Lui, “il posto secondo la sua misura”. E l’apostolo, in quanto inviato di Cristo “è l’ultimo nell’opinione del mondo”, e proprio per questo è vicino a Gesù:
“Chi, in questo mondo e in questa Storia forse viene spinto in avanti e arriva ai primi posti, deve sapere di essere in pericolo; deve guardare ancora di più al Signore, misurarsi a Lui, misurarsi alla responsabilità per l’altro, deve diventare colui che serve, quello che nella realtà è seduto ai piedi dell’altro, e così benedice e a sua volta diventa benedetto”.

E, dunque, qualunque sia il posto che la Storia vorrà assegnarci, quello che è determinante – sottolinea il papa emerito – è “la responsabilità davanti a Lui, e la responsabilità per l’amore, per la giustizia e per la verità”. Nel Vangelo di oggi il Signore ricorda che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. E Benedetto XVI fa notare che “Cristo, il Figlio di Dio, scende per servire noi e questo fa l’essenza di Dio” che “consiste nel piegarsi verso di noi: l’amore, il ‘sì’ ai sofferenti, l’elevazione dall’umiliazione”:
“Noi ci troviamo sulla via di Cristo, sulla giusta via se in Sua vece e come Lui proviamo a diventare persone che ’scendono’ per entrare nella vera grandezza, nella grandezza di Dio che è la grandezza dell’amore”.

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Benedetto XVI fa dunque nell’omelia una catechesi sul senso dell’abbassamento di Cristo e sull’essenza dell’amore di Dio. “La Croce, nella Storia, è l’ultimo posto” e il “Crocifisso non ha nessun posto, è un ‘non-posto’”, è stato spogliato, “è un nessuno” eppure – nota Benedetto XVI – Giovanni nel Vangelo vede “questa umiliazione estrema” come “la vera esaltazione”:
“Così, Gesù è più alto; sì, è all’altezza di Dio perché l’altezza della Croce è l’altezza dell’amore di Dio, l’altezza della rinuncia di se stesso e la dedizione agli altri. Così, questo è il posto divino, e noi vogliamo pregare Dio che ci doni di comprendere questo sempre di più e di accettare con umiltà, ciascuno a modo proprio, questo mistero dell’esaltazione e dell’umiliazione”.

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Infine il Papa emerito ricorda che Gesù esorta a “invitare” a prescindere dai vantaggi, cioè a invitare i paralitici, gli storpi, i poveri perché Lui stesso lo ha fatto invitando “noi alla mensa di Dio”, e in questo modo mostrandoci cosa sia la gratuità. Giustamente l’economia si poggia sulla “giustizia commutativa”, sul “do ut des”, ma perfino in questo ambito rimane qualcosa di gratuito, ricorda Benedetto XVI sottolineando che “senza la gratuità del perdono nessuna società può crescere”, tanto è vero che le più grandi cose della vita, cioè “l’amore, l’amicizia, la bontà, il perdono”, “non le possiamo pagare”, “sono gratis, nello stesso modo che in cui Dio ci dona a titolo gratuito”:
“Così, pur nella lotta per la giustizia nel mondo, non dobbiamo mai dimenticare la ‘gratuità’ di Dio, il continuo dare e ricevere, e dobbiamo costruire sul fatto che il Signore dona a noi, che ci sono persone buone che ci donano ‘gratis’ la loro bontà, che ci sopportano a titolo gratuito, ci amano e sono buone con noi ‘gratis’; e poi, a nostra volta, donare questa ‘gratuità’ per avvicinare così il mondo a Dio, per diventare simili a Lui, per aprirci a Lui”.
*
Quindi Benedetto XVI si sofferma sulla liturgia, sull’umiltà della liturgia cristiana che è insieme “incommensurabilmente grande” perché ci si unisce alle schiere degli angeli e dei santi nella festosa gioia di Dio. E il sangue di Cristo, che è al centro dell’Eucaristia, significa proprio “entrare nello splendore del raduno gioioso di Dio”. “Questo Sangue è il suo amore”, conclude Benedetto XVI. “È il Monte di Dio e ci apre alla gloria di Dio”.(Papa Benedetto XVI)

Beato Pier Giorgio Frassati p.p.n.

Un giardino a forma di cuore.


I

«Ho visto, ella raccontava il primo giorno, un giardino a forma di cuore, que­sto giardino era secco, arido. Gli alberi erano disseccati, non avevano foglie; l'er­ba era bruciata. Mancavano l'acqua per dissetarsi, e l'aria per respirare. 

In segui­to, ho visto in lontananza Gesù, triste, sofferente, piangente, coperto di polvere, nella più grande angoscia. Mi è sembrato che io stessa, al vederlo, fossi caduta nella tristezza, nella sofferenza, nell'angoscia. In una parola, ho provato tutti i sen­timenti, tutte le impressioni che vedevo in Gesù. Mi sono prosternata ai suoi pie­di, ed ho asciugato le sue lacrime con le mie, mi sembrava almeno che fosse così. Dal profondo del cuore avrei voluto asciugare la polvere dei suoi piedi e quella che lo copriva. Gesù è entrato in questo giardino inaridito, ma non vi ha trovato né aria, né acqua, né ombra, ed è divenuto ancora più triste, più oppresso, più soffe­rente. 

Non vi è rimasto a lungo, uscito quasi subito da questo giardino è entrato in un altro, accanto. 

In questo, ha trovato del verde, fiori, alberi da frutto e frutti ma­turi. Tutti gli alberi erano verdi, coperti da un fogliame folto e ombroso. C'erano aria ed acqua in abbondanza, la terra era lì ben lavorata e umidificata. In questo giardino; Gesù è parso ritornare in salute, è diventato giovane, sorridente, ed ha detto: Qui fa bel tempo: c'è aria per respirare, acqua per dissetarsi, frutta per mangiare, ombra per riposarsi. Ed è rimasto a lungo in questo giardino e vi stava molto bene. 

Non comprendendo il senso di ciò che vedevo, mi sono rivolta a un giovane che mi guidava a Gesù, e gli ho chiesto quello che ciò significasse. 

Egli mi ha detto: Il secondo giardino rappresenta l'anima fedele e umile che riceve e conserva le acque della grazia, mentre il primo giardino, che non è lavorato, è il simbolo delle anime orgogliose, le quali non conservano per loro l'acqua della grazia, vittime delle lo­ro passioni che le bruciano. L'aria che si respira nel buon giardino è il simbolo del­le aspirazioni dell'anima verso Gesù: queste aspirazioni sono la sua vita. I fiori rappresentano le virtù dell'anima; i frutti, sono le buone opere, la mortificazione, la penitenza, con le quali essa guadagna altre anime a Gesù. Le foglie degli albe­ri raffigurano la carità con l'ombra che esse danno. La aridità e la durezza della terra del cattivo giardino rappresentano un cuore indurito».
Gesù Maria Amore
venite insieme nel mio cuore

domenica 8 settembre 2013

EPISODI che rivelano l'ammirevole virtù della piccola araba, la Beata Maria di Gesù Crocifisso, MARIA BAOUARDY-IL PICCOLO NULLA!



Ascoltiamo ancora la serva di Dio [ossia MARIA BAOUARDY, ora BEATA] riferire ciò che segue:

«Per mostrarvi la mia ignoranza vi racconto di orribili pensieri che mi assaliro­no, durante uno dei miei viaggi per mare. 

Mi credevo colpevole di tutti questi pen­sieri, considerandoli veri crimini. Così quando sbarcai, il mio primo pensiero fu di correre presso un confessore. Mi accusai, come se davvero avessi commesso tutti i peccati il cui pensiero si era presentato mio malgrado nel mio spirito. Il sacerdote mi fece una lunga e pressante esortazione per incitarmi al pentimento. Prima di as­solvermi, mi chiese di promettere a Dio di correggermi. 
Gli risposi: Padre mio, mi è impossibile prometterglielo; volevo dire che non dipendeva da me il non avere più di questi pensieri. Convinto a causa della mia risposta, non solo dei miei crimini, ma anche della mia ostinazione, il ministro di Dio mi rimandò senza assolvermi, dopo avermi fatto le più terribili minacce. Io non sapevo più cosa fare; ero quasi di­sperata. 

Come sempre, implorai allora la mia buona Madre del Cielo. Sentii una vo­ce dirmi: Va in tale via, entra in tale casa, sarai illuminata e consolata. Mi alzai, e arrivai nel luogo indicatomi. Bussai, e una voce dolce come se venisse dal Cielo, mi rispose: Entra. lo entrai, e mi trovai davanti una donna che mi disse: avvicina­ti, Maria. Sei inconsolabile, ma ti sbagli, poiché tu non sei colpevole. Maria, avere i più orribili pensieri non è peccato; il peccato non esiste fino a quando l'anima non vi acconsente. Tu ti sei dunque espressa male. Và di nuovo da quel confessore, e digli le cose nel modo che ti dirò adesso. Passai la notte con quella persona che mi conosceva molto bene e parlammo tutto il tempo di Gesù e del Cielo. 
L'indo­mani, di buon mattino, ero già ai piedi dello stesso sacerdote. Gli spiegai le cose così come la persona sconosciuta mi aveva insegnato a fare, e il confessore, invece di rimproverarmi, mi incoraggiò. 

Ascoltate ancora cosa mi è successo quand'ero in mare e ammirate la potenza della fede, persino in una peccatrice. 

Una tempesta fu­riosa si era levata; dopo inutili sforzi per resistere ai venti e ai flutti, il capitano ave­va dichiarato che tutte le speranze erano perdute. I passeggeri si gettarono nelle barche di salvataggio, in mezzo ad una confusione indescrivibile. Il capitano li contò, mancava all'appello una persona. Scese subito nelle cabine, e arrivò alla mia. Ero coricata e dormivo profondamente. Mi svegliò gridando: Alzati, vestiti, e sali su di una barca, siamo perduti. Mi vestii alla meglio e salii sul ponte. 

Mi sen­tii ispirata a pregare, dopo avere rimproverato a tutti la loro mancanza di fede. In ginocchio con gli occhi rivolti al cielo, dissi, stendendo le braccia: Signore Gesù, tu che sei potente, calma il mare. O potenza della fede! Lo credereste? La tempe­sta cessò, le onde si calmarono, e noi fummo salvi. Ecco ciò che Dio ha fatto at­traverso una peccatrice come me, con un solo grido di fede. Ah! se noi avessimo la fede, una grande fede, otterremmo tutto da Dio».

Chissà quanti altri simili episodi la sua umiltà ha dovuto farle tacere. Quelli che noi abbiamo citato basteranno a convincere il lettore dell'ammirevole virtù di Maria B. 

Cor Mariae Immaculatum, 
intercede pro nobis

mercoledì 3 luglio 2013

La transición sin dolor




Muy pocos encuentran consuelo en Mí. 
Espero pacientemente 
y sin embargo no vendrán a Mí

Martes 25 de junio de 2013 a las 20:45 hrs.

Mi amadísima hija, Mis Lágrimas fluyen hoy, conforme la miseria del mal, la cual ha sido manifestada dentro de los corazones del hombre, aumenta. Tan endurecidos se han vuelto que sus corazones de piedra no dejan lugar para Mí, Jesucristo, para encontrar solaz por dentro.

Mi Corazón jadea con tristeza ahora, por los cristianos que se han alejado de la Verdad y de todo lo que les enseñé. Muy pocos encuentran consuelo en Mí. Espero pacientemente y sin embargo no vendrán a Mí. Han creado un muro que los separa de Mí y hablan de dientes para afuera de Mi Promesa de venir de nuevo. Cómo han olvidado lo que dije, lo que hice para salvarlos y lo que les dije a través del Libro de Mi Padre, esperar el tiempo, cuando se acerca.

Mis pobres, pobres hijos. Necesito despertar amor por Mí en sus corazones, primero, si han de recibir el consuelo y el alivio del dolor de sus pruebas dolorosas y difíciles en esta vida. Ellos deben extender sus brazos y apelar a Mí ahora, en este tiempo, si he de hacer la transición sin dolor para ellos.

No tengo ningún deseo de infligir sufrimiento a los hijos de Dios. Pero, al rechazar la Verdad de Mis Enseñanzas y las Leyes establecidas por Mi Padre, serán arrastrados a una terrible batalla con el espíritu del mal, antes de que Mi Misericordia pueda atraerlos a Mis Brazos cuando los salvaré.

Qué poca confianza guardan en sus corazones, por el Único Dios Verdadero. Qué frívolos son ellos y qué tan rápidamente abrazan falsedades, con el fin de satisfacer su lujuria por el pecado. Qué ingenuos son cuando aceptan mentiras, las cuales se ajustan a sus estilos de vida, con el fin de justificar el pecado.

Cualquier cosa plausible, que justifica el pecado a través del intelecto humano, es el único camino que elijen, para que puedan vivir sus vidas como desean. La Verdad es tan difícil de tragar y es difícil de digerir, en que sacrificios de la carne tienen que ser hechos para aceptarla. La Verdad, si y cuando es aceptada, toma gran valor y solo aquellos quienes tienen el don de la Humildad pueden realmente abrazarla con facilidad.

Aquellos que genuinamente buscan la Verdad de Dios a menudo son engañados por aquellos quienes dicen que proclaman la Palabra de Dios. El único lugar en el que encontrarán la Verdad es en la Santísima Biblia y en Mi Santa Palabra dada a ustedes a través de estos mensajes. Mis mensajes sostienen la Santa Palabra de Dios, como está establecida en el Libro de Mi Padre.

Amarme no es fácil, ya que solo pueden venir a Mí como un simple niño. Sus aires de grandeza, que presentan al mundo en su vida cotidiana, deben dejarse a un lado. Solo pueden venir a Mí, como un simple niño que confía. Deben colocarse ante Mí y pedirme que los tome, moldee, ayude a caminar por el sendero correcto a la santidad y entonces confiar en Mí completamente.

Una vez que me entreguen todo a Mí, los levantaré, quitaré su temor y los llevaré hacia Mi Reino. Aún entonces, con el Amor de Dios en su alma, encontrarán este sendero difícil. Pero, será como si las telarañas han sido quitadas, porque una vez que la Verdad se vuelve clara no habrá ningún otro camino por el que deseen caminar. Ya que este es el único camino que los llevará al Paraíso y esa es la ruta que deben tomar para venir a Mí, Jesucristo. Ya que Yo Soy el Camino.

Su Jesús
KYRIE ELEISON

venerdì 28 giugno 2013

Parabola dell'uomo stolto e del bambino saggio.


Le parabole di Gesù
(046)
Parabola dell'uomo stolto e del bambino saggio (513.3)

Un uomo un giorno si sentì chiamare da un grande re il quale gli disse: "Ho saputo che tu sei meritevole di un premio perchè sei saggio e onori la tua città col lavoro e con la scienza. Orbene io non ti darò questo o quello, ma ti porterò nella sala dei miei tesori, e tu sceglierai quello che vuoi, ed io te lo darò. In tal modo giudicherò anche se tu sei quale la fama ti descrive."



E contemporaneamente il re, accostatosi al terrazzo che cingeva il suo atrio, gettò uno sguardo sulla piazza che era davanti al palazzo reale e vide passare un fanciulletto in povere vesti, un piccolo certo di poverissima famiglia, forse un orfano e mendico. Si volse ai suoi servi dicendo: "Andate da quel fanciullo e portatemelo."

I servi andarono e tornarono con il fanciullino tremante di trovarsi al cospetto del re. Per quanto i dignitari di corte gli dicessero: "Inchinati, saluta, di': <Onore e gloria a te, mio re. Piego il ginocchio davanti a te, potente che la Terra esalta come essere che più grande non c'è>" il fanciullo non voleva inchinarsi e dire quelle parole, e i dignitari, scandalizzati, lo scrollavano duramente e dicevano: "O re, questo fanciullo zotico e lercio è un obbrobrio nella tua dimora. Lascia che noi lo si cacci di qui, in mezzo alla via. Se brami avere al tuo fianco un fanciullo noi andremo a cercartelo fra i ricchi della città, se sei stanco dei nostri, e te lo porteremo. Ma non questo zotico che non sa neppur salutare!..."

L'uomo ricco e saggio, che prima si era umiliato in cento inchini, profondi, come fosse davanti all'altare, disse: "I tuoi dignitari dicono bene. Per la maestà della tua corona devi impedire che non sia data alla tua sacra persona l'omaggio che le si spetta" e nel dire queste parole ancora si prostrava sino a baciare il piede del re.

Ma il re disse: "No. Io voglio questo fanciullo. Non solo. Ma voglio condurlo lui pure nella stanza dei miei tesori perchè scelga ciò che vuole e io glielo darò. Che forse non mi è concesso, perchè sono re, di fare felice un povero fanciullo? Non è forse mio suddito come voi tutti? Ha forse colpa di essere infelice? No, viva Dio, io lo voglio fare contento almeno una volta! Vieni, fanciullo, e non temere di me" e gli porse la mano che il fanciullo prese semplicemente dandogli sopra un bacio spontaneo. Il re sorrise. E fra due file di dignitari curvi, nell'ossequio, su tappeti di porpora a fiori d'oro, si diresse verso la stanza dei tesori, avendo a destra l'uomo ricco e saggio, e a sinistra il fanciullo ignorante e povero.

E il manto regale era in grande contrasto con la vesticciuola sfilacciata e i piedini scalzi del povero bambino.

Entrarono nella stanza dei tesori della quale due grandi della Corte avevano aperto la porta. Era una stanza alta, rotonda, senza finestre. Ma la luce pioveva dal soffitto che era tutto un'enorme lastra di mica. Una luce mite e che pur faceva lucere le borchie d'oro dei forzieri e i nastri porporini di molti rotoli messi su alti e ornati leggii. Rotoli pomposi, dalla bacchetta preziosa, dal fermaglio e il segno ornato di pietre splendenti. Opere rare che soltanto un re poteva possedere. E, negletto su un leggio severo, scuro, basso, un piccolo rotolo attorcigliato su un legnetto bianco, legato con un filo rustico, polveroso come cosa negletta.

Il re disse indicando le pareti: "Ecco, qui sono tutti i tesori della Terra, e altri più grandi ancora dei tesori terrestri. Perchè qui sono tutte le opere dell'ingegno umano, e vi sono anche opere che vengono da fonti soprumane. Andate, prendete ciò che volete".
E si mise al centro della stanza, con le braccia conserte, ad osservare.

L'uomo ricco e saggio si diresse prima ai forzieri e ne alzò i coperchi con ansia sempre più febbrile. Oro in verghe e oro in monili, argento, perle, zaffiri, rubini, smeraldi, opali... scintillii da tutti i cofani.... gridi di ammirazione ad ogni apertura... E poi si diresse ai leggii, e leggendo il titolo dei rotoli, nuovi gridi di ammirazione uscivano dalle sue labbra, e infine l'uomo, acceso di entusiasmo, si volse al re e disse. "Ma tu hai un tesoro senza paragone e le pietre eguagliano in valore i rotoli e questi quelle! E posso proprio scegliere liberamente?"
"L'ho detto. Come tutto ti appartenesse."
L'uomo si gettò col volto al suolo dicendo: "Io ti adoro, o gran re!" E si alzò, correndo prima ai cofani, poi ai leggii, prendendo da questi e quelli il meglio che vedeva.

Il re, che aveva sorriso una prima volta fra la barba vedendo la febbre con cui l'uomo correva da forziere a forziere, e una seconda vedendolo gettarsi a terra adorando, e che sorrideva per la terza volta vedendo con che cupidigia e con qual regola e preferenze sceglieva gemme e libri, si volse al bambino che era rimasto al fianco dicendogli: "E tu non vai a scegliere le belle pietre o i rotoli di valore?"

Il bambino scosse il capo per dire di no.
"E perché?"
"Perchè per i rotoli non so leggere e per le pietre... non ne conosco il valore. Per me sono sassolini e nulla più."
"Ma ti farebbero ricco..."
"Non ho padre, nè madre, nè fratello. A che mi servirebbe andare al mio rifugio con un tesoro al seno?"
"Ma potresti con quello comperarti una casa..."
"Ci abiterei sempre solo".
"Delle vesti."
"Avrei sempre freddo perchè manca l'amore dei parenti".
"Dei cibi".
"Non potrei saziarmi dei baci della mamma, nè comperarli a nessun prezzo."
"Dei maestri e imparare a leggere..."
"Questo mi piacerebbe di più. Ma cosa leggere, poi?"
"Le opere dei poeti, dei filosofi, dei saggi... e le parole antiche e le storie dei popoli."
"Inutili cose, vane o passate... Non merita".

"Che stolto fanciullo!" esclamò l'uomo che aveva ormai le braccia cariche di rotoli, e la cintura e la tunica sul petto gonfia di gemme.
Il re sorrise ancora fra la sua barba. E preso il fanciullo in braccio lo portò ai forzieri e affondando la mano nelle perle, nei rubini, nei topazi, nelle ametiste, facendole cadere come pioggia scintillante, lo tentò a prenderne.

"No, o re, non ne voglio. Vorrei un'altra cosa..."
Il re lo portò ai leggii e lesse strofe di poeti, episodi di eroi, descrizioni di paesi.
"Oh! leggere è più bello. Ma non è questo che vorrei..."
"E che dunque? Parla e te lo darò, fanciullo."
"Oh! non credo, o re, che tu lo possa nonostante la tua potenza. Non è cosa di quaggiù..."
"Ah! vuoi opere non della Terra! Ecco allora: qui sono le opere dettate da Dio ai suoi servi. Ascolta." e lesse pagine ispirate.
"Questo è molto più bello. Ma per capirlo bene bisogna prima sapere bene il linguaggio di Dio. Non c'è un libro che lo insegni, che ci faccia capire cosa è Dio?"

Il re ebbe un atto di stupore e non rise più, ma si strinse al cuore il fanciullo.
L'uomo invece rise beffardo dicendo: "Neanche i più sapienti sanno ciò che è Dio, e tu, fanciullo ignorante, lo vuoi sapere? Se vuoi farti ricco con ciò!..."

Il re lo guardò severo mentre il piccolo rispondeva: "Io non cerco ricchezze, cerco amore, e mi fu detto un giorno che Dio è Amore."
Il re lo portò presso il leggio severo dove era il piccolo rotolo, legato di cordicella e polveroso. Lo prese, lo svolse e lesse le prime righe: "Chi è piccolo venga a Me e Io: Dio, gli insegnerò la scienza dell'amore. In questo libro essa è, e Io..."
"Oh! questo voglio! E conoscerò Dio, e tutto avrò, Lui avendo. Dammi questo rotolo, o re, e io sarò felice."

"Ma è senza valore di denaro! Quel fanciullo è proprio stolto! Non sa leggere e prende un libro! Non è sapiente e non si vuole istruire. E' misero e non prende tesoro."

"Io mi sforzerò a possedere l'amore, e questo libro me lo insegnerà. Che tu sia benedetto, o re, perchè mi dai di che non sentirmi più orfano e povero!"

"Almeno adoralo come ho fatto io, se credi di esser divenuto per suo mezzo tanto felice!"
"Io non adoro l'uomo, ma Dio che lo ha fatto buono così".

"Questo fanciullo è il vero saggio nel mio regno, o uomo che usurpi la fama di saggio. Tu sei divenuto ebbro per orgoglio e avidità al punto di porre l'adorazione alla creatura in luogo di offrirla al Creatore. E ciò perchè la creatura ti dava pietre e opere umane.
E non hai pensato che le gemme che hai, e io le ho avute, perchè Dio le ha create, e hai i rotoli rari dove è il pensiero dell'uomo perchè Dio ha dato all'uomo l'intelletto. Questo piccolo che ha fame e freddo, che è solo, che è stato percosso da tutti i dolori, che sarebbe scusato e scusabile se divenisse ebbro davanti alle ricchezze, ecco che sa dare il giusto grazie a Dio per avere fatto buono il mio cuore, e non cerca che l'unica cosa necessaria: amare Dio, conoscere l'amore per avere le vere ricchezze qui e oltre. 

Uomo: io ho promesso che ti avrei dato ciò che avresti scelto: parola di re è sacra. Va' dunque con le tue pietre e i tuoi rotoli: sassolini multicolori e... paglia di umano pensiero. E vivi tremando per i ladri e per le tignole, i primi nemici delle gemme, le seconde delle pergamene. E abbacinati coi fatui bagliori di quelle scaglie, e disgustati col dolciastro sapore della scienza umana che è solo sapore e non nutrimento. Va'. Questo fanciullo resterà al mio fianco, e insieme ci sforzeremo di leggere il libro che è amore, ossia Dio. E non avremo bagliori fatui di fredde gemme, nè il dolciastro sapore di paglia delle opere di umano sapere. Ma i fuochi dello Spirito Eterno ci daranno sino da qui l'estasi del Paradiso e possederemo la Sapienza, fortificante più che vino, nutriente più di miele. Vieni, fanciullo, al quale la sapienza ha mostrato il suo volto perchè tu la desiderassi come sposa verace":

E cacciato l'uomo prese con sè il fanciullo e lo istruì nella divina Sapienza perchè fosse un giusto e un re degno della sacra unzione sulla Terra, e un cittadino del Regno di Dio oltre la vita.
(Spiegazione)
della parabola 

Questa è la parabola promessa ai piccoli e proposta agli adulti.
Ricordate Baruc?   Egli dice: “Per qual motivo, o Israele, sei in terra nemica, invecchi in paese straniero, sei contaminato fra i morti e annoverato fra quelli che scendono nell’abisso? ”  E risponde: “Perché hai abbandonato la fonte della Sapienza.   Se tu avessi camminato sulla via di Dio saresti vissuto a lungo, in pace e per sempre”.   (…)

Il popolo di Dio soffre perché ha abbandonato la Sapienza. Come potete possedere prudenza, forza, intelligenza, come potete neppur sapere dove si trovano, per poter conseguentemente sapere le cose minori, se non state più ad abbeverarvi alle fonti della Sapienza?
Il suo Regno non è di questa Terra, ma la misericordia di Dio ne concede la fonte. Essa è in Dio. E’ Dio stesso. Ma Dio apre il suo seno perché essa scenda a Voi.  (…)

Perché per salire al Cielo con lo spirito e comprendere le lezioni della Sapienza occorre uno spirito umile, ubbidiente e soprattutto tutto amore, essendo che la Sapienza parla il suo linguaggio, ossia parla il linguaggio dell’amore essendo essa Amore. 

Per conoscere i suoi sentieri ci vuole uno sguardo limpido e umile, libero dalla concupiscenza triplice. Per possedere la Sapienza occorre comperarla con le monete vive: le virtù. (…) 
Una sola cosa è necessaria. Possedere la Sapienza. A costo anche della vita. Perché la vita non è la cosa più preziosa e meglio vale perdere cento vite a perdere la propria anima.

Sancte Antoni, ora pro nobis!