domenica 29 agosto 2021

ALCUNI RACCONTI ESEMPLIFICATIVI • di ISRAELE BEN ELIEZER, IL BAALSHEM-TOV

 


Vicinanza e lontananza. 

Uno scolaro chiese al Baalshem: «Come avviene che uno, che è legato a Dio e sa di essergli vicino, provi talvolta un'interruzione e una lontananza?» Il Baalshem spiegò: «Quando un padre vuole insegnare a camminare al suo figlioletto, lo pone prima davanti a sé e gli tiene le mani vicine da ambedue i lati, perché non cada, e così il bambino avanza verso il padre tra le mani del padre. Ma quando è arrivato al padre, questi si allontana un poco e tiene le mani più discoste, e così via, perché il bambino impari a camminare».

AMDG et DVM

venerdì 27 agosto 2021

La santa Chiesa ci fa chiamare Maria la nostra vita

 


CAPITOLO II. - Vita, dulcedo.

§ 1. - Maria è la nostra vita, perché ella ci ottiene il perdono de' peccati.

Per bene intendere la ragione per cui la santa Chiesa ci fa chiamare Maria la nostra vita, bisogna sapere che come l'anima dà vita al corpo, così la divina grazia dà vita all'anima; poiché un'anima senza la grazia ha il nome che è viva, ma in verità è morta, come fu detto a colui dell'Apocalisse: Nomen habes quod vivas, et mortuus es (Apoc. III, 1). Maria dunque, ottenendo per mezzo della sua intercessione a' peccatori l'acquisto della grazia, così rende loro la vita. - Ecco come la fa parlare la S. Chiesa, applicando a lei le seguenti parole de' Proverbi al c. VIII, [17]: Qui mane vigilant ad me, invenient me: Coloro che sono diligenti a ricorrere a me sul mattino, cioè subito che possono, certamente mi troveranno. Invenient me, voltano i Settanta, invenient gratiam. Sicché lo stesso è ricorrere a Maria, che ritrovare la grazia di Dio. E poco appresso dice: Qui me invenerit, inveniet vitam, et hauriet salutem a Domino:1 Chi trova me, trova la vita, e riceverà da Dio l'eterna salute. Audite, esclama S. Bonaventura su queste parole, audite qui cupitis regnum Dei: Virginem Mariam honorate, et invenietis vitam et salutem aeternam.2

Dice S. Bernardino da Siena che Dio non distrusse l'uomo dopo il peccato, per l'amor singolare che portava a questa futura figliuola. E soggiunge il Santo ch'egli non dubita che tutte le misericordie e perdoni ricevuti da' peccatori nell'antica legge, Dio l'abbia loro conceduti a sol riguardo di questa benedetta donzella: Omnes indulgentias factas in veteri Testamento,


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non ambigo Deum fecisse solum propter huius benedictae puellae virginis reverentiam et amorem (Tom. 1, Serm. 61, cap. 8).3

Onde ben ci esorta S. Bernardo: Quaeramus gratiam, et per Mariam quaeramus (Serm. de Aquaed.).4 Se miseri abbiamo perduta la divina grazia, cerchiamo di ricuperarla, ma cerchiamola per mezzo di Maria; poiché se noi l'abbiamo perduta, ella l'ha ritrovata: e perciò dal santo è chiamata: Inventrix gratiae.5 Questo espresse S. Gabriele per nostra consolazione, quando disse alla Vergine: Ne timeas, Maria, invenisti... gratiam (Luc. I, [30]). Ma se Maria non mai era stata priva della grazia, come il S. Arcangelo poteva dire ch'ella l'avesse ritrovata? Una cosa dicesi ritrovarsi da chi prima non l'aveva. La Vergine fu sempre con Dio e colla grazia, anzi piena di grazia, come lo stesso Arcangelo manifestò, allorché salutolla: Ave, gratia plena, Dominus tecum.6 Se dunque Maria non trovò la grazia per lei, perché sempre n'era stata piena, per chi mai la trovò? Risponde Ugon cardinale, commentando detto passo: La ritrovò per li peccatori che l'avean perduta: Currant ergo, dice il divoto scrittore, currant peccatores ad Virginem, qui gratiam amiserant peccando, et eam invenient apud ipsam. Secure dicant: Redde nobis rem nostram, quam invenisti:7 Corrano dunque i peccatori a Maria, che han


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perduta la grazia, perché appresso lei la troveranno sicuramente; e dicano: Signora, la cosa dee restituirsi a chi l'ha perduta; questa grazia, che voi avete ritrovata, non è vostra, voi non l'avete perduta mai; è nostra perché noi l'abbiam perduta, perciò a noi dovete renderla. Onde conclude su questo pensiero Riccardo di S. Lorenzo: Cupientes invenire gratiam, quaeramus inventricem gratiae, quae, quia semper invenit, frustrari non poterit (De laud. V., l. 2).8 Se dunque desideriamo di trovare la grazia del Signore, andiamo a Maria, che l'ha trovata e sempre la trova. E poich'ella è stata e sempre sarà cara a Dio, se a lei ricorriamo, certamente la troveremo. Ella dice ne' Sacri Cantici al cap. VIII, che Dio l'ha posta al mondo per esser la nostra difesa: Ego murus, et ubera mea sicut turris. E perciò è stata costituita mezzana di pace fra i peccatori e Dio: Ex quo facta sum coram eo quasi pacem reperiens (Cant. VIII, 10). Sulle cui parole S. Bernardo dà animo al peccatore, e dice: Vade ad matrem misericordiae, et ostende illi tuorum plagas peccatorum: et illa ostendet pro te ubera. Exaudiet utique Matrem Filius:9 Va a questa madre di misericordia, e palesale le


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piaghe che porti nell'anima per le tue colpe: allora ella certamente pregherà il Figlio che ti perdoni, per quel latte ch'ella gli diede; e 'l Figlio, che tanto l'ama, certamente l'esaudirà. Come in effetto la S. Chiesa ci fa pregare il Signore che ci conceda il potente aiuto dell'intercessione di Maria, per risorgere da' nostri peccati, con quella solita orazione: Concede, misericors Deus, fragilitati nostrae praesidium: ut qui sanctae Dei Genitricis memoriam agimus, intercessionis eius auxilio a nostris iniquitatibus resurgamus.10

Con ragione dunque S. Lorenzo Giustiniani la chiama speranza de' malfattori, Spes delinquentium,11 poich'ella sola è quella che ottiene loro il perdono da Dio. - Con ragione S. Bernardo la chiama scala dei peccatori, peccatorum scala,12 poiché a' poveri caduti ella, la pietosa regina, porgendo loro la mano, li caccia dal precipizio del peccato, e li fa salire a Dio. - Con ragione S. Agostino la chiama unica speranza di noi peccatori, giacché solo per mezzo suo speriamo la remissione di tutti i nostri peccati: Tu es spes unica peccatorum, quia per te speramus veniam omnium delictorum (S. Aug., Serm. 18 de Sanctis).13 E lo stesso dice S. Giovan Grisostomo che solo per l'intercession di Maria i peccatori ricevono il perdono: Per hanc peccatorum veniam consequimur. Onde


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il santo poi a nome di tutti i peccatori così la saluta: Ave igitur, mater, caelum, thronus, Ecclesiae nostrae decus: assidue precare Iesum, ut per te misericordiam invenire in die iudicii, et quae reposita sunt iis qui diligunt Deum, bona consequi possimus (In off. Nat. B.M., die 5).14 Dio ti salvi, Madre di Dio e nostra, cielo dove risiede Dio, trono in cui dispensa il Signore tutte le grazie; prega sempre Gesù per noi, acciocché per le tue preghiere possiamo ottenere il perdono nel giorno de' conti, e la gloria beata nell'eternità.

Con ragione finalmente Maria è chiamata aurora: Quae est ista quae ascendit quasi aurora consurgens? (Cant. VI, 9). Sì, perché dice Innocenzo pontefice: Cum aurora sit finis noctis et origo diei, vere per auroram designatur Maria Virgo, quae fuit finis vitiorum et origo virtutum (Serm. 2, de Ass. B.V.).15 E lo stesso effetto che fe' nel mondo nascendo Maria, fa allorché nasce in un'anima la sua divozione. Ella dà termine alla notte de' peccati, e fa camminar l'anima nella via delle virtù. Onde le dice S. Germano (Serm. 3, in dorm. B.V.): O Madre di Dio, la vostra difesa è immortale: la vostra intercessione è la vita.16 E nel sermone, che fa il santo de Zona Virg., dice che 'l nome di Maria a chi lo pronunzia con affetto, o è segno di vita o che tra breve avrà la vita.17

Cantò Maria: Ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes (Luc. I, [48]). Sì, mia Signora, le dice S. Bernardo:


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Ex hoc beatam te dicent omnes generationes, quae omnibus generationibus vitam et gloriam genuisti (Serm. 2, in Pentec.):18 Perciò vi chiameranno beata tutti gli uomini, poiché tutti i vostri servi per mezzo vostro ottengono la vita della grazia e la gloria eterna. In te peccatores veniam, iusti gratiam inveniunt in aeternum (Serm. de Nat. B.V.):19 In voi ritrovano i peccatori il perdono, e i giusti la perseveranza e poi la vita eterna. - Non diffidare, o peccatore, qui parla il divoto Bernardino da Busto, ancorché avessi commessi tutti i peccati, ma sicuramente ricorri a questa Signora, poiché la troverai colle mani piene di misericordia: O peccator, ne diffidas, etiamsi commisisti omnia peccata: sed secure ad istam gloriosissimam Dominam recurras. Invenies eam in manibus plenam misericordia et largitate. Mentre, soggiunge: Plus enim ipsa desiderat facere tibi bonum et largiri gratiam, quam tu accipere concupiscas (Serm. 5, de Nat. Mar.):20 Più Maria desidera di fare a te le grazie, che tu desideri di riceverle.

Da S. Andrea Cretense è chiamata Maria sicurezza del divin perdono: Fideiussio divinarum reconciliationum, quae dato pignore fit.21 S'intende ciò, che quando i peccatori ricorrono a Maria per essere riconciliati con Dio, Dio promette loro sicuro il perdono, e loro dà la sicurezza con darne loro anche il pegno. E questo pegno è appunto Maria, che egli ci ha dato per avvocata, per la cui intercessione, in virtù de' meriti di Gesù Cristo, Dio poi perdona tutti i peccatori che a lei ricorrono. Intese dall'angelo S. Brigida (Serm. Ang., cap. 9)


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che i santi profeti giubilavano in sapere che Dio per l'umiltà e purità di Maria doveva placarsi coi peccatori, e ricevere nella sua grazia coloro che l'hanno sdegnato: Exsultabant autem praenoscentes, quod ipse Dominus ex tua humilitate et vitae puritate, o Maria stella praefulgida, placaretur, et quod reciperet eos in suam gratiam, qui ipsum ad iracundiam provocaverunt.22

Non dee mai alcun peccatore temere di esser discacciato da Maria, ricorrendo alla sua pietà; no, poich'ella è madre di misericordia, e come tale desidera di salvare i più miserabili. Maria è quell'arca felice, dove chi si rifugia, dice S. Bernardo, non patirà il naufragio dell'eterna perdizione: Arca, in qua naufragium evadimus.23 Nell'arca di Noè a tempo del diluvio furon salvati anche i bruti. Sotto il manto di Maria si salvano anche i peccatori. Vide un giorno S. Geltrude Maria col manto aperto, in cui stavano rifugiate molte fiere, leoni, orsi, tigri; e vide che Maria non solo non li cacciava, ma con gran pietà gli accoglieva e gli accarezzava. E con ciò intese la santa che i peccatori più perduti, quando ricorrono a Maria, non sono scacciati, ma accolti e salvati dalla morte eterna.24


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Entriamo dunque in quest'arca, andiamo a rifugiarci sotto il manto di Maria, ch'ella certamente non ci caccerà, ed ella sicuramente ci salverà.

Esempio.

Si narra dal P. Bovio (Es. della SS. Verg.)25 che vi era una mala donna chiamata Elena; essendo questa andata alla chiesa, udì casualmente una predica del rosario; uscita fuori se ne comprò uno, ma lo portava nascosto per non farlo vedere. Cominciò poi a recitarlo, ma contuttoché lo recitasse senza divozione, la SS. Vergine le infuse tante consolazioni e dolcezze nel recitarlo, che poi non sapeva più lasciare di dirlo. E con ciò acquistò tale orrore alla sua mala vita, che non potea trovar riposo; onde si vide come forzata d'andare a confessarsi, e si confessò con tanta contrizione, che il confessore ne stupì.

Fatta la confessione se ne andò subito a' piedi d'un altare di Maria SS. a ringraziare la sua avvocata; disse il rosario, e la divina Madre le parlò da quell'immagine e le disse: Elena, basta quanto hai offeso Dio e me; da oggi avanti muta vita, ch'io ti farò buona parte delle mie grazie. La povera peccatrice allora confusa rispose: Ah Vergine SS., è vero che finora sono stata una scellerata, ma voi che tutto potete, aiutatemi: mentr'io mi dono a voi, e voglio spendere la vita, che mi resta, a far penitenza de' peccati miei.

Aiutata da Maria dispensò Elena tutte le sue robe a' poveri, e si pose a fare una rigorosa penitenza. Era tormentata da terribili tentazioni, ma ella non faceva altro che raccomandarsi alla Madre di Dio, e così restava sempre vittoriosa. Arrivò ad avere molte grazie anche soprannaturali, visioni, rivelazioni,


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profezie. Finalmente prima della morte, che già le fu avvisata pochi giorni prima da Maria, venne la stessa B. Vergine col suo Figlio a visitarla; e morendo, l'anima di questa peccatrice fu veduta in forma di bellissima colomba volarsene al cielo.

Preghiera.

Ecco, o Madre del mio Dio, unica speranza mia Maria, ecco a' piedi vostri un misero peccatore che vi domanda pietà. Voi siete da tutta la Chiesa e da tutti i fedeli predicata e chiamata il rifugio de' peccatori: voi dunque siete il rifugio mio, voi mi avete da salvare.

Voi già sapete quanto ami il vostro Figlio la nostra salute: Scis, dulcissima Dei Mater, quantum placeat benedicto Filio tuo salus nostra (Guil. Paris.).26 Voi già sapete quel che patì Gesù Cristo per salvarmi. Io vi presento, o madre mia, i patimenti di Gesù: il freddo che soffrì nella stalla, i passi che diede per lo viaggio di Egitto, le sue fatiche, i sudori, il sangue che sparse, il dolore che l'uccise innanzi agli occhi vostri sulla croce. Fate conoscere che amate questo Figlio, mentre io per amor di questo Figlio vi prego ad aiutarmi.

Date la mano ad un caduto che vi cerca pietà. Se io fossi santo, non vi cercherei misericordia, ma perché son peccatore, ricorro a voi che siete la madre delle misericordie. Io so che 'l vostro cuore pietoso trova consolazione in soccorrere i miserabili quando potete aiutarli, non trovandoli ostinati. Consolate oggi dunque il vostro cuore pietoso e consolate me; giacché avete occasione di salvare me, che sono un povero condannato dell'inferno, e potete aiutarmi, poiché non voglio essere ostinato.

Mi metto in mano vostra: ditemi che ho da fare, e impetratemi forza di eseguirlo; mentr'io propongo di far tutto quello che posso per ritornare nella divina grazia. Io mi rifugio sotto il vostro manto. Gesù vuole ch'io ricorra a voi, acciocché


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per gloria vostra e sua, mentre gli siete madre, non solo il suo sangue, ma anche le vostre preghiere mi aiutino a salvarmi. Egli mi manda a voi, affinché mi soccorriate.

O Maria, eccomi, a voi ricorro e in voi confido. Voi pregate per tanti altri, pregate, dite una parola ancora per me. Dite a Dio che mi volete salvo, che Dio certamente mi salverà. Ditegli che son vostro, ed altro da voi non cerco.




1 Prov. VIII, 35.

2 «Audite haec, omnes gentes: auribus percipite, qui ingredi cupitis regnum Dei. Virginem Mariam honorate, et invenietis vitam et salutem perpetuam.» Psalterium B. M. V., Ps. 48. Inter Opera S. Bonaventurae, ed. Lugdunen., etc. VI, 482. - Vedi Appendice, 2.

3 (Dopo aver ricordato molte grazie fatte all'umanità prima di Cristo, a cominciare dal non essere stata esterminata dopo il peccato di Adamo, conclude:) «Et, ut brevi sermone cuncta comprehendam, omnes liberationes et indulgentias factas in veteri Testamento, non ambigo Deum fecisse propter huius benedictae puellae reverentiam et amorem, quibus eam Deus in suam praedestinationem praehonorandam, cunctis operibus suis ab aeterno praeordinavit.» S. BERNARDINUS SENENSIS, Sermones pro festivitatibus SS. et Imm. Virginis Mariae, Sermo 5, De Virginis Matris Dei Nativitate, et de eius superadmirabili gratia, art. unicus, cap. 2. Opera, Venetiis, 1745, IV, 91. Venetiis, 1591 et 1601, I, 512.

4 S. BERNARDUS, In Nativitate B. V. M., Sermo de aquaeductu, n. 8. ML 183-441, 442.

5 «Per te habeamus accessum ad Filium, o benedicta inventrix gratiae.» S. BERNARDUS, In adventu Domini, Sermo 2, de verbis Isaiae ad Achaz: Pete tibi signum..., n. 5. ML 183-43.

6 Luc. I, 28.

7 «Plena gratia dicta est supra, quia gratiam omnium invenit. Currant igitur peccatores ad Virginem, qui gratiam amiserunt peccando, et eam invenient apud eam humiliter salutando; et secure dicant: Redde nobis rem nostram quam invenisti. Nec negare poterit se invenisse, quia hoc Angelus attestatur.» HUGO DE SANCTO CHARO, primus Cardinalis O. P., Postilla super Evang. sec. Lucam, I, 30. Opera, Venetiis, 1703, VI, 133, col. 1.

8 RICHARDUS A S. LAURENTIO, De laudibus B. M. V., lib. 2, cap. 5, n. 3. Inter Opera S. Alberti Magni, ed. Lugdun., XX, 70; ed. Paris., XXXVI, 108.

9 Queste o simili parole da moltissimi vengono attribuite a S. Bernardo: da s. Bonaventura (Soliloquium, cap. 1, n. 23, Opera, ad Claras Aquas, VIII, 37), da Vincenzo di Beauvais, da S. Antonino, da S. Bernardino da Siena, da S. Tommaso da Villanova, da Dionigi Cartusiano, da Pelbarto, ecc. ecc. Veramente, ut sonant, non sono di S. Bernardo, o almeno non si ritrovano nei suoi scritti. Ma non sembrano altro che la parafrasi di quanto scrisse S. BERNARDO sulla scala dei peccatori, per cui dobbiamo ascendere dalla Madre al Figlio e dal Figlio al Padre: «Ad Patrem verebaris accedere... Iesum dedit tibi Mediatorem. Quid non apud talem Patrem Filius talis obtineat? Exaudietur utique pro reverentia sua... An vero trepidas et ad ipsum... Advocatum habere vis et ad ipsum? Ad Mariam recurre... Nec dubius dixerim, exaudietur et ipsa pro reverentia sua. Exaudiet utique Matrem Filius, et exaudiet Filium Pater. Filioli, haec peccatorum scala, haec mea maxima fiducia est, haec tota ratio spei meae. Quid enim? potestne Filius aut repellere, aut sustinere repulsam; non audire, aut non audiri, Filius potest? Neutrum plane.» In Nativitate B. M. V., Sermo de aquaeductu, n. 7. ML 183-441. - Questa parafrasi la fece, primo fra tutti, uno degli amici più intrinseci di S. Bernardo, tanto addentro nelle cose sue, e primo suo biografo dopo la morte del Santo, giacché Guglielmo scrisse vivendo ancora S. Bernardo: ARNALDO DI CHARTRES. Questi, nel suo Libellus de laudibus B. M. V., ML 189-1726, dice: «Securum accessum iam habet homo ad Deum, ubi mediatorem causae suae Filium habet ante Patrem, et ante Filium Matrem. Christus, nudato latere, Patri ostendit latus et vulnera; Maria Christo pectus et ubera; nec potest ullo modo esse repulsa, ubi concurrunt et orant omni lingua disertius haec clementiae nonumenta et caritatis insignia. Dividunt coram Patre inter se Mater et Filius pietatis officia, et miris allegationibus muniunt redemptionis humanae negotium.» Ed altrove lo stesso ARNALDO, De septem verbis Domini in cruce, tractatus 3, ML 189-1695: «Unum... erat... quod Pater bonus, quod Filius pius, quod mater sancta intendebat... Matre supplicante, Filio interpellante, Patre propitiante. Filius ad pectus Matris et ubera, Pater ad Filii crucem et vulnera respiciebat. Et quid inter haec tanta pignora non moverent?» - In fine, ci vengono qui insegnate, in modo vivo ed espressivo, queste due grandi verità: che Maria tutto ottiene, perché è Madre di Gesù, e che quanto concede Dio a noi, lo concede per i meriti della Passione di Gesù. Quindi, usando di quella scala, secondo la parola di Arnaldo ed il pensiero comune a lui ed a Bernardo, «securum accessum iam habet homo ad Deum.»



10 Orazione dopo l'Antifona Ave, Regina caelorum, post Purificationem.

11 S. LAURENTIUS IUSTINIANUS, In Nativitate gloriosissimae Virginis Mariae sermo (in fine). Opera, Lugduni, 1628, pag. 438; Venetiis, 1721, pag. 365.

12 S. BERNARDUS, In Nativitate B. V. M., Sermo de aquaeductu, n. 7. ML 183-441. - Vedi sopra, nota 9.

13 BREV. ROM. (fino all'ultima riforma, che soppresse molte ottave), die 9 Semptembris, secunda die infra octavam Nativitatis B. M. V., in II Nocturno, De sermone S. Augustini Episcopi, lectio 6. - Inter Opera S. Augustini, Sermo (e supposititiis) 194, De Annuntiatione Dominica, n. 5, ML 39-2107: «Quia tu es spes unica peccatorum, per te speramus veniam delictorum.» Oltreché questo Sermone non è di S. Agostino, né degno di lui, queste parole mancano nei manoscritti.

14 BREV. ROM., Commune festorum B. M. V., (et olim, die 5 infra octav. Nat. B. M. V.) in II Nocturno, lectio 6: Sermo sancti Ioannis Chrysostomi; si aggiunge: Apud Metaphrasten. Che cosa sarà stata quella Collezione di omilie, fatta dal Metafraste? Nessuno oggi lo sa.



15 «Cum aurora sit finis noctis et origo diei, merito per auroram designatur Virgo Maria: quae finis damnationis et origo salutis fuit. Finis vitiorum, et origo virtutum.» INNOCENTIUS PP. III, In solemnitate Assumptionis gloriosissimae semper Virginis mariae, Sermo 28 (in Assumptione, 2). ML 217-581.

16 «O Deipara... tutela tua immortalis est; et intercessio, vita.» S. GERMANUS, Patriarcha CP., In beatam SS. Dominae nostrae Deiparae... dormitionem, sermo 2. MG 98-350.

17 «Si enim abs te relicti fuerimus, quo vero etiam confugiemus? Quid autem etiam nobis fiet, o sanctissima Dei Genitrix, quae Christianorum spiritus ac flatus exsistis? Quemadmodum enim corpus nostrum hoc certum vitalis actus indicium habet, quod spiritum ducat; sic et tuum sanctissimum nomen indesinenter in servorum tuorum ore in omni occasione et loco et tempore versans prolatumque, vitae et iucunditatis et auxilii non solum indicium est, sed causa efficitur.» IDEM, In Encaenia venerandae aedis SS. Dominae nostrae Dei Genitricis, inque sanctas fascias D. N. Iesu Christi, et in adorationem zonae eiusdrm sanctae Deiparae. MG 98-378, 379.

18 S. BERNARDUS, In festo Pentecostes, Sermo 2, n. 4. ML 183-328.

19 «In te enim angeli laetitiam, iusti gratiam, peccatores veniam inveniunt in aeternum.» IDEM, ibidem.

20 «O igitur peccator, bonum novum! o peccatrix, optimum novum! non diffidas, non desperes, etiam si commisisti omnia peccata enormia; sed confidenter et secure ad istam gloriosissimam Dominam recurras: invenies enim eam in manibus plenam curialitate, pietate, misericordia, gratiositate et largitate; plus enim desiderat ipsa facere tibi bonum et largiri aliquam gratiam, quam tu accipere concupiscas.» BERNARDINUS DE BUSTO (al. de Bustis), O. M., Mariale, pars 2, Sermo 5, De... electissimae sponsae Dei Nativitate sermo 5: pars 7, de Sponsae caelestis dote ac dotatione. Opera, III, Brixiae, 1588, pag. 185.

21 «Haec divinorum contractuum subsistens veraque sponsio... Per eam nobis obstricta sunt salutis pignora.» S. ANDREAS CRETENSIS, Oratio 14, In SS. Dominae nostrae Deiparae dormitionem, oratio 3. MG 97-1091, 1094. - Marracci, Polyanthea Mariana, liber 6: Nomina et elogia Deiparae Virginis Mariae incipientia a littera F: «Fideiussio, quae pignore dato fit divinarum reconciliationum. S. Andreas Creten., oratio 2, de Dormitione B. M. V.» Migne, Summa aurea, 9-1176.

22 «Dolebant enim vehementer Prophetae videntes filios Israel, pro superbia et carnis petulantia, legem Moysis deserere, et, elongata ab eis divina caritate, iram Dei super eos irruere. Exsultabant autem, praenoscentes quod ipse legem (legis) dictator et Dominus, ex tua humilitate et tuae vitae puritate, o Maria, stella praefulgida, placaretur, et quod reciperet eos in suam gratiam, qui ipsum ad iram provocaverant et suam indignationem miserabiliter incurrerant.» S. BIRGITTAE Revelationes, a Cardinali Turrecremata (Torquemada) recognitae. Sermo Angelicus de excellentia B. M. V., quem ipse Angelus dictavit Beatae Birgittae ex praecepto Dei, et ipsa ex eodem praecepto devote conscripsit, cap. 9. Coloniae Agrippinae, 1628, pag. 542.

23 «Arca etiam Noe significavit arcam gratiae, excellentiam scilicet Mariae. Sicut enim per illam omnes evaserunt diluvium: sic per istam peccati naufragium.» Sermo de B. Maria Virgine: «Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum,» n. 6. ML 184-1017. Inter Opera S. Bernardi. Questo Sermone viene attribuito a EGBERTO, Abbate di Schoenauge.

24 «Dopo queste cose, le pareva di vedere anco, che sotto del mantello della detta Madre di Dio ricorressero alcune bestie picciole di diverse maniere, che significavano tutti quei peccatori che specialmente sono divoti della Vergine, e mostrava ella di ricever tutte con molta misericordia, e benignamente col suo mantello coprendo quelle, come s'ella volesse difender loro, e con la sua delicata mano toccava ciascuna, facendo mille vezzi loro, con molto piacevole sembianza di amore, quasi di quella maniera accarezzandole, che soglia tal volta fare alcuno suo bello e picciolo cagnolino; dimostrando chiaramente con questi effetti, quanto ella misericordiosamente riceva quelli tutti che la chiamano in favore loro, e con quanta materna pietà loro guardi e difenda, e quelli ancora che sono inchinati a peccati, tutto che sperino in lei, non abbandona mai loro, fin tanto che vengano alla correzione, e col mezzo della penitenza ritornino al suo Figliuolo.» S. GERTRUDE: Vita... ridotta in cinque libri da Lanspergio, tradotta dal M. Vincenzo Buondì, lib. 4, cap. 49, pag. 213. - Legatus divinae pietatis, lib. 4, cap. 48.

25 Carlo BOVIO, S. I., Esempi e miracoli della SS. Vergine Madre di Dio Maria, detti nella Chiesa del Gesù di Roma. Parte prima, Esempio 2. Venezia, 1716. - Il P. Bovio indica la fonte: «il Rupense, nel cap. 66 del SS. Rosario», cioè, Coppenstein, O. P., Beati F. ALANI REDIVIVI RUPENSIS tractatus mirabilis (altre edizioni: Opus vere aureum) de ortu atque progressu Psalterii Christi et Mariae, (cioè del SS. Rosario), pars 5, cap. 66, (altre ediz.: pars 5, II, exemplum 8).

26 «Tu enim, dulcissima Dei Mater, super omnes angelos et homines nosti, quantum placeat benedicto Filio tuo salus nostra.» GUGLIELMUS ALVERNUS, episcopus Parisiensis, Rhetorica divina, sive Ars oratoria eloquentiae divinae (cioè Ars orandi), cap. 18. Opera, Aureliae (Orléans) et Parisiis, 1674, I, pag. 358, col. 1.

AMDG et DVM

PREGHIERA DI GUARIGIONE: La croce di Dozulé — La cruz de Dozulé

PREGHIERA DI GUARIGIONE: La croce di Dozulé — La cruz de Dozulé: Apertura a Dozulè: 29 maggio 2011, visita del Vescovo a Dozulè e prudente apertura al fenomeno, solleci...

mercoledì 25 agosto 2021

REGOLA BOLLATA -1223- E' la seconda Regola di san Francesco d'Assisi

 


REGOLA BOLLATA  -1223-

[74a] Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio, ai diletti figli, frate Francesco e agli altri frati dell'Ordine dei frati minori, salute e apostolica benedizione. 

La Sede Apostolica suole accondiscendere ai pii voti e accordare benevolo favore agli onesti desideri dei richiedenti. Pertanto, diletti figli nel Signore, noi, accogliendo le vostre pie suppliche, vi confermiamo con l'autorità apostolica, la Regola del vostro Ordine, approvata dal nostro predecessore papa Innocenzo, di buona memoria e qui trascritta, e l'avvaloriamo con il patrocinio del presente scritto. La Regola è questa: 

CAPITOLO I [74] NEL NOME DEL SIGNORE! INCOMINCIA LA VITA DEI FRATI MINORI 

[75] La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità. [76] Frate Francesco promette obbedienza e reverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana. E gli altri frati siano tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori. 

CAPITOLO II Dl COLORO CHE VOGLIONO INTRAPRENDERE QUESTA VITA E COME DEVONO ESSERE RICEVUTI [77] Se alcuni vorranno intraprendere questa vita e verranno dai nostri frati, questi li mandino dai loro ministri provinciali, ai quali soltanto e non ad altri sia concesso di ammettere i frati. I ministri, poi, diligentemente li esaminino intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa. E se credono tutte queste cose e le vogliono fedelmente professare e osservare fermamente fino alla fine; e non hanno mogli o, qualora le abbiano, esse siano già entrate in monastero o abbiano dato loro il permesso con l'autorizzazione del vescovo diocesano, dopo aver fatto voto di castità; e le mogli siano di tale età che non possa nascere su di loro alcun sospetto; dicano ad essi la parola del santo Vangelo, che “vadano e vendano tutto quello che posseggono e procurino di darlo ai poveri”. Se non potranno farlo, basta ad essi la buona volontà. [78] E badino i frati e i loro ministri di non essere solleciti delle loro cose temporali, affinché dispongano delle loro cose liberamente, secondo l'ispirazione del Signore. Se tuttavia fosse loro chiesto un consiglio i ministri abbiano la facoltà di mandarli da persone timorate di Dio, perché con il loro consiglio i beni vengano elargiti ai poveri. [79] Poi concedano loro i panni della prova cioè due tonache senza cappuccio eä il cingolo e i pantaloni e il capperone fino al cingolo a meno che qualche volta ai ministri non sembri diversamente secondo Dio. [80] Terminato, poi, I'anno della prova, siano ricevuti all'obbedienza, promettendo di osservare sempre questa vita e Regola. E in nessun modo sarà loro lecito di uscire da questa Religione, secondo il decreto del signor Papa; poiché, come dice il Vangelo, “nessuno che mette la mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”. [81] E coloro che hanno già promesso obbedienza, abbiano una tonaca con il cappuccio e un'altra senza, coloro che la vorranno avere. E coloro che sono costretti da necessità possano portare calzature. E tutti i frati si vestano di abiti viliä e possano rattopparli con sacco e altre pezze con la benedizione di Dio. Li ammonisco, però, e li esorto a non disprezzare e a non giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usare cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso. 



CAPITOLO III DEL DIVINO UFFICIO E DEL DIGIUNO, E COME I FRATI DEBBANO ANDARE PER IL MONDO [82] I chierici recitino il divino ufficio, secondo il rito della santa Chiesa romana, eccetto il salterio, e perciò potranno avere i breviari. [83] l laici, invece, dicano ventiquattro Pater noster per il mattutino, cinque per le lodi; per prima, terza, sesta, nona, per ciascuna di queste ore, sette; per il Vespro dodici; per compieta sette; e preghino per i defunti. [84] E digiunino dalla festa di Tutti i Santi fino alla Natività del Signore. La santa Quaresima, invece, che incomincia dall'Epifania e dura ininterrottamente per quaranta giorni, quella che il Signore consacrò con il suo santo digiuno , coloro che volontariamente la digiunano siano benedetti dal Signore, e coloro che non vogliono non vi siano obbligati. Ma l'altra, fino alla Resurrezione del Signore, la digiunino. Negli altri tempi non siano tenuti a digiunare, se non il venerdì. Ma in caso di manifesta necessità i frati non siano tenuti al digiuno corporale. [85] Consiglio invece, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo che, quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole, e non giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene. E non debbano cavalcare se non siano costretti da evidente necessità o infermità [86] In qualunque casa entreranno dicano, prima di tutto: Pace a questa casa; e, secondo il santo Vangelo, è loro lecito mangiare di tutti i cibi che saranno loro presentati. 

CAPITOLO IV CHE I FRATI NON RICEVANO DENARI [87] Comando fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia, direttamente o per interposta persona. Tuttavia, i ministri e i custodi, ed essi soltanto, per mezzo di amici spirituali, si prendano sollecita cura per le necessità dei malati e per vestire gli altri frati, secondo i luoghi e i tempi e i paesi freddi, così come sembrerà convenire alla necessità, salvo sempre il principio, come è stato detto, che non ricevano denari o pecunia. 



CAPITOLO V DEL MODO Dl LAVORARE [88] Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporaIi. Come ricompensa del lavoro ricevano le cose necessarie al corpo, per sé e per i loro fratelli, eccetto denari o pecunia, e questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà. 

CAPITOLO Vl [89] CHE I FRATI Dl NIENTE Sl APPROPRINO, E DEL CHIEDERE L'ELEMOSINA E DEI FRATI INFERMI [90] I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà ed umiltà, vadano per l'elemosina con fiducia. Né devono vergognarsi, perché il Signore si è fatto povero per noi in questo mondo. Questa è la sublimità dell'altissima povertà quella che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, vi ha fatto poveri di cose e ricchi di virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, quella che conduce fino alla terra dei viventi. E, aderendo totalmente a questa povertà, fratelli carissimi, non vogliate possedere niente altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo. [91] E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro reciprocamente. E ciascuno manifesti con fiducia all'altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale? [92] E se uno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire come vorrebbero essere serviti essi stessi. 

CAPITOLO Vll [93] DELLA PENITENZA DA IMPORRE Al FRATI CHE PECCANO. Se dei frati, per istigazione del nemico, avranno mortalmente peccato, per quei peccati per i quali sarà stato ordinato tra i frati di ricorrere ai soli ministri provinciali, i predetti frati siano tenuti a ricorrere ad essi, quanto prima potranno senza indugio. [94] I ministri, poi, se sono sacerdoti, loro stessi impongano con misericordia ad essi la penitenza; se invece non sono sacerdoti, la facciano imporre da altri sacerdoti dell'Ordine, così come sembrerà ad essi più opportuno, secondo Dio. [95] E devono guardarsi dall'adirarsi e turbarsi per il peccato di qualcuno, perché l'ira ed il turbamento impediscono la carità in sé e negli altri. 

CAPITOLO Vlll [96] DELLA ELEZIONE DEL MINISTRO GENERALE Dl QUESTA FRATERNITÀ E DEL CAPITOLO Dl PENTECOSTE. Tutti i frati siano tenuti ad avere sempre uno dei frati di quest'Ordine come ministro generale e servo di tutta la fraternità e a lui devono fermamente obbedire. Alla sua morte, l'elezione del successore sia fatta dai ministri provinciali e dai custodi nel Capitolo di Pentecoste, al quale i ministri provinciali siano tenuti sempre ad intervenire, dovunque sarà stabilito dal ministro generale; e questo, una volta ogniä tre anni o entro un termine maggiore o minore, così come dal predetto ministro sarà ordinato. [97] E se talora ai ministri provinciali ed ai custodi all'unanimità sembrasse che detto ministro non fosse idoneo al servizio e alla comune utilità dei frati, i predetti frati ai quali è commessa l'elezione, siano tenuti, nel nome del Signore, ad eleggersi un altro come loro custode. Dopo il Capitolo di Pentecoste, i singoli ministri e custodi possano, se vogliono e lo credono opportuno, convocare, nello stesso anno, nei loro territori, una volta i loro frati a capitolo. 

CAPITOLO IX DEI PREDICATORI [98] I frati non predichino nella diocesi di alcun vescovo qualora dallo stesso vescovo sia stato loro proibito. E nessun frate osi affatto predicare al popolo, se prima non sia stato esaminato ed approvato dal ministro generale di questa fraternità e non abbia ricevuto dal medesimo l'ufficio della predicazione. [99] Ammonisco anche ed esorto gli stessi frati che, nella loro predicazione, le loro parole siano ponderate e caste, a utilità e a edificazione del popolo, annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso, poiché il Signore sulla terra parlò con parole brevi. 

CAPITOLO X DELL'AMMONIZIONE E DELLA CORREZIONE DEI FRATI. [100] I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino ed ammoniscano i loro frati e li correggano con umiltà e carità, non comandando ad essi niente che sia contro alla loro anima e alla nostra Regola. [101] I frati, poi, che sono sudditi, si ricordino che per Dio hanno rinnegato la propria volontà. Perciò comando loro fermamente di obbedire ai loro ministri in tutte quelle cose che promisero al Signore di osservare e non sono contrarie all'anima e alla nostra Regola. [102] E dovunque vi siano dei frati che si rendono conto e riconoscano di non poter osservare spiritualmente la Regola, debbano e possono ricorrere ai loro ministri. I ministri, poi, li accolgano con carità e benevolenza e li trattino con tale familiarità che quelli possano parlare e fare con essi così come parlano e fanno i padroni con i loro servi; infatti, così deve essere, che i ministri siano i servi di tutti i frati. [103] Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vana gloria, invidia, avarizia, cure o preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione. [104] E coloro che non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle, ma facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano, poiché dice il Signore: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano; beati quelli che sopportano persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. E chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo”. 

CAPITOLO Xl CHE I FRATI NON ENTRINO NEI MONASTERI DELLE MONACHE [105] Comando fermamente a tutti i frati di non avere rapporti o conversazioni sospette con donne, e di non entrare in monasteri di monache, eccetto quelli ai quali è stata data dalla Sede Apostolica una speciale licenza. [106] Né si facciano padrini di uomini o di donne affinché per questa occasione non sorga scandalo tra i frati o riguardo ai frati. 

CAPITOLO Xll Dl COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI E TRA GLI ALTRI INFEDELI 

[107] Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I ministri poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi se non a quelli che riterranno idonei ad essere mandati. 

[108] Inoltre, impongo per obbedienza ai ministri che chiedano al signor Papa uno dei cardinali della santa Chiesa romana, il quale sia governatore, protettore e correttore di questa fraternità, [109] affinché, sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, I'umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso. 

[109a] Pertanto a nessuno, in alcun modo, sia lecito di invalidare questo scritto della nostra conferma o di opporsi ad esso con audacia e temerarietà. Se poi qualcuno presumerà di tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo. Dal Laterano, il 29 novembre 1223, anno ottavo del nostro pontificato. 


AMDG et DVM

lunedì 23 agosto 2021

I quattro evangelisti - UN TESORO

 


MATTEO  MARCO   LUCA ...  GIOVANNI


   La grandezza della visione aumenta, e aumenta la potenza dell'estasi, perché il veggente non è chiamato più a vedere le cose attuali al suo tempo, segno e figura di ciò che, in diverse maniere e per diverse cause, si sarebbe ripetuto poi nei secoli, ma cose soprannaturali e cose future, note a Dio solo le future, note ai cittadini dei Cieli le soprannaturali.
   E in una nuova teofania, che è e non è uguale a quella di Ezechiele, egli vede la gloria del Signore assiso sopra il trono celeste in aspetto d'uomo, ma di uomo reso doppiamente glorificato per essere Dio e l'Uomo-Dio, il Santo dei santi, il Santo tra i santi. Perché nessuno tra gli uomini fu santo come il Figlio dell'Uomo. Quindi corpo reso luce "simile all'elettro e al fuoco" dice Ezechiele; "simile a pietra di diaspro e sardio" dice Giovanni; ed ambi terminano: "circondato da uno splendore simile all'arcobaleno, o iride".
   Anche altri profeti avevano visto splendido, nel vestito di lino, come bronzo o altro metallo rovente, il Figlio di Dio e dell'uomo sin da quando Egli era ancora il Verbo in seno del Padre, e secoli dovevano scorrere prima che Egli prendesse Carne umana, e questa Carne, glorificata dopo il Sacrificio perfetto, ascendesse al Cielo per starvi, quale Dio Uomo, Re eterno, Giudice universale, Pontefice e Agnello, Vincitore del Male, della Morte, del Tempo, di tutto quanto è, perché a Lui è dato dal Padre ogni potere e primato.


   Ma se gli antichi Profeti non videro che l'Uomo Dio, alcuni, altri videro l'Uomo Dio portato sul suo trono dai suoi principali confessori. I quattro evangelisti dall'aspetto raffigurante la loro natura spirituale. Matteo: l'uomo, tutto uomo nel suo passato e uomo nel descrivere il Figlio dell'Uomo; Marco: il leone, nel predicare il Cristo tra i pagani più ancora che nel descrivere il tempo del Cristo nel suo Vangelo, nel quale però, da leone, amò far risaltare più la figura del divino Taumaturgo che dell'Uomo-Messia come aveva fatto Matteo. E ciò allo scopo di sbalordire e conquistare, attraverso allo sbalordimento, i pagani, sempre sedotti da quanto aveva aspetto di prodigio.




   Luca, paziente e forte come il bove nel completare, con ricerche pazienti anche sull'antefatto del vero e proprio lavoro apostolico del Cristo e dei suoi seguaci, tutta l'opera di Dio per la salute dell'umanità. Perché quest'opera di amore infinito ha avuto principio con il Concepimento immacolato di Maria, con la pienezza della Grazia a Lei concessa, con la continua comunione di Maria col suo Signore che, dopo averla creata, da Padre, con una perfezione unica tra tutti i corpi di nati da uomo e donna, come sua Figlia amatissima, la colmò poi della sua Luce: il Verbo che le si era rivelato nelle divine ed intime lezioni per cui Ella fu Sede della Sapienza sin dai più teneri anni, mentre lo Spirito Santo, eterno Amatore dei Puri, riversava in Lei i fuochi della sua carità perfettissima e, facendo di Lei un altare e un'arca più santa e diletta di quelli del Tempio, in Lei prendeva il suo riposo e raggiava in tutto lo splendore della sua Gloria.
   Nel tempo antico, costruito che fu il Tabernacolo, una nube di fuoco lo coperse notte e giorno, sia che fosse fermo, sia che peregrinasse verso la mèta, e il popolo di Dio si fermava o peregrinava a seconda che faceva la nuvola, che altro non era che la testimonianza della gloria del Signore e della sua Presenza.
   All'inizio del tempo nuovo, del tempo di Grazia, la nube di fuoco del Signore, fuoco che investe e preserva da ogni assalto dell'eterno Avversario, più che mai in azione perché avvertiva essere prossima la sua sconfitta, coprì un ben più santo Tabernacolo, in attesa di coprirlo in maniera più grande a celare il più grande mistero delle nozze feconde tra Dio e la Vergine, il cui frutto fu l'Incarnazione del Verbo. E sempre la gloria del Signore coperse la Vergine Inviolata, la Madre Deipara, sia che fosse ferma o si muovesse per ordine divino che da Nazaret la condusse al Tempio, dal Tempio a Nazaret vergine-sposa, e da Nazaret a Ebron e a Betlem Vergine-Madre, e da Betlem a Gerusalemme a sostegno nella profezia di Simeone, e da Betlem in Egitto a protezione della Odiata perché Madre di Dio, e da Nazaret a Gerusalemme conducendola là dove era il Fanciullo tra i Dottori, e da Nazaret in questo o quel luogo dove il Figlio-Maestro era perseguitato e afflitto, e da Nazaret a Gerusalemme e al Golgota a compartecipare alla Redenzione, e all'Oliveto da dove il Figlio ascendeva al Padre, e dall'Oliveto al Cielo nell'estasi finale in cui il Fuoco avrebbe aspirato a Sé la sua Maria così come il sole aspira a sé la pura goccia della rugiada.




   Luca, unico e paziente, interroga e scrive anche ciò che può dirsi il prologo del Vangelo = annunzio, parlandoci dell'Annunziata senza la quale, e senza l'assoluta ubbidienza della quale, non si sarebbe compita la redenzione.
   È proprietà del bue il ruminare anche ciò che da tempo è stato inghiottito. Luca lo imita. Il tempo aveva inghiottito da molti anni i preliminari episodi della venuta del Messia come tale, ossia come Maestro, Salvatore-Redentore. Luca li riporta a galla. Ci mostra la Vergine, necessario strumento perché si avesse Gesù Cristo, il Dio-Uomo. Ci mostra l'Umilissima Piena di Grazia, l'Ubbidientissima nel suo: "Si faccia di me secondo la Parola", la Caritatevolissima accorrente con santa fretta dalla cugina Elisabetta per esserle di conforto e aiuto, e, sebbene ciò non lo pensasse, di santificazione a colui che doveva preparare le vie al Signore Gesù, suo Figlio; la Purissima e Inviolata fisicamente, moralmente, spiritualmente sempre, dal concepimento all'estatico trapasso dalla Terra al Cielo.


   "Questa porta sarà chiusa e non si aprirà e nessun uomo passerà da essa perché il Signore Iddio d'Israele è entrato per essa; sarà chiusa per il principe, e il principe stesso si metterà a sedere in essa per mangiare il pane davanti al Signore, ed entrerà per la porta del vestibolo e per la stessa uscirà".
   Misteriose parole di significato oscuro sinché il Concepimento di Maria e la sua Maternità divina non le resero chiare a quanti, sotto il raggio della Luce eterna, non seppero leggerle nel loro giusto significato.
   Porta chiusa, porta esteriore del santuario, porta che guardava ad oriente, era veramente Maria. Chiusa, perché nulla mai di terreno entrò in Lei in cui era pienezza di Grazia. Porta esteriore perché tra il Cielo, la Dimora di Dio Uno e Trino, e il mondo era Lei, così prossima a Dio da esser simile alla porta che, dal Santo dei Santi, s'apriva sul Santo. In vero Maria fu, ed è, porta agli uomini, perché attraverso il Santo penetrino nel Santo dei Santi e vi facciano eterna dimora con Colui che vi abita. Porta che guardava ad oriente, ossia a Dio solo, chiamato Oriente dagli ispirati del Tempo antico. E in vero Maria non teneva che fissi in Dio gli occhi del suo spirito.


   Porta chiusa per cui nessuno, fuorché il Signore, sarebbe entrato per amarla da Padre, da Figlio, da Sposo, per renderla feconda senza lesione, per nutrirsi di Lei onde prender Corpo, nutrirsi davanti al Padre suo divino, compiendo la sua prima ubbidienza di Figlio dell'Uomo che, nell'oscurità di un seno di donna, chiude e limita la sua Immensità e Libertà di Dio, assoggettandosi a tutte le fasi che regolano una gestazione, come poi, sempre nutrendosi di Lei, seguirà tutte le fasi del crescere per divenire, da Infante, Fanciullo.


   Porta chiusa che neppure per la più santa delle maternità si aprì perché, per modo noto a Dio solo, così come Dio, passando per il vestibolo ardente di carità di Maria, entrò in Lei, altrettanto venne alla luce, Egli Luce e Amore infiniti, mentre l'estasi ardeva Maria e faceva di Lei un rutilante altare su cui l'Ostia fu posata e offerta perché fosse Salute agli uomini.
   Molti secoli dopo Ezechiele, Paolo, agli Ebrei, dirà: "… Cristo… venuto attraversando un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d'uomo".


   Molte interpretazioni furono date a queste parole. E anche giuste interpretazioni. Ma un'altra ve ne è. Ed è questa: che Gesù venne agli uomini, tra gli uomini, passando da un tabernacolo più grande, per bellezza soprannaturale, e più perfetto di quello che era mèta degli Ebrei di Palestina e della Diaspora, ché questo non era archi­tettonicamente perfetto ma santamente perfetto, e non fatto da ma­no d'uomo con marmi e ori e velari ornati, ma creato, e quasi po­trebbesi dir "fatto" da Dio, tanto Egli vegliò sulla sua formazione perché il suo Verbo trovasse, venuto il suo tempo d'Incarnazione, un tabernacolo sano, santo, eletto, perfetto in ogni sua parte, degno di accogliere, e di esserne temporanea dimora, la sua Santità divina.


   Luca, medico oltre che evangelista, con il paziente studio del medico che non si ferma al fatto oggettivo e al soggetto studiato, ma studia ed esamina l'ambiente e l'ereditarietà in cui il soggetto è vissuto, e da cui il soggetto può aver preso i caratteri psico-fisici, per presentarci il Dio incarnato, il Figlio dell'Uomo, e farcelo meglio conoscere nella sua dolcezza che è tale anche se, quando occorra, sa esser forte, nella sua amorevolezza verso malati e peccatori desiderosi di guarigione fisica o spirituale, nella sua ubbidienza perfettissima sino alla morte, nella sua umiltà che non cercava le lodi, ma anzi consigliava: "Non parlate di ciò che avete veduto", nella sua fortezza che sa superare ogni affetto o paura umana per compiere la sua missione, nella sua intemeratezza, per cui nulla poteva intaccare il suo senso, né albergare in Lui, sia pure fuggevolmente, alcuna passione che non fosse buona, ci presenta la Madre. Ossia Colei che, da sola, formò il Figlio trasmettendogli, in un col sangue che doveva rivestirlo di carne, la somiglianza, anzi più ancora, con Lei. Egli Uomo, e quindi più virile nei tratti e nelle maniere. Lei Donna, e quindi più dolce nelle sembianze e nei modi.


   Ma nel Fanciullo che sa risponderle: "Perché cercarmi? Non sapevate che devo fare ciò che il Padre mio vuole che Io faccia?", e nell'Uomo che dice: "Donna, che v'è più tra Me e te?" e ancora afferma: "Chi è mia Madre e i miei parenti? Coloro che fanno la volontà del Padre mio", è palese la fortezza comunicatagli da Colei che seppe soffrire fortemente sempre e per tanti motivi: per la morte dei genitori, per la povertà, per il sospetto di Giuseppe, per il viaggio a Betlem, la profezia di Simeone, la fuga ed esilio in Egitto, lo smarrimento di Gesù, la morte dello sposo, l'abbandono del Figlio che intraprende la sua missione, l'astio del mondo ebraico per Lui, il martirio del Figlio sul Golgota.


   Nella dolcezza del Figlio è palese la dolcezza ereditata dalla Madre, e così è per l'umiltà, l'ubbidienza e la purezza. Tutte le eccelse virtù della Madre sono anche nel Figlio. Gesù ci rivela, è vero, il Padre, ma anche la Madre ci rivela. E ben può dirsi che chi vuol conoscere Maria, troppo poco rivelata dagli Evangelisti e negli Atti degli Apostoli, deve guardare il Figlio suo che da Lei, e da Lei sola, ha preso tutto, meno che la sua Natura divina di Primogenito del Padre e suo Unigenito.
   "Si faccia la Volontà di Dio" dice Maria. "Si faccia la tua Volontà" dice Gesù.
   "Beata te che hai creduto" dice Elisabetta a Maria. E Gesù dà lode a coloro che sanno credere, molte e molte volte durante il suo evangelizzare.
   "Hai abbattuto i potenti ed esaltato gli umili" professa Maria nel suo Magnificat, e Gesù: "Ti ringrazio, Padre, perché hai celato le cose ai sapienti e ai grandi e le hai rivelate ai piccoli".
   Il Verbo, la Sapienza del Padre, fece Maestra in Sapienza la sua futura Madre. E la Madre al suo Figlio trasfuse, in un col sangue e il latte e le materne cure, i pensieri eletti che sempre avevano avuto sede nel suo intelletto senza lesione, e i sentimenti elettissimi che soli vivevano nel suo Cuore senza macchia.



Giovanni, il quarto Evangelista, è l'Aquila. È dell'aquila il volo alto, potente e solitario, e la capacità di fissare il sole. In Giovanni evangelista vi è la nobiltà dell'uccello regale, il volo potente, e il potere di fissare il divino Sole, Gesù: Luce del mondo, Luce del Cielo, Luce di Dio, infinito Splendore, il potersi innalzare ad altezze soprannaturali alle quali nessun altro evangelista si innalzò e, così innalzandosi, il poter penetrare il mistero, e la verità, e la dottrina, e tutto dell'Uomo che era Dio.

 Spaziando come aquila regale ben alto sopra le cose della Terra e dell'umanità, egli vide il Cristo nella sua vera Natura di Verbo di Dio. Più che il Taumaturgo e il Martire, Giovanni ci presenta "il Maestro". L'unico perfettissimo Maestro che ebbe il mondo. Il Maestro-Dio, la Sapienza fattasi carne e verbale maestra agli uomini, il Verbo, o Parola del Padre, ossia la Parola che rende sensibili agli uomini i pensieri del Padre suo, la Luce venuta ad illuminare le tenebre e a fugare le penombre.


   Le verità più sublimi, più soavi, più profonde, e le verità più amare, sono tutte sinceramente dette nel vangelo di Giovanni, che col suo occhio d'aquila e il suo innalzarsi con lo spirito seguendo lo spirito del Maestro ha, dall'alto, visto le supreme grandezze e le supreme bassezze, misurato l'ampiezza dell'amore di Cristo e dell'odio del mondo giudaico a Cristo; la lotta fra la Luce e le tenebre, delle troppe "tenebre", ossia dei troppi nemici del Maestro suo, tra i quali era persino un discepolo e apostolo che Giovanni chiaramente, in questo suo vangelo della Verità e della Luce, chiama col suo vero nome, con uno dei suoi veri nomi: "ladro"; ha visto le congiure sotterranee, i tranelli sottili, usati per rendere inviso il Cristo ai dominatori romani ed ebraici e ai "piccoli" che formavano il gregge dei fedeli al Cristo. E tutte le nota e le rende note, mostrando Gesù nella sua santità sublime, non solo di Dio ma anche di Uomo.


   Uomo che non viene a compromessi coi nemici per farseli amici; Uomo che sa dire la verità ai potenti e smascherare le colpe e ipocrisie degli stessi; Uomo che, non respingendo nessuno meritevole di esser avvicinato perché mosso al venire a Lui da desiderio d'anima di redimersi, sa lanciare il suo anatema a quanti, anche se potentissimi, lo circuiscono con false profferte d'amicizia per poterlo cogliere in colpa; Uomo che rispetta la Legge, ma calpesta le sovrapposizioni alla Legge: "i pesi" messi dai farisei ai piccoli; Uomo che rifiuta il regno e la corona terrena e fugge per liberarsene, ma non cessa di bandire il suo Regno spirituale e assume la corona di Redentore per confermare col sacrificio suo proprio la sua dottrina di sacrificio; l'Uomo santissimo che tutto volle conoscere dell'uomo, meno il peccato.


   L'aquila non canta, come invece fanno gli altri uccelli, più o meno melodiosamente, ma getta il suo grido potente che fa tremare il cuore agli uomini e agli animali tanto è affermazione di potenza. Anche Giovanni non canta dolcemente la storia del Cristo, ma getta il suo grido potente, per celebrare l'Eroe, ed è grido tanto possente nell'affermare la Divinità, la Sapienza luminosissima del Cristo, da far tremare l'anima e il cuore sin dalle prime parole del suo proemio.


   L'aquila ama le vette solitarie su cui il sole dardeggia tutti i suoi fuochi, e più il sole splende e più l'aquila lo fissa, come affascinata dal suo splendore e dal suo calore. Anche Giovanni, il solitario, anche se era coi compagni sia prima che dopo la Passione e Ascensione del Maestro — perché veramente era l'Apostolo diverso, unico in particolari aspetti d'uomo e di discepolo, unito agli altri solo per la carità in lui vivissima — anche Giovanni come l'aquila amava stare sulla vetta, sotto all'incendio del suo Sole, e guardare Lui solo, ascoltarne tutte le parole verbali e quelle segrete, ossia le lezioni e le conversazioni profonde e amabili del Cristo, e le sue effusioni solitarie, le sue preghiere e comunioni col Padre, nel silenzio delle notti, o nel profondo dei boschi, dovunque il Cristo – 
il grande Solitario, perché il grande Sconosciuto ed Incompreso – si isolava per trovare conforto dall'unione col Padre suo.


   Gesù: il Sole della Carità; Giovanni: l'amante del Sole di Carità e il vergine sposato alla Carità, attratto, lui il puro, da Gesù, Purezza perfetta. L'amore dà speciali comprensioni. E più è forte l'amore e più l'amante comprende anche i moti intimi dell'amato. Giovanni, il fedelissimo e amantissimo di Gesù-Dio e Uomo, comprese tutto di Lui, come fosse non sul suo Cuore divino ma 
nel suo Cuore.
   Nessuno conobbe il Cristo intimo quanto Giovanni. Tutte le perfezioni del Cristo gli furono note. Penetrò nel suo mistero e nell'oceano delle sue virtù, misurandone veramente l'altezza, la larghezza e la profondità di questo Tempio vivente non fatto da mano d'uomo e che invano gli uomini cercavano di distruggere. E tutte, a distanza di decenni, le scrisse e descrisse, lasciando il Vangelo più perfetto in veridicità storica, più potente in dottrina, più luminoso di luci sapienziali e caritative, più fedele nella descrizione degli episodi e caratteri, capace di superare le restrizioni mentali degli ebrei e descrivere anche quanto gli altri evangelisti non avevano osato dire: la samaritana, l'ufficiale regio, lo scandalo e fuga e rivolta contro il Maestro dei discepoli dopo il discorso del Pane del Cielo, e l'adultera, e le aperte dispute con i Giudei, Farisei, Scribi e Dottori, e il suo rifugiarsi in Samaria ad Efraim, e i suoi contatti coi Gentili, e la verità su Giuda "che era ladro", e altre cose ancora.


   Più che maturo d'anni, perché longevo quando scrisse il suo vangelo, ma perennemente giovane perché puro, ma sempre ugualmente e ardentemente amoroso del Cristo, perché nessun altro amore umano aveva sottratto fiamme alla sua carità per l'Amato, Giovanni, l'amorosa aquila di Cristo, ci ha rivelato il Cristo, con una potenza superiore ad ogni altra, inferiore solo a quella del Cristo stesso, la quale era infinita perché potenza di Dio, nel rivelarci il Padre suo.


   Tutti i quattro che stavano intorno al trono erano coperti d'occhi. Infatti erano i contemplatori, coloro che avevano ben contemplato il Cristo per poterlo ben descrivere e confessare.

   Ma Giovanni, l'aquila, coi suoi occhi mortali e immortali, lo aveva contemplato da aquila, con sguardo d'aquila, penetrando nell'ardente mistero del Cristo. E oltre la vita, ormai al fianco del suo Amato, con vista perfetta, fissa, penetra sin nel centro del Mistero, e intona l'inno di lode che gli altri e i 24 vegliardi seguono, per fortificarsi lo spirito ad enunciare le cose dei tempi ultimi: il supremo orrore, la suprema persecuzione, i flagelli ultimi e le supreme vittorie del Cristo, e le supreme, eterne gioie dei suoi fedeli seguaci.


   Le prime parole del suo cantico evangelico sono lode alla Luce. Le sue estreme all'Apocalisse sono un grido d'amorosa risposta e d'amorosa domanda: "Sì, vengo presto!", "Vieni, Signore Gesù!". E questi due gridi, dell'Amato e dell'Amante, più di ogni altra cosa ci disvelano cosa era Giovanni per Gesù, e Gesù per Giovanni. Era: 
l'Amore.


   A questo amante ardente, che portato dall'amore salì con lo spirito e l'intelletto a zone eccelse e penetrò nei misteri più alti come nessun altro apostolo ed evangelista, contrapponiamo l'uomo: Matteo. Giovanni tutto spirito, sempre più spirito; Matteo materia, tutto materia sinché il Cristo non lo convertì e fece suo. Giovanni: l'angelo in aspetto d'uomo, il serafino, anzi, che con le sue ali d'aquila saliva là dove solo a pochissimi è dato salire; Matteo: l'uomo, ancora l'uomo anche dopo la conversione che di lui, uomo peccatore, fece l'uomo di Dio, ossia un uomo rielevato al grado di creatura ragionevole e destinata all'eterna vita del Cielo. Ma sempre uomo, senza la coltura di Luca, senza la sapienza soprannaturale di Giovanni, senza la forza leonina di Marco. Nella mistica scala degli evangelisti si può mettere Matteo al primo gradino, Marco ad un quarto della scala, Luca al mezzo di essa e Giovanni sul culmine.


   Pure l'esser rimasto "l'uomo" non gli nocque, anzi servì a portarlo in alto nella perfezione tenendolo umile, contrito per il suo passato, così come il suo descrivere il Verbo fatto Carne come "l'Uomo" più che come il Maestro, il Taumaturgo, il Dio, servì, allora e nei secoli futuri, a ribadire e confessare, e affermare la vera Natura del Cristo, che era il Verbo del Padre, in eterno, ma che fu realmente l'Uomo incarnatosi per un miracolo unico e divino, nel seno della Vergine per essere il Maestro e il Redentore per i secoli dei secoli.


   Non ebbe nè i rapimenti d'amore di Giovanni, né l'economia mirabile di Luca, che non si limitò a parlare del Cristo Maestro, ma ci parla anche di quanto è preparazione al Cristo, ossia della Madre di Lui, degli eventi che precedettero le manifestazioni pubbliche di Gesù Cristo, per renderci noto tutto, per confermare i profeti, per abbattere, con la narrazione più esatta della vita nascosta di Gesù, di Maria, di Giuseppe, le future eresie che sarebbero sorte – né ancor tutte sono finite – le quali alterano la verità sul Cristo, sulla sua vita e dottrina, sulla sua persona sana, forte, paziente, eroica come nessuna altra mai fu. Chi come Luca ci mostra il Cristo Salvatore e Redentore che inizia la Passione col sudor sanguigno del Getsemani? Ma se Luca è lo storico erudito, Marco è l'impulsivo che impone il Cristo alle folle pagane facendone risaltare la potenza soprannaturale, anzi divina, di miracolo d'ogni specie.

    Ognuno dei quattro servì per comporre il mosaico che ci dà il vero Gesù Cristo Uomo-Dio, Salvatore, Maestro, Redentore, Vincitore della morte e del demonio, Giudice eterno e Re dei re in eterno. Per questo, nella teofania che descrive l'Apostolo Giovanni nel suo Apocalisse, i quattro, coi loro quattro diversi aspetti, fanno da base e corona al Trono dove è assiso Colui che è, che era, che ha da venire e che è l'Alfa e l'Omega, principio e fine di tutto quanto era, è, e sarà, e le loro voci, unite a quelle dei ventiquattro, ossia dei dodici principali patriarchi e dei dodici più grandi profeti, o profeti maggiori, cantano l'eterna lode a Colui che è Santissimo e Onnipotente.

   Dodici e dodici. Questo numero era uno dei numeri sacri agli ebrei. Dodici i Patriarchi, dodici i figli di Giacobbe, dodici le tribù d'Israele; e se i Comandamenti della Legge sono dieci – i Comandamenti dati da Dio-Padre a Mosè sul Sinai – in verità essi sono dodici da quando il Verbo del Padre, l'eterna e perfettissima Sapienza, completò la Legge e la perfezionò, insegnando che i comandamenti dei comandamenti sono: "Ama Dio con tutto te stesso e il tuo prossimo come te stesso'' perché questi due primi e principali comandamenti sono, in realtà, base di vita ai dieci comandamenti tutti, dato che i primi tre non possono praticarsi se non si ama Dio con tutto sé stesso, con tutte le proprie forze, con tutta l'anima, e gli altri sette neppure possono praticarsi se non si ama il prossimo come se stessi non mancando all'amore, alla giustizia, all'onestà in nessuna cosa o verso nessuna persona.


   Dodici erano gli anni prescritti dalla Legge perché un fanciullo ebreo divenisse figlio della Legge. E Gesù, fedele alla Legge, volle dodici apostoli al suo seguito perché sacro era tal numero. Ché se poi un ramo cadde, putrido, e la pianta novella rimase con soli undici rami, presto un novello dodicesimo ramo, e santo, rinacque sulla pianta del cristianesimo, e il numero sacro fu ristabilito.


   Quanti numeri sacri in Israele! E ognuno col suo simbolo che fu poi trasferito nella novella Chiesa. Il tre. Il sette. Il dodici. Il settantadue. E, nei tempi futuri, splenderà la verità sui numeri ancora oscuri contenuti nell'Apocalisse, numeri che stanno ad indicare la Perfezione e Santità infinita, e l'Empietà pure senza misura.
   Jehoshua = Perfezione, Santità, Salvezza, nome dalle otto lettere.
   Satana = Empietà, nemico del genere umano, perfezione del male, nome dalle sei lettere.
   E poiché il primo è nome di Bene perfettissimo e il secondo di Male perfettissimo, ossia senza misura, ognuno di essi moltiplica per 3, numero della perfezione, il numero delle sue lettere, divenendo il primo ottocentoottantotto e il secondo seicentosessantasei. // E guai, quattro volte guai a quei giorni in cui l'infinito Bene e l'infinito Male si daranno l'ultima battaglia prima della definitiva vittoria del Bene e dei Buoni, e della definitiva sconfitta del Male e dei suoi Servi! //


   Quanto di orrore e di sangue vi fu nella Terra da quando il Creatore la fece, sarà un nulla rispetto all'orrore dell'ultima lotta. Per questo Gesù Maestro parlò così chiaro ai suoi quando predisse gli ultimi tempi. Per preparare gli uomini alle lotte ultime in cui solo coloro che avranno una fede intrepida, una carità ardente, una speranza incrollabile, potranno perseverare senza cadere in dannazione e meritare il Cielo.
   Per questo dovrebbesi — poiché il mondo sempre più scende verso l'abisso, verso la non fede, o una troppo debole fede, e carità e speranza languono in troppi, e in molti sono già morte — per questo dovrebbesi, con ogni mezzo, far sì che Dio sia più conosciuto, amato, seguito. Ciò che non può ottenere il Sacerdote, da troppi sfuggito o non ascoltato, può farlo la stampa, i libri in cui la Parola di Dio sia di nuovo presentata alle folle.
   Una parola talora basta a rialzare uno spirito caduto, a ricondurre sulla via giusta uno smarrito, ad impedire il suicidio definitivo di un'anima.


   Per questo Dio, che tutto vede e conosce degli uomini, con mezzi della sua infinita Carità, rivela il suo pensiero, il suo desiderio a delle anime da Lui scelte per tale missione, e vuole che il suo aiuto non resti inerte, e soffre di vedere che quanto sarebbe pane di salute per molti non venga dato ad essi.
   Sempre più cresce il bisogno di cibo spirituale alle anime languenti. Ma il grano eletto, dato da Dio, sta serrato e inutile, e il languore cresce, e cresce sempre più il numero di coloro che periscono non tanto in questa quanto nell'altra vita.


   ?Quando, per una conoscenza più vera, vasta, profonda, di Cristo, quando, per aver finalmente levato i sigilli a ciò che è fonte di vita, di santità, di salute eterna, una moltitudine di anime potrà cantare l'inno di gioia, di benedizione, di gloria a Dio che li aiutò a salvarsi e a far parte del popolo dei Santi?
   ?Con quali parole e quali sguardi il Giudice eterno parlerà e guarderà coloro che impedirono coi loro voleri a molti di salvarsi?   ?Come chiederà loro conto di chi non ebbe il Cielo perché essi, come gli antichi Scribi e Farisei, hanno serrato in faccia alla gente la via che poteva portarli al regno dei Cieli, e acciecandosi volontariamente gli occhi e indurendo il loro cuore non vollero vedere né intendere?
  

 Troppo tardi e inutilmente si batteranno allora il petto e chiederanno perdono del modo come agirono.
   Ormai il giudizio sarà stato dato e irrevocabile, e dovranno espiare la loro colpa e pagare anche per coloro ai quali, col loro modo di agire, impedirono di ritrovare Dio e di salvarsi.


http://www.valtortamaria.com/operaminore/quaderno/3/manoscritto/85/su-lapocalisse-di-s-giovanni-apostolo-novembre-1950-ii-quaderno

AMDG et DVM