venerdì 31 marzo 2023

I SETTE DOLORI DELLA VERGINE MARIA


 

 

VENERDÌ DELL'ADDOLORATA, 

31/03/2023  Si celebra il venerdì che precede la Domenica delle Palme ed è una tradizione diffusa soprattutto al Centro-Sud dove si svolgono solenni processioni con il simulacro di Maria abbigliato a nero e trafitto dalla spada in segno di dolore per la Passione e Morte del Figlio

A Gallipoli, nel Salento, l’Addolorata (nella foto in alto), alle 12 in punto esce dalla Cattedrale e percorre tutta la città per fare rientro la sera quando dal bastione del porto benedice i marinai.

IL CULTO

La devozione alla Madonna Addolorata prese particolare consistenza a partire dalla fine dell’XI secolo e fu anticipatrice della celebrazione liturgica, istituita più tardi. Il Liber de passione Christi et dolore et planctu Matris eius di ignoto (erroneamente attribuito a s. Bernardo), costituisce l’inizio di una letteratura, che porta alla composizione in varie lingue del “Pianto della Vergine”. Testimonianza di questa devozione è il popolarissimo Stabat Mater in latino, attribuito a Jacopone da Todi, il quale compose in lingua volgare anche le famose Laudi; da questa devozione ebbe origine la festa dei “Sette Dolori di Maria SS.”

Nel secolo XV si ebbero le prime celebrazioni liturgiche sulla “compassione di Maria” ai piedi della Croce, collocate nel tempo di Passione. A metà del secolo XIII, nel 1233, sorse a Firenze l’Ordine dei frati “Servi di Maria”, fondato dai Ss. Sette Fondatori e ispirato dalla Vergine. L’Ordine che già nel nome si qualificava per la devozione alla Madre di Dio, si distinse nei secoli per l’intensa venerazione e la diffusione del culto dell’Addolorata; il 9 giugno del 1668, la S. Congregazione dei Riti permetteva all’Ordine di celebrare la Messa votiva dei sette Dolori della Beata Vergine, facendo menzione nel decreto che i Frati dei Servi, portavano l’abito nero in memoria della vedovanza di Maria e dei dolori che essa sostenne nella passione del Figlio. Successivamente, papa Innocenzo XII, il 9 agosto 1692 autorizzò la celebrazione dei Sette Dolori della Beata Vergine la terza domenica di settembre.

Ma la celebrazione ebbe ancora delle tappe, man mano che il culto si diffondeva; il 18 agosto 1714 la Sacra Congregazione approvò una celebrazione dei Sette Dolori di Maria, il venerdì precedente la Domenica delle Palme e papa Pio VII, il 18 settembre 1814 estese la festa liturgica della terza domenica di settembre a tutta la Chiesa, con inserimento nel calendario romano. Infine papa Pio X (1904-1914), fissò la data definitiva del 15 settembre, il giorno dopo la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, con memoria non più dei “Sette Dolori”, ma più opportunamente come “Beata Vergine Maria Addolorata”.

COM'È RAFFIGURATA L'ADDOLORATA?

  

Di solito è vestita di nero per la perdita del Figlio, con una spada o con sette spade che le trafiggono il cuore. L’abito nero dell’Addolorata è una tradizione importata nel Centro-Sud dell’Italia dalla dominazione spagnola. Altro soggetto molto rappresentato è la Pietà, penultimo atto della Passione, che sta fra la deposizione e la sepoltura di Gesù, in cui la Madre soregge sulle ginocchia il corpo del Figlio morto.

La processione dell'Addolorata a Gallipoli
La processione dell'Addolorata a Gallipoli

I RITI POPOLARI

In onore dell’Addolorata sono state composte diverse preghiere. La più famosa è quella che contempla i Sette Dolori di Maria, che corrispondono ad altrettanti episodi narrati nel Vangelo: 1) La profezia dell’anziano Simeone, quando Gesù fu portato al Tempio “E anche a Te una spada trafiggerà l’anima”. 2) La Sacra Famiglia è costretta a fuggire in Egitto “Giuseppe destatosi, prese con sé il Bambino e sua Madre nella notte e fuggì in Egitto”. – 3) Il ritrovamento di Gesù dodicenne nel Tempio a Gerusalemme “Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo”. – 4) Maria addolorata, incontra Gesù che porta la croce sulla via del Calvario. – 5) La Madonna ai piedi della Croce in piena adesione alla volontà di Dio, partecipa alle sofferenze del Figlio crocifisso e morente. – 6) Maria accoglie tra le sue braccia il Figlio morto deposto dalla Croce. – 7) Maria affida al sepolcro il corpo di Gesù, in attesa della risurrezione.

La liturgia e la devozione hanno compilato anche le Litanie dell’Addolorata, ove la Vergine è implorata in tutte le necessità, riconoscendole tutti i titoli e meriti della sua personale sofferenza. La tradizione popolare ha identificato la meditazione dei Sette Dolori, nella pia pratica della Via Matris, che al pari della Via Crucis, ripercorre le tappe storiche delle sofferenze di Maria e sempre più numerosi sorgono questi itinerari penitenziali, specie in prossimità di Santuari Mariani, rappresentati con sculture, ceramiche, gruppi lignei, affreschi.

Le processioni penitenziali, tipiche del periodo della Passione di Cristo, comprendono anche la figura della Madre dolorosa che segue il Figlio morto, l’incontro sulla salita del Calvario, Maria posta ai piedi del Crocifisso; in certi Comuni le processioni devozionali, assumono l’aspetto di vere e proprie rappresentazioni altamente suggestive, specie quelle dell’incontro tra il simulacro di Maria vestita a lutto e quello di Gesù che trasporta la Croce insanguinato e sofferente.

In certe località queste processioni, che nel Medioevo diedero luogo anche a rappresentazioni sacre dette “Misteri”, assumono un’imponenza di partecipazione popolare, da costituire oggi un’attrattiva oltre che devozionale e penitenziale, anche turistica e folcloristica, a cominciare dalla grande processione barocca di Siviglia.

Preghiamo.
Commemorazione Sette Dolori B. M. V.

O Dio, nella tua passione, una spada di dolore ha trafitto, secondo la profezia di Simeone, l'anima dolcissima della gloriosa vergine e madre Maria: concedi a noi, che celebriamo con venerazione i dolori che l'hanno trafitta e la sua passione, per i gloriosi meriti e le preghiere dei santi fedeli ai piedi della croce, di ottenere il frutto felice della. tua passione:
Tu che sei Dio, e vivi e regni con Dio Padre in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

R. Amen.

TRANI * Miracolo Eucaristico

 

Miracolo eucaristico di Trani

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Antica rappresentazione del miracolo Eucaristico presente nella chiesetta.

Il miracolo eucaristico di Trani secondo la tradizione sarebbe avvenuto nell'omonima cittadina intorno all'anno mille: una donna dopo aver occultato durante la messa un'ostia consacrata, una volta a casa la mise in una padella di olio bollente, ma la particola si sarebbe trasformata in carne, sanguinando abbondantemente.[1]

La reliquia è attualmente custodita in una teca d'argento, nella chiesa di Sant'Andrea a Trani.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Casa della Donna in cui è avvenuto il miracolo eucaristico, oggi Chiesa del Miracolo Eucaristico (o del Ss. Salvatore)
Sabato Santo 1984, tratto di Corso Vittorio Emanuele II. L'urna argentea contenente la Santissima Eucarestia è sorretta a spalla da quattro sacerdoti a piedi scalzi, in segno di penitenza e riparazione a ciò che secoli addietro avvenne a Trani profanando l'Ostia consacrata.

Intorno all'anno mille a Trani, in Terra di Puglia, Gesù Cristo volle manifestarsi al Suo Popolo prediletto, sotto le sembianze della carne e del sangue. Una Donna , che viveva "extra moenia" a ridosso della cinta muraria, dubitando della presenza reale di Cristo nell'Ostia consacrata, concertò con un'altra Donna il modo di possedere una Particola consacrata.

Infatti, approfittando della ricorrenza del Giovedì Santo, giorno dedicato dalla Chiesa a commemorare l'istituzione della Eucarestia e di maggior concorso di popolo alle sacre funzioni, la Donna entrò nella chiesa di Sant'Andrea insieme a tante altre persone per partecipare ai Divini Misteri. Al momento della Comunione la donna si avvicinò all'altare e prese le Sacre Specie. Ritornata nel suo angolo, nel fingere di raccogliersi devotamente, pose la Particola consacrata nel fazzoletto. Dopo poco uscì e si avviò presso la dimora dell'amica, dove attraverso il gesto sacrilego, Cristo manifestò la Sua umanità: la carne ed il sangue. L'ebrea, una volta ricevuta l'Ostia tra le mani, congedò la donna cristiana, accese il fuoco, vi pose una padella (così definita "sartagine") piena di olio e quando cominciò a friggere vi immerse la Particola inerme. QUALE TREMENDA E STUPENDA REALTÀ'! QUELLA BIANCA E IMMOBILE OSTIA IMMEDIATAMENTE DIVENNE CARNE SANGUINOLENTA. Il sangue copioso traboccò dalla padella, riversandosi sul pavimento, fino a fuoriuscire dalla soglia della porta. La Donna, vedendo una così miracolosa trasformazione, tentò di occultare il sacrilegio, ma il suo gesto fu vano, perché quel pezzo di carne, divenuto vivente, continuò a spargere sangue per la redenzione dell'umanità.

Allora la Donna fu terrorizzata da tanta copiosità di sangue vivo e incominciò a gridare. A quelle grida spaventose, accorse tutto il vicinato, il quale visto quell'orrenda scena di sangue, si sparse per la città annunziando la tremenda e prodigiosa trasformazione. Il Vescovo fu informato e trasecolato da quell'insolita notizia, immediatamente si portò sul luogo del sacrilegio, raccolse i resti dell'Ostia fritta ancora tiepidi e l'adorò intensamente. Poi, pensò di trasportare quei pezzi di carne fritta, nell'antica cattedrale, indicendo una processione popolare di riparazione e penitenza per il sacrilegio perpetrato. Il popolo e le Autorità imperiali con il Clero vi parteciparono tutti scalzi, facendo ala al Vescovo che solennemente mostrava, raccolte in un panno, la misericordia e l'amore di Cristo, divenuto per amore Corpo e Sangue. (Storia dell'Ostia miracolosa di Trani, F. Spaccucci e G. Curci, Napoli 1989).

Teca contenente i Sacri Azzimi profanati dalla Donna. Regalo del Sig. Fabrizio De Cuneo alla Cattedrale di Trani, per divozione verso ciò che Dio ha voluto operare nella sua Terra di Trani.

La casa dove è avvenuto il prodigio fu trasformata nel 1706 in una cappella consacrata e dedicata al "Santissimo Salvatore", come ricorda Antonio Paoli, allora vicario generale della diocesi, in uno scritto del 1719, "Vita di San Nicola Pellegrino", dedicato al patrono.

I due frammenti dai quali è composta la reliquia vennero esaminati in diverse ricognizioni ecclesiastiche, l'ultima delle quali è avvenuta nel 1924, in occasione del Primo Congresso Eucaristico Interdiocesano.

Una Solenne Processione Penitenziale-Riparatoria (detta dei Misteri), che si tiene durante la sera del Venerdì Santo, ricorda attualmente l'episodio ricordato come Miracolo eucaristico di Trani.

Dalla Settimana Santa 2021, per decisione dei sacerdoti reggenti la Parrocchia territoriale (San Francesco), i Canonici Mons. Saverio Pellegrino e Don Michele Torre, si è deciso di permettere continuamente la preghiera nel luogo dove è avvenuto il Miracolo con apertura mattutina, pomeridiana e serale ininterrotta. Inoltre, ogni primo Venerdì del mese si espone il Santissimo Sacramento così da adorare Gesù Cristo vivo e vero, presente nell'ostia consacrata. E' importante leggere il segno del Miracolo in chiave di sostegno, di aiuto, di incoraggiamento per il Sacramento istituito dal Signore Gesù Cristo stesso.

ED ALTRI MIRACOLI: https://it.wikipedia.org/wiki/Miracolo_eucaristico

AMDG et DVM

mercoledì 29 marzo 2023

IL SEGRETO DELLA POPOLARITA' DI PAPA BENEDETTO

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Pur tempestato dalle critiche, questo papa continuava a riscuotere la fiducia delle grandi masse. Il viaggio in Africa e un’inchiesta in Italia lo provano. Il motivo è che parla di Dio a un’umanità in cerca d’orientamento

ROMA, 27 marzo 2009 – Sull’aereo di ritorno dal Camerun e dall’Angola, Benedetto XVI ha detto ai giornalisti che, del viaggio, gli sono rimaste impresse nella memoria queste due cose:

“Da una parte la cordialità quasi esuberante, la gioia, di un’Africa in festa. Nel papa hanno visto la personificazione del fatto che siamo tutti figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi, con tutti i nostri limiti, siamo in questa famiglia e Dio è con noi.

“Dall’altra parte lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’era autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma la presenza del sacro, di Dio stesso. Anche i movimenti, le danze, erano sempre di rispetto e di consapevolezza della presenza divina”.

Popolarità e presenza di Dio. L’intreccio tra questi due elementi è il segreto del pontificato di Joseph Ratzinger.

 

Che Benedetto XVI sia un papa popolare sembrerebbe contraddetto dalla tempesta di critiche ostili che si abbattono quotidianamente su di lui, dai media di tutto il mondo. Nell’ultimo mese queste critiche hanno registrato un crescendo senza precedenti. Anche rappresentanti ufficiali di governi, ormai, non hanno remore a mettere sotto accusa il papa.

Ma se si guarda ai grandi numeri l’impressione che si ricava è diversa. Nei suoi viaggi, Benedetto XVI ha sempre registrato indici di popolarità superiori alle attese. Non solo in Africa ma anche su piazze difficili come gli Stati Uniti o la Francia. A Roma, all’Angelus della domenica mezzogiorno, piazza San Pietro è ogni volta gremita più che negli anni di Giovanni Paolo II.

Ciò non significa che queste medesime folle accettino e pratichino all’unisono gli insegnamenti del papa e della Chiesa. Innumerevoli indagini mettono in luce che sul matrimonio, la sessualità, l’aborto, l’eutanasia, la contraccezione i giudizi di un largo numero di persone sono più o meno distanti dal magistero cattolico.

Nello stesso tempo, tuttavia, molte di queste stesse persone manifestano un profondo rispetto per la figura del papa e per l’autorità della Chiesa.

Il caso dell’Italia è esemplare. Il 25 marzo su “la Repubblica” – cioè sul quotidiano progressista leader, molto caustico nel criticare Benedetto XVI – il sociologo Ilvo Diamanti ha fornito un’ennesima conferma dell’alto tasso di fiducia che gli italiani continuano a riporre nella Chiesa e nel papa, nonostante il diffuso dissenso su vari punti del suo insegnamento.

Ad esempio, richiesti di dire se fossero pro o contro l’affermazione del papa sul preservativo “che non risolve il problema dell’AIDS ma lo aggrava”, ben tre su quattro si sono detti contrari.

Ma i medesimi intervistati, alla domanda se riponessero fiducia nella Chiesa, hanno risposto “molto” o “moltissimo” nella misura del 58,1 per cento. Ed è risultata ampia anche la fiducia riposta in Benedetto XVI, col 54,9 per cento.

Non solo. Dalla stessa indagine si ricava che la fiducia nella Chiesa e in Benedetto XVI non è in calo ma è in aumento rispetto a un anno fa.

Il professor Diamanti spiega così questo apparente contrasto:

“La Chiesa e il papa intervengono sui temi sensibili dell’etica pubblica e privata in modo aperto e diretto. Offrono risposte discutibili e spesso discusse, contestate da sinistra o da destra. Tuttavia, offrono certezze a una società insicura, alla ricerca di riferimenti e valori. Per questo 8 italiani su 10, tra i non praticanti, considerano importante dare ai figli una educazione cattolica e li iscrivono all’ora di religione. Per questo una larghissima maggioranza delle famiglie, vicina al 90 per cento, destina l’8 per mille della propria imposta sul reddito alla Chiesa cattolica”.

E per questo stesso motivo – si può aggiungere – il capo del governo italiano Silvio Berlusconi non si è unito nei giorni scorsi al coro di critiche al papa dei rappresentanti di Francia, Germania, Belgio, Spagna, eccetera. Anzi, si è espresso in direzione opposta.

Il 21 marzo ha detto che è doveroso rispettare la Chiesa e difendere la sua libertà di parola e di azione “anche quando si trova a proclamare principi e concetti difficili e impopolari, lontani da quelle che sono le opinioni di moda”. Con ciò Berlusconi ha semplicemente espresso quello che è il sentire comune di tantissimi italiani.

***

I dati sopra richiamati fanno quindi già intravvedere la sostanza della questione: che cioè la popolarità di Benedetto XVI ha la sua sorgente proprio nel modo in cui egli svolge la sua missione di successore di Pietro.

Questo papa è rispettato e ammirato per una ragione fondamentale. Perché ha posto in cima a tutto questa priorità, da lui formulata così nella lettera ai vescovi dello scorso 10 marzo, documento capitale del suo pontificato:

“Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Giovanni 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più”.

Domenica 15 marzo, due giorni prima di partire per l’Africa, Benedetto XVI non disse niente di diverso nello spiegare la finalità del suo viaggio, alla folla convenuta per l’Angelus in piazza San Pietro:

“Parto per l’Africa con la consapevolezza di non avere altro da proporre e donare a quanti incontrerò se non Cristo e la buona novella della sua Croce, mistero di amore supremo, di amore divino che vince ogni umana resistenza e rende possibile persino il perdono e l’amore per i nemici. Questa è la grazia del Vangelo capace di trasformare il mondo; questa è la grazia che può rinnovare anche l’Africa, perché genera una irresistibile forza di pace e di riconciliazione profonda e radicale. La Chiesa non persegue obiettivi economici, sociali e politici; la Chiesa annuncia Cristo, certa che il Vangelo può toccare i cuori di tutti e trasformarli, rinnovando in tal modo dal di dentro le persona e le società”.

In Camerun e in Angola, il cuore del messaggio del papa fu effettivamente questo. Non le denunce – pur da lui fatte con parole forti – dei mali del continente e delle responsabilità di chi li genera. Ma per prima cosa quello che fu l’annuncio di Pietro allo storpio, nel capitolo 3 degli Atti degli Apostoli: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!”.

Tra i diciannove discorsi, messaggi, interviste, omelie pronunciati da Benedetto XVI nei sette giorni del suo viaggio in Camerun e in Angola sarebbe interessante ricavare un’antologia dei passi più significativi.

Ma per capire il senso profondo della sua missione basta riportare qui un solo testo emblematico: l’omelia pronunciata da Benedetto XVI nella messa di sabato 21 marzo, a Luanda, nella chiesa di San Paolo.

Lo spirito di raccoglimento, il forte senso della presenza di Dio, rimasti impressi nella memoria del papa alla vista delle folle che seguivano la liturgia, come pure l’esuberante festosità con cui lo hanno accolto ed avvolto, hanno una loro spiegazione anche in questa omelia di papa Ratzinger in una remota chiesa dell’Africa:

"Affrettiamoci a conoscere il Signore"

di Benedetto XVI

<<Carissimi fratelli e sorelle, amati lavoratori della vigna del Signore, come abbiamo sentito, i figli d’Israele si dicevano l’un l’altro: “Affrettiamoci a conoscere il Signore” (Osea 6, 3). Essi si rincuoravano con queste parole, mentre si vedevano sommersi dalle tribolazioni. Queste erano cadute su di loro – spiega il profeta – perché vivevano nell’ignoranza di Dio; il loro cuore era povero d’amore. E il solo medico in grado di guarirlo era il Signore. Anzi, è stato proprio Lui, come buon medico, ad aprire la ferita, affinché la piaga guarisse. E il popolo si decide: “Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà” (Osea 6, 1). In questo modo hanno potuto incrociarsi la miseria umana e la misericordia divina, la quale null’altro desidera se non accogliere i miseri.

Lo vediamo nella pagina del Vangelo proclamata: “Due uomini salirono al tempio a pregare”; di là, uno “tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro” (Luca 18, 10.14). Quest’ultimo aveva esposto tutti i suoi meriti davanti a Dio, quasi facendo di Lui un suo debitore. In fondo, egli non sentiva il bisogno di Dio, anche se Lo ringraziava per avergli concesso di essere così perfetto e “non come questo pubblicano”. Eppure sarà proprio il pubblicano a scendere a casa sua giustificato. Consapevole dei suoi peccati, che lo fanno rimanere a testa bassa – in realtà però egli è tutto proteso verso il Cielo –, egli aspetta ogni cosa dal Signore: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Luca 18, 13). Egli bussa alla porta della Misericordia, la quale si apre e lo giustifica, “perché – conclude Gesù – chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Luca 18, 14).

Di questo Dio, ricco di misericordia, ci parla per esperienza personale san Paolo, patrono della città di Luanda e di questa stupenda chiesa, edificata quasi cinquant’anni fa. Ho voluto sottolineare il bimillenario della nascita di san Paolo con il giubileo paolino in corso, allo scopo di imparare da lui a conoscere meglio Gesù Cristo. 

Ecco la testimonianza che egli ci ha lasciato: “Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo io ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, affinché io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in Lui per avere la vita eterna” (1 Timoteo 1, 15-16). 

E, con il passare dei secoli, il numero dei raggiunti dalla grazia non ha cessato di aumentare. Tu ed io siamo di loro. Rendiamo grazie a Dio perché ci ha chiamati ad entrare in questa processione dei tempi per farci avanzare verso il futuro. Seguendo coloro che hanno seguito Gesù, con loro seguiamo lo stesso Cristo e così entriamo nella Luce. […]

Fondamentale nella vita di Paolo è stato il suo incontro con Gesù, quando camminava per la strada verso Damasco: Cristo gli appare come luce abbagliante, gli parla, lo conquista. L’apostolo ha visto Gesù risorto, ossia l’uomo nella sua statura perfetta. Quindi si verifica in lui un’inversione di prospettiva, ed egli giunge a vedere ogni cosa a partire da questa statura finale dell’uomo in Gesù: ciò che prima gli sembrava essenziale e fondamentale, adesso per lui non vale più della “spazzatura”; non è più “guadagno” ma perdita, perché ora conta soltanto la vita in Cristo (cfr. Filippesi 3, 7-8). Non si tratta di semplice maturazione dell’io di Paolo, ma di morte a se stesso e di risurrezione in Cristo: è morta in lui una forma di esistenza; una forma nuova è nata in lui con Gesù risorto.

Miei fratelli e amici, “affrettiamoci a conoscere il Signore” risorto! Come sapete, Gesù, uomo perfetto, è anche il nostro vero Dio. In Lui, Dio è diventato visibile ai nostri occhi, per farci partecipi della sua vita divina. In questo modo, viene inaugurata con Lui una nuova dimensione dell’essere, della vita, nella quale viene integrata anche la materia e mediante la quale sorge un mondo nuovo. Ma questo salto di qualità della storia universale che Gesù ha compiuto al nostro posto e per noi, in concreto come raggiunge l’essere umano, permeando la sua vita e trascinandola verso l’alto? Raggiunge ciascuno di noi attraverso la fede e il Battesimo. Infatti, questo sacramento è morte e risurrezione, trasformazione in una vita nuova, a tal punto che la persona battezzata può affermare con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Galati 2, 20). Vivo io, ma già non più io. In certo modo, mi viene tolto il mio io, e viene integrato in un Io più grande; ho ancora il mio io, ma trasformato e aperto agli altri mediante il mio inserimento nell’Altro: in Cristo, acquisto il mio nuovo spazio di vita. Che cosa è dunque avvenuto di noi? Risponde Paolo: Voi siete diventati uno in Cristo Gesù (cfr Galati 3, 28).

E, mediante questo nostro essere cristificato per opera e grazia dello Spirito di Dio, pian piano si va completando la gestazione del Corpo di Cristo lungo la storia. In questo momento, mi piace andare col pensiero indietro di cinquecento anni, ossia agli anni 1506 e seguenti, quando in queste terre, allora visitate dai portoghesi, venne costituito il primo regno cristiano sub-sahariano, grazie alla fede e alla determinazione del re Dom Afonso I Mbemba-a-Nzinga, che regnò dal menzionato anno 1506 fino al 1543, anno in cui morì; il regno rimase ufficialmente cattolico dal secolo XVI fino al XVIII, con un proprio ambasciatore in Roma. Vedete come due etnie tanto diverse – quella banta e quella lusiade – hanno potuto trovare nella religione cristiana una piattaforma d’intesa, e si sono impegnate poi perché quest’intesa durasse a lungo e le divergenze – ce ne sono state, e di gravi – non separassero i due regni! Di fatto, il Battesimo fa sì che tutti i credenti siano uno in Cristo.

Oggi spetta a voi, fratelli e sorelle, sulla scia di quegli eroici e santi messaggeri di Dio, offrire Cristo risorto ai vostri concittadini. Tanti di loro vivono nella paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono minacciati; disorientati, arrivano al punto di condannare bambini della strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono stregoni. Chi può recarsi da loro ad annunziare che Cristo ha vinto la morte e tutti quegli oscuri poteri (cfr. Efesini 1, 19-23; 6, 10-12)? Qualcuno obietta: “Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com’è, perché realizzi nel modo migliore la propria autenticità”. Ma, se noi siamo convinti e abbiamo fatto l’esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna.

Venerati e amati fratelli e sorelle, diciamo loro come il popolo israelita: “Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà”. Aiutiamo la miseria umana ad incontrarsi con la misericordia divina. Il Signore fa di noi i suoi amici, Egli si affida a noi, ci consegna il suo corpo nell’Eucaristia, ci affida la sua Chiesa. E allora dobbiamo essere davvero suoi amici, avere un solo sentire con Lui, volere ciò che Egli vuole e non volere ciò che Egli non vuole. Gesù stesso ha detto: “Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando” (Giovanni 15, 14). Sia questo il nostro impegno comune: fare, tutti insieme, la sua santa volontà: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Marco 16, 15). Abbracciamo la sua volontà, come ha fatto san Paolo: “Predicare il Vangelo è un dovere per me: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1 Corinzi 9, 16). >>

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TRATTO DA WWW,CHIESA.ESPRESS ONLINE

DI  SANDRO MAGISTER

“PROFANAZIONE DELL’EUCARISTIA E SUE CONSEGUENZE



Quello che molti di noi speravano non arrivasse mai, si è invece avverato: B. con una lettera apostolica in forma di Motu proprio “Magnum Principium”, Quibus nonnulla in can.838 Codici Juris Canonici immutantur, 09.09.2017“, sulla base del lavoro di una commissione di Vescovi ed “esperti” da lui istituita, ha modificato detto Canone riguardante la pubblicazione dei testi liturgici e la loro futura applicazione, allo scopo di favorire la partecipazione di tutti alla liturgia. 

In pratica si tratta delle già annunziate “Messe ecumeniche” da celebrare insieme a Valdesi, Ortodossi, Anglicani e Luterani dove, in nome di una falsa unità, vengono cambiati i testi liturgici e “modificate” le Parole di Gesù al momento della Consacrazione, “conditio sine qua non” perchè si realizzi la Transustanziazione, cioè il Sacramento del Corpo e del Sangue di nostro Signore Gesù Cristo presente sull’altare sotto le Specie del pane e del vino. Miracolo di cui Gesù ha anche fornito più volte delle prove inconfutabili e tuttora visibili, come a Bolsena, a Chieti, a Buenos Aires, a Siena e in molti altri posti del mondo. E tutto questo nel silenzio più assoluto di Cardinali, Vescovi e della Chiesa intera, escluso il Card. Sarah che, assieme al Papa emerito Benedetto XVI, hanno cercato più volte di far sentire la loro voce sull’argomento, con dichiarazioni boicottate e con la pubblicazione di due libri importanti.

L’annuncio è stato dato, quasi in sordina, come una notizia tra le altre durante il viaggio in Colombia e riportato sull’Osservatore Romano, ma già da tempo era vissuto in qualche diocesi, ad esempio a Torino da un sacerdote, don Fredo Oliviero con l’ approvazione del Vescovo mons. Nosiglia, stravolgendo il canone della Messa in ossequio a Lutero. In pratica la nuova prassi, visto che non si vuole toccare la dottrina, ma in realtà si cambia tutto, afferma che per vivere insieme questo “evento liturgico” non viene richiesta l’adesione ad un pensiero unico sull’Eucaristia, MA IL RISPETTO DI TUTTI PER IL PENSIERO DI OGNUNO. Come a dire che ognuno fa la sua celebrazione liturgica a modo suo, con parole e intenzioni sue, credendo a questo o a quello, al mago Merlino o alla fata Turchina!

Se tali ministri di Dio preposti da Cristo a fare luce in un mondo di oscurità non fossero più luce del mondo e sale della terra … “a nient’ altro servirebbero che ad esser gettati nel fuoco della Geenna e calpestati dagli uomini” (Mt 5,13-14).  Il Vicario di Cristo, poi, non è padrone assoluto dell’ insegnamento di Cristo, ma fedele custode e servo della Parola Divina trasmessa per mezzo della Tradizione Apostolica.

La notizia è di una GRAVITA’ INAUDITA, perchè non si tratta solo di vanificare la Santa Messa con tutto il suo valore immenso di intercessione e di riparazione per il mondo intero, (già grave di per sé) MA DI PROFANARLA RENDENDOLA SACRILEGA, OLTRETUTTO DA PARTE DEI PIÙ ALTI VERTICI DELLA CHIESA. PERTANTO CHI CELEBRA O PARTECIPA A QUELLE FALSE MESSE ECUMENICHE LI’, COMMETTE SACRILEGIO E SI GIOCA L’ANIMA.  OLTRE A RECARE DANNO GRAVISSIMO A TUTTA L’UMANITA.

Non esiste nulla di più solenne sulla faccia della terra che il maestoso momento della Consacrazione, perché la Messa non è né una preghiera, né un inno, né qualcosa di umano composto di sole parole. Si tratta di un atto di origine divina con il quale noi entriamo in contatto per volere di Gesù. Ma appunto perché è momento maestoso e sublime”, deve essere rispettato il volere di Gesù e le Sue precise parole, condizione indispensabile per la validità della Consacrazione e della Messa.

Un conto sono gli incontri interreligiosi o ecumenici tra i diversi rappresentanti in sale pubbliche a forma di dialogo, come è stato fatto in precedenza, ben altra cosa è la celebrazione sacra in una chiesa cattolica di una ipotetica Messa comune che non può assolutamente esistere. È urgente approfondire lo studio dei Vangeli su questo argomento e il Catechismo della Chiesa Cattolica, quello di Pio X e di Giovanni Paolo II. Molto interessante e di sicura dottrina anche il libro del Card. Siri Dogma e liturgia.

In questo breve contesto, noi vorremmo esporre in forma semplice e popolare questo concetto fondamentale:

la Messa Cattolica non è solo un rito sacro per i cattolici, MA RIGUARDA  IL MONDO INTERO, PERCHE’  E’ PREGHIERA ED IMMOLAZIONE DI CRISTO per tutta l’ umanità, baluardo contro le forze delle tenebre e del male dell’intero pianeta. Senza la Messa Cattolica nel mondo, o peggio ancora con messe ecumeniche non volute da Cristo, e perciò sacrileghe, l’ umanità è come se consegnasse di nuovo il mondo, che è stato redento da Cristo, nelle mani di Satana il quale scatenerà tutta la sua furia, il suo odio contro l’ uomo, immagine di Dio, e contro la Terra, redenta da Cristo, con terremoti, inondazioni e calamità varie.

Si fa presto a liquidare un argomento così importante come quello del male nel mondo e dei cataclismi disastrosi con risposte superficiali come quelle che spesso sentiamo: Se gli uomini non si rendono conto dei cambiamenti climatici, vuol dire che hanno la testa dura. Ma che vuol dire? Quale autorità di questo mondo ha il potere di comandare ai venti, alla tempesta e ai pianeti? Ma anche se si potesse fare con le nuove tecnologie scientifiche, sicuramente sarebbe allo scopo di sconvolgere l’ ordine prestabilito da Dio per interessi egoistici se non criminali. In tutti i casi, che cosa possiamo fare noi se non pregare Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, perchè ci salvi? Perfino un presidente laico come Donald Trump ha invitato la popolazione a una giornata di preghiera a Dio per scongiurare il peggio davanti ai disastrosi cicloni che hanno distrutto parte dellAmerica. E ai tempi del terribile terremoto in Giappone, lo stesso Imperatore è sceso dal suo divin soglio per invocare assieme alla popolazione l’aiuto di Dio.

Solo qui nella Santa Chiesa Cattolica italiana pare che nessuna voce né di Vescovi, ancor meno del Papa si sia levata per supplicare il Signore Gesù davanti alle ripetute calamità. Come se Dio non c’entrasse affatto, ma tutto fosse frutto della nostra ignoranza o cattiva conduzione. Dovremmo invece umilmente inginocchiarci davanti alla maestà di Dio che ha creato il mondo con tanta perfezione e chiedere il suo aiuto perché diamo per scontato che il sole sorga e tramonti, che le stagioni siano perfette si da programmare al massimo del divertimento le nostre vacanze, senza mai un pensiero a Dio, un ringraziamento per il buon raccolto e per la bellezza di certi tramonti, senza una supplica perché ci liberi dalla fame e dalla guerra, dalla tempesta e dai terremoti, come dicevano i nostri nonni pregando in processione

“A fulgure et tempestate, libera nos, Domine!” 

Scusate la digressione ma ritengo comunque pertinente ricordare brevemente certe lezioni del mio professore di fisica che ci mostrava con dati scientifici l’ equilibrio perfetto, ma anche instabile della Terra nell’ universo la quale si trova ad una ben precisa distanza dal sole. Se fosse il 5% più vicina gli oceani bollirebbero, se solo l1% più lontana, essi ghiaccerebbero. E l’ aria che respiriamo? Una miscela sofisticata e costante di ossigeno, idrogeno, elio, azoto… in parti perfette che avvolge tutta la stratosfera terrestre e che ci permette di respirare. Se si alterasse qualche minima parte di queste composizioni moriremmo tutti avvelenati e soffocati. E la meraviglia del corpo umano la scordiamo? Se nella nostra Galassia troviamo circa 600 miliardi di stelle, il corpo di un uomo contiene ben 600mila miliardi di cellule. E il cosiddetto Principio Antropico secondo il quale la nostra vita sulla terra è consentita da una combinazione di innumerevoli, diciamo coincidenze tutte fondamentali e volte a permettere la vita dell’ uomo solo ed esclusivamente sul Pianeta “Terra”, perché è sul pianeta Terra che Dio ha creato l’ uomo ed è sempre sulla Terra che Gesù, il Figlio di Dio si è incarnato e fatto uomo. Per questo motivo è di opinione diffusa anche tra gli scienziati che Dio Creatore non solo ha dato inizio a tutto l’ universo con il cosiddetto big-bang, ma accompagna costantemente il mondo e l’ uomo all’ interno di un preciso disegno che ha un inizio e avrà una fine, la fine del mondo” .

Questo disegno di Dio sull’ uomo non termina con la sua morte,  ma con la sua chiamata alla Comunione con Dio, alla Vita Eterna e infine alla Risurrezione della Carne. Sono le cosiddette Verità di fede che recitiamo nel Credo ogni domenica. Per raggiungere questo scopo lo stesso Dio Padre ha inviato nel mondo suo Figlio Gesù, vero Dio e vero uomo, per salvare l’ uomo dalla perdizione eterna dovuta al peccato originale. (non sto qui a spiegare questo dibattuto argomento che comunque è verità della nostra fede che ciascuno può approfondire col catechismo menzionato). Gesù si è lasciato crocifiggere per amore e poi è risorto. Per amore ha istituito i Sette Sacramenti”, che sono interventi divini durante tutto il corso della nostra vita, allo scopo di sostenerci nelle difficoltà qui sulla terra e farci partecipi della sua Vita divina nell’eternità.

Parole che a molti suonano come fantascienza, ma sono le Verità della nostra bellissima Fede Cattolica, Apostolica e Romana che ormai non ci vengono più ricordate nemmeno dai nostri sacerdoti o da pochi, intenti come sono a proclamare solo la giustizia sociale che senza Dio non ci sarà mai. Ci si può fare un baffo di tutto questo ma poi dovremo vedercela con Dio quando ci chiederà: Rendimi conto del tuo operato!

Fra i sette Sacramenti, quello sublime per eccellenza è la Santa Eucaristia che ci permette di avere sempre Gesù con noi, Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ci ha promesso Gesù, e lo ha realizzato proprio attraverso la Consacrazione nella Santa Messa, solo ed esclusivamente ad opera di un suo Ministro consacrato, il Sacerdote, che ha ricevuto a sua volta un Sacramento ben preciso: l’ Ordine Sacro. Crediamo che lo stesso Dio che ha creato il mondo e il nostro corpo così perfetto non possa fare anche questo prodigio per amore delle sue creature? Ma questi Sacramenti non esistono affatto nelle altre confessioni religiose, anche se si gloriano del nome di cristiani: né i Valdesi, né i Luterani, né gli Anglicani, né i Pentecostali, né altri gruppi cosiddetti cristiani hanno conservato il vero Sacerdozio Ministeriale, perché sono solamente Pastori e pertanto non possono celebrare i Sacramenti cattolici. Come possono celebrare un Sacramento comune nel quale essi per primi non credono, se non come commemorazione?

Eppure i nemici di Cristo, consapevoli dell’ importanza della Santa Eucaristia (o Santa Messa) la vogliono eliminare perché, eliminata la Messa, viene eliminata la presenza viva e vera di Gesù tra di noi e restiamo così in balia di Satana, quel Lucifero che molti di loro adorano come dio. Ma a Dio non la si fa, e con Lucifero si sta decisamente molto male, perché trasmette a ciascuno dei suoi adepti il suo odio contro Dio, contro l’ uomo e contro tutto il creato. Anche l’ esistenza degli Angeli ribelli, i diavoli, è verità di fede cattolica e lo vediamo attorno a noi quanta cattiveria e odio sta sprigionando l’ uomo che ha rinnegato il suo vero Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo.

Visti i tempi apocalittici che stanno avanzando e anche di apostasia, come contemplato perfino nel Catechismo della Chiesa Cattolica n. 675/76/77, gli esperti raccomandano tre cose:

Costituire in ogni città dei “piccoli gruppi” di laici con quei pastori fedeli che non vogliono far parte dell’abominio della desolazione annunziato dal profeta Daniele, ma vogliono seguire Gesù con eroismo, come ai tempi delle persecuzioni dei primi cristiani, al limite anche clandestinamente.

Conservare gelosamente anche nascosti, tutti i testi liturgici, messali, breviari, catechismi, ecc.  anche nel caso che venga imposto di eliminarli per fare spazio ai nuovi testi.

Si raccomanda inoltre, qualora non ci fosse la possibilità di partecipare alla vera Messa, sia quella antica come quella recente di Paolo VI, di non andare affatto a quelle ecumeniche, cercando invece di supplire con la recita di più Rosari durante il giorno e con Comunioni Spirituali. Il Signore che legge nei cuori, ne terrà conto.

Tutto questo passerà ma a noi sarà chiesto l’ eroismo nella prova della fede. E come ai tempi della battaglia di Lepanto è stato il Rosario a salvare i cristiani dalla devastazione del nemico, così adesso sarà la recita di molti Rosari a salvare tutti noi dalla devastazione delle anime. Poi verrà l’ Era di pace e di grazia promessa dal Cuore Immacolato di Maria a Fatima. Coraggio! Christus vincit! Christus regnat!  

SE AMI LA TUA SANTA CHIESA, LA CHIESA DI CRISTO RE,

PASSA PAROLA.

https://benedettoxviblog.wordpress.com/2017/09/22/profanazione-delleucaristia-e-sue-conseguenze-rendendola-sacrilega-oltretutto-da-parte-dei-piu-alti-vertici-della-chiesa-pertanto-chi-celebra-o-partecipa-a-quelle-false-messe-ecumeniche/

La prima guerra mondiale secondo Benedetto XVI

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Pubblichiamo la relazione, dal titolo “La Prima guerra mondiale nel Magistero di Benedetto XVI”, che Massimo Introvigne tenne al convegno «Il Beato Carlo d’Asburgo e l’Europa», organizzato al Sacro Monte di Crea per il 65° anniversario dell’incontro fra il presidente del Consiglio italiano Alcide de Gasperi e il Ministro degli Esteri francese Georges Bidault e presieduto dal vescovo di Casale Monferrato mons. Alceste Catella.

Benedetto XVI ha messo al centro del suo Magistero un’interpretazione teologica della storia. Come ha spiegato nell’omelia del 16 ottobre 2011 nel corso della Santa Messa per la nuova evangelizzazione, «la teologia della storia è un aspetto importante, essenziale della nuova evangelizzazione, perché gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero».

La teologia della storia permette anche d’identificare le cause della drammatica crisi dell’Europa, un altro tema caro a Papa Ratzinger.
Queste cause sono molteplici, ma Benedetto XVI è spesso tornato su un evento fondamentale, la Prima guerra mondiale. Certamente anche in precedenza c’erano state guerre tremende, ma la Grande Guerra del 1914-1918 rappresenta una sinistra novità non solo per il primo uso massiccio di armi di distruzione di massa – tali sono considerati, ancora oggi, i gas asfissianti –, ma anche perché si teorizza e si pratica la separazione fra la guerra e la morale.
Questa separazione si evidenzia anche nell’attacco – che aveva solo pochi precedenti – ai monumenti storici, chiese comprese, particolarmente alla cattedrale di Reims, un evento senza precedenti che suscitò enorme emozione in tutto il mondo.

Nel primo dei suoi messaggi per le Giornate mondiali della Pace, quello per la XXXIX Giornata celebrata il 1° gennaio 2006, Joseph Ratzinger lega al dramma della Prima guerra mondiale la stessa scelta del nome Benedetto XVI.
«Il nome stesso di Benedetto, che ho scelto il giorno dell’elezione alla Cattedra di Pietro, sta a indicare il mio convinto impegno in favore della pace. Ho inteso, infatti, riferirmi sia al Santo Patrono d’Europa, ispiratore di una civilizzazione pacificatrice nell’intero Continente, sia al Papa Benedetto XV [1854-1922], che condannò la Prima Guerra Mondiale come “inutile strage” e si adoperò perché da tutti venissero riconosciute le superiori ragioni della pace».

Il riferimento a Benedetto XV è rilevante per il giudizio sulla Prima guerra mondiale. L’Europa è cambiata, e quando le sue due massime autorità tradizionali, il Papa di Roma e l’Imperatore di quanto sopravvive del Sacro Romano Impero, il beato Carlo I d’Asburgo (1887-1922), cercano di fermare il conflitto facendo notare che tutto quanto le nazioni vogliono con la guerra lo potranno ottenere con la pace, a stento sono trattati con cortesia e comunque non sono presi sul serio. Naturalmente il Papa, il cui padre ha combattuto nella Prima guerra mondiale, non intende certo mancare di rispetto a quello che chiama «il sacrificio degli uomini caduti sul campo di battaglia per amore della loro patria»: ai tanti che in quella guerra, da una parte e dall’altra, hanno fiducia nella bontà della loro causa e si battono con valore.

Il problema non riguarda i combattenti, ma la guerra in sé, in cui viene a scadenza una cambiale secolare emessa all’epoca della Rivoluzione francese, quando cominciano a diffondersi in Europa nazionalismi senza nazione, ideologie in cui ciascuno vuole più potere per la sua nazione perché, appunto, è la sua e non perché la ritiene portatrice di valori moralmente apprezzabili. Perché, se si trattasse di valori, scendendo in profondità – e certo incontrando nel corso della discesa la frattura della Riforma protestante – ogni nazione europea li troverebbe nelle sue radici e queste radici sono comuni, sono cristiane.

Invece, la Prima guerra mondiale è la conseguenza della separazione dell’idea di patria e di nazione dalle sue radici religiose: con il Kulturkampf in Germania, con la laïcité in Francia, con le campagne laiciste e anticlericali dell’Ottocento in Italia, con l’affermarsi pressoché ovunque d’ideologie che emarginano il cristianesimo.
Benedetto XVI, che è stato un Papa molto affezionato alle ricorrenze, ha proposto la sua analisi della Prima guerra mondiale soprattutto in due testi relativi al novantesimo anniversario rispettivamente della battaglia di Verdun e della Nota del 1° agosto 1917 di Papa Benedetto XV.
La battaglia di Verdun, che nel 1916 provoca 250.000 morti e 500.000 feriti, rappresenta un orrore per molti versi senza precedenti nella storia d’Europa. «Verdun – scrive Benedetto XVI in una lettera a mons. François Maupu, vescovo della città francese teatro della battaglia, in occasione dell’anniversario –, momento oscuro della storia del Continente, deve restare nella memoria dei popoli come un evento da non dimenticare mai e da non rivivere mai».

A Verdun si sono manifestate le «potenze oscure della storia», in relazione alle quali Papa Ratzinger ricorda ancora una volta che «in una nota del 1° agosto 1917, inviata ai capi dei popoli belligeranti, il mio predecessore Papa Benedetto XV proponeva una pace duratura e, allo stesso tempo, lanciava un appello pressante a cessare quella che egli chiamava una “inutile strage”». Nello stesso tempo, Verdun è stata teatro di gesti di riconciliazione, come la costruzione di un ossario comune per i caduti di tutte le parti.
«Le spoglie di tutti i morti, senza distinzione di nazionalità, riposano ora nell’ossario di Douaumont, grazie al suo [di mons. Maupu] predecessore, Monsignor [Charles] Ginisty [1864-1946], che prese l’iniziativa, facendo inscrivere sul frontone dell’edificio la parola che riassume tutto, Pace».

continua: https://benedettoxviblog.wordpress.com/2017/09/23/la-prima-guerra-mondiale-secondo-benedetto-xvi/


TRATTO DA  LA BUSSOLA QUOTIDIANA

ECCLESIAE 31 05 2013