venerdì 14 ottobre 2022

Lettera a tutti i fedeli cristiani di S. Francesco


Le lettere scritte  da S. Francesco  sono una decina. In esse  emerge la spiritualità    e la sensibilità  fraterna della vita del Santo, la sua dimensione apostolica e la coerenza di vita oltre che la preoccupazione per la salvezza delle anime dei fratelli.
La critica data questi scritti tra il 1215 ( prima lettera ai fedeli)  e l’ultimo anno della vita di Francesco (1226).

Al primo posto si è soliti porre la “LETTERA AI FEDELI” in due recensioni: la più antica si configura come un semplice e chiarissimo programma di vita penitenziale per quanti vogliono vivere evangelicamente nel mondo, tant’è che la Chiesa Cattolica la considera ufficialmente come la prima regola data da Francesco ai Terziari e la pone come premessa alla nuova Regola dell’O.F.S. . La seconda  riprende i temi della prima alla luce del Memoriale Propositi dato dalla Chiesa come prima Regola ufficiale  per la vita in fraternità dei laici francescani dell’

Prima Lettera a tutti i fedeli

(ESORTAZIONE AI FRATELLI E ALLE SORELLE DELLA PENITENZA)

«Nel nome del Signore!


CAPITOLO I – Di coloro che fanno penitenza


Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e la mente, con tutta la forza (cf. Mc. 12,30) e amano i loro prossimi come se stessi (cf. Mt. 22,39), e hanno in odio i loro corpi con i vizi e i peccati, e ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno frutti degni di penitenza (cf. Lc. 3,8):


Oh, come sono beati e benedetti quelli e quelle, quando fanno tali cose e perseverano in esse; perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore (cf. Is. 11,2) e farà presso di loro la sua abitazione e dimora (cf. Gv. 14,23); e sono figli del Padre celeste (cf. Mt. 5,45), del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri (cf. Mt. 12,50) del Signore nostro Gesù Cristo.


Siamo sposi, quando l’anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo per virtù di Spirito Santo. Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli (Mt. 12,50). Siamo madri, quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in esempio (cf. Mt. 5,16).


Oh, come è glorioso, santo e grande avere in cielo un Padre!
Oh, come è santo, fonte di consolazione, bello e ammirabile avere un tale Sposo!


Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa avere un tale fratello e un tale figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, il quale offrì la sua vita (cf. Gv. 10,15) per le sue pecore, e pregò il Padre dicendo: “Padre santo, custodiscili nel tuo nome (cf. Gv. 17,11)), coloro che mi hai dato nel mondo; erano tuoi e tu li hai dati a me (Gv. 17,6). E le parole che desti a me le ho date a loro; ed essi le hanno accolte ed hanno creduto veramente che sono uscito da te, e hanno conosciuto che tu mi hai mandato (Gv. 17,8). Io prego per essi e non per il mondo (cf. Gv. 17,9). Benedicili e santificali! E per loro io santifico me stesso (cf. Gv. 17,17 – 17,19). Non prego soltanto per loro, ma anche per coloro che crederanno in me per la loro parola (Gv. 17,20), perché siano santificati nell’unità (cf. Gv. 17,23) come lo siamo anche noi (Gv. 17,11). E voglio, Padre, che dove sono io, siano anch’essi con me, affinché contemplino la mia gloria (Gv. 17,24), nel tuo regno” (Mt. 20,21). Amen.

CAPITOLO II – Di coloro che non fanno penitenza

Tutti quelli e quelle, invece, che non vivono nella penitenza, e non ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e si abbandonano ai vizi e ai peccati e camminano dietro la cattiva concupiscenza e i cattivi desideri della loro carne, e non osservano quelle cose che hanno promesso al Signore, e servono con il proprio corpo al mondo, agli istinti carnali e alle sollecitudini del mondo e alle preoccupazioni di questa vita: 

costoro sono prigionieri del diavolo, del quale sono figli e fanno le opere (cf. GV. 8,41); sono ciechi, poiché non vedono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo. Non hanno la sapienza spirituale, poiché non posseggono il Figlio di Dio, che è la vera sapienza del Padre; di loro è detto: “La loro sapienza è stata ingoiata” (Sal. 106,27), e: “Maledetti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti” (Sal. 118,21). Essi vedono e riconoscono, sanno e fanno ciò che è male, e consapevolmente perdono la loro anima.


Vedete, o ciechi, ingannati dai vostri nemici, cioè dalla carne, dal mondo e dal diavolo, che al corpo è cosa dolce fare il peccato e cosa amara sottoporsi a servire Dio, poiché tutti i vizi e i peccati escono e procedono dal cuore degli uomini (cf. Mc. 7,21; Mt. 15,19), come dice il Signore nel Vangelo. E non avete niente in questo mondo e neppure nell’altro. E credete di possedere a lungo le vanità di questo secolo, ma vi ingannate, perché verrà il giorno e l’ora (cf. Mt. 24,44; 25, 13) alla quale non pensate, non sapete e ignorate. Il corpo si ammala, la morte si avvicina e così si muore di amara morte.


E in qualsiasi luogo, tempo e modo l’uomo muore in peccato mortale, senza aver fatto penitenza e dato soddisfazione, se poteva darla e non lo ha fatto, il diavolo rapisce l’anima di lui dal suo corpo, con una angoscia e tribolazione così grande, che nessuno può sapere se non colui che la prova.


E tutti i talenti e il potere e la scienza e sapienza (cf. 2Cr. 1,12), che credevano di possedere, sarà loro tolta (cf. Lc. 8,18; Mc. 4,25). E lasciano tutto ai parenti e agli amici. Ed ecco, questi si sono già preso e spartito tra loro il patrimonio di lui, e poi hanno detto: “Maledetta sia la sua anima, poiché poteva darci di più e procurarsi di più di quanto si è procurato!”. I vermi mangiano il cadavere, e così hanno perduto il corpo e l’anima in questa breve vita e andranno all’inferno, dove saranno tormentati eternamente (cf. Lc. 18,24).


Tutti coloro ai quali perverrà questa lettera, li preghiamo, nella carità che è Dio (cf. Gv 4,16), che accolgano benignamente con divino amore queste fragranti parole del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo scritto. E coloro che non sanno leggere, se le facciano leggere spesso, e le imparino a memoria, mettendole in pratica santamente sino alla fine, perché sono spirito e vita (Gv. 6,64).
E coloro che non faranno questo, dovranno renderne ragione nel giorno del giudizio, davanti al tribunale (cf. Mt. 12,36; cf. Rm. 14,10) del Signore nostro Gesù Cristo».

https://www.ofsconegliano.it/wordpress/?page_id=156

https://www.liberoquotidiano.it/articolo_blog/blog/andrea-cionci/33443006/codice-ratzinger-anello-impedito-benedetto-xvi-quello-finto-bergoglio.html

AMDG et DVM

giovedì 13 ottobre 2022

E' SORPRENDENTE: UN SACERDOTE DOPO DIO E' TUTTO

 

 Il Sacerdote

Vive ed opera nel mondo, ma non appartiene al mondo.

È figlio di uomini, ma ha l’autorità di renderli figli di Dio.

È povero, ma ha il potere di comunicare ai fratelli ricchezze infinite.

È debole, ma rende forti i deboli col pane della vita.

È servitore, ma davanti a lui si inginocchiano gli Angeli.

È mortale , ma ha il compito di trasmettere l’immortalità.

Cammina sulla terra, ma i suoi occhi sono rivolti al cielo.

Collabora al benessere degli uomini, ma non li distoglie dalla meta finale che è il Paradiso.

 E’  sorprendente !

Il Sacerdote, dopo Dio, è tutto! È dono e mistero; è umiltà e grandezza; è perdono e grazia! È luogo d’incontro fra il cielo e la terra.    

Può fare cose che neppure Maria e gli Angeli possono compiere: celebra la S. Messa e perdona i peccati.

S. Agostino – Il Sacerdote è il vertice di tutte le grandezze

Monsabré – Nessuno è più grande di questo povero, piccolo uomo che celebra i Sacramenti.

S. Francesco – Se incontrassi simultaneamente un Angelo e un Sacerdote, saluterei prima il Sacerdote, perché egli è un altro Cristo.

Fulton Sheen – Il Sacerdote non si appartiene perché è tutto e solo di Dio e dei fratelli.

S. Giovanni Bosco – Il più grande dono che Dio possa fare a una famiglia è un figlio sacerdote.

S. Padre Pio – Quando celebro la S. Messa sono sospeso sulla croce con Gesù. 

È meraviglioso! 

Nel Sacerdote Gesù si fa vicino e cammina con noi.  

Quando celebra ci sovrasta di qualche gradino, ma la sua azione tocca il cielo.

Quando assolve rivela la potenza di Dio che perdona i peccati e ridona la vita.

Quando insegna propone la Parola di Gesù:« Io sono la Via, la Verità e la Vita».

Quando prega per noi il Signore lo ascolta, perché lo ha costituito “Pontefice”, cioè ponte di collegamento fra Dio e i fratelli.

Quando lo accogliamo diventa l’amico più sincero e fedele.

Servitore del Re Altissimo


 

PERFETTA CONVERSIONE A DIO.

RESTAURO DI TRE CHIESE

1. Il servo dell’Altissimo, in questa sua nuova esperienza, non aveva altra guida, se non Cristo, perciò

Cristo, nella sua clemenza, volle nuovamente visitarlo con la dolcezza della sua grazia.

Un giorno era uscito nella campagna per meditare. Trovandosi a passare vicino alla chiesa di San Damiano, che minacciava rovina, vecchia com’era, spinto dall’impulso dello Spirito Santo, vi entrò per pregare. Pregando inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, si sentì invadere da una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con gli orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: 

«Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!».

All’udire quella voce, Francesco rimane stupito e tutto tremante, perché nella chiesa è solo e, percependo

nel cuore la forza del linguaggio divino, si sente rapito fuori dei sensi.

Tornato finalmente in sé, si accinge ad obbedire, si concentra tutto nella missione di riparare la chiesa di mura, benché la parola divina si riferisse principalmente a quella Chiesa, che Cristo acquistò col suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe fatto capire e come egli stesso rivelò in seguito ai frati.

Si alzò, pertanto, munendosi del segno della croce, e, prese con sé delle stoffe, si affrettò verso la città di Foligno, per venderle.

Vendette tutto quanto aveva portato; si liberò anche, mercante fortunato, del cavallo, col quale era venuto, incassandone il prezzo.

Tornando ad Assisi, entrò devotamente nella chiesa che aveva avuto l’incarico di restaurare. Vi trovò unsacerdote poverello e, dopo avergli fatta debita reverenza, gli offrì il danaro per la  riparazione della chiesa e umilmente domandò che gli permettesse di abitare con lui per qualche tempo.

Il sacerdote acconsentì che egli restasse; ma, per timore dei suoi genitori, non accettò il denaro – e quel vero dispregiatore del denaro lo buttò su una finestra, stimandolo polvere abbietta.

2. Mentre il servo di Dio dimorava in compagnia di questo sacerdote, suo padre, lo venne a sapere e corse là con l’animo sconvolto.

Ma Francesco, atleta ancora agli inizi, informato delle minacce dei persecutori e presentendo la loro venuta, volle lasciar tempo all’ira e si nascose in una fossa segreta. Vi rimase nascosto per alcuni giorni, e intanto supplicava incessantemente, tra fiumi di lacrime, il Signore, che lo liberasse dalle mani dei persecutori e portasse a compimento, con la sua bontà e il suo favore, i pii propositi che gli aveva ispirato.

Sentendosi, così, ricolmo di una grandissima gioia, incominciò a rimproverare se stesso per la propria

pusillanimità e viltà e, lasciato il nascondiglio e scacciata la paura, affrontò il cammino verso Assisi.

I concittadini, al vederlo squallido in volto e mutato nell’animo, ritenendolo uscito di senno, gli lanciavano contro il fango e i sassi delle strade, e, strepitando e schiamazzando, lo insultavano come un pazzo, un demente.

Ma il servo di Dio, senza scoraggiarsi o turbarsi per le ingiurie, passava in mezzo a loro, come se fosse sordo.

Quando suo padre sentì quello strano baccano, accorse immediatamente, non per liberare il figlio, ma piuttosto per rovinarlo: messo da parte ogni sentimento di pietà, lo trascina a casa e lo perseguita, prima con le parole e le percosse, poi mettendolo in catene.

Però quest’esperienza rendeva il giovane più pronto e più deciso nel mandare a compimento l’impresa incominciata, perché gli richiamava quel detto del Vangelo: Beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

3. Ma dopo un po’ di tempo – mentre il padre si trovava lontano da Assisi – la madre, che non approvava l’operato del marito e che non sperava di poter far recedere il figlio dalla sua inflessibile decisione, lo sciolse dalle catene e lo lasciò libero di andarsene. Egli, allora, rendendo grazie al Signore onnipotente, ritornò al luogo di prima.

Ma quando il padre ritornò e non lo trovò in casa, rimproverata aspramente la moglie, corse a quel luogo, fremente di rabbia, nell’intento, se non poteva farlo ritornare, almeno di farlo mettere al bando.

Francesco, però, reso forte da Dio, andò incontro spontaneamente al padre infuriato, gridandogli con libera voce che stimava un nulla le sue catene e le sue percosse e dichiarando, per di più, che per il nome di Cristo avrebbe affrontato con gioia qualsiasi tormento.

Il padre, vedendo che non poteva farlo ritornare, si preoccupò di estorcergli il denaro e quando,

finalmente, lo trovò sulla finestrella, mitigò un po’ il suo furore: quella sorsata di denaro aveva in qualche misura mitigato la sete dell’avarizia.

4. Quel padre carnale cercava, poi, di indurre quel figlio della grazia, ormai spogliato del denaro, a

presentarsi davanti al vescovo della città, per fargli rinunciare, nelle mani di lui, all’eredità paterna e restituire tutto ciò che aveva.

Il vero amatore della povertà accettò prontamente questa proposta.

Giunto alla presenza del vescovo, non sopporta indugi o esitazioni; non aspetta né fa parole; ma,

immediatamente, depone tutti i vestiti e li restituisce al padre.

Si scoprì allora che l’uomo di Dio, sotto le vesti delicate, portava sulle carni un cilicio.

Poi, inebriato da un ammirabile fervore di spirito, depose anche le mutande e si denudò totalmente

davanti a tutti dicendo al padre: «Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con

tutta sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato

tutta la mia fiducia e la mia speranza».

Il vescovo, vedendo questo e ammirando l’uomo di Dio nel suo fervore senza limiti, subito si alzò, lo

prese piangendo fra le sue braccia e, pietoso e buono com’era, lo ricoprì con il suo stesso pallio.

Comandò, poi, ai suoi di dare qualcosa al giovane per ricoprirsi.

Gli offrirono, appunto, il mantello povero e vile di un contadino, servo del vescovo.

Egli, ricevendolo con gratitudine, di propria mano gli tracciò sopra il segno della croce, con un mattone

che gli capitò sottomano e formò con esso una veste adatta a ricoprire un uomo crocifisso e seminudo.

Così, dunque, il servitore del Re altissimo, fu lasciato nudo, perché seguisse il nudo Signore crocifisso,

oggetto del suo amore; così fu munito di una croce, perché affidasse la sua anima al legno della salvezza,

salvandosi con la croce dal naufragio del mondo.

5. D’allora in poi, affrancato dalle catene dei desideri mondani, quello spregiatore del mondo abbandonò

la città, e, libero e sicuro, si rifugiò nel segreto della solitudine, per ascoltare, solo e nel silenzio, gli

arcani colloqui del cielo.

E, mentre se ne andava per una selva, l’uomo di Dio Francesco, e cantava giubilante le lodi di Dio nella

lingua di Francia, fu assalito dai briganti, sbucati all’improvviso. Costoro, con intenzioni omicide, gli

domandarono chi era Ma l’uomo di Dio, pieno di fiducia, rispose con espressione profetica: «Io sono

l’araldo del gran Re». Quelli, allora, lo percossero e lo gettarono in un fosso pieno di neve, dicendo: ~ Sta

lì, rozzo araldo di Dio».

Mentre se ne andavano, Francesco saltò fuori dal fosso e invaso dalla gioia, continuò a cantare con voce

più alta le lodi in onore del Creatore di tutte le cose, facendone riecheggiare le selve. 


AMDG et DVM


domenica 9 ottobre 2022

Sogno di don Bosco

9 - La pastorella e il gregge. La missione futura (1844)

MB II, 243-245. MO Déc. II, 134-136

“La seconda Domenica di ottobre di quell'anno (1844) doveva partecipare a' miei

giovanetti, che l'Oratorio sarebbe stato trasferito in Valdocco. Ma l'incertezza del luogo, dei mezzi,

delle persone mi lasciavano veramente sopra pensiero. La sera precedente andai a letto col cuore

inquieto. In quella notte feci un nuovo sogno, che pare un'appendice di quello fatto la prima volta

ai Becchi quando aveva circa nove anni. Io giudico bene di esporlo letteralmente.

Sognai di vedermi in mezzo ad una moltitudine di lupi, di capre e capretti, di agnelli,

pecore, montoni, cani ed uccelli. Tutti insieme facevano un rumore, uno schiamazzo, o meglio un

diavolio da incutere spavento ai più coraggiosi. [244]

Io voleva fuggire, quando una Signora, assai ben messa a foggia di pastorella, mi fe' cenno

di seguire ed accompagnare quel gregge strano, mentre Ella precedeva. Andammo vagabondi per

vari siti: facemmo tre stazioni o fermate: ad ogni fermata molti di quegli animali si cangiavano in

agnelli, il cui numero andavasi ognor più ingrossando. Dopo avere molto camminato, mi trovai in

un prato, dove quegli animali saltellavano e mangiavano insieme, senza che gli uni tentassero di

mordere gli altri.

Oppresso dalla stanchezza, voleva sedermi accanto ad una strada vicina, ma la pastorella

mi invitò a continuare il cammino. Fatto ancora breve tratto di via, mi sono trovato in un vasto

cortile con porticato attorno, alla cui estremità eravi una Chiesa. Qui mi accorsi che quattro quinti

di quegli animali erano diventati agnelli. Il loro numero poi divenne grandissimo. In quel momento

sopraggiunsero parecchi pastorelli per custodirli: ma essi fermavansi poco, e tosto partivano.

Allora succedette una meraviglia. Molti agnelli cangiavansi in pastorelli, che aumentandosi,

prendevano cura degli altri. Crescendo i pastorelli in gran numero, si divisero, e andavano altrove

per raccogliere altri strani animali e guidarli in altri ovili.

Io voleva andarmene, perchè mi sembrava tempo di recarmi a celebrare la S. Messa, ma la

pastorella mi invitò a guardare al mezzodì. Guardando, vidi un campo, in cui era stata seminata

meliga, patate, cavoli, barbabietole, lattughe e molti altri erbaggi. - Guarda un'altra volta, mi disse.

E guardai di nuovo, e vidi una stupenda ed alta Chiesa. Un'orchestra, una musica istrumentale e

vocale mi invitavano a cantar messa. Nell'interno di quella Chiesa era una fascia bianca, in cui a

caratteri cubitali stava scritto: HIC DOMUS MEA, INDE GLORIA MEA. Continuando nel sogno,

[245] volli domandare alla pastora dove mi trovassi; che cosa voleva indicare con quel camminare,

colle fermate, con quella casa, Chiesa, e poi altra Chiesa. - Tu comprenderai ogni cosa, mi rispose,

quando cogli occhi tuoi materiali vedrai di fatto quanto ora vedi cogli occhi della mente. - Ma

parendomi di essere svegliato, dissi: - Io vedo chiaro, e vedo cogli occhi materiali; so dove vado

e quello che faccio. - In quel momento suonò la campana dell'Ave Maria nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi, ed io mi svegliai.

 AMDG et DVM

Martirologio


9 ottobre 

Santi Dionigi, vescovo, e compagni, martiri: si tramanda

che san Dionigi sia giunto in Francia inviato

dal Romano Pontefice e, divenuto primo vescovo

di Parigi, morì martire nelle vicinanze di questa

città insieme al sacerdote Rustico e al diacono Eleuterio.


San Giovanni Leonardi, sacerdote, che a Lucca

abbandonò la professione di farmacista da lui esercitata,

per diventare sacerdote. Fondò, quindi,

l’Ordine dei Chierici regolari, poi detto della Madre

di Dio, per l’insegnamento della dottrina cristiana ai

fanciulli, il rinnovamento della vita apostolica del

clero e la diffusione della fede cristiana in tutto il

mondo, e per esso dovette affrontare molte tribolazioni.

Pose a Roma le fondamenta del Collegio di

Propaganda Fide e morì in pace in questa città, sfinito

dal peso delle sue fatiche.


Ur dei Caldei, e si mise in cammino per la terra promessa da

Dio a lui e alla sua discendenza. Manifestò, poi, tutta la sua

fede in Dio, quando, sperando contro ogni speranza, non si

rifiutò di offrire in sacrificio il suo figlio unigenito Isacco,

che il Signore aveva donato a lui già vecchio e da una moglie

sterile.


4. A Laodicea in Siria, passione dei santi Diodoro, Diomede

e Didimo.

5. A Fidenza in provincia di Parma sulla via Claudia, san

Donnino, martire.

6. Ad Antiochia in Siria, commemorazione di santa Publia,

che, rimasta vedova, entrò in monastero e, al passaggio

dell’imperatore Giuliano l’Apostata, cantando insieme alle sue

vergini i versetti del salmo «Gli idoli delle genti sono argento e

oro» e «Diventi come loro chi li fabbrica», fu per ordine dell’imperatore

stesso schiaffeggiata e pesantemente umiliata.

7*. Nel territorio di Bigorre alle falde dei Pirenei in Francia,

san Sabino, eremita, che diede lustro alla vita monastica

nella regione dell’Aquitania.


8*. A Città di Castello in Umbria, san Donnino, eremita.

9. Nella regione dell’Hainault in Austrasia, nell’odierno

Belgio, san Gisleno, che condusse vita monastica in una cella

da lui stesso costruita.

10. A Montecassino nel Lazio, san Deusdédit, abate, che,

gettato in carcere dal tiranno Sicardo, rese qui lo spirito a

Dio sfinito dalla fame e dalle tribolazioni.

11*. A B evnov in Boemia, deposizione di san Guntero, eremita,

che, rigettati i piaceri mondani, si ritirò dapprima nel

rifugio della vita monastica e in seguito anche nel profondo

isolamento delle foreste tra la Baviera e la Boemia, dove visse

e morì tanto unito a Dio quanto lontano dagli uomini.

12*. Nel monastero di Montsalvy in Francia, san Bernardo

da Rodez, abate dei Canonici regolari.

13. A Valencia in Spagna, san Luigi Bertrán, sacerdote

dell’Ordine dei Predicatori, che insegnò il Vangelo di Cristo

a varie popolazioni indigene dell’America Meridionale e le

difese dagli oppressori.

14. In località Turón nelle Asturie in Spagna, santi martiri

Innocenzo dell’Immacolata (Emanuele) Canoura Arnau, sacerdote della Congregazione della Passione, e otto compagni,

dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che, nelle avverse circostanze

dei loro tempi, conseguirono la suprema vittoria

sterminati in odio alla fede senza processo.

 I loro nomi sono: santi Cirillo Bertrando (Giuseppe) Sánz Tejedor, Marciano Giuseppe

(Filomeno) López López, Vittoriano Pio (Claudio) Bernabé Cano, Giuliano Alfredo

(Vilfrido) Fernández Zapico, Beniamino Giuliano (Vincenzo Alfonso) Andrés, Augusto

Andrea (Romano) Martín Fernández, Benedetto di Gesù (Ettore) Valdivielso Sáez e Aniceto

Adolfo (Emanuele) Seco Gutiérrez.