168. Aglae in casa di Maria a Nazareth.
Pentecoste. Maria lavora quieta ad una tela. E’ sera, tutte le porte sono chiuse, una lucerna a tre becchi illumina la piccola stanza di Nazaret e specie la tavola presso cui è seduta la Vergine.
La tela, forse un lenzuolo, ricade dal cassapanco e dai ginocchi fino a terra e Maria, vestita di azzurro cupo, pare emergere da un mucchio di neve. É sola. Cuce lesta, col capo chino verso il suo lavoro, e il lume accende il sommo del suo capo con riflessi di pallido oro. Il resto del volto è in penombra. Nella stanza ben ordinata regna il massimo silenzio.
Anche dalla via, deserta nella notte, non viene rumore. E dall'orto neppure. La pesante porta che dalla stanza dove Maria lavora, quella dove Ella è solita prendere i suoi pasti e ricevere gli amici, conduce all'orto, è chiusa e impedisce anche al rumore della fontanella, che spiccia nella vasca, di penetrare.
E’ proprio il silenzio più profondo. Vorrei sapere dove è il pensiero della Vergine mentre le sue mani lavorano leste... Un bussare discreto all'uscio che dà sulla via. Maria alza il capo, ascolta. E’ stato così lieve il bussare che Maria deve pensare che è causato da qualche animale notturno o da un poco di vento che abbia scosso la porta, e torna a chinare la testa sul lavoro. Ma il busso si ripete più distinto. Maria si alza e va verso la porta.
Chiede, prima di aprire: «Chi bussa?».
Risponde una voce sottile: «Una donna. In nome di Gesù, pietà di me ».
Maria apre subito, tenendo sollevata la lampada per conoscere questa pellegrina. Vede un ammasso di stoffa,
un viluppo da cui nulla traspare. Un povero viluppo che sta curvo in profondo inchino dicendo:
«Ave! Domina! » e ripete ancora: «In nome di Gesù, pietà di me ».
«Entra e dimmi che vuoi. Io non ti conosco ».