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sabato 30 settembre 2017

SAN GIROLAMO: VITA-SCRITTI-DOTTRINA


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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 7 novembre 2007

San Girolamo

I: Vita e scritti

Cari fratelli e sorelle,
fermeremo oggi la nostra attenzione su san Girolamo, un Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere e soprattutto si è impegnato a viverla concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura.

Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l’attrattiva della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l’interesse per la religione cristiana. Ricevuto il Battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» (Cronaca dell’anno 374), riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l’Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. 

Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell’ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfr Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7) e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana: un contrasto reso celebre dalla drammatica e vivace «visione», della quale egli ci ha lasciato il racconto. In essa gli sembrò di essere flagellato al cospetto di Dio, perché «ciceroniano e non cristiano» (cfr Ep. 22,30).

Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. Alcune persone dell’aristocrazia romana, soprattutto nobildonne come Paola, Marcella, Asella, Lea ed altre, desiderose di impegnarsi sulla via della perfezione cristiana e di approfondire la conoscenza della Parola di Dio, lo scelsero come loro guida spirituale e maestro nell’approccio metodico ai testi sacri. Queste nobili donne impararono anche il greco e l’ebraico.

Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di elezione di molti monaci (cfr Contro Rufino 3,22; Ep. 108,6-14). Nel 386si fermò a Betlemme, dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14). A Betlemme restò fino alla morte, continuando a svolgere un’intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.

La preparazione letteraria e la vasta erudizione consentirono a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici: un prezioso lavoro per la Chiesa latina e per la cultura occidentale. Sulla base dei testi originali in ebraico e in greco e grazie al confronto con precedenti versioni, egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte dell’Antico Testamento. Tenendo conto dell’originale ebraico e greco, dei Settanta, la classica versione greca dell’Antico Testamento risalente al tempo precristiano, e delle precedenti versioni latine, Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore: essa costituisce la cosiddetta Vulgata, il testo «ufficiale» della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo «ufficiale» della Chiesa di lingua latina. 

E’ interessante rilevare i criteri a cui il grande biblista si attenne nella sua opera di traduttore. Li rivela egli stesso, quando afferma di rispettare perfino l’ordine delle parole delle Sacre Scritture, perché in esse, dice, «anche l’ordine delle parole è un mistero» (Ep. 57,5), cioè una rivelazioneRibadisce inoltre la necessità di ricorrere ai testi originali: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all’originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo Patto. Allo stesso modo per l’Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini, ci appelliamo al testo originale, l’ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli» (Ep. 106,2). Girolamo, inoltre, commentò anche parecchi testi biblici. Per lui i commentari devono offrire molteplici opinioni, «in modo che il lettore avveduto, dopo aver letto le diverse spiegazioni e dopo aver conosciuto molteplici pareri – da accettare o da respingere –, giudichi quale sia il più attendibile e, come un esperto cambiavalute, rifiuti la moneta falsa» (Contro Rufino 1,16).

Confutò con energia e vivacità gli eretici che contestavano la tradizione e la fede della Chiesa. Dimostrò anche l’importanza e la validità della letteratura cristiana, divenuta una vera cultura ormai degna di essere messa a confronto con quella classica: lo fece componendo il De viris illustribus (Gli uomini illustri), un’opera in cui Girolamo presenta le biografie di oltre un centinaio di autori cristiani. Scrisse pure biografie di monaci, illustrando accanto ad altri itinerari spirituali anche l’ideale monastico; inoltre tradusse varie opere di autori greci. Infine nell’importante Epistolario, un capolavoro della letteratura latina, Girolamo emerge con le sue caratteristiche di uomo colto, di asceta e  di guida  delle anime.

Che cosa possiamo imparare noi da san Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice san Girolamo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev’essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio per ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio, che si rivolge anche a noi, e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell’individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola di Dio è la Liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l’eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l’eterno, la vita eterna.
E così concludo con una parola di san Girolamo a san Paolino di Nola. In essa il grande Esegeta esprime proprio questa realtà, che cioè nella Parola di Dio riceviamo l’eternità, la vita eterna. Dice san Girolamo: «Cerchiamo di imparare sulla terra quelle verità, la cui consistenza persisterà anche nel cielo» (Ep. 53,10).


II)

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Mercoledì, 14 novembre 2007

San Girolamo

II: La dottrina

Cari fratelli e sorelle,
continuiamo oggi la presentazione della figura di san Girolamo. Come abbiamo detto mercoledì scorso, egli dedicò la sua vita allo studio della Bibbia, tanto che fu riconosciuto da un mio Predecessore, il Papa Benedetto XV, come «dottore eminente nell’interpretazione delle Sacre Scritture». Girolamo sottolineava la gioia e l’importanza di familiarizzarsi con i testi biblici: «Non ti sembra di abitare – già qui, sulla terra – nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi, quando li si medita, quando non si conosce e non si cerca nient’altro?» (Ep. 53,10). In realtà, dialogare con Dio, con la sua Parola, è in un certo senso presenza del cielo, cioè presenza di Dio. Accostare i testi biblici, soprattutto il Nuovo Testamento, è essenziale per il credente, perché «ignorare la Scrittura è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). E’ sua questa celebre frase, citata anche dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum (n. 25).

Veramente «innamorato» della Parola di Dio, egli si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?» (Ep. 30,7). La Bibbia, strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai fedeli» (Ep. 133,13), diventa così stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona. Leggere la Scrittura è conversare con Dio: «Se preghi – egli scrive a una nobile giovinetta di Roma –, tu parli con lo Sposo; se leggi, è Lui che ti parla» (Ep. 22,25). Lo studio e la meditazione della Scrittura rendono l’uomo saggio e sereno (cfr Commento alla Lettera agli Efesini, prol.). 
Certo, per penetrare sempre più profondamente la Parola di Dio è necessaria un’applicazione costante e progressiva. Così Girolamo raccomandava al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza le divine Scritture; anzi, che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare» (Ep. 52,7). Alla matrona romana Leta dava questi consigli per l’educazione cristiana della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura ... Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera ... Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini» (Ep.107,9.12). Con la meditazione e la scienza delle Scritture si «mantiene l’equilibrio dell’anima» (Commento alla Lettera agli Efesini, prol.). Solo un profondo spirito di preghiera e l’aiuto dello Spirito Santo possono introdurci alla comprensione della Bibbia: «Nell’interpretazione della Sacra Scrittura noi abbiamo sempre bisogno del soccorso dello Spirito Santo» (Commento a Michea 1,1,10,15).

Un appassionato amore per le Scritture pervase dunque tutta la vita di Girolamo, un amore che egli cercò sempre di destare anche nei fedeli. Raccomandava ad una sua figlia spirituale: «Ama la Sacra Scrittura e la saggezza ti amerà; amala teneramente, ed essa ti custodirà; onorala e riceverai le sue carezze. Che essa sia per te come le tue collane e i tuoi orecchini» (Ep. 130,20). E ancora: «Ama la scienza della Scrittura, e non amerai i vizi della carne» (Ep. 125,11).

Per Girolamo un fondamentale criterio di metodo nell’interpretazione delle Scritture era la sintonia con il Magistero della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. 
Per il grande esegeta un’autentica interpretazione della Bibbia doveva essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Non si tratta di un’esigenza imposta a questo Libro dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la Sacra Scrittura. Perciò Girolamo ammoniva un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep. 52,7). In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano – egli concludeva – deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep. 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep. 16).

Girolamo ovviamente non trascura l’aspetto etico. Spesso, anzi, egli richiama il dovere di accordare la vita con la Parola divina: solo vivendola troviamo anche la capacità di capirla. Tale coerenza è indispensabile per ogni cristiano e particolarmente per il predicatore, affinché le sue azioni, quando fossero discordanti rispetto ai discorsi, non lo mettano in imbarazzo. Così esorta il sacerdote Nepoziano: «Le tue azioni non smentiscano le tue parole, perché non succeda che, quando tu predichi in chiesa, qualcuno nel suo intimo commenti: “Perché dunque proprio tu non agisci così?”. Carino davvero quel maestro che, a pancia piena, disquisisce sul digiuno; anche un ladro può biasimare l’avarizia; ma nel sacerdote di Cristo la mente e la parola si devono accordare» (Ep.52,7). In un’altra lettera Girolamo ribadisce: «Anche se possiede una dottrina splendida, resta svergognata quella persona che si sente condannare dalla propria coscienza» (Ep. 127,4). 
Sempre in tema di coerenza, egli osserva: il Vangelo deve tradursi in atteggiamenti di vera carità, perché in ogni essere umano è presente la Persona stessa di Cristo. Rivolgendosi, ad esempio, al presbitero Paolino (che divenne poi Vescovo di Nola e Santo), Girolamo così lo consiglia: «Il vero tempio di Cristo è l’anima del fedele: ornalo, questo santuario, abbelliscilo, deponi in esso le tue offerte e ricevi Cristo. A che scopo rivestire le pareti di pietre preziose, se Cristo muore di fame nella persona di un povero?» (Ep. 58,7). Girolamo concretizza: bisogna «vestire Cristo nei poveri, visitarlo nei sofferenti, nutrirlo negli affamati, alloggiarlo nei senza tetto» (Ep. 130,14). L’amore per Cristo, alimentato con lo studio e la meditazione, ci fa superare ogni difficoltà: «Amiamo anche noi Gesù Cristo, ricerchiamo sempre l’unione con Lui: allora ci sembrerà facile anche ciò che è difficile» (Ep. 22,40).

Girolamo, definito da Prospero di Aquitania «modello di condotta e maestro del genere umano» (Poesia sugli ingrati 57), ci ha lasciato anche un insegnamento ricco e vario sull’ascetismo cristiano. Egli ricorda che un coraggioso impegno verso la perfezione richiede una costante vigilanza, frequenti mortificazioni, anche se con moderazione e prudenza, un assiduo lavoro intellettuale o manuale per evitare l’ozio (cfr Epp. 125,11 e 130,15) e soprattutto l’obbedienza a Dio: «Nulla ... piace tanto a Dio quanto l’obbedienza..., che è la più eccelsa e l’unica virtù» (Omelia sull’obbedienza). Nel cammino ascetico può rientrare anche la pratica dei pellegrinaggi. In particolare, Girolamo diede impulso a quelli in Terra Santa, dove i pellegrini venivano accolti e ospitati negli edifici sorti accanto al monastero di Betlemme, grazie alla generosità della nobildonna Paola, figlia spirituale di Girolamo (cfr Ep. 108,14).

Non può essere taciuto, infine, l’apporto dato da Girolamo in materia di pedagogia cristiana (cfr Epp. 107 e 128). Egli si propone di formare «un’anima che deve diventare il tempio del Signore» (Ep. 107,4), una «preziosissima gemma» agli occhi di Dio (Ep. 107,13). Con profondo intuito egli consiglia di preservarla dal male e dalle occasioni peccaminose, di escludere amicizie equivoche o dissipanti (cfr Ep. 107,4 e 8-9; cfr anche Ep. 128,3-4). Soprattutto esorta i genitori perché creino un ambiente di serenità e di gioia intorno ai figli, li stimolino allo studio e al lavoro, anche con la lode e l’emulazione (cfr Epp. 107,4 e 128,1), li incoraggino a superare le difficoltà, favoriscano in loro le buone abitudini e li preservino dal prenderne di cattive, perché – e qui cita una frase di Publilio Siro sentita a scuola – «a stento riuscirai a correggerti di quelle cose a cui ti vai tranquillamente abituando» (Ep. 107,8). 

I genitori sono i principali educatori dei figli, i primi maestri di vita. Con molta chiarezza Girolamo, rivolgendosi alla madre di una ragazza ed accennando poi al padre, ammonisce, quasi esprimendo un’esigenza fondamentale di ogni creatura umana che si affaccia all’esistenza: «Essa trovi in te la sua maestra, e a te guardi con meraviglia la sua inesperta fanciullezza. Né in te, né in suo padre veda mai atteggiamenti che la portino al peccato, qualora siano imitati. 
Ricordatevi che... potete educarla più con l’esempio che con la parola» (Ep. 107,9). Tra le principali intuizioni di Girolamo come pedagogo si devono sottolineare l’importanza attribuita a una sana e integrale educazione fin dalla prima infanzia, la peculiare responsabilità riconosciuta ai genitori, l’urgenza di una seria formazione morale e religiosa, l’esigenza dello studio per una più completa formazione umana. Inoltre un aspetto abbastanza disatteso nei tempi antichi, ma ritenuto vitale dal nostro autore, è la promozione della donna, a cui riconosce il diritto ad una formazione completa: umana, scolastica, religiosa, professionale. E vediamo proprio oggi come l’educazione della personalità nella sua integralità, l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e davanti all’uomo, sia la vera condizione di ogni progresso, di ogni pace, di ogni riconciliazione e di ogni esclusione della violenza. Educazione davanti a Dio e davanti all’uomo: è la Sacra Scrittura che ci offre la guida dell’educazione, e così del vero umanesimo.

Non possiamo concludere queste rapide annotazioni sul grande Padre della Chiesa senza far cenno  all’efficace contributo da lui recato alla salvaguardia degli elementi positivi e validi delle antiche culture ebraica, greca e romana nella nascente civiltà cristiana. Girolamo ha riconosciuto ed assimilato i valori artistici, la ricchezza di pensiero e l’armonia delle immagini presenti nei classici, che educano il cuore e la fantasia a nobili sentimenti. Soprattutto, egli ha posto al centro della sua vita e della sua attività la Parola di Dio, che indica all’uomo i sentieri della vita, e gli rivela i segreti della santità. Di tutto questo non possiamo che essergli profondamente grati, proprio nel nostro oggi.

AMDG et BVM

domenica 20 novembre 2016

San Girolamo Prete spiega il profeta Daniele

Dominica XXIV et Ultima Post Pentecosten 
V. Novembris ~ II. classis
Ad Matutinum  Rubrics 1960

Sancta Missa             Kalendarium

V. Dègnati, o padre, di benedirmi.
Benedizione. Per le parole del Vangelo siano cancellati i nostri peccati. Amen.

Lettura 3
Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 24:15-35
In quell'occasione: Gesù disse ai suoi discepoli: Quando vedrete l'abbominazione della desolazione, già predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo: chi legge intenda. Eccetera.

Omelia di san Gerolamo Prete
Libro 4, Comm. al capo 24 di Matteo
L'invito fattoci di sforzarci di comprendere, indica che la profezia non è senza mistero. Ora noi leggiamo così in Daniele. «E alla metà della settimana cesseranno il sacrificio e l'oblazione, e nel tempio ci sarà l'abominazione della desolazione, e la desolazione durerà! sino alla consumazione e sino alla fine» (Dan. 9,27). 

Di ciò parla anche l'Apostolo (dicendo) che «l'uomo d'iniquità [ossia: l'Anticristo!] è l'oppositore che s'innalza contro tutto ciò che si dice Dio e si adora; tanto da osare di assidersi nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio» (2Thess. 2,4): ed esso verrà accompagnato dalla potenza di satana, per far perire e ridurre nell'abbandono di Dio quelli che l'avranno accolto.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


Te Deum
Ti lodiamo, o Dio: * ti confessiamo, o Signore.
Te, eterno Padre, * venera tutta la terra.
A te gli Angeli tutti, * a te i Cieli e tutte quante le Potestà:
A te i Cherubini e i Serafini * con incessante voce acclamano:

(chiniamo il capo) Santo, Santo, Santo * è il Signore Dio degli eserciti. 

I cieli e la terra sono pieni * della maestà della tua gloria.
Te degli Apostoli * il glorioso coro,
Te dei Profeti * il lodevole numero,
Te dei Martiri * il candido esercito esalta.
Te per tutta la terra * la santa Chiesa proclama,
Padre * d'immensa maestà;
L'adorabile tuo vero * ed unico Figlio;
E anche il Santo * Spirito Paraclito.
Tu, o Cristo, * sei il Re della gloria.
Tu, del Padre * sei l'eterno Figlio.

Chiniamo il capo:
Tu incarnandoti per salvare l'uomo, * non disdegnasti il seno di una Vergine.

Tu, spezzando il pungolo della morte, * hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu sei assiso alla destra di Dio, * nella gloria del Padre.
Noi crediamo che ritornerai * qual Giudice.

Il seguente Versetto si dice in ginocchio.
Te quindi supplichiamo, soccorri i tuoi servi, * che hai redento col prezioso tuo sangue.

Fa' che siamo annoverati coi tuoi Santi * nell'eterna gloria.
Fa' salvo il tuo popolo, o Signore, * e benedici la tua eredità.
E reggili * e innalzali fino alla vita eterna.
Ogni giorno * ti benediciamo;
Chiniamo il capo, se è la consuetudine del luogo.
E lodiamo il tuo nome nei secoli, * e nei secoli dei secoli.

Degnati, o Signore, di preservarci * in questo giorno dal peccato.
Abbi pietà di noi, o Signore, * abbi pietà di noi.
Scenda sopra di noi la tua misericordia, * come abbiamo sperato in te.
Ho sperato in te, o Signore: * non sarò confuso in eterno.


AMDG et BVM

martedì 18 novembre 2014

Sole e Leone

San Girolamo: Sole che illumina le Scritture, leone nella difesa della Fede
Isabel Cristina Lins Brandão Veas
Era un piacevole bel pomeriggio d'autunno, sul finire del IV secolo. In un monastero situato nei dintorni di Betlemme, nella lontana Palestina, si udiva appena echeggiare la voce grave e compassata di un monaco, proveniente dalla sala dove la comunità intera, in silenzioso raccoglimento, ascoltava la lettura spirituale.
Gustavo Kralj  
san_girolamo.jpg
San Girolamo, di Taddeo di Bartolo -
Metropolitan Museum of Art, New York
All'improvviso, arrivò un enorme leone zoppicante. Non appena lo videro, i monaci si misero in fuga, in un tremendo parapiglia. Soltanto uno rimase seduto, impassibile: il superiore della casa. Alzatosi, chiamò la fiera con un cenno di mano. Questa si avvicinò come un docile agnellino e gli mostrò una zampa ferita. Dopo averla esaminata, il religioso predispose che i frati la curassero e dessero del cibo al felino, il quale si comportò con esemplare mansuetudine e cominciò a vivere con loro. Oltre a proteggerli e prestar loro numerosi servizi, diventò un fedele compagno del suo benefattore, il rettore del convento, celebre asceta, saggio e scrittore. E chi andava a fargli visita nella sua cella lo trovava il più delle volte con la penna in mano, curvo su una pergamena, avendo al suo fianco il maestoso re degli animali...
Sarà vera questa storiella raccontata dai più antichi biografi di San Girolamo? Secondo alcuni autori, sì; per altri, invece, si tratta di pura leggenda. Nonostante la controversia, tutti concordano che nulla potrebbe trasmettere ai posteri una nozione così puntuale rispetto a San Girolamo quanto immaginarlo convivere con un leone. Sì, infatti questo grande Padre della Chiesa fu un uomo dal carattere forte ed esplosivo, ardente di zelo per la gloria di Dio e instancabile difensore della Fede che, poiché proclamava la verità con gagliardia, meritò di esser paragonato dalla Chiesa a un leone.
Giovane studente a Roma
L'Impero Romano d'Occidente si trovava ormai al tramonto quando Girolamo giunse a Roma per la prima volta, intorno all'anno 360. Era allora un giovinetto di 12 anni di età, intelligente, deciso e volonteroso, con un futuro promettente davanti a sé. Figlio di una famiglia cristiana e benestante, egli aveva concluso la scuola elementare nella sua patria – la piccola Stridone, città della Dalmazia – e veniva a studiare in una delle famose scuole di grammatica e retorica della capitale dell'Impero.
Due caratteristiche del nuovo alunno risvegliarono presto l'attenzione dei maestri: il singolare talento letterario e il vivo entusiasmo per i classici latini, che a quell'epoca costituivano la base dell'apprendimento delle lettere. Girolamo si deliziava con la lettura di questi autori – dei quali, Cicerone era il suo preferito – non risparmiò denaro né sforzi per farsi una biblioteca personale, copiando di proprio pugno varie opere. Inoltre, dotato di un'eccellente memoria, memorizzava i testi con facilità e, col suo animo bellicoso, non esitava a declamarli davanti alla classe, sfidando le burla dei colleghi e le critiche dei professori.
Sempre attratto dalla polemica, divenne un assiduo frequentatore del foro, dove poteva integrare le lezioni apprese in classe, osservando da vicino la nobile arte oratoria. Tuttavia, se questa lo incantava, non lo illuse mai. Bambino sagace, comprendeva quanto quelle discussioni – che molte volte terminavano in offese personali – erano in genere mosse dalla vanità, mirando alla fortuna e all'applauso degli altri. E lui aspirava a cose più alte.
Sebbene fosse ancora catecumeno – poiché a quel tempo normalmente si posticipava il Battesimo a dopo l'adolescenza –, aveva aderito con tale determinazione ai principi religiosi trasmessi dai genitori, che neppure l'ambiente di decadenza dell'Urbe riuscì a scuotere le sue convinzioni. Così, nei giorni festivi era solito visitare le catacombe in compagnia di alcuni amici virtuosi, per venerare insieme i sepolcri dei martiri. Forse quelle gallerie sacre avranno risvegliato in lui l'incanto per la fortezza dei figli della Chiesa, i quali, affrontando i cesari, le moltitudini e le fiere, avevano abbracciato la morte con gioia, per amore del Regno dei Cieli. Anche lui voleva essere ammesso in questa Istituzione Sacra, generatrice di Santi ed eroi.
Sergio Hollmann
san_girolamo_2.jpg
La fiera si avvicinò a lui come un docile agnellino e gli mostrò una zampa ferita

Scene della vita di San Girolamo, di Sano di Pietro - Museo del Louvre, Parigi
Quando aveva più o meno 20 anni di età, chiese il Battesimo. Sebbene non abbia lasciato nessuna descrizione delle circostanze in cui ricevette questo Sacramento – che, come è ritenuto, gli fu amministrato da Papa Liberio –, le affermazioni da lui fatte in scritti posteriori denotano quanto l'avvenimento segnò la sua vita, al punto da dichiarare che si sentiva "romano non solo per lignaggio, ma soprattutto per aver ottenuto presso la Cattedra di San Pietro la sua consacrazione nella milizia di Cristo".1
Prima esperienza monastica
Conclusi gli studi, il giovane neofita partì per la Gallia. I motivi di questo viaggio sono sconosciuti. È probabile, però, che uno di essi fosse il desiderio di iniziare una carriera prestigiosa nella città di Treviri, che, essendo residenza abituale dell'imperatore Valentiniano I, offriva numerose opportunità. Lì egli fece il primo passo del suo glorioso percorso, non occupando una carica in quell'Impero che stava per crollare, ma servendo all'immortale Chiesa Cattolica.
Alcuni decenni prima, era arrivato a Treviri Sant'Attanasio, esiliato da Costantino, e che portava una novità per l'Occidente: la forma di vita ascetica dei monaci orientali. E certamente fu nel contatto con i religiosi appena stabilitisi nella Gallia Belgica che la grazia parlò all'anima di Girolamo, aprendola alla vocazione monastica.
Fin tanto che rimase in quella città, continuò ad aggiungere libri alla sua biblioteca personale. Nel frattempo, copiò codici molto differenti da quelli che fino a quel momento erano stati oggetto del suo interesse: due opere di Sant'Ilario di Poitiers, di cui una è il Commento sui Salmi. Con la sua trascrizione, si aprivano per Girolamo le porte dell'esegesi, nella quale egli in breve avrebbe fatto rendere i suoi talenti, producendo veri gioielli per il mondo cristiano.
La sua prima esperienza di vita monastica avvenne poco dopo, ad Aquileia, dove si unì a un gruppo di asceti da lui denominato "quasi coro dei beati",2 in tal modo erano animati dall'amore a Dio e dalla benevolenza reciproca. La Provvidenza, però, aveva altri progetti per loro. Nel desiderio di visitare la Terra Santa e conoscere l'eroismo dei solitari del deserto, abbandonò quella convivenza paradisiaca e si mise in cammino verso l'Oriente.
Dove sta il tuo tesoro...
L'itinerario del lungo viaggio passava per la città di Antiochia, nel sud dell'attuale Turchia, la cui popolazione, composta da giudei, greci e siriani, formava una società molto ellenizzata. Lì Girolamo si fermò per qualche tempo, ospitato in casa di un amico, in condizioni che gli permisero di approfondire il suo studio della lingua greca.
Sergio Hollmann
san_girolamo_4.jpg
Con l’aiuto della grazia, combatté energicamente le tentazioni sofferte in
quel periodo nel deserto


Scene della vita di San Girolamo, di Sano di Pietro - Museo del Louvre, Parigi
Tuttavia, il suo spirito non era in pace. Voleva servire Cristo; per amore a Lui aveva rinunciato alla carriera, alla famiglia e a tutti i suoi beni... eccetto uno: "Io non riuscivo a staccarmi dalla biblioteca che con tanto lavoro avevo formato a Roma. Arrivavo a digiunare – povero me! – per non tardare a consegnarmi alla lettura di Tullio. Dopo lunghe veglie in preghiera e di lacrime uscite dal fondo del mio cuore per il profondo ricordo dei miei peccati passati, prendevo Plauto in mano. Se, tornando alla ragione, decidevo di leggere un profeta, mi annoiavo col suo stile incolto; e siccome la cecità dei miei occhi m'impediva di vedere la luce, attribuivo la colpa al sole, e non ai miei occhi".3
Egli si trovava in una grande lotta interiore quando, un giorno, si ammalò gravemente, con febbri acute che lo obbligarono a stare a letto. Gli capitò allora un fenomeno curioso: "Mi sono sentito all'improvviso trasportato in spirito fino al tribunale del Giudizio. [...] Interrogato sulla mia condizione, ho risposto che ero cristiano. Ma chi lo presiedeva replicò: 'Menti, tu sei ciceroniano e non cristiano; là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore (Mt 6, 21)'. Allora ammutolii e, tra le frustate – infatti Egli aveva ordinato che mi frustassero –, mi tormentava di più il fuoco della coscienza, considerando questo versetto: Chi negli inferi canta le tue lodi? (Sal 6, 6)".4
Le buone disposizioni di Girolamo gli ottennero alla fine l'indulgenza del Signore, che lo liberò. Tornato in sé, aveva sulla schiena i segni delle frustate e sentiva dolori nel corpo. "Rimprovera il saggio ed egli ti amerà" (Pr 9, 8), dice l'Autore Sacro. Non fu diversa la reazione di Girolamo: "Da quel momento, mi sono dedicato allo studio delle letture divine come prima non avevo fatto con quelle profane".5 Dalla fedeltà a questa grazia sorsero corollari così eccellenti e abbondanti, che la Chiesa lo riconosce e venera come il Dottore Massimo nell'interpretazione delle Scritture.6
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(Edizione brasiliana del Libro delle Ore)
Traduttore ed esegeta della Bibbia,
sei stato un sole che la Scrittura illumina;
le nostre voci, Girolamo, ascolta:
noi ti lodiamo la vita e la dottrina.
Relegando gli autori profani,
il mistero divino hai abbracciato,
quale leone, che abbatte gli eretici,
i messaggi della fede hai preservato.
Hai studiato la parola divina
nei luoghi della stessa Scrittura,
e, bevendo nelle fonti il Cristo,
hai dato a tutti del miele la dolcezza.
Aspirando al silenzio e alla povertà,
nel presepio hai trovato un rifugio;
hai dato il velo a vedove e vergini,
Paola ed Eustochio hai portato con te.
Dal grande dottore istruiti,
proclamiamo, fedeli, Dio trino;
e risuonano per tutti i tempi
i messaggi del libro divino.
Prezioso frutto della lotta alle tentazioni
Con "pochi libri e molte idee elevate", 7 il monaco itinerante partì da Antiochia per la regione desertica di Calcide in Siria, vicino all'odierna Aleppo. Cercava la solitudine, ma non riuscì a goderne per molto tempo, poiché in quel deserto c'erano numerosi eremiti, e alcuni di loro divennero suoi compagni.
In questo periodo, egli subì dure tentazioni. Con l'aiuto della grazia, le combatté energicamente, unendo alla preghiera e alla penitenza un mezzo efficace per allontanare i suggerimenti del demonio: si dedicò a imparare la lingua ebraica, con l'aiuto di un frate di origine israelita. "Quanto lavoro ho consumato in questo compito" – ricordava ormai anziano – "quante difficoltà ho affrontato, quante volte, senza speranza, ho desistito per poi ricominciare".8
Oltre a rendergli meriti in Cielo, questi ardui momenti di studio furono, in realtà, le fondamenta della colossale missione che anni più tardi egli avrebbe portato a termine, traducendo la Bibbia dall'ebraico e dal greco al latino. E per questo aggiungeva: "Ringrazio ora il Signore, poiché colgo i dolci frutti di una così amara semina".9
La Provvidenza volle concedergli ancora due importanti prerogative: il sacerdozio, che ricevette ad Antiochia, non appena fece ritorno dal deserto e gli insegnamenti di San Gregorio Nazianzeno, di cui fu discepolo per tre anni, a Costantinopoli. Sotto l'impulso di questo insigne maestro, San Girolamo tradusse dal greco al latino la Cronaca di Eusebio di Cesarea e le Omelie di Origene.
Patrono dei traduttori
Un'esigenza della Santa Chiesa lo fece ritornare a Roma nel 382, convocato da Papa San Damaso per partecipare al Concilio Generale che si sarebbe lì realizzato quell'anno. Nonostante ciò, quando l'evento terminò, il Santo Padre lo trattenne al suo fianco, prendendolo come segretario e consigliere. L'amore e l'obbedienza al Vicario di Cristo erano al di sopra di tutte le aspirazioni del saggio asceta: solo tre anni dopo, a seguito della morte del Santo Pontefice, egli sarebbe tornato in Oriente.
Più che di soluzioni a problemi ecclesiastici, in questo soggiorno a Roma si occupò di lavori relativi alle Scritture, di cui il grande propugnatore era il Papa stesso. Questi lo consultò su diversi passi biblici, e le risposte tanto lo soddisfecero – non solo per la chiarezza e profondità, ma anche per il bello stile –, che presto gli ordinò la revisione del testo latino dei Vangeli, le cui versioni erano, oltre che inesatte, molto poco letterarie.
San Girolamo iniziò così la sua gigantesca opera di traduzione della Bibbia, in primo luogo a partire dal testo greco e, anni più tardi, utilizzando gli originali ebraici, dove sarebbe risultata la famosa Vulgata. Per questa magistrale impresa, e per le sagge regole di traduzione che lasciò consegnate nei suoi scritti, egli oggi è considerato, a giusto titolo, il patrono dei traduttori.
Guida, maestro e vero padre
Come gigli nati nel fango, c'erano in quella decadente Roma, contaminata dal paganesimo, anime nobili di sangue e ideali. Erano dame dell'alta aristocrazia, vergini e vedove, che, congregate da Santa Marcella, desideravano raggiungere la perfezione cristiana. Soccorrevano poveri e infermi, e difendevano schiavi; ma anche le attirava la vita ascetica: digiunavano, si dedicavano a pratiche pietose, si riunivano per recitare i Salmi e studiare la Bibbia. In San Girolamo esse trovarono un mentore, una guida, un maestro e un vero padre. Egli le orientava sui sentieri dell'ascetismo, le istruiva nella scienza delle Scritture, e giunse a costituire un progetto monastico per queste anime di élite, in una proprietà di Santa Marcella, che finì per non realizzare.
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In questo così agognato raccoglimento, il Santo Dottore trascorse gli ultimi 34 anni
della sua vita, senza smettere di lavorare


A sinistra, grotta di San Girolamo, Basilica della Natività (Betlemme); a destra, 
morte di San Girolamo, di Sano di Pietro
In tale miriade di sante spiccano Santa Paola e sua figlia Santa Eustochio, che lo seguirono nel suo viaggio definitivo in Oriente, insieme ai monaci, suoi compagni. Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa e una breve permanenza in Egitto, la comitiva si stabilì a Betlemme, dove, quasi quattro secoli prima, era nato il Salvatore. Sopra la rustica Grotta che allora Gli era servita da riparo, si ergeva ora l'imponente Basilica della Natività, costruita dall'Imperatore Costantino.
Presso il Presepio del Signore
In questo così agognato raccoglimento, il Santo Dottore trascorse gli ultimi 34 anni della sua vita, senza smettere di lavorare: alle mortificazioni e ai lunghi periodi di preghiera seguivano ore di intensa attività, in cui scriveva o dettava i suoi commenti esegetici e lettere – avendo tra i suoi corrispondenti il celebre Vescovo di Ippona, Sant'Agostino –, e componeva opere di carattere biografico e sulla Storia della Chiesa. Fu sempre lì che egli elaborò vibranti trattati apologetici, nei quali "contestò energicamente e vivacemente gli eretici che rifiutarono la Tradizione e la Fede della Chiesa".10
Dove egli trasse la forza per essere fedele a una missione così alta? Analizzando il suo lungo tragitto, possiamo notare un fattore innegabile della sua santità: un amore appassionato alla Madre di Dio, così presente nell'insieme della sua opera che "si potrebbe parlare con una certa libertà di 'mariologia girolaminiana'". 11 Uno degli scritti più famosi in cui manifesta il suo grande amore per la Madonna è il trattato in difesa della verginità di Maria, contro Elvidio, detrattore di questo privilegio. Le parole con cui lo conclude – nel suo stile inflessibile di sempre – denotano una sincera pietà mariana: "Siccome penso che tu, sconfitto dalla verità, comincerai a diffamare la mia vita e a lanciarmi maledizioni [...], ti avverto, preventivamente, che queste tue invettive, lanciate con la stessa bocca con cui hai calunniato Maria, saranno per me motivo di gloria".12
A Betlemme, dove brillò la luce della salvezza del mondo nelle mani di Maria Santissima, terminò i suoi giorni. Avendo lui forgiato la sua indole ferrea nel crogiolo della polemica e dell'ascetismo monastico, e nella soavità della devozione alla Madonna, si trasformò nel "sole che la Scrittura illumina", nel leone che, "abbattendo gli eretici", preservò i "messaggi della Fede".13
1 PENNA, Angelo. San Jerónimo. Barcelona: Luis Miracle, 1952, p.19. 
2 SAN GIROLAMO. Eusebii Chronicorum. L.II, ad ann. 379: ML 27, 507. 
3 SAN GIROLAMO. Ad Eustochium, Paulæ filiam. De custodia virginitatis. Epistola XXII, n.30: ML 22, 416. 
4 Idem, ibidem. 
5 Idem, 417. 
6 Cfr. BENEDETTO XV. Spiritus Paraclitus, n.1. 
7 MORENO, Francisco. São Jerônimo. A espiritualidade do deserto. São Paulo: Loyola, 1992, p.31. 
8 SAN GIROLAMO. Ad Rusticum monachum. Epistola CXXV, n.12: ML 22, 1079. 
9 Idem, ibidem. 
10 BENEDETTO XVI. Udienza generale, del 7/11/2007. 
11 PENNA, op. cit., p.424. 
12 SAN GIROLAMO. Adversus Helvidium. De perpetua virginitate Beatæ Mariæ, n.22. In: Obras Completas. Tratados apologéticos. Madrid: BAC, 2009, vol. VIII, p.115. 
13 MEMORIA DI SAN GIROLAMO. Inno di Laudi e Vespri. In: COMMISSIONE EPISCOPALE DI TESTI LITURGICI. Liturgia delle Ore. Petrópolis: Ave Maria; Paulinas; Paulus; Vozes, 1999, vol.IV, p.1330.
(Rivista Araldi del Vangelo, Settembre/2014, n. 136, p. 19 - 23)

venerdì 25 ottobre 2013

La solitudine



I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: La solitudine


Data: Domenica, 12 ottobre @ 16:34:35 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


 1. I Santi e i grandi uomini praticarono la solitudine. 
2. Eccellenza e vantaggi della solitudine. 
 3. Motivi di cercare e amare la solitudine. 
 4. Come bisogna diportarsi nella solitudine. 





1. I SANTI E I GRANDI UOMINI PRATICARONO LA SOLITUDINE.

Davide fuggiva, ancor ragazzo, la città e la moltitudine, dice S. Giovanni Crisostomo; abitava i deserti e non teneva commercio col secolo; non occupandosi né di negozi, né di compre, né di vendite, viveva silenzioso nella solitudine, e là, come in tranquillo porto, riposando in pace nel suo isolamento, guardava il gregge; meditava il regno dei cieli abbatteva e ammazzava gli orsi e i leoni che si gettavano su le sue pecore; li atterrava non tanto con, la forza delle sue braccia, quanto col vigore della sua fede, che attingeva nella solitudine (Homil. ad pop.). Di Giuditta narra la Sacra Scrittura, che si era scelto nel piano superiore della sua casa un piccolo e segreto appartamento, dove se ne stava ritirata con le sue ancelle (IUDITH. VIII, 5). 

 La Chiesa canta in onore di S. Giovanni Battista, ch'egli ancora tenero fanciullo, era andato a nascondersi negli antri del deserto, fuggendo le turbe dei cittadini, per non imbrattare della menoma macchia, nemmeno solo di parola, la sua vita (Hym. in fest. S. Ioann. B.). S. Giovanni si ritirò nella solitudine per imitare, ad esempio di Mosè e di Elia, lo spirito e la virtù di Gesù Cristo; cioè per quel suo allontanamento dal mondo e dai vizi del mondo, acquistò la perfezione della santità e si rese degno di essere in seguito creduto allorché mostrò Gesù Cristo. Perciò i Padri chiamano Giovanni Battista il capo, il modello, il duce dei monaci e degli eremiti. Egli abita la solitudine, anche per mostrare i pericoli del secolo e la sua corruzione, e per provare alle età future che il deserto, nido di belve feroci e di rettili velenosi, è meno pericoloso che il tumulto del mondo. 

Quanti milioni di uomini e di donne di ogni età, di ogni stato, si appartarono nella solitudine per lavorare alla loro santificazione! Leggete la vita dei Santi, e specialmente quella dei Padri del deserto... Le persone pie e contemplative hanno sempre desiderato, amato, cercato la solitudine.

I più grandi fra i Santi, dice l'Autore dell'Imitazione di Gesù Cristo, hanno sempre evitato quanto potevano il commercio con gli uomini, e scelto la solitudine per vivere di Dio e per Iddio (Lib. I, c. XX, n. 1). I grandi uomini hanno in ogni tempo guardato la solitudine come un soggiorno di vere ricchezze, di felicità, di delizie, di pace, di sicurezza, di virtù, di perfezione, come un luogo sicuro dai pericoli e dalle seduzioni... I gentili medesimi conobbero la vita solitaria, l'ebbero in pregio e parecchi la praticarono. Per testimonianza di Plutarco, Scipione l'Africano diceva ch'egli non era meno solo che quando era solo; e non mai meno ozioso che nella solitudine.
 2. ECCELLENZA E VANTAGGI DELLA SOLITUDINE. -

Come la terra nasconde nelle sue viscere l'oro, come il mare tiene sepolte nel suo seno le perle, come il suolo copre le radici degli alberi, così la virtù degli umili e dei Santi è sempre nascosta in questo mondo, sia da essi, sia da Dio, sia principalmente dall'amore alla solitudine... E Gesù medesimo non opera egli forse in segreto con la sua grazia e con i suoi doni?... La vita degli anacoreti, degli eremiti, fu vita nascosta nella solitudine. Il Salmista medesimo diceva: « Io sono fuggito, mi sono allontanato, ed ho fissato la mia dimora nella solitudine» - E perché ciò? «Perché ho veduto la violenza e la discordia correre da padrone il mondo, l'iniquità sedervi regina. Il delitto, la frode, l'usura e l'inganno non si partono mai dalle pubbliche piazze» (Psalm. LIV, 8-12).

 Nell'Apocalisse si legge che alla donna perseguitata dal dragone furono date due ali, affinché volasse nel deserto, lontano dalla vista del serpente (Apoc. XII, 14). Ecco il precetto che Dio fa ad ogni cristiano, sottrarsi alle insidie del serpente infernale, riparando alla solitudine.

Perciò, S. Gerolamo diceva a Rustico: «Abbiti la cella in conto di paradiso. Per me la città è un carcere, la solitudine un paradiso (Epist.)». E S. Nilo, discepolo del Crisostomo, afferma che ha l'anima invulnerabile alle saette del nemico chi ama la solitudine; ma chi ama di stare con la moltitudine, riporterà frequenti, crudeli ferite (In Vit. Patr.).

 Ascoltate come stupendamente descrive Isaia, al capo XXXV, l'eccellenza ed i molteplici vantaggi della solitudine: Il deserto si allieterà; la solitudine sarà nell'allegrezza e fiorirà come un giglio. Essa germinerà da tutte le parti e tripudierà cantando inni di lode. A lei è data la gloria del Libano, la bellezza del Carmelo, la fertilità di Saron; riconoscerete la gloria del Signore e la grandezza del mio Dio. Ecco il vostro Dio, viene egli in persona e vi salverà. Allora gli occhi dei ciechi e le orecchie dei sordi si apriranno; lo zoppo correrà agile come un cervo; la lingua dei muti parlerà spedito e chiaro; i macigni del deserto si spaccheranno e fiumi d'acqua correranno ad irrigare la solitudine. La terra più arida sarà convertita in uno stagno, fontane zampillanti bagneranno zolle arse e disseccate; là ove tenevano loro giaciglio i serpi, verdeggeranno le canne e i giunchi. E là vi sarà una via, la via santa; l'impuro non vi passerà, gl'insensati non vi cammineranno. Né leoni, né bestie feroci vi porranno piede; è il cammino degli uomini che furono liberati. Il Signore li ha riscattati; essi ritornano a lui, si affollano a Sionne cantando le sue lodi; una gioia perpetua corona loro il capo; essi vivranno nell'allegrezza e nell'estasi; il dolore e il gemito sono partiti per sempre dal loro cuore.

Il Signore consolerà Sionne, dice il medesimo Profeta in altro luogo (LI, 3), ne ristorerà le rovine; i suoi deserti diventeranno luogo di delizie, la sua solitudine un nuovo Eden. Tutto spirerà gioia ed allegrezza; si udiranno risonare da ogni lato azioni di grazie e cantici di lode. « Perciò uscite di mezzo al mondo e separatevi, dice il Signore; e non toccate nulla d'impuro; ed io vi accoglierò e sarò padre e voi sarete miei figli e mie figlie» (II Cor VI, 17-18).

 Quante grazie, quanti favori particolari ed abbondanti promette e concede il Signore alle anime elette e privilegiate perché lasciano il mondo per ritirarsi nella solitudine! «La solitudine è la forma e la regola della sapienza, scrive S. Gerolamo; la solitudine è di per se stessa una predicazione ed esortazione alla virtù; allora ci prepariamo il cielo quando ci allontaniamo dal mondo (Epl. ad Theresiam.) ».

Un altro amante della solitudine esclamava: O quanto bassi e spregevoli mi paiono tutti gli onori, tutte le altezze del mondo! solo i deserti mi attirano; mi danno noia le città e il mondo intero. O beata solitudine! o sola beatitudine, compagna ed emula degli Angeli!... Perciò Iddio dice per bocca di Osea: «Io la condurrò nella solitudine, e le parlerò al cuore!» (OSE. II, 14). Ecco quello che trasse gli Antoni, i Paoli, gli Ilarioni, gli Stiliti, i Macarii a lasciare il mondo e internarsi nella solitudine dove, liberi dal commercio degli uomini, dai pericoli, dagli allettamenti, dagli inganni, dagli scandali, si consecrarono all'orazione, allo studio delle cose celesti; e dove bruciando di amore, pieni di santi desideri, non respirarono che per il cielo, per Gesù Cristo, in Gesù Cristo, di Gesù Cristo.

 «Io porrò la vera strada nella solitudine » (ISAI. XLIII, 19), dice il Signore per bocca d'Isaia, e i deserti si cambieranno in laghi, e le aride lande saranno bagnate da canali di acqua che farò scaturire sul pendio dei colli e in mezzo ai campi. Farò nascere nel deserto il cedro, il legno di Sethin, il mirto e l'olivo. L'abete, l'olmo e il bosso intrecceranno l'ombra del loro fogliame in mezzo alla solitudine. Sappiano i mortali che la mano di Dio ha fatto questi prodigi (ISAI. XLI, 18-20).

«O solitudine, esclama S. Gerolamo, primavera carica dei fiori di Gesù Cristo! O solitudine, nella quale nascono le pietre preziose di cui dice l'Apocalisse che è costrutta la città del gran Re! O solitudine che parli familiarmente a Dio nella gioia! Che fai tu, fratello mio, nel secolo, tu più grande del mondo tutto? Per quanto tempo ancora ti schiaccerà l'ombra dei tetti? Fino a quando tuttavia, o Eliodoro, la bella prigione delle città ti terrà prigioniero? (Epist. ad Heliod.)».

 Volete altre prove degli immensi vantaggi che procura la solitudine? Eccovi Abramo, Isacco, Giacobbe: Dio compare a loro e li ammaestra dei suoi misteri nella solitudine. Quivi essi apprendono la venuta e l'incarnazione del Messia, nel quale tutte le nazioni sarebbero benedette.
Nella solitudine Dio sceglie Mosè a capo e liberatore del popolo d'Israele: nella solitudine il Signore gli appare in mezzo al roveto ardente e gli palesa le sue volontà. Nella solitudine di quarant'anni egli impara a governare la nazione giudea. Il deserto è per lui una terra santa nella quale il Signore gli svela meraviglie non mai più vedute.
Nella solitudine gli Ebrei furono nutriti miracolosamente, per quarant'anni, di un pane disceso dal cielo; nella solitudine ebbero a guida una colonna di fuoco che rischiarava loro i passi la notte, e li difendeva come una. nube il giorno, dagli ardenti raggi del sole; nel deserto videro le acque zampillare dai macigni e il serpente di bronzo che li salvò dallo sterminio. Nel deserto, non nell'Egitto, Dio si manifestò ad essi e diede loro la sua legge.

Nella solitudine Elia si vede rapito e portato al cielo sopra un carro di fuoco; Davide è scelto ad essere re; Giovanni Battista è addestrato al suo ministero. Nella solitudine l'angelo compare a Maria e le annunzia che il cielo l'ha eletta a madre del Redentore. Nella solitudine Gesù Cristo nasce e passa i primi trent'anni di sua vita. Nella solitudine gli Apostoli ricevono tutti i doni dello Spirito Santo e sono trasformati in uomini divini. Nella solitudine si formano le vergini di Gesù Cristo, perla del suo popolo, gemma e gloria della Chiesa.

«O anima santa, esclama S. Bernardo, sii sola, affinché ti conservi a quel Dio unico, che solo hai scelto per tuo. Credi a chi ti parla per esperienza, la solitudine è lo steccato ed il bastione delle virtù. Molte più cose apprenderai nelle foreste che non nei libri; gli alberi e i macigni t'insegneranno quello che non potresti imparare dai maestri » (Serm. XL, in Cant.).

Non solamente la solitudine toglie l'occasione di peccare, ma di più innalza l'anima fino a Dio. «Sederà solitaria e taciturna, perché si leverà sopra se stessa» (Lament. III, 28). «Chi in te dimora, o solitudine, esclama S Basilio, s'innalza sopra se stesso, perché l'anima avendo fame di Dio, si solleva al di sopra di tutto ciò che è terreno; ella si aggrappa e sta sospesa alla rocca della contemplazione; divisa dal mando, vola verso il cielo e sforzandosi di vedere colui che sta al di sopra di tutte le cose, s'innalza, con nobile disprezzo, sopra di se medesima e di tutte le creature» (De Laud. vitae solitariae). La solitudine rende l'anima tranquilla, raccolta e presente a se stessa; la riempie dell'unzione delle cose celesti.

*Ma nessuno meglio del gran solitario S. Basilio ci descrive la felicità della solitudine.

«La vita solitaria è scuola di celeste dottrina e di arti divine. Là non s'impara che Dio, la strada che conduce a Dio, e tutto ciò che bisogna sapere per giungere alla cognizione del sommo vero. L'eremo è paradiso di delizie, dove esalano gli aromi delle virtù, dove le rose della carità fiammeggiano del calore di fuoco; dove i gigli della castità risplendano di niveo candore e frammiste ai gigli e alle rose olezzano le viole dell'umiltà. Qui stilla la mirra della mortificazione non solo della carne ma, gloria più grande, della volontà propria, e svapora del continuo l'incenso di una assidua orazione. O solitudine, delizia delle anime sante e dolcezza inesauribile d'interne consolazioni! Tu sei quella fornace caldea nella quale i santi fanciulli smorzano con la potenza delle loro preghiere le fiamme dell'incendio che li investe. Tu sei il forno nel quale il re superno mette a cuocere i suoi vasi di gloria, battuti col martello della penitenza, perché sieno perfetti e puliti con la lima della salutare correzione, affinché acquistino lucentezza.

O cella solitaria in cui si negozia il cielo! Felice commercio in cui si cambia la terra col paradiso, quello che passa con quello che eternamente resta! O solinga cella, mirabile officina di spirituali esercizi, in cui l'anima umana ristora in sé l'immagine del suo Creatore e la fa ritornare alla sua originale purità e bellezza! O solitudine, tu procuri che vegga Dio con puro cuore quell'uomo che poco fa, avvolto in dense tenebre, ignorava Dio e se medesimo: tu fai sì che l'uomo, appostato su la torre della sua mente, vegga scorrere sotto a sé e scomparire quanto vi è di terreno, e se stesso, passare con le altre cose.

O solitudine, o celletta, campo di Dio, torre di Davide, spettacolo degli Angeli, dimora di quelli che valorosamente combattono! O deserto, morte dei vizi, focolare e alimento delle virtù!

Mosè deve a te l'aver ricevuto per due volte il Decalogo; per te, Elia vide passare il Signore; per te, Eliseo ricevette il duplice spirito del suo maestro. Tu sei la scala di Giacobbe, che porti gli uomini al cielo, e riporti il soccorso degli Angeli alla terra! O vita solitaria, bagno delle anime, purgatorio che lavi le macchie! O cella, tu sei il luogo, dove vengono a consiglia Dio e l'uomo. O eremo, felice ricovero contro le persecuzioni del mondo, riposo dei travagliati, consolazione degli afflitti, frescura contro gli ardori del secolo, divorzio dal peccato, reclusione dei corpi, libertà delle anime, deposito di gemme celesti, curia dei divini senatori! Dove l'uomo vincitore dei demoni, diventa compagno degli Angeli; esule dal mondo, diventa erede del paradiso; rinnegando sé, diventa seguace di Gesù Cristo (De laud. Eremi)».


*Udite anche S. Bernardo: «L'abitazione di una cella e l'abitazione del cielo sono sorelle: poiché siccome il cielo e la cella paiono avere una certa affinità di nome, così l'hanno di pietà. Infatti cielo e cella sembrano derivare dal verbo celare, e ciò che sta celato o nascosto nei cieli, sta pure celato a nascosto nelle celle.
Quello che si cerca nei cieli, si trova nelle celle. Qual è la vita che si vive nel cielo, e quale quella che si tiene nelle celle? Non altra in verità, se non occuparsi di Dio, godere Dio. Quando nelle celle si adempie ogni cosa, seconda l'ordine, piamente e fedelmente, io non dubito di affermare che i santi Angeli di Dio trovano i cieli nelle celle; e tanto si dilettano nelle celle, quanto nei cieli.

Per l'ordinario dalle celle si ascende al cielo, e non quasi mai dalla cella si discende nell'inferno, perché di rado avviene che uno resti nella cella fino alla morte, se non è predestinato al cielo. La cella è una terra santa, un luogo sacro nel quale l'anima fedele si unisce frequentemente col Verbo di Dio; la sposa si congiunge con lo sposo, la terra col cielo, il divino con l'umano.

La cella del servo di Dio è come il tempio santo di Dio; infatti nel tempio e nella cella si trattano le cose divine, ma più di frequente nella cella. Se per Iddio voi in terra vi appartate dalla società degli uomini, otterrete da Dio nel cielo la società degli Angeli (Epist. ad Fratres de Monte Dei)». O fortunata solitudine, esclama Musio Cornelio, o unica beatitudine che gustano quelli che ti amano! Come sono felici le anime privilegiate e candide che volano nelle tue braccia e si allontanano da questo mondo, tutta perfidia! (In Laud. Vitae solitariae).

 3. MOTIVI DI CERCARE E AMARE LA SOLITUDINE. -
I motivi che devono indurci a cercare la solitudine ci sono accennati sotto figura in quelle parole d'Isaia: Si ode una voce gridare nel deserto: Preparate le strade al Signore, raddrizzate le vie che conducono a lui, abbassate i colli, colmate le valli, appianate quello che è montuoso. Una voce mi ordina di gridare: e che cosa griderò io? Tutti i mortali non sono che erba, e la loro bellezza rassomiglia al fiore del campo. Il Signore manda un soffio ardente, e l'erba del prato langue appassita, il suo fiore cade spento (ISAI. XL, 3-4, 6-8). Ah! scostatevi, partite, allontanatevi, uscite dal tumulto degli uomini, non toccate nulla d'impuro, mondatevi. Il Signore camminerà dinanzi a voi (Id. LII, 11-12).

O con quanta verità si può dire, di chi abita in mezzo al tumulto del secolo, quello che Geremia lamentava del popolo ebreo: «Giuda abitò in mezzo alle nazioni, incontrò afflizione e schiavitù e non trovò riposo; i suoi persecutori lo colsero tra le angustie» (Lament. I, 3). No, non vi è riposo in mezzo al mondo, ma afflizione, schiavitù, persecuzioni, ambasce. La solitudine non è funestata da questi mali. Ah! gridiamo pure anche noi col medesimo Profeta: Ora perché non mi è dato di andarmi a seppellire in fondo a un deserto, per essere con Dio o con gli Angeli suoi, e non funestarmi l'animo con la vista di tanti delitti e prevaricazioni? (IEREM. IX, 2).

 «Fuggi il pubblico, scriveva S. Bernardo, fuggi perfino i tuoi familiari, allontanati dagli amici anche più intimi. Non sai tu che hai uno sposo così verecondo e riservato, che non vuole mostrarsi a te in presenza d'altri? (Epist. CVII)».
«È difficile, dice S. Giovanni Crisostomo, che un albero piantato lungo una strada, conservi fino alla maturità i suoi frutti; così pure è cosa rara che un'anima conservi, in mezzo alla gente del secolo, la sua innocenza fino alla fine. Quanto meno una persona prende parte alle faccende del mondo, tanto più l'anima sua è infiammata di fervore e di amar di Dio (In Moral.) ». Come la peste mena strage fra un esercito o una città popolosa, lasciando immune la campagna e la solitudine, così è della peste dei vizi; essa serpeggia continuamente e miete vittime in mezzo al mondo.

«Quante volte io sono stato fra gli uomini, tante ne sono tornato meno uomo», dice l'autore dell'Imitazione, e conchiude: «Quegli adunque che intende di arrivare al raccoglimento ed alla spiritualità, bisogna che con Gesù si allontani dalla moltitudine (Imit. Christi, p. I, c. XX, n. 2)». Sì, leviamoci e andiamo nella solitudine, perché in mezzo al mondo non abbiamo riposo (MICH. II, 10). Fuggiamo da Babilonia, e ciascuno scampi l'anima sua (IEREM. LI, 6).

Utile a tutti, la solitudine è specialmente vantaggiosa a quelli che devono deliberare su la scelta dello stato. Ecco l'avviso di S. Bernardo su questo punto: «Chi desidera udire la voce di Dio, si ritiri nella solitudine. Chi prepara l'orecchio interiore ad ascoltare la voce del cielo, voce più dolce del miele, fugga i negozi esteriori affinché l'anima spigliata e libera possa dire con Samuele: Parlate, o Signore, che il vostro servo vi ascolta. Questa voce di Dio non suona già su le piazze, né si ode fra i pubblici ridotti; un consigliere segreto richiede un uditore segreto. Questo gran Dio vi darà certamente la consolazione e la gioia, se lo udite attenti e raccolti. Così si preparava Davide allorché diceva: lo ascolterò quello che parlerà il Signore, perché egli parlerà il linguaggio della pace al suo popolo ai suoi Santi ed a quelli che rientrano in se stessi; significando con questo, che Dio non discorre con quelli che stanno al di fuori di se stessi, occupati in faccende esteriori, ma bensì a quelli che stanno raccolti in pensieri interni» (De Vita contempl.).

Consultiamo le Scritture, scrive Ugo da S. Vittore, e noi vedremo che Dio non ha quasi mai parlato in mezzo alla moltitudine. Quando volle dare al mondo qualche suo ordine, si manifestò non ad un popolo, o ad una nazione intera, ma soltanto ad alcuni in particolare ed a questi ancora non in mezzo allo strepito, ma o nel silenzio della notte, o nella solitudine, su le montagne, nelle foreste, nelle valli deserte. Così parla a Noè, ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, a Mosè, a Samuele, a Davide, a tutti i Profeti. Ora perché Dio parla solamente nella solitudine, se non per chiamarci ad essa? e perché parla a poche persone, se non per incoraggiarci a vivere nella solitudine e a unirci a lui? (Lib. IV, de Arca Noe, c. IV). O quanto potenti ragioni ci stringono ad allontanarci dallo strepito del mondo corrotto, a ritirarci e a vivere, per quanto è possibile, in mezzo alle ricchezze ed alle dolcezze della solitudine!

 Né altrimenti la pensarono intorno a questo punto i sapienti pagani. «La tranquilla sicurezza della solitudine tiene lontano il dolore; temere il tumulto procura consolazione», dice Tolomeo (Protog. Almagesti). Poche persone mi bastano, dice Democrito, mi contento di una, sto benissimo senza nessuna. Io mi sono appartato non solamente dagli uomini, ma dagli affari e primieramente dalle molteplici mie occupazioni. Bisogna che tratti duramente il corpo, chi non vuol perdere l'anima miseramente.

Tu mi chiedi, scriveva Seneca a Lucilio, che cosa si debba fuggire più di tutto? Io ti rispondo: La folla; poiché non ci potrai stare mai con sicurezza. Io confesso schiettamente la mia debolezza: non riporto mai intera a casa, la misura di bontà che ho portato di casa in mezzo alla moltitudine; quello che di bene ho stabilito di fare, sfuma; e qualche briciola di quello che aveva risolto di evitare, mi si attacca di nuovo. Il pubblico con cui conversiamo è fiero nostro nemico; tutti cercano di parteciparci qualche vizio, d'inocularlo in noi, senza che né noi né essi ce ne accorgiamo. È poi cosa assai riprovevole l'assistere, senza sufficienti motivi, a qualche spettacolo; perché allora i vizi s'impadroniscono di noi per mezzo del piacere.

Che cosa dirai di me, se ti dico che mi ritiro sempre dalla moltitudine più inclinato all'ambizione, all'avarizia, alla lussuria? che ne esco più crudele, più inumano, perché sono stato in mezza agli uomini? Ah! credimi: nessuno di noi ha in sé tanta forza che basti a sostenere l'urto impetuoso dei vizi che giungono accompagnati da tanta caterva di uomini; un parlatore fino ed accorto snerva ed infiacchisce a poco a poco; un vicino ricco eccita la cupidigia; un compagno cattivo ti attacca il suo male, per quanto candido ed innocente tu possa essere. Raccogliti per quanto puoi in te stesso; non accompagnarti se non con quelli che possono renderti migliore, non ammettere alla tua società se non quelli che credi possano renderti tale. Questo si fa vicendevolmente; gli uomini imparano istruendosi gli uni gli altri (Epist. ad Lucil. c. VII).


 4. COME BISOGNA DIPORTARSI NELLA SOLITUDINE. -

Bisogna, dice S. Gerolamo, che il cristiano, ad imitazione di Abramo il quale uscì dalla sua terra e abbandonò la sua parentela, si allontani dai Caldei che sono i demoni, e vada ad abitare nella regione dei vivi. Non gli basta uscire dal suo paese; deve ancora dimenticare il suo popolo, la casa del padre suo, affinché, disprezzando i legami della carne, si possa congiungere in celeste abbracciamento con lo sposo divino (In Gen.)... La terra che dobbiamo abbandonare, ad esempio di Abramo, è anche la nostra carne che bisogna mortificare e castigare... È necessario tener ci pronti a sostenere e soffrire le diverse prove che si incontrano nella solitudine... Una volontà annichilata..., un'obbedienza pronta, costante, cieca..., un'umiltà profonda..., il silenzio...; ecco i fondamenti della vita solitaria... Come S. Antonio ebbe veduto e udito S. Paolo, primo eremita, disse rivolto ai suoi discepoli: Misero me peccatore, che indegnamente porto il nome di monaco! Ho veduto Elia, ho veduto Giovanni nel deserto ed ho veduto in verità S. Paolo nel paradiso (Vit. Patr.).

 La solitudine del corpo non basta, se non le è congiunta la solitudine dell'anima; e questa non si ottiene, se l'anima si trattiene in ciò che ha veduto od inteso fuori della solitudine, se stando il corpo nella solitudine, ella si divaga e passeggia per il mondo; se ad imitazione del popolo ebreo nel deserto, si rammarica tuttavia della schiavitù d'Egitto da cui si è sciolta, se rimpiange i vantaggi materiali che ne ricavava...

Dio è spirito, osserva S. Bernardo, egli domanda dunque a noi la solitudine spirituale anziché la corporale.... Sola e vera solitudine è quella dell'anima e dello spirito. Tu sei solo, se non pensi alle cose terrene e spregevoli, se non tieni il cuore nei beni presenti, se non t'importa nulla di ciò che il mondo desidera di più, se ti fa schifo quello di cui gode la maggior parte degli uomini, se eviti le discordie, se non ti lasci abbattere dai danni temporali, se dimentichi le ingiurie. Diversamente, se anche sei solo di corpo, non sei mai solo.

Bisogna che ti sollevi sopra di te per sposarti al Signore degli Angeli. Non è forse tuo dovere innalzarti sopra te stesso, per abbracciarti a Dio ed essere con lui un solo e medesimo spirito? Sii dunque solitario come la tortorella; non vi sia nessuna relazione tra te e il mondo; dimentica il tuo popolo e la casa paterna, e il Re del cielo sarà vinto dalla tua spirituale bellezza. O anima eletta, sii sola per servire degnamente al Dio unico che solo hai preferito. Sii dunque nella solitudine, ma con lo spirito, con l'anima, col cuore, e non col corpo solamente. Sii nella solitudine con l'intenzione e con la divozione: siivi tutta intera senza riserva (De vita contempl.).


 Chi ha lasciato l'onagro in libertà, chi ne ha sciolto i legami? dice Giobbe: Chi gli ha dato per dimora la solitudine e per ritiro il deserto? Egli si ride dello strepito delle città, non ode le grida di nessun padrone; corre per i pascoli dei monti cercando l'erba fiorita (IOB. XXXIX, 5-8). Sopra queste parole S. Gregorio Papa fa il seguente commento: Le persone contemplative abitano la solitudine dell'anima come onagri e, sciolti dai tumultuosi affari del secolo, hanno sete di Dio solo; infatti che cosa vale la solitudine del corpo se è disgiunta dalla solitudine del cuore? Perciò è necessario il raccoglimento, il ritiro dell'anima, a chi vuol menare una vita conforme alla propria vocazione, attutire l'interno moto dei terreni desideri che si contrastano, sedare con la grazia divina le cure e le sollecitudini estranee alla salute, scacciare dagli occhi dello spirito tutte le distrazioni che gli volano dinanzi come mosche velenose. Per ciò bisogna cercare di essere solo in segreto con Dio, e, spogliandoci dì tutto ciò che sa di esteriore, studiarci di parlargli in silenzio con ardenti affetti interiori (Moral. 1. XXX, c. XII).

 Iddio sparge i suoi dolci profumi soltanto dove incontra un'anima sciolta affatto da ogni impaccio di terra, e principalmente staccata da se stessa, un'anima pura e morta a tutte le cose del mondo. E ciò è giusto. È dunque necessario per chi intenda profittare di tutti i vantaggi della solitudine: 1° rinunziare al mondo esteriore, al corpo, ai parenti, agli amici, alla casa, al paese, ai beni, alle ricchezze, agli onori; 2° rinunziare al mondo interiore, ai propri desideri e affetti e voleri. 

*Qui torna a proposito una singolare osservazione dell' Abate Giovanni Malburnio, che vogliamo riportare anche a titolo di documento storico. Egli adunque constata che per più ragioni diversi ordini religiosi erano ai suoi giorni decaduti dal loro splendore e dalla loro santità primitiva. I Bernardini caddero per oziosità; il terz'ordine si sciolse. per le troppo grandi occupazioni rurali; i Premonstratensi si rilassarono per il troppo smisurato numero di messe e le troppe occupazioni di coro; i mendicanti non si sostennero a motivo della loro troppo grande familiarità coi secolari: essi frequentavano troppo la moltitudine e avvenne loro quello che dice il Profeta: «Si mescolarono tra le nazioni, ne appresero le opere, e questo fu la loro ruina» (Psalm. CV, 35-36); i Benedettini decaddero per le loro troppo grandi ricchezze. Se i Certosini conservarono sino al presente il primiero lustro e vigore, ne vanno debitori all'amore della solitudine e del silenzio ed alla rigorosa osservanza delle visite ordinate dalla regola. Queste tre cose sono racchiuse nel verso latino "Per tria: si so vi, permanet Cartusia in vi!" (In Roseto lib. I, c. III). Si, indica silenzio; so, la solitudine; vi, la visita (dei religiosi ispettori-visitatori).