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domenica 19 ottobre 2014

MOLTO MOLTO BELLO

Pio XII parla agli sposi cristiani. 

Vincolo, famiglia, comunione

Il punto 5. della "Relatio Synodi", 18.10.2014, conclusiva della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi: "Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione" (5-19 ottobre 2014) [qui], dichiara: "Il cambiamento antropologico-culturale influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato."

A questo proposito è bene ribadire cose già dette, ma che giova riaffermare. Il "cambiamento antropologico" di cui si parla non può riguardare l'interiorità profonda e l'essenza dell'uomo - essere umano uomo e donna, che quella è e quella resta -, di creatura voluta amata e redenta dal Suo Creatore, che trova la sua vera dignità e libertà nell'essere a Lui ordinata e dunque nel rapporto personale e comunitario con Lui. Ciò che cambia nello scorrere del tempo sono i 'gusti', le 'mode', le 'contingenze' (cioè situazioni e conseguenze); ma l'essenza dell'uomo è quella che è. Inoltre essa o è portata alla sua pienezza d'essere, in Cristo, oppure non è nulla! La dissoluzione dell'identità cristiana nell'Occidente discende dai Lumi e oltre. Essa trova il suo culmine oggi attraverso lo storicismo e l'antropocentrismo veicolati nella Chiesa anche dallo "spirito del concilio" tuttora imperante. Dir questo non significa non avere il senso della storia o sminuire l'uomo; ma situarlo al suo posto, cioè orientato e ordinato al Creatore e non come centro di tutto. Senza obliterare la "storia della salvezza" portata a compimento da Cristo Signore.

Purtroppo subiamo l'effetto dell'abbandono della philosophia perennis operato dallo "spirito del concilio". Ed è per questo che la dimensione ontologica è stata sostituita da quella fenomenologica ed esistenziale, che l'odierna gerarchia sembra privilegiare. L'abbandono della metafisica ha messo all'angolo la fede, il Soprannaturale, l'ontologia e ha fondato le innovazioni di 'rottura' - ché tali sono - nell'antropocentrismo. Il vizio di fondo e nodo centrale di tutto è che, in base ai presupposti storicisti, la continuità con la tradizione è oggi riferita al soggetto chiesa anziché all'oggetto rivelazione. E, mentre le verità eterne non possono evolvere, lo storicismo trasferisce ad esse la mutevolezza che invece appartiene al divenire che esse devono orientare e fecondare. Il Signore è lo stesso ieri oggi sempre.

I discorsi, incisivi e densi di verità eterne, di un Papa che è nel cuore di tanti credenti sono il miglior antidoto alle tossine veicolate dal nuovo documento, nonostante le rettifiche apportatevi in seguito alle note contestazioni. Letti con attenzione, essi danno anche le motivazioni profonde e ineludibili dei principi vigorosamente e limpidamente affermati. (Maria Guarini)

MOLTO MOLTO BELLO

Un “sì” per sempre, come l’amore di Cristo
22 aprile 1942
 Il sì, erompente dal vostro labbro per impulso del vostro volere, annoda intorno a voi il vincolo coniugale, e insieme lega per sempre le vostre volontà. Il suo effetto è irrevocabile: il suono, espressione sensibile del vostro consenso, passa; ma il consenso stesso formalmente è fissato, non passa, è perpetuo, perché è consenso nella perpetuità del vincolo, mentre un consenso di vita soltanto per qualche tempo fra gli sposi non varrebbe a costituire il matrimonio. L’unione dei vostri sì è indivisibile; ond’è che non vi è vero matrimonio senza inseparabilità, né vi è inseparabilità senza vero matrimonio.
Ma se la volontà degli sposi, contratto che l’abbiano, non può più sciogliere il vincolo matrimoniale, potrà forse farlo l’autorità, superiore ai coniugi, stabilita da Cristo per la vita religiosa degli uomini? Il vincolo del matrimonio cristiano è così forte, che, se esso ha raggiunto la sua piena stabilità con l’uso dei diritti coniugali, nessuna potestà al mondo, nemmeno la Nostra, quella cioè del Vicario di Cristo, vale a rescinderlo.
Gesù e Maria con la loro presenza santificarono le nozze di Cana: là il divin Figlio della Vergine fece il primo miracolo, quasi a dimostrare anzi tempo che iniziava la sua missione nel mondo e il regno di Dio dalla santificazione della famiglia e dell’unione coniugale, origine della vita. Là cominciò la elevazione del matrimonio, il quale doveva ergersi nel mondo soprannaturale dei segni, che producono la grazia santificante, a simbolo della unione di Cristo con la Chiesa (Efesini 5, 32); unione indissolubile e inseparabile, nutrita di quell’amore assoluto e senza fine, che sgorga dal Cuore di Cristo. Come potrebbe l’amore coniugale essere e dirsi simbolo di tale unione, quando fosse deliberatamente limitato, condizionato, solubile, quando fosse una fiamma di amore soltanto a tempo? No: elevato all’eccelsa e santa dignità di sacramento, improntato e stretto in così intima connessione con l’amore del Redentore e con l’opera della redenzione, non può essere e affermarsi che indissolubile e perpetuo.
È vero; un vincolo può talora costituire un gravame, una servitù, come le catene che stringono il prigioniero. Ma può essere anche un potente soccorso e una sicura garanzia, come la corda che lega l’alpinista ai suoi compagni di ascensione, o come i legamenti che uniscono le parti del corpo umano e lo rendono spedito e franco nei suoi movimenti; e tale è ben il caso del vincolo indissolubile del matrimonio.


La Santa Comunione,
mezzo efficacissimo per la vita spirituale della famiglia

7 giugno 1939

Ogni anima cristiana ha bisogno dell’Eucaristia, secondo la parola di Nostro Signore Gesù Cristo: “Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna” (Gv 6, 54. 55).
La Comunione Eucaristica ha dunque per effetto di alimentare l’unione santificante e vivificante dell’anima con Dio, di mantenere e fortificare la vita spirituale ed interiore, d’impedire che nel viaggio e nel combattimento terreno venga a mancare ai fedeli quella vita che è stata loro comunicata nel Battesimo.1
Di questi beni così preziosi Gesù Cristo vuole arricchire le anime nella Santa Comunione: e beati coloro che, assecondando le sue amorose intenzioni, sanno valersi di questo mezzo così valido di santificazione e di salute! Ma di tutti questi aiuti hanno particolare bisogno gli sposi e i genitori cristiani che, rendendosi conto delle gravi responsabilità, da loro assunte, si sono proposti di volervi seriamente corrispondere.
La famiglia ha bisogno, come di base, di intima unione di anime soprattutto, non solo di corpi, unione fatta di amore e di pace scambievole. Ora l’Eucaristia è, secondo la bella espressione di Sant’Agostino, segno di unione, vincolo di amore, signum unitatis, vinculum caritatis, e perciò unisce e quasi rinsalda tra loro i cuori.
A sostenere i pesi, le prove, i dolori comuni, ai quali ogni famiglia anche ben ordinata non può sfuggire, vi è bisogno di quotidiane energie; la Comunione Eucaristica è generatrice di forza, di coraggio, di pazienza, e con la letizia soave che diffonde nelle anime ben disposte fa sentire quella serenità che e il tesoro più prezioso del domestico focolare.
Pensiamo con gioia, diletti figli, che voi, ritornando alle vostre città, ai vostri paesi, alle vostre parrocchie, darete questo bello ed edificante spettacolo di accostarvi spesso alla Mensa Eucaristica, e dalla chiesa rientrerete nelle vostre case portando tra le pareti domestiche Gesù e, con Gesù, ogni bene. (Fonte: In tua justitia libera me Domine)
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1. Allora era scontato: che viene perduta col peccato e non recuperata se non attraverso il pentimento, il proposito di non ricadere e la confessione.

domenica 6 luglio 2014

L'EUCARISTIA e la S. COMUNIONE: Ci vuole Gesù Cristo! Ci vuole Gesù! E Gesù tutti i giorni: e non fuori di noi, ma in noi, e non solo spiritualmente ma sacramentalmente (San Luigi Orione).



L'EUCARISTIA e la S. COMUNIONE

L’Eucaristia è l’amore che supera tutti gli amori nel cielo e sulla terra.
San Bernardo di Chiaravalle

Il Papa è il Cristo che parla. L'Eucaristia è il Cristo che tace.
S. Francesco di Sales

Nostro Signore non viene in noi nella S. Eucaristia per premiare le nostre virtù, 
ma per comunicarci la forza necessaria a diventare santi. 
San Pier Giuliano Eymard

La devozione all’Eucaristia è la più nobile perché ha per oggetto Dio; 
è la più salutare perché ci dà l’Autore della grazia; 
è la più soave perché soave è il Signore… 
se gli Angeli potessero invidiare, ci invidierebbero la S. Comunione.
San Pio X

Ci vuole Gesù Cristo! Ci vuole Gesù! E Gesù tutti i giorni: 
e non fuori di noi, ma in noi, 
e non solo spiritualmente ma sacramentalmente.
San Luigi Orione

Appressatevi alla Sacra Mensa con le stesse
 disposizioni che vorreste avere per entrare in cielo. 
Non bisogna avere meno rispetto per ricevere Gesù Cristo, 
che per essere ricevuti da Lui.
San Giovanni Battista de La Salle

I minuti che seguono la Comunione 
sono i più preziosi che noi abbiamo nella vita: i più adatti da parte nostra 
per trattare con Dio, e da parte di Dio per comunicarci il suo amore.
Santa Maria Maddalena de’ Pazzi

Come il cibo corporale è necessario per la vita a tal punto
che senza di esso non si può vivere
 ..così il cibo spirituale è necessario per la vita spirituale,
 in modo che senza di esso la vita spirituale non si può mantenere.
San Tommaso d'Aquino

Andiamo, dunque, a questo cibo per nutrire le anime nostre e fortificarle.
San Roberto Bellarmino

Ogni giorno posso consultare Gesù nella Santa Comunione:
Egli è il mio grande Maestro.
San Tommaso Moro

La Comunione è il cibo che dà la forza; il cibo di vita.
San Giovanni Bosco.

Tutti hanno bisogno della Comunione: 
i buoni per mantenersi buoni e i cattivi per farsi buoni.
San Giovanni Bosco.

Leggi la pagina dedicata alla SS. Eucaristia e alla S. Comunione


venerdì 24 gennaio 2014

Comunione quotidiana e non via al “sacrilegio quotidiano”


Comunione quotidiana e 

non via al “sacrilegio quotidiano”


ostensorio
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Comunione quotidiana
e non via al “sacrilegio quotidiano”

Come il modernismo si oppone diametralmente alla enciclica Pascendi (8 settembre 1907) di San Pio X, così la Comunione quotidiana quale oggi è per lo più praticata e fatta praticare si oppone e stravolge il significato del decreto Sacra Tridentina Synodus del 20 dicembre 1905 di papa Sarto.

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Un triste fenomeno

Già nel 1971 padre Tito Sante Centi (†2011) nel Commento a La Somma Teologica (III, qq. 73-83, L’Eucarestia) di San Tommaso d’Aquino, a cura dei Domenicani italiani, (vol. XXVIII, Firenze, Salani, 1971, pp. 24-31) scriveva: «molti sono gli argomenti particolari che si possono oggi considerare di attualità a proposito dell’Eucarestia, dati gli sviluppi della pratica sacramentaria in seguito al Concilio Vaticano II. Ma ci sembra che nessuno meriti maggiore attenzione della frequenza con la quale oggi essa si riceve. Non che sia deprecabile di per sé un fenomeno di massa nella pratica sacramentaria quotidiana: quello che c’è di deprecabile e d’inquietante deriva dal modo in cui codesto fenomeno si produce. […] A prescindere da certi eccessi [Comunione sacrilega in stato di peccato grave, ndr], sarà pur sempre doveroso riesaminare un problema che oggi lascia perplessi di fronte al decadimento morale di tanti cristiani praticanti. Tante comunioni perché non costituiscono un freno all’ immoralità dilagante? Questa situazione non è una squalifica per il Decreto Sacra Tridentina Synodus, emanato il 20 dicembre 1905, sotto il pontificato di S. Pio X? No! Non vogliamo scandalizzare nessuno tornando su un argomento ormai ben definito dalla Suprema Autorità. Noi accettiamo in pieno le disposizioni da questa emanate [1905, ndr]; ma, essendo costretti a toccar con mano una triste condizione di cose [1971, ndr], vogliamo ricercarne la causa. Così vedremo che la responsabilità di certi abusi  non ricade affatto sul Decreto di S. Pio X, ma su coloro che non lo applicano integralmente. Ci pare si sia peccato di faciloneria. Infatti è troppo sbrigativo il giudizio di quei molti, i quali pensano che dopo la pubblicazione del Decreto ricordato si possa consigliare la Comunione quotidiana in massa e a chiunque, purché sia escluso lo stato di peccato mortale. […]. Il Decreto Sacra Tridentina Synodus non vuol portare delle novità nella Chiesa […]. Si fissano due criteri chiari e inequivocabili: lo stato di grazia e la retta intenzione. Non risulta invece che il Papa intendesse dispensare da ogni cautela. Dobbiamo purtroppo lamentare che alcuni non abbiano penetrato affatto lo spirito del Documento pontificio. […]. Perciò sarà bene far notare che la partecipazione quotidiana dei primi cristiani alla ‘fractio panis’ era intimamente connessa con una vita di intensa pietà e di grande fervore. Non risulta che San Pio X abbia voluto dispensare da una tale coerenza coloro che intendono accostarsi ogni giorno alla santa Comunione. […]. Il Decreto non intende escludere la necessaria cooperazione con la grazia; poiché, anche senza giungere al sacrilegio, noi abbiamo sempre la triste possibilità di ridurre quasi a nulla l’efficacia della stessa Comunione quotidiana. E il Decreto di San Pio X ce lo lascia intendere chiaramente quando raccomanda la necessaria preparazione e il non meno indispensabile ringraziamento (n. IV). […]. La cautela più importante, consigliata anche per esercizio di umiltà, è senza dubbio la raccomandazione di sottoporre il proprio desiderio di praticare la Comunione quotidiana al giudizio del confessore. Ed ecco in proposito le parole del Decreto: “Perché la Comunione frequente e quotidiana si faccia con maggior prudenza e con maggior merito, occorre il consiglio del confessore (n. V)”. […].


Non sono, quindi, giustificate affatto dal Decreto di San Pio X le Comunioni quotidiane di massa senza che il confessore sia individualmente interpellato. Santa Caterina da Siena se la prende fortemente con “alcuni religiosi che si son presi la consuetudine di andare alla mensa del Signore senza buona disposizione, come si va alla mensa del corpo” (Dial., cap. 25). Naturalmente il santo Pontefice Pio X non intendeva di passar sopra a queste lamentele dei Santi, […]; e così non dovrebbero passarci sopra i confessori e i predicatori nel consigliare  la pratica della Comunione quotidiana. […]. A norma del Decreto di san Pio X occorre accostarsi alla Comunione con le dovute disposizioni e così si finirà col liberarsi gradualmente dalle proprie miserie. Posto il sincero proponimento dell’animo (quello di essere staccati dal peccato veniale di proposito deliberato), “chi si comunica ogni dì, si libererà poco a poco anche dai peccati veniali e dal loro affetto” (n. III). Ora quando siamo costretti a constatare, dopo una serie di Comunioni quotidiane, che i peccati veniali non tendono affatto a scomparire, e che l’anima si è adagiata volontariamente nella sua mediocrità senza impegnarsi nella via della perfezione, bisognerà logicamente concludere che non esistono più per lei le disposizioni richieste per la Comunione frequente […]. Infatti il cristiano che conserva affetto alla colpa veniale di proposito deliberato si prepara a cadere mortalmente (S. Th., I-II, q. 88, a. 3). […]. Ma per l’attaccamento al peccato veniale il fervore non ha luogo e le cattive tendenze rimangono in tutto il loro vigore (S. Th., III, q. 79, a. 6, ad 3). C’è allora da meravigliarsi che un’anima così dissipata cada miseramente in peccato grave, nonostante la Comunione quotidiana? […]. Attenzione alla partecipazione quotidiana all’Eucarestia, divenuta nient’altro che un’ abitudine. Questo esame di coscienza noi lo crediamo doveroso, non solo per trovarci in regola con la dottrina di San Tommaso, ma con lo stesso Decreto del 1905, il quale pone l’abitudine tra i vizi fondamentali della retta intenzione, che è indispensabile per la Comunione frequente fruttuosa».


Questo deplorava nel 1971 il padre Centi. Che cosa scriverebbe oggi che ci si può comunicare de jure anche due volte al dì, in piedi, ricevendo l’Ostia consacrata sulle mani, da ministri straordinari (sia Diaconi uxorati, sia laici uomini o donne), senza velo, dopo una sola ora di digiuno eucaristico? oggi che la Comunione si riceve, de facto, gravemente malvestiti, senza confessarsi, senza digiuno eucaristico neppure di un’ora soltanto, senza alcuna preparazione o ringraziamento personale data la natura eminentemente o esclusivamente comunitaria del Novus Ordo Missae? Questa è la strada che porta al “sacrilegio quotidiano” e non alla santificazione progressiva, giorno dopo giorno.



Il Decreto di San Pio X e la dottrina costante della Chiesa

Nel Decreto Sacra Tridentina Synodus del 20 dicembre 1905 (DS 3375-3383) la Sacra Congregazione del Concilio su ordine di San Pio X insegna che è cosa utile comunicare quotidianamente, non per consuetudine o abitudine, per orgoglio, vanità o golosità spirituale, ma per soddisfare al desiderio di Gesù, per essere sempre più uniti a Lui e per guarire dai nostri difetti.


Il Giansenismo e l’ illanguidimento del fervore dei cristiani hanno reso difficile tale pratica. Altri, i Modernisti, non meno erroneamente dei Giansenisti, hanno sostenuto (e sostengono anche oggi) che la Comunione quotidiana è obbligatoria. La Chiesa ha insegnato costantemente che tutti possono (e non che debbono) essere ammessi alla Comunione quotidiana secondo l’intensità del loro fervore e il consiglio del confessore affinché essa sia fruttuosa. Le condizioni per accostarsi con frequenza alla Comunione sono: l’obbligo  dello stato di grazia sotto pena di sacrilegio e il consiglio di essere distaccati dal peccato veniale. Perciò la Comunione deve essere preceduta da una preparazione diligente e seguìta da un ringraziamento conveniente. È necessario il parere del confessore, il quale, tuttavia, non  può impedire la Comunione frequente a chi è in stato di grazia ed è animato da retta intenzione, ossia dall’ intensità del fervore spirituale.

Come si vede, siamo agli antipodi dei due errori opposti: 1°) l’errore per difetto, il lassismo neomodernista, che consiglia la Comunione quotidiana a tutti, anche se non hanno la retta intenzione o l’intensità crescente della vita spirituale; 2°) l’errore per eccesso, il rigorismo giansenista, che richiede l’Amor puro o disinteressato senza la Speranza del Paradiso ritenuta erroneamente cattiva in sé; errore che è stato condannato da papa Alessandro VIII il 24 agosto 1690 con il Decreto del s. Ufficio sugli Errori dei Giansenisti (DS 2323). Inoltre per i Giansenisti i Sacramenti esigono in chi li riceve una perfezione estrema, assoluta ed in atto, e non il tendere ad una perfezione relativa allo stato della natura umana, come insegna la Chiesa. Il Giansenismo si richiama soprattutto alla violenza della grazia, che invincibilmente forza la “libertà” apparente, ma non più reale, dell’uomo, il cui libero arbitrio è stato distrutto e non solo ferito dal peccato originale ed al quale non resta in sé che la possibilità di peccare se non interviene la grazia efficace  ed irresistibile de jure e de facto, la quale prende il posto della volontà oramai non più libera dell’uomo; da qui il rigorismo nell’ammettere i fedeli anche in stato di grazia e provvisti di buone disposizioni ai Sacramenti. Invece per comunicare occorre necessariamente, secondo la dottrina cattolica, lo stato di grazia onde non commettere un peccato mortale di sacrilegio, ma per comunicare frequentemente e fruttuosamente è bene avere il fervore (cioè essere distaccati dal peccato veniale e dalle imperfezioni di proposito deliberato) ed il placet del confessore.

L’insigne teologo gesuita, cardinal Juan de Lugo (†1660), scrive che occorre insegnare ai fedeli la pratica della Comunione spirituale, la quale è utilissima e “può accadere che l’anima ricavi, per la intensità dei suoi desideri, maggior grazia dalla Comunione spirituale fervente che dalla stessa Comunione sacramentale non fervorosa” (Disputationes scholasticae de Sacramentis in genere, de venerabili Eucharistiae Sacramento et de sacratissimo Missae sacrificio, Lione, 1636).


Nella Comunione riceviamo Gesù, il quale ci assimila sempre più a Sé a seconda delle nostre disposizioni ognor più intense; altrimenti restiamo quel che eravamo. Il fine della Comunione frequente è l’ avanzamento nell’unione con Dio e senza maggior fervore ed intensità di vita spirituale non può sussistere avanzamento. Quindi è conveniente che la Comunione frequente sia sottomessa al giudizio del confessore, il quale conosce le nostre disposizioni e sa se esse ci rendano capaci di ricevere fruttuosamente Gesù, oppure infruttuosamente, anche se non sacrilegamente, qualora manchi la maggiore intensità spirituale, la quale mancanza oppone resistenza ossia pone un ostacolo alla maggiore assimilazione e somiglianza con Gesù. “Vivere sempre più la vita divina […], pentirci ed umiliarci per i nostri peccati veniali, difetti, imperfezioni” sono condizioni necessarie per fare una fruttuosa Comunione frequente (padre C. T. Dragone, Spiegazione del Catechismo di San Pio X, Alba, Paoline, IV ed., 1963, p. 528 e 532). Per farci capire quanto sia necessario essere ben disposti con intensità spirituale sempre crescente padre Dragone fa questo esempio: “un gentiluomo aveva una casa che per lungo tempo era stata adibita a stalla per animali. La casa era bellissima. Il re volle andare a vederla. Il gentiluomo si limitò a farla scopare dalle immondizie [peccato mortale], ma lasciò le pareti maleodoranti [peccati veniali e imperfezioni volontarie]. Il re non gradì tale dimora. Tale è la condotta di chi non si prepara con fervore a far bene la Comunione” (cit., p. 529).



Il ‘Codice di Diritto Canonico’ del 1917 (canone 1262 § 2) rifacendosi alla divina Rivelazione (1 Cor., XI, 5) insegna che “nei Luoghi sacri, nell’assistere alla sacre Funzioni o nell’accostarsi ai Sacramenti, è richiesto il velo ed un vestito non solo non provocante come in ogni altra circostanza anche fuori della chiesa, ma positivamente un vestito modesto in rapporto con la riverenza dovuta a questi luoghi e funzioni” (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di teologia Morale, Roma, Studium, ed. IV, 1968, II vol., p. 1760, voce “Vestito”).
Comunicare senza velo non è cosa di poca importanza. Infatti è contrario alla Tradizione divina o divino-apostolica cui allude San Paolo: “Mantenete le Tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio che sappiate che Cristo è il Capo di ogni uomo, invece capo della donna è l’uomo, e Capo di Cristo è Dio. Ogni donna che prega […] a capo scoperto disonora il proprio capo, come se fosse rasata. Infatti, se una donna non vuol mettersi il velo, si faccia rasare! Ma, se è vergognoso per una donna farsi tagliare tutti i capelli, si metta il velo!” (1 Cor., XI, 2-6).

Le Tradizioni di cui scrive l’Apostolo sono «un complesso di Verità dogmatiche e morali, o di Prescrizioni liturgiche, o di costumi, affidato come un Deposito e perciò da trasmettersi fedelmente, senza aggiungervi o togliervi alcunché, appunto perché esso deriva dal Signore stesso (1 Cor., XI, 23) o dagli Apostoli (1 Cor., XV, 3). Ora, ciò che capita  a Corinto riguardo al comportamento delle donne nelle assemblee religiose non è per nulla conforme a quanto San Paolo ha “trasmesso”. Difatti quando le donne pregano dovrebbero portare il velo sulla testa per affermare la loro dipendenza dall’uomo (v. 3). […]. Più che per una ragione di modestia […], l’Apostolo vuole che si mantenga quest’uso per affermare l’ordine gerarchico stabilito da Dio stesso nella creazione (vv. 3, 8-9). […]. San Paolo ricorda che la gerarchia nella Chiesa è voluta da Dio stesso. Da Lui infatti dipende Cristo in quanto Verbo incarnato; da Cristo l’uomo; dall’uomo la donna. […]. Si noti come nei versi 4 e 5 la parola “capo” è presa nel duplice senso, materiale di “testa” e morale di “superiore”. […]. Per la donna, infatti, essendo la natura stessa a darle un velo nella folta capigliatura (vv. 14-15), il fatto di non voler portare il velo a scopo religioso verrebbe a significare che intende rinunciare anche a quello naturale, la capigliatura; ed allora, prosegue ironicamente l’Apostolo, tanto vale che si faccia “rasare” la testa» (Settimio Cipriani, Le Lettere di San Paolo. Commento, Assisi, Cittadella, V ed., 1965, pp. 186-187, nota n. 11).




San Tommaso d’Aquino

“Il decreto Sacra Tridentina Synodus – scrive padre Centi – non vuol portare delle novità nella Chiesa”, ma solo ribadire la dottrina costante. Ed è facile riscontrarlo.
Il Dottore Comune della Chiesa insegna – soprattutto ma non solo  nella Somma Teologica (III, qq. 73-83, De Eucharestia) – che la Comunione quotidiana “è il pane quotidiano. Ricevilo ogni giorno, affinché ogni giorno ti giovi. Vivi così da meritare di riceverlo ogni giorno” (come scrive S. Agostino, De Verbis Domini, Sermo 84). Poi l’Angelico commenta: “da parte del Sacramento occorre considerare che Esso è virtù salutare per gli uomini e sotto questo aspetto è utile riceverlo quotidianamente. […]. Invece da parte dell’uomo che lo riceve bisogna considerare che egli  è obbligato a riceverlo con grande devozione e riverenza. […]. Tuttavia, poiché spesso in un gran numero di persone molti ostacoli impediscono la necessaria devozione […], non sarebbe utile a tutti accostarsi ogni giorno a questo Sacramento, ma è utile che ciascuno vi si accosti  tutte le volte che si sente preparato a riceverlo ” (S. Th., III, q. 80, a. 10).


Nella risposta alla 3a obiezione S. Tommaso spiega cos’è la dovuta preparazione per ricevere fruttuosamente l’Eucarestia: “la riverenza verso l’Eucarestia è un timore temperato dall’amore, che si chiama timor filiale o perfetto” (v. S. Th., II-II, q. 67, a. 4, ad 2): l’amore verso Dio porta al desiderio fervente di ricevere la  Comunione e il timore ci mantiene nell’umiltà del rispetto verso di essa. Tuttavia l’amore e la fiducia sono da preferirsi al puro timore” (ad 3um). Inoltre nell’ad 4um l’ Angelico specifica: “nella Chiesa primitiva o apostolica, quando vi era un gran fervore di Fede, i fedeli comunicavano quotidianamente […], in seguito invece, essendo diminuito il fervore, papa San Fabiano (†250) concesse che tutti comunicassero, se non più di frequente, almeno tre volte l’anno: a Pasqua, a Pentecoste e a Natale. Successivamente, per il raffreddamento della Carità in molti, papa Innocenzo III (†1216) stabilì come precetto che i fedeli si comunicassero almeno una volta l’anno, cioè a Pasqua. Tuttavia nel libro ‘De ecclesiasticis Dogmatibus’ consiglia di comunicarsi tutte le domeniche [a coloro che sono ben preparati]”. L’Aquinate specifica e precisa: “nel momento di ricevere la Comunione si richiede la massima devozione perché allora si ottiene l’effetto del Sacramento” (S. Th., III, q. 80, a. 8, ad 6um).



Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange: “tante Comunioni, ma pochi veri comunicanti”
Padre Garrigou-Lagrange (†1964) nel suo ottimo libro di Teologia ascetica e mistica Les trois âges de la vie intérieure, Parigi 1938-1939 (tr. it. Le tre età della vita interiore, Roma-Monopoli, Vivere in, 1984) scrive: «quanto alle condizioni richieste per una buona, e poi una fervorosa Comunione […] indicate nel Decreto del 20 dicembre 1905 col quale S. Pio X esortava i fedeli alla Comunione frequente, occorre ricordare che i Sacramenti, pur operando ex opere operato, producono tuttavia un effetto maggiore in proporzione delle disposizioni più perfette di coloro che li ricevono. Dunque dobbiamo far precedere alla Comunione una buona preparazione e, dopo averla ricevuta, fare un conveniente ringraziamento. […]. Una Comunione molto fervorosa è dunque per sé sola assai più vantaggiosa di molte Comunioni tiepide. […]. Il distacco dal peccato veniale e dalle imperfezioni volontarie o atti meno perfetti di ciò che potrebbero essere è la parte negativa delle disposizioni per ricevere fruttuosamente la Comunione. Quanto alle disposizioni positive alla Comunione frequente […] ricordiamoci che ogni nostra Comunione dovrebbe essere sostanzialmente e qualitativamente più intensa e fervorosa della precedente. […]. Ma oggigiorno, purtroppo, quasi tutti prendono cattive abitudini con la massima disinvoltura senza riguardo nemmeno all’Eucarestia. Se le cose continuano in questo modo, vi saranno tante Comunioni ma pochi veri comunicanti. […]. La casistica tende a prevalere sulla spiritualità e la quantità delle Comunioni sul fervore e sulla qualità di esse» (vol. II, La purificazione dell’anima dei principianti, cap. 15, La santa Comunione, pp. 179-195).




Padre Antonio Royo Marìn

Un terzo famosissimo teologo domenicano spagnolo morto qualche anno fa e specializzato in spiritualità, Royo Marìn, ha scritto un ottimo manuale di Teologia ascetica e mistica: Teologia de la perfecciòn cristiana (Madrid, BAC, 1958), che è stato tradotto in italiano dalle Edizioni Paoline nel 1960 (Teologia della perfezione cristiana, Roma) ed ha avuto sei edizioni sino al 1965 e attualmente una ristampa anastatica. Il padre domenicano scrive in esso: «San Pio X  con il Decreto del 1905 richiede due condizioni per la Comunione frequente: lo stato di grazia e la retta intenzione, ossia che non si faccia la Comunione per abitudine, ma per piacere a Dio. Inoltre è molto conveniente essere libero da peccati veniali, ma non assolutamente necessario. Inoltre si raccomanda la diligente preparazione e il ringraziamento. A nessuno che abbia queste disposizioni si può negare la Comunione. […]. È evidente, tuttavia, che le persone le quali vogliono progredire seriamente nella perfezione cristiana devono procurare d’intensificare queste disposizioni. La loro preparazione remota deve consistere nel condurre una vita degna di chi ha fatto la Comunione e si comunicherà il dì seguente. Occorre insistere principalmente nel sopprimere ogni attaccamento al peccato veniale, soprattutto deliberato, e nel combattere la tiepidezza; questo suppone una perfetta abnegazione di se stessi e la tendenza a praticare quel che è più perfetto. […]. Inoltre occorre avere fame e sete della Comunione, ossia il suo desiderio ardente. Infatti questa è la condizione che riguarda direttamente la fruttuosità e l’efficacia santificatrice della Comunione frequente. La quantità di acqua che si attinge alla fontana dipende sempre dalla capienza del recipiente. Ognuna delle nostre Comunioni dovrebbe essere più fervente delle precedenti, essendo noi disposti a ricevere il Signore nel giorno seguente  con un amore più intenso di quello del giorno precedente. Si legga S. Tommaso In Epist. ad Hebr., I, 25: “l’anima deve avanzare con un moto uniformemente accelerato, simile al movimento di una pietra che cade con maggior velocità (“motus in fine velocior”) a misura che si avvicina al suolo”» (Teologia della perfezione cristiana, cit., pp.542-547).




L’aumento della grazia tramite atti più intensi

I princìpi su esposti dai tre teologi domenicani non sono loro opinioni personali e “singolari”, ma fanno parte della dottrina dell’ aumento della grazia santificante mediante atti sempre più intensi (S. Th., II-II, q. 24, a. 6). Questa dottrina deriva dal puro buon senso, dalla retta ragione e dalla metafisica dell’essere applicati alla spiritualità. Infatti, per fare un esempio, se il termometro che abbiamo in casa segna 25° per giungere a 26° bisogna che l’ambiente e l’aria che lo circondano si surriscaldino di un grado; se invece non si produce alcun aumento di calore nell’ ambiente, il termometro resterà a 25°. Come pure per piantare un chiodo in un muro più profondamente, debbo dare una martellata più forte della precedente. Così la grazia penetra sempre di più nell’anima mediante atti ognora più intensi. Perciò la tiepidezza, il rilassamento, l’ attaccamento al peccato veniale di proposito deliberato o all’imperfezione volontaria (che è un atto di carità buono in sé, ma meno intenso o “remissus” del precedente e di quel che avrebbe dovuto e potuto essere) non favoriscono l’ aumento nell’anima del grado di grazia (S. Th., II-II, q. 24, a. 6; Domingo Bañez, In IIam IIae Sancti Thomae, q. 24, a. 6). Ma “non avanzare nella vita spirituale significa regredire” (S. Agostino, Sermo 169, n. 18). Quindi è necessario porre atti soprannaturalmente buoni sempre più intensi se vogliamo santificarci.
Che la crescita della grazia consista in un maggior radicamento di essa nell’anima risulta dalla natura stessa della grazia santificante, delle Virtù infuse e dei sette Doni dello Spirito Santo: poiché sono “accidenti qualità” soprannaturali, che ineriscono alla sostanza dell’anima, possono crescere solo in intensità e non per aggiunta quantitativa (S. Th., I-II, q. 52, a. 2; II-II, q. 24, a. 5). Per fare un esempio si prenda l’accidente “qualità” naturale caldo o freddo. Ebbene, perché la sostanza acqua diventi più calda o più fredda, bisogna che la temperatura (caldo/freddo) aumenti o diminuisca d’intensità. Se aggiungo ad un litro di acqua a 20° un litro  di acqua a 20° la somma mi darà due litri di acqua, ma sempre a 20°. Invece se abbasso la temperatura del frigorifero di 5° allora l’acqua scenderà a 15°, pur restando un solo litro.




Gli ostacoli ai buoni frutti della Comunione frequente


1) La tiepidezza

La tiepidezza è un vizio spirituale che assale coloro i quali hanno ben iniziato la vita spirituale cristiana, ma poi sono colti dalla rilassatezza. La tiepidezza, infatti, consiste in una specie di rilassamento spirituale, che indebolisce la buona volontà di tendere a Dio sempre più perfettamente come uno scalatore che va in montagna con la buona volontà affettiva ed effettiva di fare un passo dopo l’altro e giungere alla vetta senza fermarsi alle prime difficoltà. Anzi, dopo aver sciolto i muscoli delle gambe ed avere ottenuto una respirazione ed un battito cardiaco regolare sotto lo sforzo della dura salita, egli cercherà di aumentare gradatamente il suo ritmo. Se invece si abbatte, si stanca e si ferma o non avanza sempre più, non giungerà alla vetta poiché è caduto nel rilassamento fisico.
L’abitudine nelle pratiche religiose può portare al rilassamento spirituale, poiché allora esse sono fatte senza fervore e intensità ognor crescente. La Comunione frequente fatta senza maggior intensità porta alla tiepidezza e ad una certa anemia spirituale, che può precedere una probabile leucemia ed è “ancora più pericolosa di un peccato mortale isolato” (A. Tanquerey, cit., p. 779). Come è rivelato anche in San Giovanni: “Siccome non sei né caldo né freddo [ossia tiepido], ti vomiterò dalla mia bocca; sarebbe stato meglio se tu fossi stato freddo [ossia in peccato, ma pentito]” (Apoc., III, 16). La tiepidezza, consistendo in una volontaria mancanza di fervore sempre più intenso, arresta l’avanzamento spirituale. Ma nella vita spirituale “non progredire significa regredire” (S. Agostino, Sermo 169, n. 18). Quindi le anime tiepide, che svolgono le pratiche religiose svogliatamente e per abitudine, è bene che non si accostino alla Comunione quotidiana, la quale sarebbe per loro infruttuosa anche se non sacrilega.

2) Attaccamento al peccato veniale deliberato

La pericolosità del peccato veniale di proposito deliberato consiste nel fatto che esso è un male morale e spirituale non direttamente contro Dio e la Religione, ma è pur sempre una deviazione dal Fine ultimo (S. Th., I-II, q. 72, a. 5), una vera offesa a Dio, una disobbedienza volontaria, anche se in materia leggera, alla sua Legge. Il peccato veniale consiste nel preferire i propri gusti alla Volontà divina; è veniale poiché non perdiamo la vita soprannaturale dell’anima come nel peccato mortale. “Quando i peccati veniali sono frutto non di fragilità, ma di piena avvertenza e di deliberato consenso, rappresentano un grave impedimento all’avanzamento dell’anima verso il Fine ultimo. […]. Il peccato veniale deliberato rappresenta una rinuncia a tendere alla santità” (A. Royo Marìn, cit., pp. 362-368).

3) Attaccamento alle imperfezioni abituali

L’imperfezione non è un atto moralmente cattivo, è un atto buono, ma “remissus” cioè che avrebbe potuto e dovuto essere migliore o più intenso in fervore. Ciò che impedisce la vita cristiana seria è il far pace con le imperfezioni e ancor più l’abitudine di restare nell’imperfezione volontaria, ossia la rinuncia a progredire. Ora “in via Dei non progredi regredi est” (S. Agostino, Sermo 169, n. 18). Quindi l’ attaccamento all’imperfezione abituale è un impedimento alla Comunione frequente fruttuosa.
Secondo San Tommaso l’ imperfezione è l’esatto contrario della disposizione all’avanzamento nella triplice via dei principianti, dei progredienti e dei perfetti (via purgativa, illuminativa e unitiva) che conduce a Dio e consiste nel porre atti buoni sempre più intensi (S. Th., II-II, q. 24, a. 6 e 9).



L’Eucarestia fine di tutti i Sacramenti

I Padri ecclesiastici ci presentano l’Eucarestia come l’ultimo complemento dei Sacramenti e della vita cristiana (ps. Dionigi l’Areopagita, De Ecclesiastica Hierarchia, cap. III, par. 1, PG 3, 324). San Tommaso d’Aquino insegna che tutti i Sacramenti sono ordinati all’Eucarestia o Santissimo Sacramento come gli inizi al loro fine. Infatti il Battesimo e la Cresima danno e fortificano la vita soprannaturale, la Penitenza e l’Estrema Unzione la restituiscono dopo il peccato, l’Ordine Sacro e il Matrimonio la estendono socialmente agli altri (i Sacerdoti ai fedeli e i genitori ai figli), l’Eucarestia la porta alla perfezione e perciò è “consummatio vitae spiritualis” (S. Th., III, q. 73, a. 3).

L’Eucarestia aumenta, se ricevuta con fervore, la grazia abituale, ci assimila sempre più a Cristo, unisce sempre maggiormente le membra del Corpo Mistico tra di loro e porta i fedeli alla vetta della perfezione spirituale. Dopo l’Eucarestia non c’è che la gloria del Cielo o la Visione beatifica. Il Catechismo romano o del Concilio di Trento (n. 228) conferma la dottrina tomistica insegnando: “Eucharistia est omnium Sacramentorum finis”.
Cerchiamo quindi di far sempre meglio la Comunione in modo che Gesù ci “transustanzi” ossia ci renda simile a Lui ognor di più.

Nella Comunione riceviamo la SS. Trinità ed anche l’Umanità del Verbo Incarnato. Dopo la consumazione delle specie eucaristiche (circa 10  minuti dopo aver comunicato) cessa la presenza reale dell’Umanità di Cristo, ma resta realmente nella nostra anima la divina Trinità, tranne che non la cacciamo col peccato mortale. Perciò cerchiamo di convivere con la SS. Trinità che ci conosce e ci ama, come il Padre conosce il Figlio e il Figlio conosce il Padre e da tale mutua conoscenza spira lo Spirito Santo. Così noi dobbiamo cercare di conoscere ed amare sempre più e meglio il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo e di conversare con loro, “come un amico parla con l’amico” (S. Ignazio da Loyola, Esercizi Spirituali). Non siamo mai soli; l’essenziale è pensare al Signore che vive in noi se siamo in grazia di Dio, non smettere di amarlo e di colloquiare con Lui: “La maggior parte dei problemi degli uomini nascono dal fatto che non sanno restar tranquilli nella loro stanza a parlar con Dio” (B. Pascal, Pensieri).

Guardiamoci dall’abitudine di far la Comunione frequentemente senza il fervore richiesto perché renderemmo sterile la vita di Unione profonda con Dio per la quale Egli ci ha creati e redenti. “Assueta vilescunt”: le cose fate abitudinariamente divengono vili ai nostri occhi. La pura abitudine, senza il fervore nella vita, spirituale e nella Comunione frequente, svilisce la ricchezza della grazia sacramentale che l’ Eucarestia di per Sé ci dona al massimo grado, ma sempre a seconda delle nostre disposizioni.

Non dobbiamo far pace con i nostri peccati veniali e imperfezioni, anche se non potremo sradicarli totalmente. La perfezione cristiana non è assoluta – questa appartiene solo a Dio – ma è relativa alle capacità umane dopo il peccato originale, è un tendere con buona volontà effettiva ad essa.

Ricorriamo alla Madonna dopo esserci spogliati del nostro “io”, secondo la Schiavitù mariana insegnata da S. Luigi Maria Grignion de Montfort, perché Ella venga in noi e riceva con le sue purissime disposizioni Gesù eucaristico e cerchiamo di far precedere la Comunione dalla meditazione o orazione mentale, che è l’anima della vita spirituale.

Con la Comunione quotidiana ben fatta potremo riparare ed attirare la Misericordia di N. S. G. C. su di noi e sui nostri fratelli peccatori per aver fatto di Lui, che prima del Concilio era il “Grande Dimenticato”, il “Grande Profanato” del postconcilio.
Paschalis
CUOR DI MARIA, CUOR DI GESU'
IN  TE CONFIDO

venerdì 11 ottobre 2013

San Buenaventura: Del admirable Sacramento del altar


San Buenaventura
Del admirable Sacramento del altar



La misericordia divina ha multiplicado en todo tiempo y momento sus exquisitos cuidados sobre las numerosas miserias del hombre. De esta consideración debe brotar de nuestros corazones un ininterrumpido hacimiento de gracias por la liberalidad de Dios en curar y prevenir tanta deficiencia de nuestra naturaleza caída con tantos y tales dones que de sus manos nos han venido y nos vienen continuamente.


Seis grandes defectos aquejaban a la naturaleza humana, que fueron subsanados adecuadamente por otros tantos beneficios divinos. Estaba el hombre despojado de todo don sobrenatural, y Dios le enriqueció con su propia inhabitación. Estaba hambriento, y se le dio El mismo como alimento restaurador. Se hallaba rodeado de densas tinieblas, y se le comunicó El mismo como luz en su propio corazón. Yacía en sombras de muerte por el juicio divino que sobre él pesaba, y se ofreció Dios mismo como víctima para su reconciliación. Estaba vencido, con espantosa impotencia para todo lo sobrenatural, y se le dio El mismo como principio de operación en orden a la vida eterna. Obstinado y cautivo su corazón con vínculos férreos, fue El quien se ofreció para relajar estas ataduras.



Estas seis profundas dolencias de la naturaleza humana y las seis misericordias divinas que son su remedio se encuentran anunciadas en la sagrada Escritura por otras tantas figuras de la Eucaristía. Estas son: la grosura, el pan, la miel, el cordero pascual, el tesoro celestial y el maná.



Las propiedades de estos elementos que figuran los efectos de la Eucaristía en el alma son: la grosura, liquidada al fuego, se difunde y empapa los cuerpos que toca; así la Eucaristía entra en los senos del alma y la hinche con sus celestiales dones. El pan alimenta y restaura las fuerzas: del mismo modo la Eucaristía calma el hambre espiritual del hombre. La miel (según se pensaba entonces) es medicina para curar los ojos; de igual manera la Eucaristía es luz que disipa las tinieblas que nos rodean. El cordero pascual era víctima que debía ser inmolada: como él, la Eucaristía es sacrificio de reconciliación del hombre con Dios. El tesoro enriquece al que nada poseía; de modo semejante la Eucaristía llena de bienes al alma despojada de todo don celestial. El maná se derretía bajo la influencia del calor solar; en modo parecido se ablanda la dureza férrea y obstinada de los corazones al contacto con el calor divino de la Eucaristía



La primera figura de la Eucaristía es la grosura (Gen 49,20). En sus propiedades naturales podemos vislumbrar los efectos sobrenaturales de la Eucaristía en el alma. La grosura es condimento en los alimentos que los hace gustosos para quien los come; así, la Eucaristía es sabroso manjar que deleita grandemente al alma que devotamente la recibe. La grosura suaviza y dilata la piel que unge; la Eucaristía dilata igualmente al alma, que saliendo de sí misma, la proyecta, con amor sobrenatural, al prójimo. La grosura, derramada sobre el fuego, excita las llamas, elevándolo a lo alto. La Eucaristía es sacrificio de oblación que conserva y fomenta la piedad y devoción. Recibida dignamente en el alma, la arrebata y eleva a Dios. 



La segunda figura con que se representa la Eucaristía es el pan. El mismo Cristo dijo de sí: “Yo soy el pan vivo que he descendido del cielo..El pan que yo daré es mi misma carne para la vida del mundo”(Juan 6,51-52.) En el Antiguo Testamento se halla igualmente figurada la Eucaristía en el pan que dio el ángel al profeta Elías (III Reyes 19,6). Efectos, pues, propios de este Sacramento son: robustecer el alma para la obra dificultosa y continuada de la propia santificación durante todo el tiempo de su destierro; capacitar y elevar el alma a las alturas de la contemplación con la comunicación de luces divinas en el entendimiento y ardorosos afectos de amor en el corazón; disponerla para recibir la comunicación de los arcanos de los divinos secretos; elevada el alma a las alturas divinas que, por misterioso modo, contempla, las bellezas y esplendores infinitos de las divinas perfecciones que se le descubren la estimulan, con bríos renovados, a desprenderse de todo lo creado y tender con vivos anhelos a la bienaventuranza que columbra.



La tercera figura de la Eucaristía es la miel, de la cual se habla en la Escritura: “Come la miel, hijo mío, porque es buena y el panal es dulcísimo para tu garganta” (Prov 23,13.) La miel es deleitosa para el gusto, y, según el decir de los médicos, es medicina para la vista. He aquí los dos grandes efectos de la Eucaristía: deleite y suavidad sabrosa que alimenta nuestros afectos, y claridad celestial que envuelve nuestro entendimiento en fulgores divinos. La solícita abeja que laboró la miel sabrosísima de la Eucaristía, fue la bienaventurada Virgen María.




La cuarta figura de la Eucaristía es el cordero pascual, del cual se habla en el Éxodo (12,35.) De las disposiciones requeridas para comer el cordero pascual, se deducen las que deben acompañar al alma que se alimenta de este sagrado manjar.

Pero conviene declarar cómo debe aparejarse el alma antes de allegarse al Sacramento, el atavío que la debe adornarla en el momento de la recepción del mismo y la copia de frutos que redunda en ella después de la comunión.

*En el primer lugar, antes de allegarse el sacerdote al Sacrificio del altar, debe estar poseído de un sentimiento de universalidad, por cuanto que no obra entonces como persona privada, sino en nombre de la Iglesia universal. Por lo tanto, en nombre de todos los vivientes debe ofrecer el Sacrificio por los que expían en el purgatorio; en nombre de los que viven y murieron en el Señor, lo ofrece para gloria y alabanza de los santos ángeles y de los bienaventurados del cielo; y en nombre de toda la universalidad de los justos, lo ofrece en honor de la Santísima Trinidad. Debe hacerse apto e idóneo para recibir tan alto Sacramento, lo que conseguirá si antes da entrada a Dios en su corazón, al cual viene por la parte racional como luz y claridad, por la parte afectiva como dulzura y bondad, y por la irascible como vigor y fuerza con que vence los obstáculos que le impiden unirse con El. 


Además de esto debe el alma procurar la caridad, en cuyos ardorosos afectos ha de andar envuelta como en encendida túnica de amor para tratar dignamente este sacramento. 

Finalmente, debe acompañarle la integridad y pureza de la fe, que traspasa las fronteras de la razón. Según esto, ha de creer que está allí el verdadero cuerpo de Cristo, nacido de la Santísima Virgen, en virtud y por obra de la transubstanciación; la presencia del alma de Cristo se explica allí por la natural concomitancia con su cuerpo; juntamente con esto, está también la Divinidad, inseparable de la humanidad en fuerza de la unión hipostática; ambas naturalezas, divina y humana, residen en el Sacramento con los profundos misterios que las acompañan.

**En segundo lugar, en el momento de la recepción del Sacramento, debe presentarse el hombre ataviado con estas santas disposiciones: primera, una pureza angelical, con la represión y pleno dominio de todo movimiento levantisco de las pasiones; segunda, esta pureza debe extenderse a todos los afectos del alma, que deben estar limpios de todo lo que sabe a terreno y caduco; tercera, ha de acompañar al alma el recuerdo vivo de la pasión de Cristo, ya que este Sacramento es memorial de ella. Cuarta, debe aspirar con sus deseos a la plenitud de la felicidad eterna, cuyos primeros sabores y vislumbres se le comunican en este Sacramento.


***Finalmente, y en tercer lugar, se manifiestan los frutos o inefables beneficios que vienen al alma después de recibir la Eucaristía, que son los que a continuación se indican. Con la comunión Cristo da entrada en nuestra alma a sus secretos y misteriosos consuelos, estableciendo en ella su mansión, la cual debemos preparar con el humilde conocimiento de nosotros mismos, con dulces transportes de amor, con el sosiego y la paz exenta de toda turbación y con la contemplación de las cosas celestiales. Disminuye la inclinación al mal, que, si bien no la extingue absolutamente, la tiene como reprimida. Da, finalmente, al alma la seguridad de la bienaventuranza eterna.



La quinta figura es el tesoro celestial que promete el Espíritu Santo en Isaías:“te daré tesoros ocultos y las riquezas escondidas; yo soy el Señor” (45,3.) Y en verdad, en Cristo se hallan los tesoros de todo cuanto es o existe, porque todas las cosas son de El, y todas son para El, y todas existen en El (Rom 11,36). En El están los tesoros de toda sabiduría, porque no sólo conoce todas las cosas con conocimiento perfectísimo y cabal, sino porque El es el principio o la luz por la que conoce todo entendimiento creado cuanto conoce. El es el depositario de los tesoros de todas las gracias según todas sus clases y géneros. En El se cifran los tesoros de toda la gloria, porque todo cuanto hace bienaventurados a los ángeles y a los hombres de El procede.



La sexta figura que representa la Eucaristía es el maná, del cual se habla en el Exodo (cap. 16.) El cuerpo de Cristo en el Sacramento es manjar nobilísimo por su origen, suavísimo por su sabor, dignísimo por su contenido y maravillosísimo por su eficacia.



Es nobilísimo este manjar por su origen. Y en verdad fue cocido por la Santísima Trinidad en el seno virginal de María con el fuego del Espíritu Santo, y por obra de la misma beatísima Trinidad fue hecho este mismísimo Cuerpo del pan material en virtud de la transubstanciación. Es también nobilísimo porque seres nobilísimos, como son los ángeles, lo comen, sin el salvado de las especies sacramentales, en cuanto es Verbo increado, el mismo que comemos nosotros oculto bajo la corteza de los velos eucarísticos, en cuanto es Verbo encarnado.



Es de sabor suavísimo, que satisface cumplidamente los deseos todos de las milicias angélicas en el cielo y estimula nuestros anhelos al logro del premio eterno en la plenitud de estas suavidades divinas.


Encierra un contenido dignísimo, porque en este Sacramento reside toda la Santísima Trinidad por presencia y asistencia, pero sin circunscribirla. Allí está el Hijo por la encarnación, y el Padre, y el Espíritu Santo por la comunicación invisible de una misma substancia.



Posee una eficacia maravillosísima, por su celestial y misteriosa operación en las almas. Cristo viene a las almas, en este Sacramento, con la plenitud de su dones, de suyo poderosos para toda obra de santificación. Sin embargo, esta acción divina está condicionada al aparejo y atavío de una voluntad buena, santidad de vida y virtudes adquiridas que deben acompañar al alma al acercarse a recibir el cuerpo de Jesucristo en la Eucaristía. 

De ahí que en los grandes santos son altas y maravillosas las operaciones que obra en ellos la Eucaristía; en las almas medianas obra con acción mitigada; en los pequeños en la virtud, con operación muy limitada; en los malos, con operación dañina. 
Siendo una y poderosísima la gracia de la Eucaristía para obrar cumplidamente las divinas maravillas en las almas, sin embargo, cada cual participa de ella según la capacidad receptiva con que se allega al Sacramento.


Los que anhelen participar de estas operaciones misteriosas de la Eucaristía en la medida colmada que Jesús desea, deben concertar su vida con arreglo a estas disposiciones: 


primera, han de despojarse de todo hábito vicioso, que les incapacitaría para percibir las dulzuras divinas; 

segunda, juntamente con esto' deben producir frutos dignos de penitencia; 

tercera, deben igualmente desprenderse de todo lo terreno: riquezas, placeres, honores; 

cuarta, a imitación de Cristo, deben abrazarse a su cruz con voluntad libre, serena y alegre, de tal modo que la amargura de los sufrimientos, que tanto aterra a los mundanos, la trueque en suavidad y dulzura por la eficacia divina que en ellos descubre.

San Buenaventura, “Del Santísimo Cuerpo de Cristo”

ADORO TE DEVOTE

martedì 8 ottobre 2013

La santa Comunione sulla lingua. Ragioni teologiche


La santa Comunione sulla lingua. Ragioni teologiche

di don Ivo Cisar

I sacramenti sono "segni e strumenti" o "segni pieni". Lo è soprattutto l’eucaristia, Corpo e Sangue di Gesù Cristo, "pieno di grazia" (Gv 1,14), nel quale "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9), "perché piacque a Dio di fare abitare in Lui ogni pienezza" (Col 1,19). Fa parte della ratio signi anche il rito.

I sacramenti "non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali (rebus) la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono, perciò vengono chiamati sacramenti della fede - fidei sacramenta" (Conc. Vaticano II, const.Sacrosanctum concilium 59, EV I 107).

Ora, la Comunione, data e ricevuta sulla lingua, è rito significativo che esprime la fede (e deve nutrirla e irrobustirla) sia nella divinità di Gesù Cristo, realmente e sostanzialmente presente sotto le specie eucaristiche, da distinguere dal cibo comune (che si prende con le proprie mani), sia nel sacerdozio ministeriale, essenzialmente differente da quello comune dei fedeli (Conc. Vaticano II, const.Lumen gentium 10b, EV I 312), significativamente espressa nella consacrazione (unzione) delle mani del sacerdote. Il sacerdozio ministeriale e l’eucaristia sono strettamente e intimamente collegati (cfr. Conc. Vaticano II, Presb. ordinis 5a-b, EV I 1252 s.).

Il rito deve essere aderente al mysterium fidei, e non deve essere lasciato all’arbitrio individuale e alla moda collettiva. Deve esserne garante il sacerdote, ministro dell’eucaristia, responsabile tanto dell’eucaristia, quanto della fede dei battezzati; egli è l’educatore dei fedeli (Conc. Vaticano II, Presb. ordinis 6).

Come il sacerdote (sacra dans), "amico dello Sposo" (Gv 3,29), agendo in persona Christi capitis (Ecclesiae), "partecipando alla funzione dell’unico Mediatore Cristo" (Conc. Vaticano II, Lumen gentium, 28, EV I 354), offre l’eucaristia, a nome della Chiesa (cfr. Offertorio e Canone Romano), a Dio Padre, così egli, minister Christi et dispensator mysteriorum Dei (1Cor 4,1), la distribuisce, quale fidelis dispensator ac prudens, quem constituit Dominus supra familiam suam ut det illis in tempore opportuno (en kairo) tritici mensuram (cibum) (Lc 12,42; Mt 24,45), cioè la "manna celeste", "pane vivo" (Gv 6,31.51), quindi, per mantenere la ratio signi, sulla lingua (cibo!) che Cristo dà oggi come quando "spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla" (Mt 14,19; 15,36) solo agli apostoli li diede direttamente, dicendo, "prendete, mangiate": Mt 26,26).

"Nel distribuire la santa comunione, si conservi la consuetudine di deporre la particola del pane consacrato sulla lingua dei comunicandi, consuetudine che poggia su una tradizione plurisecolare", Congregazione per il Culto Divino,Eucharistiae sacramentum: De sacra communione et de cultu mysterii eucharistici extra missam, 21 giugno 1973: EV IV 2531.







venerdì 21 giugno 2013

Beata Maria Baouardy



Maria aveva otto anni. Da più di un anno, si confessava tutte le settimane ma la sua felicità non era completa: Desiderava l'Eucarestia e non cessava di attendere l'ora benedetta in cui avrebbe ricevuto il suo Gesù. Provando una santa invidia per le anime che andavano a ricevere il buon Dio, le seguiva con gli occhi e con il cuo­re e diceva con tristezza: «Quando ti incontrerò, o mio Gesù? Quando potrò intro­durti nel mio cuore? Ah! non ho che otto anni e non ci si comunica per la prima volta che a dodici anni. Quattro anni di attesa! sono troppi! Affretta, affretta que­st'ora, Gesù! Scendi presto nella mia anima».


Ogni sabato, dopo la confessione, domandava al sacerdote la grazia della co­munione, e ogni volta questi le rispondeva invariabilmente: Lo permetto, mia pic­cola bambina, ma un po' più tardi. Questa risposta non la soddisfaceva molto, ma le lasciava una speranza. Egli ha detto che sarà un po' più tardi, si ripeteva, forse sarà sabato prossimo. Durante una settimana in cui aveva più speranza di essere esaudita, si preparò a questo grande atto con doppio fervore. Separata il più possi­bile dai suoi cugini, si dedicò alla preghiera e al digiuno; tutta la notte del venerdì la consacrò all'orazione. Meglio vestita del solito, si recò in chiesa, l'indomani mattina, per confessarsi; come sempre, rifece la sua richiesta per la comunione, mentre il cuore le batteva molto forte, il sacerdote le disse: Lo permetto e dimen­ticò di aggiungere: ma un po' più tardi. Venuto il momento dalla gioia corse alla sa­cra Mensa, e, senza essere vista dalla sua domestica negra, prostrata, ricevette il suo Gesù sotto forma di un bambino. Solo gli angeli potrebbero spiegarci il primo ab­braccio del Salvatore e di quest'anima. Maria era molto felice, ma occorreva che quella felicità potesse continuare. Il sabato seguente, domandò al suo confessore di potersi ancora comunicare. Il sacerdote, stupito, le disse in tono severo: L'hai già fatto? «Sì, Padre mio», rispose la candida bambina. E chi te lo ha permesso? «Lo ha fatto lei stesso, Padre mio, sabato scorso. Le ho chiesto questa grazia, co­me al solito, e lei mi ha risposto: Lo permetto, mia bambina, senza aggiungere co­me le altre volte: Ma un po' più tardi. Io, dunque, ho creduto che me lo permettes­se. Per favore, Padre mio, ora che ho ricevuto e gustato Gesù, non me ne privi più, mi lasci comunicare». Commosso da un simile linguaggio da parte di una bambina così favorita da Dio, il sacerdote le concesse la comunione ogni sabato, raccomandandole tuttavia di non rivelarlo a nessuno, neanche ai suoi parenti, che avrebbero potuto scandalizzarsi. Lei custodi fedelmente il suo segreto. Quando il tempo ordi­nario della prima comunione arrivò, Maria si lasciò festeggiare come gli altri bam­bini della sua età.

Suo zio, a quell'epoca, stava per stabilirsi definitivamente ad Alessandria d'Egitto con tutta la sua famiglia.

Gesù Amore 
accresci in me il Tuo amore

mercoledì 29 maggio 2013

MiL - Messainlatino.it: "Corrispondenza Romana": le incredibili esequie di...



Prima si assolvevano i peccatori
adesso pare che ...si assolvano i peccati

Nota sempre attualissima, se la santa Chiesa vuole aprire veramente le braccia e ...salvare


Nota trasmessa dal cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, al cardinale Theodore E. McCarrick, arcivescovo di Washington, e all’arcivescovo Wilton Gregory, presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, giugno 2004:

[...]
4. A parte il giudizio di ciascuno sulla propria dignità a presentarsi a ricevere la Santa Eucaristia, il ministro della Santa Comunione può trovarsi nella situazione in cui deve rifiutare di distribuire la Santa Comunione a qualcuno, come nei casi di scomunica dichiarata, di interdetto dichiarato, o di persistenza ostinata in un peccato grave manifesto (cfr. can. 915: - Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l'irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto).


5. Riguardo al peccato grave dell’aborto o dell’eutanasia, quando la formale cooperazione di una persona diventa manifesta (da intendersi, nel caso di un politico cattolico, il suo far sistematica campagna e il votare per leggi permissive sull’aborto e l’eutanasia), il suo pastore dovrebbe incontrarlo, istruirlo sull’insegnamento della Chiesa, informarlo che non si deve presentare per la Santa Comunione fino a che non avrà posto termine all’oggettiva situazione di peccato, e avvertirlo che altrimenti gli sarà negata l’Eucaristia. 

6. Qualora “queste misure preventive non avessero avuto il loro effetto o non fossero state possibili”, e la persona in questione, con persistenza ostinata, si presentasse comunque a ricevere la Santa Eucaristia, “il ministro della Santa Comunione deve rifiutare di distribuirla” (cfr. la dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, “Santa comunione e cattolici divorziati e risposati civilmente”, 2000, nn. 3-4).