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venerdì 11 ottobre 2013

BELLISSIMO: Luca 17,11-19 - Domenica 13 ottobre 2013, XXVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C: "Chi ti fa vedere e capire è il tuo amore per Me. Maestro tuo, il vero e più grande Maestro che ti fa capire il tuo Maestro, è l’Amore», dice Gesù che fino a quel momento ha ascoltato e taciuto.


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, 
ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

BELLISSIMO: Luca 17,11-19

Domenica 13 ottobre 2013, XXVIII Domenica  del Tempo Ordinario - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 17,11-19.
Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, 
alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». 
Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. 
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; 
e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. 
Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? 
Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: 
«Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!».
Traduzione liturgica della Bibbia 


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 7 Capitolo 483 pagina 392.


1Sono sempre fra i monti, e monti ben rudi, su certe stradette dove non passano certo dei carri, ma soltanto viandanti a piedi o persone cavalcanti i forti somari della montagna, più alti e robusti dei soliti somarelli delle zone meno accidentate. Un’osservazione che a molti potrà parere inutile, ma che io faccio lo stesso.
In Samaria vi sono delle diversità dagli usi degli altri luoghi. Sia nel vestire come in tante altre cose. E una è l’abbondanza di cani, insolita altrove, che mi colpisce, come mi ha colpito la presenza di porci nella Decapoli. Molti cani, forse, perché la Samaria ha molti pastori e avrà molti lupi in quei monti così selvaggi. Molti anche perché i pastori in Samaria li vedo per lo più soli, al massimo con un fanciullo, pascolanti il gregge proprio, mentre altrove sono per lo più in molti a tutelare greggi numerose di capi di proprietà di qualche ricco. Fatto è che qui ogni pastore ha il suo cane, o più cani, a seconda del numero di pecore del suo gregge. 
Un’altra caratteristica sono proprio questi asini quasi alti quanto un cavallo, robusti, atti a scalare questi monti con dei carichi pesanti sul basto, sovente carichi delle legna forti che si trovano su questi magnifici monti coperti di boschi secolari. 
Altra particolarità: la scioltezza nel modo di fare degli abitanti che, senza essere dei «peccatori», come li giudicavano giudei e galilei, sono aperti, franchi, senza bigotterie, senza tutte quelle storie che hanno gli altri. E ospitali. Questa constatazione mi fa pensare che nella parabola del buon samaritano non ci sia stata soltanto l’intenzione voluta di far risaltare che il buono e il cattivo è da per tutto, in tutti i luoghi e razze, e anche fra eretici ci possono essere dei retti di cuore, ma proprio anche la reale descrizione delle abitudini samaritane verso chi è bisognoso di aiuto. Si saranno fermati al Pentateuco, sento che parlano di questo e non d’altro, ma lo praticano, almeno verso il prossimo, con più dirittura degli altri con i loro seicentotredici codicilli di precetti ecc. ecc. 


2Gli apostoli parlano col Maestro e, nonostante siano incorreggibilmente israeliti, devono riconoscere e lodare lo spirito che hanno trovato negli abitanti di Sichem i quali, lo comprendo dai discorsi che sento, hanno invitato Gesù a sostare fra di loro. 
«Hai sentito, eh?», dice Pietro, «come hanno detto chiaramente che sanno l’odio giudeo? Hanno detto: “Per Te e su Te c’è più odio che su noi samaritani per quanti siamo e quanti fummo. Ti odiano senza limite”». 
«E quel vecchio? Come ha detto bene: “È in fondo giusto che sia così, perché Tu non sei un uomo ma sei il Cristo, il Salvatore del mondo, e perciò sei il Figlio di Dio, perché solo un Dio può salvare il mondo corrotto. Perciò, essendo Tu senza limite come Dio, senza limitazioni nel tuo potere, nella tua santità e nel tuo amore, come sarà senza limite la tua vittoria sul Male, così è naturale che il Male e l’Odio, tutt’una cosa col Male, siano senza limiti contro Te”. Ha proprio detto bene! E questa ragione spiega tante cose!», dice lo Zelote. 
«Che spiega secondo te? Io... io dico che spiega soltanto che sono degli stolti», dice Tommaso spicciativo. 
«No. La stoltezza sarebbe ancora una scusante. Ma stolti non sono». 
«Ebbri allora, ebbri di odio», replica Tommaso. 
«Neppure. L’ebbrezza cede dopo essersi scatenata. Questo livore non cede». 
«E sì che più scatenato di così! È tanto che lo è... che ormai avrebbe dovuto cadere». 
«Amici, esso non ha ancora toccato la mèta», dice Gesù calmo, come se la mèta dell’odio non fosse il suo supplizio. 
«No?! Ma se non ci lasciano in pace mai?!». 
«Maestro, essi ancora non si persuadono che ho detto il vero. Ma l’ho detto. Oh! se l’ho detto! E dico anche che, se era per voi, sareste caduti tutti nella trappola come ci cadde il Battista. Ma non riusciranno perché io veglio...», dice l’Iscariota. 
E Gesù lo guarda. E lo guardo anche io domandandomi, e me lo chiedo da qualche giorno, se la condotta dell’Iscariota è causata da un buono e reale ritorno sulla via del bene e dell’amore per il suo Maestro, una liberazione dalle forze umane e extraumane che lo tenevano, o se sia un più raffinato lavoro di preparazione al colpo finale, un asservimento maggiore ai nemici di Cristo e a Satana. Ma Giuda è un essere talmente speciale che non è decifrabile. Solo Dio può capirlo. E Dio, Gesù, cala un velo di misericordia e di prudenza su tutte le azioni e sulla personalità del suo apostolo... un velo che si lacererà, completamente illuminando tanti perché, ora misteriosi, soltanto quando saranno aperti i libri dei Cieli. 


3Gli apostoli sono talmente preoccupati dall’idea che l’odio dei nemici non ha ancora raggiunto il suo termine, che non parlano più per qualche tempo. Poi Tommaso si rivolge ancora allo Zelote dicendo: «E allora, se non sono ebbri né stolti, se il loro odio spiega tante cose e non questa, che spiega allora? Che sono? Non lo hai detto...». 
«Che sono? Dei posseduti. Ciò che dicono di Lui essi sono. Questo spiega il loro accanimento che non conosce sosta, che anzi sempre più cresce più si appalesa la sua potenza. Ha detto bene quel samaritano. In Lui, Figlio del Padre e di Maria, Uomo e Dio, è l’Infinità di Dio, e infinito è l’Odio che a questa Infinità perfetta si oppone, anche se nel suo essere senza limite l’Odio non è perfetto, perché solo Dio è perfetto nelle sue azioni. Ma se l’Odio potesse toccare l’abisso della perfezione, esso scenderebbe a toccarlo, si precipiterebbe a toccarlo anzi, per rimbalzare poi, per la veemenza stessa della sua caduta nell’abisso d’inferno, contro il Cristo, a ferirlo con tutte le armi strappate all’abisso infernale. Il firmamento, regolato da Dio, ha un solo sole. Esso si alza e raggia e scompare lasciando il posto al sole più piccolo che è la luna, e questa, dopo aver raggiato a sua volta, tramonta per cedere il posto al sole. Gli astri molto insegnano agli uomini, perché essi si assoggettano ai voleri del Creatore. Ma gli uomini no. E un esempio è questo, di questo voler opporsi al Maestro. Che accadrebbe se la luna in un’aurora dicesse: “Non voglio scomparire e torno per la via già fatta”? Certo che cozzerebbe contro al sole con orrore e danno di tutto il creato. Essi questo vogliono fare, credendo di poter frantumare il Sole...». 
«È la lotta delle Tenebre contro la Luce. La vediamo ogni giorno nelle albe e nelle sere. Le due forze che si contrastano, che prendono a vicenda il dominio sulla Terra. Ma le tenebre sono sempre vinte, perché assolute non sono mai. Un poco di luce emana sempre, anche nella notte più priva d’astri. Pare che l’aria da se stessa la crei negli infiniti spazi del firmamento e l’effonda, anche se limitatissima, a far persuasi gli uomini che gli astri non sono spenti. E io dico che ugualmente, in queste particolari tenebre del Male contro la Luce che è Gesù, sempre, nonostante ogni sforzo delle Tenebre, la Luce sarà a confortare chi crede in Essa», dice Giovanni sorridendo al suo pensiero, raccolto in se stesso come se monologasse. 
Il suo pensiero viene raccolto da Giacomo d’Alfeo. «Nei Libri il Cristo è detto “Stella del mattino”. Una notte dunque Egli pure conoscerà, e - spavento mio! - noi pure la conosceremo, una notte, un tempo in cui non parrà forte la Luce, ma vittoriose le Tenebre. Ma, posto che Egli è detto Stella del mattino in modo che esclude un limite nel tempo, io dico che dopo la momentanea notte Egli sarà Luce mattutina, pura, fresca, verginale, rinnovante il mondo, simile a quella che successe al Caos nel primo giorno. Oh! sì. Il mondo sarà ricreato nella sua Luce». 
«E maledizione sarà sui reprobi che avranno voluto alzare le mani a colpire la Luce ripetendo gli errori già fatti, da Lucifero ai profanatori del popolo santo. Jeovè lascia libero l’uomo nelle sue azioni. Ma, per amore dell’uomo stesso, non permetterà che l’Inferno prevalga», termina Giuda d’Alfeo. 


4«Oh! meno male che, dopo tanto sopore di spiriti, per cui tutti sembravamo come ottusi e tardi per vecchiezza precoce, la sapienza rifiorisce sulle nostre labbra! Non sembravamo più noi! Ora ritrovo lo Zelote, e Giovanni, e i due fratelli di un tempo!», dice l’Iscariota felicitandosi. 
«Non mi pare che fossimo cambiati tanto da non parere più noi», dice Pietro. 
«Se lo eravamo! Tutti. Tu per il primo. E poi Simone e gli altri, me compreso. Se uno c’era che era su per giù quello di sempre, era Giovanni». 
«Uhm! Non so proprio in che...». 
«In che? Taciturni, come stanchi, indifferenti, pensierosi... Mai più si sentiva una delle conversazioni, simili a tante di un tempo, simili a quella di ora, che servono tanto...». 
«A disputare», dice il Taddeo ricordando come infatti sovente degenerassero in battibecchi. 
«No. A formarsi. Perché non tutti si è come Natanaele, né come Simone, né come voi di Alfeo, per nascita e sapienza. E chi lo è meno impara sempre da chi lo è più», ribatte l’Iscariota.


5«Veramente... io direi che più che tutto è necessario formarsi in giustizia. E di questa ce ne ha date magnifiche lezioni Simone», dice Tommaso. 
«Io? Ma tu vedi male. Io sono il più stolto di tutti», dice Pietro. 
«No. Tu sei quello che più sei cambiato. In questo ha ragione Giuda di Keriot. Non c’è più che ben poco in te del Simone che ho conosciuto io quando venni con voi, e che, perdona, rimase qual era per tanto tempo. Da quando ti ho ritrovato dopo la separazione per le Encenie, tu non hai fatto che trasformarti. Ora sei... sì, lo dico: sei più paterno e nello stesso tempo più austero. Compatisci tutti i tuoi poveri fratelli, mentre prima... E si vede, io almeno vedo, che ciò ti costa. Ma vinci te stesso. E mai come ora, che poco parli e poco rimproveri, ci incuti rispetto...». 
«Ma amico mio! Tu sei molto buono a vedermi così... Io, meno che l’amore per il Maestro, che mi cresce sempre, non ho proprio cambiato in nulla». 
«No. Toma ha ragione. Tu sei molto cambiato», confermano in molti. 
«Mah! voi lo dite...», dice Pietro stringendosi nelle spalle. E aggiunge: «Soltanto il giudizio del Maestro sarebbe sicuro. Ma mi guardo bene dal chiederglielo. Egli sa la mia debolezza e sa che anche una lode mal data potrebbe nuocere al mio spirito. Perciò non mi loderebbe, e farebbe bene. Capisco sempre meglio il suo cuore e il suo sistema, e ne vedo tutta la giustizia». 
«Perché hai animo retto e perché ami sempre più. Chi ti fa vedere e capire è il tuo amore per Me. Maestro tuo, il vero e più grande Maestro che ti fa capire il tuo Maestro, è l’Amore», dice Gesù che fino a quel momento ha ascoltato e taciuto. 
«Io credo che... sia anche il dolore che ho dentro...». 
«Dolore? Perché?», chiedono alcuni. 
«Eh! per tante cose, che poi, in fondo, sono una sola cosa: tutto quello che soffre il Maestro... e il pensiero di quello che soffrirà. 
6Non si può essere più svagati come i primi tempi, svagati come dei fanciulli che non sanno, adesso che si conosce di cosa sono capaci gli uomini e come si deve soffrire per salvarli. Ohilà! Credevamo tutto facile nei primi tempi! Credevamo che bastasse presentarsi perché gli altri venissero dalla nostra parte! Credevamo che conquistare Israele e il mondo fosse come... gettare una rete su un fondo pescoso. Poveri noi! Io penso che, se non ci riesce Lui a far buona preda, noi non ne faremo nessuna. Ma questo è niente ancora! Io penso che essi sono cattivi e lo fanno soffrire. E credo che questo sia il motivo del nostro cambiamento in generale...». 
«È vero. Per la mia parte, è vero», conferma lo Zelote. 
«Anche per me. Anche per me», dicono gli altri. 
«Io è tanto che ero inquieto per questo e ho cercato di... avere buoni aiuti. Ma mi hanno tradito... e voi non mi avete capito... E io non ho capito voi. Credevo che foste così come siete per stanchezza dello spirito, per sfiducia, per delusione...», confessa l’Iscariota. 
«Io non ho mai sperato umane gioie e perciò non sono deluso» , dice lo Zelote. 
«Io e mio fratello lo vorremmo vittorioso, ma per sua gioia. Lo abbiamo seguito per amor di parenti prima che di discepoli. Lo abbiamo sempre seguito sino da fanciulli, Egli il più piccolo per età di noi fratelli, ma tanto più grande sempre di noi...», dice Giacomo con la sua ammirazione sconfinata per il suo Gesù. 
«Se un dolore abbiamo è che non tutti noi della parentela lo amiamo nello spirito e col solo spirito. Ma non siamo i soli in Israele ad amarlo male», dice il Taddeo. 


7Giuda Iscariota lo guarda e forse parlerebbe, ma è distratto da un grido che li raggiunge da un poggetto che sovrasta il paesino che stanno costeggiando cercando la via per entrarvi. 
«Gesù! Rabbi Gesù! Figlio di Davide e Signore nostro, abbi pietà di noi». 
«Dei lebbrosi! Andiamo, Maestro, altrimenti il paese accorrerà e ci tratterrà fra le sue case», dicono gli apostoli. 
Ma i lebbrosi hanno il vantaggio di essere più avanti di loro, alti sulla via, ma almeno a un cinquecento metri dal paese, e scendono zoppicando sulla via e corrono verso Gesù ripetendo il loro grido. 
«Entriamo nel paese, Maestro. Essi non vi possono entrare», dicono alcuni apostoli, ma altri ribattono: «Già delle donne si affacciano a guardare. Se entriamo sfuggiremo i lebbrosi, ma non di esser conosciuti e trattenuti». 
E mentre sono incerti sul da farsi, i lebbrosi si fanno sempre più vicini a Gesù che, incurante dei ma e dei se dei suoi apostoli, ha proseguito per la sua strada. E gli apostoli si rassegnano a seguirlo, mentre donne coi bambini alle gonnelle e qualche uomo vecchio rimasto in paese vengono a vedere, stando a prudente distanza dai lebbrosi, che però si fermano a qualche metro da Gesù e ancora supplicano: «Gesù, abbi pietà di noi!». 
Gesù li contempla un istante; poi, senza accostarsi a questo gruppo di dolore, chiede: «Siete di questo paese?». 
«No, Maestro. Di luoghi diversi. Ma quel monte, dove stiamo, dall’altra parte guarda sulla via per Gerico, ed è buono per noi quel luogo...». 
«Andate allora al paese vicino al vostro monte e mostratevi ai sacerdoti». 
E Gesù riprende a camminare spostandosi sul ciglio della via per non sfiorare i lebbrosi, che lo guardano avvicinare senza avere altro che uno sguardo di speranza nei poveri occhi malati. E Gesù, giunto alla loro altezza, alza la mano a benedire. 
La gente del paese, delusa, ritorna nelle case... I lebbrosi si inerpicano di nuovo sul monte per andare verso la loro grotta o verso la via di Gerico. 
«Hai fatto bene a non guarirli. Non ci avrebbero più lasciati andare quelli del paese...». 
«Sì, e bisognerebbe giungere ad Efraim prima di notte». 


8Gesù cammina e tace. Il paese ormai è nascosto alla vista dalle curve della via molto sinuosa, perché segue i capricci del monte ai piedi del quale è tagliata. 
Ma una voce li raggiunge: «Lode al Dio altissimo e al suo vero Messia. In Lui è ogni potenza, sapienza e pietà! Lode al Dio altissimo che in Lui ci ha concesso la pace. Lodatelo, uomini tutti dei paesi di Giudea e di Samaria, della Galilea e dell’Oltre Giordano. Sino alle nevi dell’altissimo Hermon, sino alle arse petraie dell’Idumea, sino alle arene bagnate dalle onde del Mar Grande risuoni la lode all’Altissimo ed al suo Cristo. Ecco compita la profezia di Balaam. La Stella di Giacobbe splende sul cielo ricomposto della patria riunita dal vero Pastore. Ecco anche compiute le promesse fatte ai patriarchi! Ecco, ecco la parola di Elia che ci amò. Uditela, o popoli di Palestina, e comprendetela. Più non si deve zoppicare da due parti, ma scegliere si deve per luce di spirito, e se lo spirito sarà retto bene sceglierà. Questo è il Signore, seguitelo! Ah! che finora fummo puniti perché non ci siamo sforzati a comprendere! L’uomo di Dio maledisse il falso altare profetando: “Ecco, nascerà dalla casa di Davide un figlio chiamato Jeosciuè, il quale immolerà sopra l’altare e consumerà ossa di Adamo. E l’altare allora si squarcerà fin nelle viscere della Terra e le ceneri dell’immolazione si spargeranno a settentrione e mezzogiorno, a oriente e là dove tramonta il sole”. Non vogliate fare come lo stolto Ocozia, che mandava a consultare il dio di Acaron mentre l’Altissimo era in Israele. Non vogliate essere inferiori all’asina di Balaam, la quale per il suo ossequio allo spirito di luce avrebbe meritato la vita, mentre sarebbe caduto percosso il profeta che non vedeva. Ecco la Luce che passa fra noi. Aprite gli occhi, o ciechi di spirito, e vedete», e uno dei lebbrosi li segue sempre più da vicino, anche sulla via maestra ormai raggiunta, indicando Gesù ai pellegrini. 
Gli apostoli, seccati, si volgono due o tre volte intimando al lebbroso, perfettamente guarito, di tacere. E lo minacciano quasi l’ultima volta. 
Ma egli, cessando per un momento di alzare così la voce per parlare a tutti, risponde: «E che volete, che io non glorifichi le grandi cose che Dio mi ha fatto? Volete che io non lo benedica?». 
«Benedicilo in cuor tuo e taci», gli rispondono inquieti. 
«No, che non posso tacere. Dio mette le parole sulla mia bocca», e riprende forte: «Gente dei due luoghi di confine, gente che passate per caso, fermatevi ad adorare Colui che regnerà nel nome del Signore. Io deridevo tante parole. Ma ora le ripeto perché le vedo compiute. Ecco muoversi tutte le genti e venire giubilando al Signore per le vie del mare e dei deserti, per i colli e i monti. E anche noi, popolo che abbiamo camminato nelle tenebre, andremo alla gran Luce che è sorta, alla Vita, uscendo dalla regione di morte. Lupi, leopardi e leoni quali eravamo, rinasceremo nello Spirito del Signore e ci ameremo in Lui, all’ombra del Germoglio di Jesse divenuto cedro, sotto il quale si accampano le nazioni raccolte da Lui ai quattro punti della Terra. Ecco, viene il giorno in cui la gelosia di Efraim avrà fine, perché non c’è più Israele e Giuda, ma un solo Regno: quello del Cristo del Signore. Ecco, io canto le lodi del Signore che mi ha salvato e consolato. Ecco, io dico: lodatelo e venite a bere la salvezza alla fonte del Salvatore. Osanna! Osanna alle grandi cose che Egli fa! Osanna all’Altissimo che ha messo in mezzo agli uomini il suo Spirito rivestendolo di carne, perché divenisse il Redentore!». 
È inesauribile. 


9La gente aumenta, si affolla, ingombra la via. Chi era indietro accorre, chi era avanti torna indietro. Quelli di un piccolo paese, presso il quale sono ormai, si uniscono ai passanti. 
«Ma fallo tacere, Signore. Egli è il samaritano. Lo dice così la gente. Non deve parlare di Te, se Tu non permetti neppure che noi ti si preceda più predicandoti!», dicono inquieti gli apostoli. 
«Amici miei, ripeto le parole di Mosè a Giosuè figlio di Num, che si lamentava perché Eldad e Medad profetavano negli accampamenti: “Sei tu geloso per me, in mia vece? Oh! profetasse così tutto il popolo, e il Signore desse a tutti il suo spirito!”. Ma pure mi fermerò e lo congederò per farvi contenti». 
E si ferma voltandosi e chiamando a sé il lebbroso guarito, che accorre e si prostra dinanzi a Gesù baciando la polvere. 
«Alzati. E gli altri dove sono? Non eravate in dieci? Gli altri nove non hanno sentito bisogno di ringraziare il Signore. E che? Su dieci lebbrosi, dei quali uno solo era samaritano, non si è trovato altro che questo straniero che sentisse il dovere di tornare indietro a rendere gloria a Dio, prima di rendere se stesso alla vita e alla famiglia? Ed egli è detto “samaritano”. Non più ubbriachi sono allora i samaritani, posto che vedono senza traveggole e accorrono sulla via di Salute senza barcollare? Parla dunque la Parola un linguaggio straniero se lo intendono gli stranieri e non quelli del suo popolo?». 
Gira gli splendidi occhi sulla folla di ogni luogo della Palestina che si trova presente. E sono insostenibili nei loro balenii quegli occhi... Molti chinano il capo e spronano le cavalcature o si danno a camminare allontanandosi... 


10Gesù china gli occhi sul samaritano inginocchiato ai suoi piedi, e lo sguardo si fa dolcissimo. Alza la mano, che teneva abbandonata lungo il fianco, in un gesto di benedizione e dice: «Alzati e vattene. La tua fede ha salvato in te più ancora della tua carne. Procedi nella luce di Dio. Va’». 
L’uomo bacia nuovamente la polvere e prima di alzarsi chiede: «Un nome, Signore. Un nome nuovo, perché tutto è nuovo in me, e per sempre». 
«In che terra ci troviamo?». 
«In quella d’Efraim». 
«Ed Efrem chiamati da ora in poi, perché due volte la Vita ti ha dato vita. Va’». 
E l’uomo si alza e va. 
La gente del luogo e qualche pellegrino vorrebbero trattenere Gesù. Ma Egli li soggioga con il suo sguardo che non è severo, anzi è molto dolce nel guardarli, ma che deve sprigionare una potenza, perché nessuno fa un gesto per trattenerlo. 
E Gesù lascia la via senza entrare nel paesino, traversa un campo, poi un piccolo rio e un sentiero, e sale sul poggio orientale, tutto boscoso, e si inselva con i suoi dicendo: «Per non smarrirci seguiremo la via, ma stando nel bosco. Dopo quella curva, la strada si appoggia a questo monte. Vi troveremo qualche grotta per dormire, superando all’alba Efraim...».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

AVE MAMMA DOLCISSIMA

martedì 24 settembre 2013

PURIFICAMI, SIGNORE!


Le parabole di Gesù
(015)
La purificazione del lebbroso (245.5)

Un uomo per molti vizi diviene lebbroso. La società degli uomini lo allontana dal suo consorzio e l'uomo, in una solitudine atroce, medita sul suo stato e sul suo peccato che in quello stato lo ha ridotto. Passano lunghi anni così e quando meno se lo aspetta il lebbroso guarisce.

Il Signore gli ha usato misericordia per le sue molte preghiere e lacrime. Che fa allora l'uomo? Può ritornarsene a casa sua perchè Dio gli ha usato misericordia? 


No. Deve mostrarsi al sacerdote, il quale, dopo averlo attentamente osservato per qualche tempo, lo fa purificare dopo un primo sacrificio di due passeri. 

E dopo non una, ma due lavature di vesti, il guarito torna dal sacerdote con gli agnelli senza macchia e l'agnella e la farina e l'olio prescritti. Il sacerdote lo conduce allora alla porta del tabernacolo. Ecco allora che l'uomo viene religiosamente riammesso nel popolo di Israele....



mercoledì 5 giugno 2013

L'uomo giusto e l'uomo ingrato.


IV
«Un giovane mi mostrò l'uomo giusto e l'uomo ingrato

L'anima dell'uomo giu­sto è bellissima, ma il suo corpo sempre soffre. Lavora e vive nella pena e nell'an­goscia; ha da sopportare ogni specie di mali e di persecuzioni; e, in mezzo a tutto ciò, non pensa a sé, ma pensa a Dio che vive in lui. 
Tutto quello che fa, lo fa per Dio e non per sé; si dimentica interamente. Dimentica il suo corpo, la sua salute, il suo benessere, per non pensare che a Dio. 

Giunge alla fine della sua vita, muore ed è portato in Dio; ma quando egli è in Dio, non sembra più un uomo, ma un Dio. Ed allora la sua carne, che ha maltrattato, gli rende omaggio e lo ringrazia di averla trattata in quel modo. I suoi capelli, le sue ossa, i suoi occhi, le sue orecchie, i suoi piedi, le sue mani sono fieri di appartenergli, di essere stati a suo servizio, e ven­gono a rendergli omaggio e lo ringraziano di averli trattati così come ha fatto. Tut­tavia tutte queste lodi, sebbene rivolte all'uomo, ritornano a Dio.

 La terra si com­piace di averlo portato, di essere stata calpestata da lui quando camminava; gli animali si reputano felici di essere stati immolati per lui e di essere diventati sua carne. Gli alberi si rallegrano di aver portato dei frutti da assimilare alla sua carne; le case, di averlo alloggiato; il sole, la luna e le stelle, di averlo illuminato. Le nu­vole, la pioggia, le sorgenti, il mare, i pesci rendono omaggio a quest'uomo ed es­si sono felici di averlo servito.


L'uomo ingrato, durante la sua vita, pensa a ben trattare il suo corpo, accor­dandogli tutto ciò che è buono, dolce, delicato. E, in mezzo a tutto ciò, que­st'uomo non pensa a Dio, non pensa che a se stesso, alle soddisfazioni, alle gran­dezze, alle ricchezze, ai godimenti. 
Se egli potesse essere re del cielo e della terra, se potesse detronizzare Dio per farsi Dio lui stesso, lo farebbe. Non pensa che riceve tutto da Dio, che è Dio che gli ha dato tutto. 

E quest'uomo che sem­bra voler assorbire il mondo intero, vede arrivare la sua fine. E muore. Mi è par­so che i suoi capelli lo detestassero e che i suoi occhi, le sue orecchie, i suoi pie­di, le sue mani, le sue unghie, tutto il suo corpo lo detestasse, e che fossero vergognosi e furiosi di averlo servito, di essergli appartenuti; se avessero potuto maledire il tempo in cui sono stati con lui, lo avrebbero fatto. 

La terra è vergo­gnosa e furiosa di essere stata da lui calpestata, e lo maledice. 
Gli alberi sono fu­riosi contro di lui e fremono di rabbia per aver portato dei frutti da convertirsi in suo nutrimento.
 Le bestie, il sole, la luna, le stelle, le fontane, il mare, i pesci so­no furiosi per essere stati a suo servizio e d'accordo lo maledicono. 

E tutte que­ste maledizioni seguono quelle di Dio, perché Dio maledice l'ingrato, ed è per­ché Dio lo maledice che tutta la creazione lo maledice a sua volta.

 È per la stessa ragione che la benedizione di Dio sul giusto gli attira le benedizioni di tutte le creature. E il giovane mi ha detto: Hai visto, hai sentito, mettiti dalla parte del giusto. Ed è sparito».

Ave giglio bianco della Trinità


mercoledì 1 maggio 2013

San Giuseppe artigiano


La festa liturgica di San Giuseppe artigiano dev'essere "un giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani della grande famiglia del lavoro" (Venerabile Pio XII, Papa). Perché così avvenga ispiriamoci tutti all'insegnamento paolino che oggi la Liturgia ci offre e all'esempio di San Giuseppe, capo della Sacra Famiglia di Nazareth, che ha incarnato queste Parole di vita.




"Fratelli, 14 rivestitevi della carità, che è vincolo di perfezione. 15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
 17E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.
 23Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, 24sapendo che dal Signore riceverete come ricompensa l’eredità. Servite il Signore che è Cristo!".

Bonitas Domini Dei nostri
sit super nos, et opus manuum nostrarum
secunda nobis,..alleluja. Ps. 89, 17

martedì 25 dicembre 2012

Un cert'uomo assistendo alla Messa...


"...Un cert'uomo assistendo alla Messa senza divozione, come fanno tanti, a quelle parole che in fine si dicono, Et Verbum caro factum est, non fé alcun segno di riverenza; allora un demonio gli diede un forte schiaffo, dicendo: 'Ingrato, senti che un Dio s'è fatt'uomo per te, e tu neppure ti degni d'inchinarti? Ah che se Iddio, disse, avesse fatto ciò per me, io in eterno starei per sempre ringraziandolo' (*).

Dimmi, cristiano, che avea da fare più Gesù Cristo per farsi amare da te? Se il Figlio di Dio avesse avuto a salvar dalla morte il suo medesimo Padre, che più poteva fare che abbassarsi sino a prender carne umana, e sacrificarsi alla morte per la di lui salvezza?
Dico più: se Gesù Cristo fosse stato un semplice uomo, e non già una persona divina, e avesse voluto con qualche segno d'affetto acquistarsi l'amore del suo Dio, che avrebbe potuto fare più di quello che ha fatto per te? Se un servo tuo per tuo amore avesse dato tutto il sangue e la vita, non ti avrebbe già incatenato il cuore, ed obbligato almeno per gratitudine ad amarlo? E perché Gesù Cristo poi, giungendo a dare sino la vita per te, non ha potuto sinora giungere ad acquistarsi il tuo amore?"
(S. Alfonso M. de' Liguori)



(*) MAGNUM SPECULUM EXEMPLORUM, Distinctio 9, Exemplum 75. Venetiis, 1618, pag. 608.


AVE MARIA!

lunedì 13 febbraio 2012

Ai Santi obbediscono anche i cani... aggressivi




Ecco un altro tratto, forse ancora più toccante. All'inizio della fondazione, il Carmelo possedeva un cane da guardia. Suor Maria di Gesù Crocifisso che consi­derava ogni cosa in Dio, invitava qualche volta quest'animale alla riconoscenza verso il suo Creatore, enumerandogli tutto ciò che ne aveva ricevuto. 


Gli diceva an­cora, con un sentimento di profonda venerazione, di tenerezza per la nobile Benefattrice e Fonda­trice del Carmelo in Betlemme, che era lei che forniva il nutrimento, che faceva sì che se ne aves­se cura e che doveva essergliene riconoscente. 


Gli fece più volte, con tanta serietà e tanta ingenuità, la seguente raccomandazione: «Quando la mia amata sorellina verrà, tu ti coricherai ai suoi piedi, glieli leccherai e glieli bacerai, hai capito?» 


Ef­fettivamente, alcuni mesi dopo la morte di suor Maria di Gesù Crocifisso, quando la pia signorina venne a Betlemme, questo cane, che era per natura molto aggressi­vo e per il quale lei non era che una estranea, si recò da solo alla porta della clau­sura, e non appena fu entrata, si coricò ai suoi piedi, leccandoglieli e accarezzan­dola in mille modi. Fu allora che ci si ricordò delle raccomandazioni che le erano state fatte dall'umile suora conversa.
AVE MARIA!





AVE MARIA!
Laudetur Iesus Christus!
Laudetur cum Maria! Semper laudentur