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mercoledì 28 gennaio 2015

Aglae in casa di Maria a Nazareth.


168. Aglae in casa di Maria a Nazareth.

Pentecoste. Maria lavora quieta ad una tela. E’ sera, tutte le porte sono chiuse, una lucerna a tre becchi illumina la piccola stanza di Nazaret e specie la tavola presso cui è seduta la Vergine. 

La tela, forse un lenzuolo, ricade dal cassapanco e dai ginocchi fino a terra e Maria, vestita di azzurro cupo, pare emergere da un mucchio di neve. É sola. Cuce lesta, col capo chino verso il suo lavoro, e il lume accende il sommo del suo capo con riflessi di pallido oro. Il resto del volto è in penombra. Nella stanza ben ordinata regna il massimo silenzio. 
Anche dalla via, deserta nella notte, non viene rumore. E dall'orto neppure. La pesante porta che dalla stanza dove Maria lavora, quella dove Ella è solita prendere i suoi pasti e ricevere gli amici, conduce all'orto, è chiusa e impedisce anche al rumore della fontanella, che spiccia nella vasca, di penetrare.

E’ proprio il silenzio più profondo. Vorrei sapere dove è il pensiero della Vergine mentre le sue mani lavorano leste... Un bussare discreto all'uscio che dà sulla via. Maria alza il capo, ascolta. E’ stato così lieve il bussare che Maria deve pensare che è causato da qualche animale notturno o da un poco di vento che abbia scosso la porta, e torna a chinare la testa sul lavoro. Ma il busso si ripete più distinto. Maria si alza e va verso la porta.
Chiede, prima di aprire: «Chi bussa?».
Risponde una voce sottile: «Una donna. In nome di Gesù, pietà di me ».
Maria apre subito, tenendo sollevata la lampada per conoscere questa pellegrina. Vede un ammasso di stoffa,
un viluppo da cui nulla traspare. Un povero viluppo che sta curvo in profondo inchino dicendo:
«Ave! Domina! » e ripete ancora: «In nome di Gesù, pietà di me ».
«Entra e dimmi che vuoi. Io non ti conosco ». 

mercoledì 19 marzo 2014

Aglae a colloquio con il Salvatore.


200. Aglae a colloquio con il Salvatore. 

Gesù rientra solo nella casa dello Zelote. La sera sta scendendo, placida 
e serena dopo tanto sole. Gesù si affaccia alla porta della cucina, saluta e 
poi sale a meditare nella stanza superiore, già preparata per la cena. 
Non pare molto lieto, il Signore. Sospira spesso e passeggia avanti e 
indietro per lo stanzone, gettando ogni tanto uno sguardo sulla campagna 
circostante, che è visibile dalle molte porte di questa ampia stanza che fa 
da cubo sopra il piano terreno. Esce anche a passeggiare sulla terrazza, 
facendo il giro della casa, e si immobilizza sul lato posteriore a guardare 
Giovanni di Endor, che cortesemente attinge acqua ad un pozzo 
per offrirla alla indaffarata Salome. Guarda, scrolla il capo, sospira. 
La potenza del suo sguardo attira Giovanni, che si volge a guardare e che 
chiede: "Maestro, mi vuoi?" 
"No, ti guardavo solamente." 
"E' buono Giovanni. Mi aiuta" dice Salome. 
"Anche di questo aiuto Dio gliene darà compenso." 
Gesù, dopo queste parole, rientra nella stanza e si siede. E' tanto assorto che non 
avverte il brusio di molte voci e lo scalpiccio di molti passi entro il corridoio di 
entrata, e poi due pedate leggere che salgono la scaletta 
esterna e si avvicinano allo stanzone. Solo quando Maria lo chiama alza il capo. 
"Figlio, è giunta da Gerusalemme Susanna con la famiglia e mi ha subito 
accompagnato Aglae. La vuoi udire mentre siamo soli?" 
"Sì, Madre. Subito. E che non salga nessuno finché tutto è finito. Spero avere 
tutto finito prima del ritorno degli altri. Ma ti prego di vegliare acciò non ci siano 
curiosità indiscrete... in nessuno... e specie per Giuda di Simone." 
"Sorveglierò con cura..." 
Maria esce per tornare dopo poco tenendo per mano Aglae, non più 
infagottata nel suo mantellone grigio e nel suo velo calato sul davanti, non 
più con i sandali alti e complicati di fibbie e di strisce che aveva prima, 
ma resa in tutto simile ad una ebrea per i sandali piatti e bassi, semplicissimi 
come quelli di Maria, per la veste di un azzurro cupo sulla quale è drappeggiato 
il manto, e per il velo bianco messo come lo usano le donne ebree popolane, 
ossia semplicemente sul capo con un lembo gettato sulle spalle di modo che 
il viso ne è velato ma non totalmente. L'abito comune a quello di infinite altre 
donne, e l'essere in un gruppo di galilei, hanno risparmiato ad Aglae di essere 
riconosciuta. 
Entra a capo chino, divenendo di porpora ad ogni passo che fa, e credo 
che, se Maria non la tirasse dolcemente verso Gesù, si sarebbe inginocchiata 
sulla soglia. 
"Ecco, Figlio, colei che ti cerca da tanto tempo. Ascoltala" dice Maria quando 
è presso a Gesù e poi si ritira, abbassando le tende sulle porte spalancate e 
chiudendo quella che è più prossima alla scaletta. 
Aglae si libera del sacchetto che ha sulle spalle e poi si inginocchia ai piedi di 
Gesù con un grande scoppio di pianto. Scivola fino a terra e piange col capo 
appoggiato sulle braccia incrociate al suolo. 
"Non piangere così. Non è più tempo. Piangere dovevi quando eri in odio 
a Dio. Non ora che lo ami e ne sei amata." 
Ma Aglae continua a piangere... 
"Non credi che così è?" 
La voce si fa strada fra i singhiozzi: "Io lo amo, è vero, come so, come posso... 
Ma, per quanto io sappia e creda che Dio è Bontà, non posso osare di sperare 
di avere il suo amore. Ho troppo peccato... Lo avrò, forse, 
un giorno... Ma devo piangere tanto ancora... Per ora sono sola nel mio 
amore. Sono sola... Non è la disperata solitudine degli anni passati. E' una 
solitudine piena del desiderio di Dio, perciò non più disperata... ma così 
triste, così triste..." 
"Aglae, come male ancora conosci il Signore! Questo desiderio di Lui ti è 
prova che Dio risponde al tuo amore, che ti è amico, che ti chiama, che ti invita, 
che ti vuole. Dio è incapace di rimanere inerte davanti al desiderio della creatura, 
perché quel desiderio lo ha acceso Lui, Creatore e Signore di ogni creatura, in quel 
cuore. Lo ha acceso Lui perché ha amato di privilegiato amore l'anima 
che ora lo desidera. Il desiderio di Dio sempre precede il desiderio della creatura, 
perché Egli è il Perfettissimo e perciò il suo amore è ben più 
solerte e acceso dell'amore della creatura." 


"Ma come, come può Dio amare il mio fango?" 
"Non cercare di comprendere con la tua intelligenza. E' un abisso di misericordia, 
incomprensibile a mente umana. Ma là dove l'intelligenza dell'uomo non può 
comprendere, comprende invece l'intelligenza dell'amore, l'amore dello spirito. 
Questo comprende ed entra sicuro nel mistero che è Dio e nel mistero dei 
rapporti dell'anima con Dio. Entra, Io te lo dico. Entra poiché Dio lo vuole." 
"Oh! Salvatore mio! Ma allora io sono proprio perdonata? Amata proprio io 
sono? Lo devo credere?" 
"Ti ho mai mentito?" 
"Oh! no, Signore! Tutto quanto mi hai detto ad Ebron si è avverato. 
Tu mi hai salvata come è detto dal tuo Nome. Tu mi hai cercata, povera anima 
perduta. Tu mi hai dato la vita di quest'anima che io portavo in me 
morta. Tu mi hai detto che se ti avessi cercato ti avrei trovato. E fu vero. 
Tu mi hai detto che sei dovunque l'uomo ha bisogno di medico e di medicina. 
Ed è vero. Tutto, tutto quanto hai detto alla povera Aglae, da 
quelle parole del mattino di giugno, alle altre dell'Acqua Speciosa..." 
"Devi allora credere anche a queste." 
"Sì, credo! credo! Ma Tu dimmi: 'Io ti perdono!' " 
"Io ti perdono in nome di Dio e di Gesù." 
"Grazie... Ma ora... Ora che devo fare? Dimmi, Salvatore mio, che cosa 
devo fare per avere la Vita eterna? 
L'uomo si corrompe solo nel guardarmi... Io non posso vivere col tremito 
continuo di essere scoperta e circuita... In questo viaggio io tremavo ad ogni 
sguardo d'uomo... Io non voglio più peccare né far peccare. 
Dammi la via da seguire. Qual che sia la seguirò. Tu vedi che sono forte anche 
negli stenti... E anche se per troppo stento incontrassi la morte non ne ho paura. 
La chiamerò 'amica mia' perché mi leverà dai pericoli 
della terra, e per sempre. Parla, mio Salvatore." 
"Va' in luogo deserto." 
"Dove, Signore?" 
"Dove vuoi. Dove ti porterà il tuo spirito." 
"Sarà capace di tanto il mio spirito appena formato?" 
"Sì, perché Dio ti conduce." 
"E chi mi parlerà più di Dio?" 
"La tua anima risorta, per ora..." 
"Ti vedrò mai più?" 
"Mai più sulla terra. Ma fra poco ti avrò redenta del tutto e allora verrò al tuo 
spirito per prepararti all'ascesa a Dio." 
"Come avverrà la mia completa redenzione se non ti vedrò più? Come me 
la darai?" 
"Morendo per tutti i peccatori." 
"Oh! no! Tu no, morire!"  
"Per darvi la Vita devo darmi la morte. Sono venuto per questo in veste 
umana. Non piangere... Mi raggiungerai presto dove Io sarò dopo il sacrificio 
mio e tuo." 
"Mio, Signore? Io pure morrò per Te?" 
"Sì. Ma in altra maniera. Morirà per ora la tua carne e per volere della tua 
volontà. E' quasi un anno che sta morendo. Quando essa sarà tutta morta, 
Io ti chiamerò." 
"Avrò la forza di distruggere la mia carne colpevole?" 
"Nella solitudine dove sarai e dove Satana ti assalirà con livida violenza 
quanto più tu diverrai dei Cieli, troverai un mio apostolo già peccatore e poi redento." 
"Allora non il benedetto che mi parlava di Te? Egli è troppo onesto per essere 
stato peccatore." 
"Non quello. Un altro. Ti raggiungerà all'ora giusta. Ti dirà quanto ancora 
non puoi sapere. Va' in pace. La benedizione di Dio sia su di te." 

Aglae, che è sempre stata in ginocchio, si curva a baciare i piedi del Signore. 
Non osa di più. Poi afferra il suo sacco, lo capovolge. Ne cadono semplici vesti, 
un piccolo sacchetto che risuona e un'anfora di un delicato alabastro rosa. 
Aglae ripone le vesti, raccoglie il sacchetto e dice: "Questo per i tuoi poveri. 
E' il resto dei miei gioielli. Non ho serbato che delle monete per viatico durante
il viaggio... perché, se anche Tu non lo avessi detto, sarei 
andata in luogo remoto. E questo è per Te. Meno soave del profumo 
della tua santità. Ma è tutto quello che può dare di meglio la terra. E mi 
serviva per fare il peggio... Ecco. Dio mi conceda di odorare almeno come 
questo, al tuo cospetto, in Cielo" e stappa l'anfora dal tappo prezioso 
spargendone il contenuto al suolo. Un odore acuto di rose sale a ondate 
dai mattoni che si impregnano dell'essenza preziosa. 


Aglae ritira l'anfora vuota. "Per ricordo di quest'ora" dice, e poi si curva 
ancora a baciare i piedi di Gesù e si rialza, si ritira a ritroso, esce, chiude la 
porta... 
Si sente il suo passo allontanarsi verso la scala, la sua voce scambiare poche 
parole con Maria, e poi il rumore dei sandali che scendono la scala e poi 
più nulla. Di Aglae non resta che il sacchettino ai piedi di Gesù e l'aroma 
acutissimo per tutta la stanza. 
Gesù si alza... raccoglie il sacchetto e se lo pone in seno, va ad una 
apertura che guarda sulla via, sorride vedendo la donna sola che si allontana 
nel suo mantello ebraico verso Betlemme. Fa un gesto di benedizione 
e poi va sulla terrazza e chiama: "Mamma." 
Maria sale lesta la scala: "L'hai fatta felice, Figlio mio. E' andata, con 
fortezza e con pace." 
"Sì, Madre. Quando tornerà Andrea mandamelo per primo." 
Passa del tempo, poi si sentono le voci degli apostoli che ritornano... 
Accorre Andrea: "Maestro, mi vuoi?" 
"Sì, vieni qui. Nessuno lo saprà, ma per te è giustizia dirlo. Andrea, 
grazie in nome di Dio e di un'anima." 
"Grazie? Di che?" 
"Non senti questo profumo? E' il ricordo della Velata. E' venuta. E' salvata." 
Andrea diviene rosso come una fragola, scivola in ginocchio e non trova 
una parola... Infine dice: "Ora sono contento. Sia benedetto il Signore!" 
"Sì. Alzati. Non dire agli altri che è venuta." 
"Tacerò, Signore." 
"Vai pure. Ascolta, c'è ancora Giuda di Simone?" 
"Sì, ci ha voluto accompagnare... dicendo... tante menzogne. Perché fa 
così, Signore?" 
"Perché è un ragazzo viziato. Dimmi la verità: vi siete litigati?" 
"No. Mio fratello è troppo felice col suo bambino per avere voglia di farlo, 
e gli altri... lo sai... sono più prudenti. Ma certo, in cuor nostro, siamo 
tutti disgustati. Ma dopo cena torna via... Altri amici... dice lui. Oh! 
e sprezza le meretrici!..." 
"Sii buono, Andrea. Anche tu devi essere felice questa sera..." 
"Sì, Maestro. Ho anche io la mia invisibile ma dolce paternità. Vado." 
Ancora qualche tempo, poi salgono in gruppi gli apostoli col bambino e 
Giovanni di Endor. Li seguono le donne con le pietanze e i lumi. Ultimo 
viene Lazzaro con Simone. 
Appena entrano nella stanza esclamano: "Ah! ma veniva di qui!!!" e fiutano 
l'aria satura di profumo di rose, satura nonostante le porte spalancate. "Ma 
chi ha profumato così questa stanza? Marta forse?" chiedono in molti. 
"Mia sorella non si è mossa di casa, oggi, dopo le mense" risponde Lazzaro. 
"E chi allora? Qualche satrapo assiro?" scherza Pietro. 
"L'amore di una redenta" dice serio Gesù.
"Poteva risparmiarsi questo inutile sfoggio di redenzione e dare 
quanto ha speso per i poveri. Sono tanti e sanno che noi diamo. 
Io non ho più un picciolo" dice irritato l'Iscariota. "E dobbiamo comprare l'agnello, 
affittare la stanza per il Cenacolo e..." 
"Ma vi ho offerto tutto io..." dice Lazzaro. 
"Non è giusto. Perde il bello, il rito. La Legge dice: 'Prenderai l'agnello per 
te e la tua casa'. Non dice: "Accetterai l'agnello'." 
"Bartolomeo si volta di scatto, apre la bocca, ma poi la chiude. Pietro 
diviene cremisi nello sforzo di tacere. 
Ma lo Zelote, che è in casa sua, sente di poter parlare, e dice: "Queste sono 
sottigliezze rabbiniche... Ti prego di lasciarle perdere e di conservare, in cambio, 
rispetto al mio amico Lazzaro." 
"Bravo, Simone!" Pietro scoppia se non parla. "Bravo! Mi pare anche che ci si 
dimentichi un poco troppo che solo il Maestro ha diritto di insegnare...". Pietro 
dice quel 'ci si dimentichi' con uno sforzo eroico per non dire: 'che Giuda dimentica'. 
"E' vero... ma... sono nervoso, ecco. Scusa, Maestro." 
"Sì. E anche ti rispondo. La gratitudine è una grande virtù. Io sono grato a 
Lazzaro. Come quella redenta fu grata a Me. Io spargo su Lazzaro il profumo 
della mia benedizione, anche per quelli, fra i miei apostoli, che 
non lo sanno fare, Io, capo di voi tutti. La donna ha sparso ai miei piedi il 
profumo della sua gioia di salvata. Ha riconosciuto il Re, ed è venuta al Re, 
prima di molti altri sui quali il Re ha effuso molto più amore che 
non su lei. Lasciatela fare senza criticarla. Non potrà essere presente 
alla mia acclamazione, né alla mia unzione. La sua croce è già sulla sua spalla. 
Pietro, tu hai detto se era venuto un satrapo assiro. In verità ti 
dico che neppure l'incenso dei Magi, tanto puro e prezioso, era più soave di 
questo, più prezioso di questo. L'essenza è stemperata nel pianto, e per questo è 
così acuta: l'umiltà sostiene l'amore e lo rende perfetto. Sediamo a mensa, amici..." 
E con l'offerta del cibo cessa la visione. 

cap.200 pg 528.
http://www.potenzadellacroce.net/contenuti/materiali/Maria_Valtorta_-_Evangelo_completo.pdf

venerdì 7 marzo 2014

Giuda Iscariota racconta come ha venduto i gioielli di Aglae


Gesù arriva da una strada e si guarda intorno. Non vede ancora nessuno. 
Pazientemente si addossa ad un tronco e aspetta, trovando modo di parlare 
ai monelli sulla carità che si inizia da Dio e scende dal Creatore a tutte le creature. 

«Non siate crudeli. Perché volete turbare gli uccelli dell'aria? Hanno nidi lassù. 
Hanno i loro piccoli figli. Non fanno del male a nessuno. Ci danno canti e pulizia, 
mangiando i rifiuti dell'uomo e gli insetti che nuocciono alle messi e alle frutta. 
Perché ferirli e ucciderli, privando i piccoli dei padri e delle madri, o 
questi dei piccoli? Sareste contenti che un malvagio entrasse nella vostra 
casa e ve la distruggesse, o che vi uccidesse i genitori o vi portasse lontano 
da loro? No, che non lo sareste. E allora perché fare a questi 
innocenti quello che non vorreste vi fosse fatto? Come potrete un giorno 
non fare del male all'uomo, se da bambini vi indurite il cuore su creaturine 
inermi e gentili quali gli uccellini? E non sapete che la Legge dice: 
"Ama il tuo prossimo come te stesso"? Chi non ama il prossimo non può 
neppure amare Dio. E chi non ama Dio, come può andare nella sua Casa e 
pregarlo? Dio potrebbe dirgli, e lo dice nei Cieli: "Va' via. Non ti 
conosco. Figlio tu? No. Non ami i fratelli, non rispetti in loro il Padre che 
li fece, perciò non sei fratello e figlio, ma un bastardo: figliastro a Dio, 
fratellastro ai fratelli". 
Vedete come ama Lui, il Signore eterno? Nei mesi più freddi fa trovare 
colmi i fienili perché in essi si annidino i suoi uccellini. In quelli caldi dà ombre 
di foglie per proteggerli dal sole. Nell'inverno nei campi è 
il grano appena coperto di terra e facile è scovare il seme e nutrirsene. 
Nell'estate la sete si allevia colle frutta succose, e i nidi possono farsi ben 
solidi e caldi coi fili dei fieni e la lana che le pecore lasciano ai rovi. Ed è 
il Signore. Voi, piccoli uomini, creati come gli uccelli da Lui, fratelli 
perciò in creazione ad essi, perché volete esser diversi da Lui, credendovi 
lecito incrudelire su questi piccoli animali? 
Siate a tutti misericordiosi, non privando del giusto nessuno, né fra gli uomini 
fratelli, né fra gli animali, vostri servi e amici, e Dio...». 

«Maestro?», chiama Simone. 
«Giuda sta venendo». 
«…e Dio sarà con voi misericorde, dandovi tutto quanto vi occorre come 
lo dà a questi innocenti. Andate e portate con voi la pace di Dio». 
Gesù fende il cerchio dei ragazzi, al quale si erano uniti degli adulti, e va 
verso Giuda e Giovanni che vengono svelti da un'altra via. 
Giuda è gongolante. Giovanni sorride a Gesù...ma non pare proprio felice. 

«Vieni, vieni, Maestro. Credo di aver fatto bene. Però vieni con me. 
Sulla via non si può parlare». 
«Dove, Giuda?». 
«All'albergo. Ho già fissato quattro stanze... oh! roba modesta, non 
temere. Tanto per potere riposare in un letto dopo tanto disagio in questo 
calore, e mangiare da uomini e non da uccelli sulla frasca, e parlare anche 
in pace. Ho venduto molto bene. Vero, Giovanni?». 
Giovanni annuisce senza molto entusiasmo. Ma Giuda è talmente contento 
della sua opera che non nota né la 
poca contentezza di Gesù, per la prospettiva di un alloggio comodo, 
né l'ancor meno entusiastico atteggiamento di Giovanni. 
E prosegue: «Avendo venduto a più di quanto avevo stimato, ho detto: 
"É giusto ne levi una piccola somma, cento denari, per i nostri letti e 
per i nostri pasti. Se siamo sfiniti noi che abbiamo sempre mangiato, Gesù 
deve essere sfinito del tutto". 

Ho il dovere di guardare che non si ammali, il mio Maestro! 
Dovere d'amore, perché Tu mi ami ed io ti amo... C'è posto anche per 
voi e per le pecore», dice ai pastori. «Ho pensato a tutto». 
Gesù non dice una parola. Lo segue insieme agli altri. Giungono 
ad una piazzetta secondaria. 

Giuda dice: «Vedi quella casa senza finestre sulla via e con quella 
porticina così stretta da parere una fessura? É la casa del battiloro Diomede. 
Sembra una povera casa, vero? Ma là dentro è tant'oro da comprare 
Gerico e... ah! ah!…», Giuda ride maligno..., «e in quell'oro si possono 
trovare anche molti monili e vasellami e... e anche altre cose di tutte le 
persone più influenti in Israele. 
Diomede... oh! tutti fingono di non conoscerlo ma tutti lo conoscono: 
dagli erodei a... a tutti, ecco. Su quel muro liscio, povero, si potrebbe 
scrivere: "Mistero e Segreto". Se parlassero quelle mura! Altro che 
scandalizzarsi del modo come ho trattato l'affare, Giovanni!... Tu... 
tu moriresti affogato dallo stupore e dallo scrupolo. Anzi, senti Maestro. 
Non mi mandare più con Giovanni a certi negozi. Per poco mi fa fallire 
tutto. Non sa capire a volo, non sa negare, e con un furbo come Diomede 
bisogna esser svelti e franchi». 
Giovanni mormora: «Dicevi certe cose! Così impensate e... e così... 
Sì, Maestro. Non mi mandare più. Non sono capace che di amare io ». 
«Difficilmente avremo ancora bisogno di simili vendite», risponde Gesù, 
che è serio. 
«Ecco là l'albergo. Vieni, Maestro. Parlo io perché... ho fatto tutto io». 
Entrano e Giuda parla col padrone, che fa condurre le pecore in una stalla, 
e poi conduce personalmente gli ospiti in una stanzetta dove sono due 
stuoie a letto, dei sedili e un tavolo pronto. 
Poi si ritira. «Parliamo subito, Maestro, mentre i pastori sono intenti a 
sistemare le pecore». 
«Ti ascolto». 
«Giovanni può dire se sono sincero». 
«Non ne dubito. Fra uomini onesti non deve esser necessario 
giuramento e testimonianza. Parla». 

«Siamo arrivati a Gerico a sesta. Eravamo sudati come bestie da soma. 
Non ho voluto dare impressione a Diomede di avere urgente bisogno. 
E prima sono venuto qui, e mi sono tutto rinfrescato e ho messo veste 
monda, e così ho voluto facesse lui. Oh! non voleva saperne di farsi 
ungere e accomodare i capelli... Ma io avevo fatto il mio piano, 
mentre venivo per via!... Quando era prossimo il vespero ho detto: "Andiamo". 
Ormai eravamo riposati e freschi come due ricconi in viaggio di piacere. 
Quando siamo stati per arrivare da Diomede, ho detto a Giovanni: 
"Tu assecondami. Non negare e sii svelto a capire". Ma era meglio se lo 
lasciavo fuori! Non mi ha aiutato per nulla. Anzi... Per buona sorte 
io sono svelto per due e ho riparato a tutto. Dalla casa usciva il gabelliere. 
"Bene!", ho detto. "Se esce quello lì, troveremo denari e quel che voglio 
per fare paragone". Perché il gabelliere, usuraio e ladro come tutti i 
suoi pari, ha sempre monili strappati con minacce e strozzinaggio a 
quei disgraziati che egli tassa più del lecito, per avere poi molto da godere in 
crapule e donne. Ed è molto amico di Diomede, che compra e 
vende oro e carne... 
Siamo entrati dopo che mi sono fatto conoscere. Dico: entrati. Perché 
altro è andare nell'androne dove lui finge di lavorare onestamente l'oro, 
e altro è scendere nel sotterraneo dove egli fa i veri affari. Bisogna esser 
molto conosciuti da lui per potere ciò. 
Quando mi ha visto, mi ha detto: "Ancora vuoi vendere oro? 
Sono momenti brutti e ho poco denaro". 
La sua solita canzone. Gli ho risposto: "Non vengo a vendere. 
Ma a comperare. Hai gioielli per donna? Ma belli, ricchi, preziosi e pesanti, 
d'oro puro?". Diomede è rimasto stupito. E ha chiesto: "Vuoi una donna?". 
"Non te ne occupare", gli ho risposto. "Non è per me. É per questo mio 
amico che è sposo e vuole comperare l'oro per la sua amata". E qui 
Giovanni ha cominciato a fare il bambino. Diomede, che lo guardava, lo ha 
visto diventare una porpora e ha detto, da quel vecchio lurido che è: 
"Eh! il ragazzo, solo a sentire nominare 
la sposa, va in febbre d'amore. E molto bella la tua donna?", ha chiesto. 
Ho dato un calcio a Giovanni per svegliarlo e fargli capire di non fare 
lo stolto. Ma ha risposto un "sì" così strangolato che Diomede si è 
insospettito. Allora ho parlato io: "Se bella o meno non ti deve interessare, 
vecchio. Non sarà mai del numero delle femmine per cui l'inferno ti avrà. 
É vergine onesta, e presto onesta sposa. Fuori il tuo oro. Io sono il 
paraninfo ed ho l'incarico di aiutare il giovane... lo giudeo e cittadino". 
"Lui è galileo, vero?". Sempre per quei capelli vi tradite! "É ricco?". 
"Molto". Allora siamo andati abbasso e 
Diomede ha aperto cofani e forzieri. Ma di' il vero, Giovanni! 
Non pareva d'esser in Cielo davanti a tutte 
quelle gemme e ori? Collane, serti, bracciali, orecchini, reticelle di 
oro e pietre preziose per i capelli, forcine, fibbie, anelli... ah! che splendori! 
Con molto sussiego ho scelto una collana su per giù come quella di Aglae, 
e anelli, fibbie, bracciali... tutto come quello che avevo nella borsa e in 
numero uguale. 
Diomede stupiva e chiedeva: "Ancora? Ma chi è costui? E la sposa chi è? 
Una principessa?". 
Quando ho avuto tutto quel che volevo, ho detto: "Il prezzo?". 
Oh! che litania di lamenti preparatori sui tempi, sulle tasse, sui rischi, sui 
ladri! Oh! che altra litania di assicurazioni di onestà! 
Poi ecco la risposta: "Proprio perché sei te, ti dirò il vero. Senza esagerazioni. 
Ma meno di questo neppure una dramma. Chiedo dodici talenti d'argento". 


"Ladro!", ho detto. Ho detto: "Andiamo, Giovanni. A Gerusalemme 
troveremo qualcuno meno ladro di costui". E ho fatto finta d'uscire. Mi è corso 
dietro. "Mio alto amico, mio diletto amico, vieni, senti il povero tuo servo. 
Meno non posso. Non posso proprio. Guarda. Faccio proprio uno 
sforzo e mi rovino. Lo faccio perché tu mi hai sempre dato la tua amicizia 
e mi hai fatto fare affari. Undici talenti, ecco. É quello che darei se dovessi 
comperare questo oro da un che ha fame. Non uno spicciolo meno. Sarebbe 
come levare il sangue dalle mie vecchie vene". Vero che diceva così? 
Faceva ridere e faceva nausea. Quando l'ho visto ben fermo sul prezzo 
ho fatto il colpo. "Vecchio sporco, sappi che non comperare, ma vendere 
voglio. Questo voglio vendere. Guarda: è bello come il tuo. Oro di Roma 
e di foggia nuova. Ti andrà a ruba. É tuo per undici talenti. Quanto hai chiesto 
per questo. Tu ne hai fatto la stima e tu paga". Uh! allora!... 
"E’ un tradimento! Hai tradito la mia stima in te! Tu sei la mia rovina! 
Non posso dare tanto!". 
"L'hai stimato tu. Paga". 
"Non posso". 
"Guarda che lo porto ad altri". 
"No, amico e allungava le mani adunche sul mucchio di Aglae. "E allora paga: 
dodici talenti dovrei volere. Ma mi accontento della tua ultima richiesta". 
"Non posso". "Usuraio! Guarda che qui ho un testimone e ti posso 
denunciare come ladro...", e gli ho detto anche altre virtù che non ripeto 
per questo ragazzo... 
Infine, poiché mi premeva vendere e fare presto, gli ho detto una cosetta, 
fra me e lui, che non manterrò... Ma che valore ha promessa fatta a un ladro? 
E ho concluso con dieci talenti e mezzo. 
Siamo venuti via fra pianti e profferte di amicizia e... di donne. 
E Giovanni per poco ci piange. Ma che ti importa che ti credano un vizioso? 
Basta che tu non lo sia. Non sai che il mondo è così e tu sei un aborto 
del mondo? Un giovane che non sa il sapore della donna? Chi vuoi che ti creda? 
O se ti credono... oh! io non vorrei pensassero di me ciò che può 
pensare di te chi ti crede non desideroso di donna. Ecco, Maestro. 
Conta Tu stesso. Avevo un mucchio di denari. Ma sono passato dal 
gabelliere e gli ho detto: 
"Riprenditi questa zavorra e rendimi i talenti che ti ha dato Isacco". 
Perché avevo saputo anche questo per ultima notizia, ad affare fatto. 
Però, per ultima cosa, ho detto a Isacco-Diomede: 
"Ricordati che il Giuda del Tempio non esiste più. Ora sono discepolo di 
un santo. Fingi perciò di non avermi mai conosciuto, se ti preme il collo". 
E per poco glielo torco subito, perché mi ha risposto male». 
«Che ti ha detto?», chiede con indifferenza Simone. 
«Mi ha detto: "Tu discepolo di un santo? Non lo crederò mai, o presto 
vedrò anche qui il santo a chiedermi una donna. Mi ha detto: 
"Diomede è una vecchia sciagura del mondo. Ma tu ne sei quella nuova. 
Ed io potrei ancora cambiare, perché sono diventato quel che sono 
da vecchio. Ma tu non cambi. Sei nato così". 
Vecchio lurido! Nega il tuo potere, capisci?». 
«E, da buon greco, dice molte verità». 
«Che vuoi dire, Simone? Per me parli?». 
«No. Per tutti. E uno che conosce l'oro e i cuori nella stessa maniera. 
É un ladro, un lurido di tutti i più luridi commerci. Ma si sente in lui la 
filosofia dei grandi greci. Conosce l'uomo, animale dalle sette branche di 
peccato, polipo che strozza il bene, l'onestà, l'amore e tante altre 
cose, in sé e negli altri». 
«Ma non conosce Dio». 
«E tu glielo vorresti insegnare?». 
«Io. Sì. Perché? Sono i peccatori che hanno bisogno di conoscere Dio». 
«Vero. Però... il maestro deve conoscerlo per insegnarlo». 
«E non lo conosco?». 
«Pace, amici. Vengono i pastori. Non turbiamo il loro animo con 
querele fra noi. Hai contato il denaro tu? Basta. Porta a termine bene ogni 
tua azione come hai portato questa e, te lo ripeto, se puoi, in futuro, non 
mentire neppure per raggiungere una azione buona...». 

Entrano i pastori. «Amici. Qui sono dieci talenti e mezzo. Mancano solo 
cento denari che Giuda ha tenuto per le spese di alloggio. Prendete». 
«Tutti li dai?», chiede Giuda. 
«Tutti. Non voglio uno spicciolo di quel denaro. Noi abbiamo l'obolo 
di Dio e di coloro che onestamente cercano Dio... e non ci mancherà mai 
l'indispensabile. Credilo. Prendete e siate felici, come Io lo sono, per il 
Battista. Domani andrete verso la sua prigione. Due, ossia Giovanni e Mattia. 
Simeone con Giuseppe andrà da Elia a riferire e ad istruirsi per il futuro. 
Elia sa. Poi Giuseppe tornerà con Levi. Il luogo di ritrovo, fra 
dieci giorni, presso la porta dei Pesci a Gerusalemme, all'ora di prima. 
E ora mangiamo e prendiamo riposo. 
Domani, a mattutino, Io parto coi miei. Altro non ho da dirvi per ora. 
Più tardi saprete di Me». 

E tutto si offusca sulla frazione del pane fatta da Gesù. 





lunedì 3 marzo 2014

Aglae e i suoi gioielli

Maria Valtorta
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«Abbiamo perduto dei giorni con quello stupido incidente. Ha sciupato tutto... 
e mia madre, che tanto aveva fatto, è rimasta delusa. Non so poi perché Tu hai 
voluto segregarti sino alla purificazione». 
«Giuda, perché chiami stupido un fatto che fu grazia per un vero fedele? Non 
vorresti tu, per te, tal morte?  Aveva atteso tutta la vita il Messia; si era portato, 
già anziano, per vie disagiate ad adorarlo quando gli dissero: "C'è". Aveva 
conservato in cuore per trent'anni la parola di mia Madre. L'amore e la fede lo 
hanno investito, nell'ultima ora che Dio gli serbava, dei loro fuochi. Il cuore gli 
si è spezzato nella gioia, incenerito, come olocausto gradito, dal fuoco di Dio. 
Quale sorte migliore di questa? Ha sciupato la festa che tu avevi 
preparata? Vedi in questo una risposta di Dio. Non vada mescolato ciò che è 
dell'uomo con ciò che è di Dio... 
Tua madre mi avrà ancora. Quel vecchio non mi avrebbe più avuto. 
Tutta Keriot può venire al Cristo, il vegliardo non aveva più forze per farlo. 
Sono stato felice di aver raccolto sul cuore il vecchio padre morente 
e di avergli raccomandato lo spirito. E per il resto... Perché dare scandalo 
mostrando sprezzo alla Legge? Per dire: "Seguitemi" occorre camminare. 
Per portare su via santa bisogna fare la stessa via. Come avrei potuto, 
o come potrei dire: "Siate fedeli", se infedele fossi Io?». 
«Credo che questo errore sia la causa della nostra decadenza. I rabbi e i 
farisei accasciano il popolo sotto i precetti e poi... poi fanno come quello 
che ha profanato la casa di Giovanni facendone un luogo di vizio», 
osserva Simone. 
«È un di Erode... », ribatte l'Iscariota. 
«Sì, Giuda. Ma le stesse colpe sono anche nelle caste che si dicono, 
da sé se lo dicono, sante. Che ne dici, Maestro?», dice Simone. 
«Dico che solo se vi sarà un pugno di vero lievito e di vero incenso in Israele, 
si formerà il pane e si profumerà l'altare». 
«Che vuoi dire?». 
«Voglio dire che, se vi sarà chi verrà alla Verità con cuore retto, la Verità 
si spargerà come lievito nella massa della farina e come incenso per tutto Israele». 

«Che ti ha detto quella donna?», chiede Giuda. 
Gesù non risponde. Si volge a Giovanni: «Pesa molto e fatichi. Dammi il tuo carico». 
«No, Gesù. Sono uso ai pesi e poi... me lo fa leggero il pensiero della gioia 
che ne avrà Isacco». 
Il poggio è girato. All'ombra del bosco, sull'altro versante, sono le pecore di Elia. 
E i pastori, seduti all'ombra, le guardano. Vedono Gesù e corrono. 
«La pace a voi. Qui siete?». 
«Eravamo in pensiero per Te... e per il ritardo... incerti se venirti incontro 
o ubbidire... abbiamo deciso venire sin qui... per ubbidire a Te e al nostro 
amore insieme. Dovevi esser qui da molti giorni». 
«Abbiamo dovuto sostare...». 
«Ma... nulla di male?». 
«No, nulla, amico. La morte di un fedele sul mio petto. Non altro». 
«Cosa vuoi che accadesse, pastore? Quando le cose sono ben preparate... 
Certo bisogna saperle preparare, e preparare i cuori a riceverle. La mia città 
ha dato al Cristo ogni onore. Non è vero, Maestro?». 
«È vero. Isacco, siamo passati, nel ritorno, da Sara. Anche la città di Jutta, 
senza altra preparazione fuor di quella della sua semplice bontà e della verità 
delle parole di Isacco, ha saputo capire l'essenza della mia dottrina e amare, 
di un amore pratico, disinteressato e santo. Ti ha mandato vesti e cibo, Isacco, 
e agli oboli rimasti sul tuo giaciglio tutti hanno voluto unire qualcosa per te, 
che torni nel mondo e che sei privo di tutto. 
Tieni. Io non porto mai denaro. Ma questo l'ho preso perché è purificato 
dalla carità». 
«No, Maestro, tienilo ...sono abituato a farne senza». 
«Ora dovrai andare per i paesi in cui ti manderò. E ti occorre. L'operaio 
ha diritto alla mercede, anche se operaio d'anima... perché ancora vi è un corpo 
da nutrire, come fosse l'asinello che aiuta il padrone. Non è molto. Ma tu 
saprai fare... Giovanni in quella sacca ha vesti e sandali. Gioacchino ha preso 
dei suoi. Saranno grandi... ma c'è tanto amore nel dono!». Isacco prende la 
bisaccia e si ritira a vestirsi dietro un cespuglio. Era ancora scalzo e nella 
sua bizzarra toga fatta di una coperta. 
«Maestro», dice Elia. 
«Quella donna... quella donna che sta nella casa di Giovanni... quando Tu eri 
via da tre giorni e noi pasturavamo le pecore sui prati di Ebron ché son 
di tutti, i prati, e non ci potevano cacciare ci mandò una servente con questa 
borsa e dicendo che ci voleva parlare... Non so se ho fatto bene... ma per la 
prima volta ho reso la borsa e ho detto: "Non ho nulla da udire"... Poi lei mi 
ha fatto dire: "Vieni in nome di Gesù" e sono andato... Ha aspettato che non 
ci fosse il suo... insomma l'uomo che la tiene... Quante cose ha voluto... anzi, 
voleva sapere. Ma io... ho detto poco. Per prudenza. È una meretrice. 
Temevo fosse un tranello per Te. Mi ha chiesto chi sei, dove stai, che fai, 
se sei un signore... Io ho detto: "È Gesù di Nazaret, è dapertutto perché è un 
maestro e va insegnando per la Palestina"; ho detto che sei un uomo povero, 
semplice, un operaio che la Sapienza ha fatto sapiente... Non di più». 

«Hai fatto bene», dice Gesù; e contemporaneamente Giuda esclama: 
«Hai fatto male! Perché non hai detto che è il Messia, che è il Re del 
mondo? Schiacciarla, la superba romana, sotto il fulgore di Dio!». 
«Non mi avrebbe capito... E poi? Ero certo se era sincera? L'hai detto tu, 
quando la vedesti, cosa è lei. Potevo gettare le cose sante - e tutto ciò che 
è Gesù è santo - in bocca a lei? Potevo mettere in pericolo Gesù dando 
troppe notizie? Da tutti gli venga male, ma non da me». 
«Andiamo noi, Giovanni, a dirle chi è il Maestro, a spiegarle la verità santa». 
«Io no. A meno che Gesù me lo ordini». 
«Hai paura? Che vuoi che ti faccia? Hai schifo? Non lo ha avuto il Maestro!». 
«Non paura e non schifo. Ho pietà di lei. Ma penso che, se Gesù voleva, 
poteva fermarsi ad istruirla. Non lo ha fatto... non è necessario farlo noi». 

«Allora non c'erano segni di conversione... Ora... Fai vedere, Elia, 
la borsa». E Giuda rovescia su un lembo del mantello, poiché si è seduto 
sull'erba, il contenuto della borsa. 
Anelli, armille, braccialetti, una collana rotolano: giallo oro sul giallo opaco 
della veste di Giuda. 
«Tutti gioielli!... Che ce ne facciamo?». 
«Si possono vendere», dice Simone. 
«Sono cose noiose», obbietta Giuda che però li ammira. 
«Gliel'ho detto anche io, nel prenderli; ho anche detto: "Il tuo signore ti 
batterà". Mi ha risposto: "Non è roba sua. Mia è, ne faccio ciò che voglio. 
So che è oro di peccato... ma diventerà buono se usato per chi è povero e 
santo. Perché si ricordi di me", e piangeva». 
«Vacci, Maestro». 
«No». 
«Mandaci Simone». 
«No». 
«Allora vado io». 
«No». I «no» di Gesù sono secchi e imperiosi. 
«Ho fatto male, Maestro, a parlare con lei, a prendere quell'oro?», 
chiede Elia che vede Gesù serio. 
«Non hai fatto male. Ma non c'è nulla di più da fare». 
«Ma forse quella donna vuole redimersi ed ha bisogno di essere 
ammaestrata... », obbietta ancora Giuda. 
«In lei sono già tante scintille atte a suscitare l'incendio in cui può ardersi il 
suo vizio e rimanere l'anima rinverginizzata dal pentimento. Poco fa vi ho 
parlato di lievito che si sparge per la farina e la fa santo pane. 

Udite una breve parabola. Quella donna è farina. Una farina in cui il Maligno 
ha mescolato le sue polveri di inferno. Io sono il lievito. Ossia la mia parola 
è il lievito. Ma se troppa pula è nella farina, o se sassi e rena vi è mescolata, 
e cenere con essa, può farsi il pane anche se il lievito è buono? 
Non può farsi. Occorre che pazientemente si levi dalla farina pula, cenere, 
sassi e rena. La Misericordia passa e offre il crivello... 
Il primo: quello fatto da brevi verità fondamentali. Quali sono necessarie 
per esser comprese da uno che è nella rete della completa ignoranza, 
del vizio, del gentilesimo. Se l'anima lo accoglie, comincia la prima 
purificazione. 
La seconda avviene col crivello dell'anima stessa, che confronta il suo 
essere con l'Essere che si è rivelato. E ne ha orrore. E inizia la sua opera. 
Per una operazione sempre più minuta, dopo i sassi, dopo 
la rena, dopo la cenere, giunge anche a levare quello che è già farina, 
ma con granelli ancor pesanti, troppo pesanti per dare ottimo pane. 
Ora eccola tutta pronta. Ripassa allora la Misericordia e si immette in 
quella farina preparata - anche questa è preparazione, Giuda - e la solleva 
e la fa pane. Ma è operazione lunga e di "volontà" dell'anima. 
Quella donna... quella donna ha già in sé quel minimo che era giusto darle 
e che le può servire a compiere il suo lavoro. Lasciamo lo compia, 
se vorrà farlo, senza turbarla. Tutto turba un'anima che si lavora: la curiosità, 
gli zeli inconsulti, le intransigenze come le eccessive pietà». 
«Allora non ci andiamo?». 
«No. E, perché nessuno fra voi abbia tentazione, partiamo subito. 
Nel bosco è ombra. Sosteremo alle falde della valle del Terebinto. 
E là ci separeremo. Elia tornerà ai suoi pascoli con Levi. Mentre Giuseppe 
verrà con Me sino al guado di Gerico. Poi... ci riuniremo ancora. 
Tu, Isacco, continua ciò che facesti a Jutta, andando da qui, per Arimatea e 
Lidda, sino a raggiungere Doco. Là ci ritroveremo. Vi è da preparare la 
Giudea. E tu sai come farlo. Come hai fatto a Jutta». 
«E noi?». 
«Voi? Verrete, l'ho detto, per vedere la mia preparazione. Anche Io mi 
sono preparato alla missione». 
«Andando da un rabbi?». 
«No». 
«Da Giovanni?». 
«Ne presi solo il battesimo». 
«E allora?». 
«Betlemme ha parlato con le pietre ed i cuori. Anche lì dove ti porto, 
Giuda, le pietre ed un cuore, il mio, parleranno e ti daranno risposta». 
Elia, che ha portato latte e pane scuro, dice: «Ho cercato, mentre attendevo, 
e con me ha cercato Isacco, di persuadere quelli di Ebron... Ma 
non credono, non giurano, non vogliono che Giovanni. È il loro "santo" e 
non vogliono che quello». 
«Peccato comune a molti paesi e a molti credenti presenti e futuri. 
Guardano l'operaio e non il padrone che ha mandato l'operaio. 
Chiedono all'operaio senza neppur dirgli: "Di' al tuo padrone questo". 
Dimenticano che l'operaio c'è perché c'è il padrone, e che è il padrone che 
istruisce l'operaio e lo rende atto al lavoro. 
Dimenticano che l'operaio può intercedere. 
Ma uno solo può concedere: il padrone. In questo caso, Dio e il 

suo Verbo con Lui. Non importa. Il Verbo ne ha dolore, ma 
non rancore. Andiamo». 
La visione ha termine. 
Tu mi sei fortezza e rifugio, Tu mio conforto e difesa

"Il Vangelo come mi è stato rivelato". cap 79 pg 211 di
http://www.potenzadellacroce.net/contenuti/materiali/Maria_Valtorta_-_Evangelo_completo.pdf

domenica 2 marzo 2014

L'incontro con Aglae



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«Se un ti dicesse: " Il Messia sono Io ", che diresti tu? chiede Gesù. 
«Lo chiamerei "bestemmiatore " e lo caccerei a colpi di pietra». 
«E se facesse un miracolo per provare il suo essere?». 
«Lo direi "indemoniato ". Il Messia verrà quando Giovanni si rivelerà nel suo 
vero essere. Lo stesso odio di Erode è la prova. Egli, l'astuto, sa che Giovanni 
è il Messia». 
«Non è nato a Betlemme». 
«Ma quando sarà liberato, dopo essersi annunciato da se stesso il suo prossimo 
avvento, si manifesterà a Betlemme. Anche Betlemme attende questo. Mentre... oh! 
vai, se hai fegato, a parlare ai betlemmiti di un altro Messia... e vedrai». 
«Avete una sinagoga?». 
«Sì. Dritto per duecento passi per questa via. Non puoi sbagliare. Vicino è 
l'arca dei resti violati». 
«Addio. E il Signore ti illumini». 
Se ne vanno. Girano sul davanti. 
Sul portone è una donna giovane e sfacciatamente vestita. Bellissima. 
«Signore, vuoi entrare nella casa? Entra». 
Gesù la fissa, severo come un giudice, e non parla. 
Parla Giuda, in questo spalleggiato da tutti. «Rientra, spudorata! Non profanarci 
col tuo alito, cagna famelica». 
La donna ha un vivo rossore e china il capo. Fa per scomparire confusa, 
beffata da monelli e passanti. 
«Chi è tanto puro da dire: "Non ho mai desiderato il pomo offerto da Eva?"» 
dice Gesù severo, e aggiunge: 
«Indicatemi costui ed Io lo saluterò "santo". Nessuno? E allora se, non per 
ribrezzo ma per debolezza, vi sentite incapaci di avvicinare costei, ritiratevi. 
Non obbligo i deboli a lotte impari. Donna, vorrei entrare. Questa casa era 
di un mio parente. Mi è cara». 
«Entra, Signore, se non hai schifo di me». 
«Lascia aperta la porta. Che il mondo veda e non mormori...». 

Gesù passa serio, solenne. La donna lo inchina soggiogata e non osa muoversi. 
Ma i lazzi della folla la pungono a sangue. Fugge di corsa sino in fondo al 
giardino, mentre Gesù va sino ai piedi della scala, sogguarda per le porte 
socchiuse, ma non entra. Poi va dove era il sepolcro, e dove ora è una specie 
di tempietto pagano. 
«Le ossa dei giusti, anche se inaridite e disperse, gemono balsamo 
di purificazione e spargono semi di vita eterna. Pace ai morti vissuti nel bene! 
Pace ai puri che dormono nel Signore! Pace a coloro che soffersero, 
ma non vollero conoscere vizio! Pace ai veri grandi del mondo e del Cielo! Pace!».
La donna, costeggiando una siepe che la ripara, lo ha raggiunto. «Signore!». 
«Donna». 
«Il tuo nome, Signore». 
«Gesù». 
«Non l'ho mai udito. Sono romana, mima e ballerina. Non sono esperta 
che in lascivie. Che vuol dire quel Nome? Il mio è Aglae e... e vuol dire: vizio». 
«Il mio vuol dire: Salvatore». 
«Come salvi? Chi?». 
«Chi ha buona volontà di salvezza. Salvo insegnando ad esser puri, a volere 
il dolore ma l'onore, il bene ad ogni costo». Gesù parla senza acredine, ma 
senza neppure voltarsi verso la donna. 
«Io sono perduta... » 
«Io sono Colui che ricerca i perduti». 
«Io sono morta» 
«Io sono Colui che dà Vita». 
«Io sono sudiciume e menzogna». 
«Io sono Purezza e Verità». 
«Anche Bontà sei, Tu che non mi guardi, non mi tocchi e non mi calpesti. 
Pietà di me... » 
«Tu abbi, per prima, pietà dell'anima tua». 
«Cosa è l'anima?». 
«È ciò che dell'uomo fa un dio e non un animale. Il vizio, il peccato l'uccide 
e, uccisa che sia, l'uomo torna animale repellente». 
«Ti potrò vedere ancora?». 
«Chi mi cerca mi trova». 
«Dove stai?». 
«Dove i cuori hanno bisogno di medico e medicina per tornare onesti». 
«Allora... non ti vedrò più... Io sto dove non si vuole medico, medicina e onestà». 
«Nulla ti impedisce di venire dove sono. Il mio Nome sarà gridato 
per le vie e verrà fino a te. Addio». 
«Addio, Signore. Lascia che ti chiami "Gesù". Oh! non per famigliarità!... 
Perché entri un poco di salvezza in me. Sono Aglae, ricordati di me». 
«Sì. Addio». 

La donna resta nel fondo, Gesù esce severo. Guarda tutti. Vede 
perplessità nei discepoli, scherno negli ebroniti. Un servo chiude il portone. 
Gesù va dritto per la via. Bussa alla sinagoga. 
Si affaccia un vecchietto astioso. Non dà neppure tempo a Gesù di parlare. 
«La sinagoga è interdetta, in questo luogo santo, per coloro che commerciano 
con le meretrici. Via!». 
Gesù si volta senza parlare e continua a camminare per la via. I suoi dietro. 
Finché sono fuori di Ebron. Allora parlano. 

«Però l'hai voluto, Maestro» dice Giuda. «Una meretrice!». 
«Giuda, in verità ti dico che ella ti supererà. E ora, tu che mi rimproveri, 
che mi dici sui giudei? Nei luoghi più santi della Giudea siamo stati beffati 
e cacciati... Ma così è. Viene il tempo che Samaria e i Gentili 
adoreranno il vero Dio, e il popolo del Signore sarà sporco di sangue e 
di un delitto... di un delitto rispetto al quale quello delle meretrici che vendono 
la loro carne e la loro anima sarà poca cosa. Non ho potuto pregare 
sulle ossa dei miei cugini e del giusto Samuele. Ma non importa. 
Riposate, ossa sante, giubilate o spiriti che abitavate in esse. 
La prima risurrezione è vicina. Poi verrà il giorno in cui sarete mostrati agli 
angeli come quelli dei servi del Signore». 
Gesù tace e tutto ha fine.