Vedo Maria fra mezzo al padre e alla madre camminare per le vie di Gerusalemme.
I passanti si fermano a guardare la bella Bambina, tutta vestita di un bianco di neve
e avvolta in un leggerissimo tessuto che per i suoi disegni, a rami e fiori, più
opachi fra il tenue dello sfondo, mi pare sia lo stesso che aveva Anna il giorno
della sua Purificazione. Soltanto che, mentre ad Anna esso non sorpassava la
cintura, a Maria, piccolina, scende fin quasi a terra e l'avvolge in una nuvoletta
leggera e lucida di una vaghezza rara.
Il biondo dei capelli sciolti sulle spalle, meglio, sulla nuca gentile, traspare là dove
non vi è damascatura nel velo, ma unicamente il fondo leggerissimo. Il velo è
trattenuto sulla fronte da un nastro di un azzurro pallidissimo, su cui, certamente
per opera della mamma, sono ricamati in argento dei piccoli gigli.
L'abito, come ho detto, candidissimo, scende fino a terra, e i piedini appena
si mostrano nel passo, coi loro sandaletti bianchi. Le manine sembrano due
petali di magnolia che escano dalla lunga manica. Tolto il cerchio azzurro del nastro,
non vi è altro punto di colore. Tutto è bianco. Maria pare vestita di neve.
Gioacchino ed Anna sono vestiti, lui con lo stesso abito della Purificazione, e Anna
invece di viola scurissimo. Anche il mantello, che le copre anche il capo, è
viola scuro. Ella se lo tiene molto calato sugli occhi. Due poveri occhi di
mamma, rossi di pianto, che non vorrebbero piangere e non vorrebbero,
soprattutto, esser visti piangere, ma che non possono non piangere sotto la
protezione del manto. Protezione che serve per i passanti, e anche per Gioacchino,
che del resto ha il suo occhio, sempre sereno, oggi arrossato e opaco di
lacrime già scese e ancora scendenti, e che va molto curvo sotto il suo velo messo
a quasi turbante, con le ali laterali che scendono lungo il viso.
Un vecchio affatto, ora, Gioacchino. Chi lo vede deve pensarlo nonno e forse
bisnonno della piccolina che egli ha per mano. La pena di perderla dà al povero
padre un passo strascicante, una lassezza di tutto il portamento che lo invecchia di
un vent'anni, e il viso pare quello di un malato oltre che vecchio, tanto è
stanco e triste, con la bocca che ha un lieve tremito fra le due rughe, che
sono così marcate oggi, ai lati del naso.
Cercano i due di celare il pianto. Ma, se possono farlo per molti, non lo possono
per Maria, che per la sua statura li vede dal basso in alto e, alzando il piccolo capo,
guarda alternativamente il padre e la madre. Ed essi si sforzano di sorriderle
con la bocca che trema, e aumentano la stretta della loro mano sulla manina
minuta ogni volta che la loro figliolina li guarda e sorride. Devono pensare: «Ecco.
Un'altra volta di meno da vedere questo sorriso».
Vanno piano. A rilento. Pare vogliano protrarre il più a lungo il loro cammino.
Tutto serve a fermarsi... Ma una strada deve pur finire! E questa sta per finire.
Ecco là, in cima a questo ultimo pezzo di strada che sale, le mura di cinta del
Tempio. Anna ha un gemito e stringe più forte la manina di Maria.
«Anna, cara, io sono con te!» dice una voce, uscendo dall'ombra di un basso
arco gettato su un incrocio di strade. È Elisabetta, che certo era in attesa, la
raggiunge e stringe al cuore. E, posto che Anna piange, le dice:
«Vieni, vieni in questa casa amica per un poco. Poi andremo insieme. Vi è anche
Zaccaria».
Entrano tutti in una stanza bassa e scura, in cui è lume un vasto fuoco. La padrona,
certo amica di Elisabetta, ma estranea ad Anna, cortesemente si ritira lasciando
liberi i sopraggiunti.
«Non credere che io sia pentita, o che dia con mala volontà il mio tesoro al Signore»
spiega Anna fra le lacrime... «ma è che il cuore... oh! il mio cuore come duole,
il mio vecchio cuore che torna nella sua solitudine di senza figli!... Se sentissi...»
«Lo capisco, Anna mia... Ma tu sei buona e Dio ti conforterà nella tua solitudine.
Maria pregherà per la pace della sua mamma. Non è vero?».
Maria carezza le mani materne e le bacia, se le passa sul viso per esserne carezzata,
e Anna serra fra le sue quel visino e lo bacia, lo bacia. Non si sazia di baciare.
Entra Zaccaria e saluta: «Ai giusti la pace del Signore».
«Sì», dice Gioacchino, «supplicaci pace, perché le nostre viscere tremano
nell'offerta come quelle di padre Abramo mentre saliva il monte (Genesi 22, 1-18),
e noi non troveremo altra offerta per riscattare questa. Né lo vorremmo fare,
perché siamo fedeli a Dio. Ma soffriamo, Zaccaria. Sacerdote di Dio, comprendici
e non ti scandalizzare di noi».
«Mai. Anzi, il vostro dolore, che sa non soverchiare il lecito e portarvi all'infedeltà,
mi è scuola nell'amare l'Altissimo. Ma fatevi cuore. Anna profetessa avrà
molta cura di questo fiore di Davide e Aronne. In questo momento è l'unico
giglio della sua stirpe santa che Davide abbia nel Tempio, e sarà curato come
perla regale.
Per quanto i tempi volgano al termine e dovrebbe esser cura delle madri della stirpe
di consacrare le figlie al Tempio, poiché da una vergine di Davide uscirà il Messia,
pure, per rilassamento di fede, i posti delle vergini sono vuoti. Troppo poche nel
Tempio, e di questa stirpe regale nessuna, dopo che ne uscì sposa, or sono tre
anni, Sara di Eliseo. Vero che ancora sei lustri mancano al termine, ma... Ebbene,
speriamo che Maria sia la prima di molte vergini di Davide davanti al Sacro
Velo. E poi... chissà...». Zaccaria non dice altro. Ma guarda pensoso Maria.
Poi riprende: «Io pure veglierò su Lei. Sono sacerdote ed ho il mio potere là dentro.
Lo userò per quest'angelo. E Elisabetta verrà sovente a trovarla...».
«Oh! di certo! Io ho tanto bisogno di Dio e verrò a dirlo a questa Bambina, perché
lo dica all'Eterno».
Anna si è rinfrancata. Elisabetta, per sollevarla più ancora, chiede: «Non è il tuo
velo di sposa questo? Oppure hai filato del nuovo bisso?».
«È quello. Lo consacro con Essa al Signore. Non ho più occhi... E anche le ricchezze
sono molto scemate per tasse e sventure... Non mi era lecito fare gravi spese.
Ho provveduto solo ad un ricco corredo per il suo tempo nella Casa di Dio e
per poi... perché penso che non sarò io quella che la vestirà per le nozze... e voglio
sia sempre la mano di sua mamma, anche se fredda e immota, che la para alle nozze
e le fila i lini e le vesti da sposa».
«Oh! perché pensare così?!».
«Sono vecchia, cugina. Mai come sotto questo dolore me lo sento. L'ultime forze
della mia vita le ho date a questo fiore, per portarlo e nutrirlo, ed ora... ed ora...
sulle estreme soffia il dolore di perderlo e le disperde».
«Non dire così, per Gioacchino».
«Hai ragione. Vedrò di vivere per il mio uomo».
Gioacchino ha fatto mostra di non sentire, intento ad ascoltare Zaccaria, ma ha
udito e sospira forte con gli occhi lucidi di pianto.
«Siamo a mezzo fra terza e sesta. Credo sarebbe bene andare» dice Zaccaria.
Si alzano tutti per rimettersi i mantelli e andare.
Ma, prima di uscire, Maria si inginocchia sulla soglia a braccia aperte: un piccolo
cherubino implorante. «Padre! Madre! La vostra benedizione!».
Non piange, la piccola forte. Ma le labbruzze tremano e la voce, spezzata da un
interno singulto, ha più che mai il trepido gemito della tortorina. Il visetto è più
pallido e l'occhio ha quello sguardo di rassegnata angoscia che, più forte sino a
divenire inguardabile senza soffrirne profondamente, le vedrò sul Calvario e
nel Sepolcro.
I genitori la benedicono e la baciano. Una, due, dieci volte. Non se ne sanno saziare...
Elisabetta piange silenziosamente e Zaccaria, per quanto voglia non mostrarlo,
è commosso.
Escono. Maria fra il padre e la madre, come prima. Davanti, Zaccaria e la moglie.
Eccoli dentro le mura del Tempio. «Vado dal Sommo Sacerdote. Voi salite sino alla grande terrazza».
Valicano tre cortili e tre atri sovrapposti. Eccoli ai piedi del vasto cubo di marmo
incoronato d'oro. Ogni cupola, convessa come una mezza arancia enorme,
sfolgora al sole che ora, sul mezzodì, cade a perpendicolo sul vasto cortile che circonda
il fabbricato solenne, ed empie il vasto piazzale e l'ampia scalinata che conduce
al Tempio. Solo il portico che fronteggia la scalinata, lungo la facciata, è in ombra,
e la porta altissima di bronzo e oro è ancor più scura e solenne in tanta luce.
Maria pare ancor più di neve fra il gran sole. Eccola ai piedi della scalinata.
Fra padre e madre. Come deve battere il cuore a quei tre! Elisabetta è a
fianco di Anna, ma un poco indietro, di un mezzo passo.
Uno squillo di trombe argentine e la porta gira sui cardini, che pare diano suono di
cetra nel girare sulle sfere di bronzo. Appare l'interno con le sue lampade nel
profondo, ed un corteo viene dall'interno verso l'esterno.
Un pomposo corteo fra suoni di trombe argentee, nuvole d'incenso e luci.
Eccolo sulla soglia. Davanti, colui che deve essere il Sommo Sacerdote.
Un vecchio solenne, vestito di lino finissimo, e sul lino una più corta tunica
pure di lino, e su questa una specie di pianeta, qualcosa fra la pianeta e la veste
dei diaconi, multicolore: porpora e oro, violaceo e bianco vi si alternano e brillano come
gemme al sole; due gemme vere brillano su esso ancor più vivamente al sommo
delle spalle. Forse sono fibbie con il loro castone prezioso. Sul petto, una larga placca
splendente di gemme, sostenuta da una catena d'oro. E pendagli e ornamenti
splendono alla base della tunica corta, e oro splende sulla fronte al disopra del
copricapo, che mi ricorda quello dei preti ortodossi, la loro mitra fatta a cupola anziché
a punta come quella cattolica.
Il solenne personaggio viene avanti, da solo, sino al principio della scalinata,
nell'oro del sole che lo fa ancora più splendido. Gli altri attendono stesi a corona
fuor dalla porta, sotto il portico ombroso. A sinistra è un gruppo candido di fanciulle
con Anna profetessa e altre anziane, certo maestre.
Il Sommo Sacerdote guarda la Piccola e sorride. Le deve parere ben piccina
ai piedi di quella scalinata degna di un tempio egizio! Alza le braccia al cielo
in una preghiera. Tutti curvano il capo, come annichiliti davanti
alla maestà sacerdotale in comunione con la Maestà eterna.
Poi, ecco. Un cenno a Maria. E Lei si stacca dalla madre e dal padre e sale,
come affascinata sale. E sorride.
Sorride all'ombra del Tempio, là dove scende il Velo prezioso... È in alto della
scalinata, ai piedi del Sommo Sacerdote che le impone le mani sul capo. La vittima
è accettata. Quale ostia più pura aveva mai avuto il Tempio?
Poi si volge e, tenendole la mano sulla spalla come a condurla all'ara, l'Agnellina
senza macchia, la conduce presso la porta del Tempio. Prima di farla entrare chiede:
«Maria di David, sai il tuo voto?». Al «sì» argentino, che gli risponde, egli grida:
«Entra, allora. Cammina in mia presenza e sii perfetta».
E Maria entra e l'ombra l'inghiotte, e lo stuolo delle vergini e delle maestre, poi
quello dei leviti, sempre più la nascondono, la separano... Non c’è più...
Ora anche la porta gira sui suoi cardini armoniosi. Uno spiraglio sempre più stretto
permette vedere il corteo che inoltra verso il Santo. Ora è proprio un filo. Ora non è
più niente. Chiusa.
All'ultimo accordo dei sonori cardini risponde un singhiozzo dei due vecchi e un
grido unico: «Maria! Figlia!»; e poi due gemiti che si invocano: «Anna!»,
«Gioacchino!»; e terminano: «Diamo gloria al Signore, che la riceve nella sua
Casa e la conduce sulla sua via».
E tutto finisce così.
Dice Gesù:23
«Il Sommo Sacerdote aveva detto: "Cammina in mia presenza e sii perfetta". Il Sommo
Sacerdote non sapeva che parlava alla Donna solo a Dio inferiore in perfezione.
Ma parlava in nome di Dio e perciò sacro era il suo ordine. Sempre sacro,
ma specie alla Ripiena di Sapienza.
Maria aveva meritato che la "Sapienza la prevenisse e le si mostrasse per prima",
perché "dal principio del suo giorno Ella aveva vegliato alla sua porta e, desiderando
d'istruirsi, per amore, volle esser pura per conseguire l'amore perfetto e meritare d'averla
a maestra".
Nella sua umiltà non sapeva di possederla da prima d'esser nata e che l'unione con
la Sapienza non era che un continuare i divini palpiti del Paradiso. Non poteva
immaginare questo. E quando nel silenzio del cuore Dio le diceva parole sublimi,
Ella umilmente pensava fossero pensieri di orgoglio, e levando a Dio un cuore
innocente supplicava: "Pietà della tua serva, Signore!".
Oh! veramente che la vera Sapiente, la eterna Vergine, ha avuto un sol pensiero sin
dall'alba del suo giorno:
"Rivolgere a Dio il suo cuore sin dal mattino della vita e vegliare per il Signore,
pregando davanti all'Altissimo", chiedendo perdono per la debolezza del suo cuore,
come la sua umiltà le suggeriva di credere, e non sapeva di anticipare le richieste di
perdono per i peccatori, che avrebbe fatto ai piedi della Croce insieme al Figlio morente.
"Quando poi il gran Signore lo vorrà
(Siracide 39, 6, quelle che seguono sono citazioni da: Proverbi 8),
Ella sarà riempita dello Spirito d'intelligenza" e comprenderà allora la sua sublime
missione. Per ora non è che una pargola, che nella pace sacra del Tempio allaccia,
"riallaccia" sempre più stretti i suoi conversari, i suoi affetti, i suoi ricordi con Dio.
Questo è per tutti. Ma per te, piccola Maria, non ha nulla di particolare da dire il tuo
Maestro?" Cammina in mia presenza, sii perciò perfetta ". Modifico lievemente la sacra
frase e te la dò per ordine. Perfetta nell'amore, perfetta nella generosità, perfetta nel soffrire.
Guarda una volta di più la Mamma. E medita su quello che tanti ignorano,
o vogliono ignorare, perché il dolore è materia troppo ostica al loro palato e al loro
spirito. Il dolore. Maria lo ha avuto dalle prime ore della vita. Esser perfetta come
Ella era, era possedere anche una perfetta sensibilità. Perciò più acuto doveva
esserle il sacrificio. Ma per questo più meritorio. Chi possiede purezza possiede amore,
chi possiede amore possiede sapienza, chi possiede sapienza possiede generosità ed
eroismo, perché sa il perché per cui si sacrifica.
In alto il tuo spirito anche se la croce ti curva, ti spezza, ti uccide. Dio è con te».
Cor Mariæ Immaculatum,
intercede pro nobis