sabato 2 settembre 2017

Otto friulani su 10 consultano internet...


...l’80% va alla ricerca di rimedi 

a disturbi o malattie anche gravi».

Tremate, tremate le coscienze son destate…


Risveglio delle coscienze
di Marcello Pamio
«Otto friulani su 10 consultano internet per cercare informazioni sulla propria salute e l’80% va alla ricerca di rimedi a disturbi o malattie anche gravi».
A lanciare questo gravissimo allarme è il dottor Guido Lucchini, presidente dell’ordine medici e odontoiatri di Pordenone. I medici sono bravi a fare le analisi, ma le sintesi forse sono impossibili per certe menti incastonate in un sistema rigido e cristallizzato.
La domanda che si farebbe un bambino è la seguente: se 8 friulani su 10 passano dalla medicina allopatica a quella naturale e complementare – cercando altre strade terapeutiche – ci saranno delle motivazioni o sono tutti squilibrati da internare? Sono tutti ignoranti?…

La ricchezza ti deruba ma è bella… il povero ti somiglia e fa schifo!

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AMDG et BVM

venerdì 1 settembre 2017

Troppi fanno della Legge uno sgabello. Eppure: nulla è inutile di quanto Dio ha dato per Legge.

PARLA GESU'

 «La pace a voi tutti.

   Se l'essere venuto è valso ad instaurare il Regno di Dio fra di voi, sia benedetto il Signore. Se l'essere venuto è valso a far brillare una innocenza, sia benedetto il Signore. Se l'essere giunto in tempo per impedire un delitto serve anche a dare a tre colpevoli modo di redimersi, sia benedetto il Signore. Ora, di tutte le molte cose che porta a meditare questa giornata, e che mediteremo mentre la notte scende a fasciare di tenebre la gioia di due cuori e il rimorso di altri tre — e nelle sue tenebre nasconde come in velo pudico le lacrime gioiose dei primi e quelle brucianti degli altri, che però Dio vede — vi è quella che indica come nulla è inutile di quanto Dio ha dato per Legge.


 13La Legge data da Dio, nominalmente è molto osservata in Israele. Ma in realtà non lo è. La Legge è là, analizzata, sviscerata, spezzettata, fino a farla morire per torture di sottigliezze piccine. È là. Ma come un cadavere mummificato non ha vita, respiro, circolazione di sangue nonostante abbia l'apparenza di uno che sia immobile per sonno, così la Legge non ha vita, respiro, sangue in troppi, troppi, troppi cuori. Su una mummia ci si siede come su uno sgabello. Su una mummia si possono appoggiare oggetti, vesti, anche lordure, se si vuole, ed essa non si ribella perché non ha vita. Così troppi fanno della Legge uno sgabello, un appoggio, uno scarico per le loro lordure, certi che essa non si ribella nella loro coscienza perché essa per loro è morta.


   Potrei paragonare molta parte di Israele alle foreste pietrificate che si vedono sparse per la valle del Nilo e nel deserto egiziano. Erano boschi e boschi di piante vive, nutrite da linfe, fruscianti al sole, belle di fronde, di fiori, di frutti. Facevano, del punto dove sorgevano, un piccolo paradiso terrestre, caro a uomini e animali che dimenticavano l'aridità desolata del deserto, la sete rovente che le sabbie danno all'uomo penetrando con la loro polvere ardente nelle fauci. Dimenticavano il sole spietato che calcifica i cadaveri in poco tempo, scarnendoli, consumandone in polvere le carni e lasciando coricati fra le curve delle sabbie scheletri e scheletri puliti come da un attento operaio. Dimenticavano tutto in quest'ombra verde, frusciante, ricca d'acque e di frutti che ristoravano, consolavano, rendevano ardimento a nuovi percorsi.

     Poi, per una ignota causa, come cose maledette, esse si sono non solo disseccate, come fanno le piante che, morte che siano, servono ancora per fare fuochi nei focolari dell'uomo, o dei roghi per illuminare la notte, tenere lontano fiere e cacciare l'umido della notte ai pellegrini lontani dai paesi. Ma queste non hanno servito come legna. Pietra sono divenute. Pietra. La silice del suolo sembra essere salita per un sortilegio dalle radici al tronco, ai rami, alle fronde. I venti hanno poi spezzato i rametti più esili divenuti simili ad alabastro che è duro e molle insieme. Ma i rami più robusti sono là, sui loro tronchi poderosi a fare inganno alle carovane stanche, che nel riflesso abbacinante del sole, o nella luce spettrale della luna, vedono profilarsi le ombre dei tronchi ritti sui loro pianori, o nel fondo delle valli che conoscono l'acqua solo nel tempo delle piene feconde e che, e per l'ansia di un rifugio, di un ristoro, di un pozzo, di frutti freschi, e per la stanchezza degli occhi abbacinati dal sole sulle sabbie senza riparo, si precipitano verso le foreste fantasma. Veramente fantasma! Illusorie apparenze di corpi vivi. Reali presenze di cose morte.

   Io le ho viste. Mi sono rimaste impresse, per quanto fossi poco più che un pargolo, come una delle più tristi cose della Terra. Così mi erano parse finché non ho toccato, misurato, pesato le cose totalmente tristi della Terra perché sono le cose completamente morte. Le cose immateriali, ossia le virtù e le anime morte. Morte le prime nelle anime, morte le anime perché si sono uccise.


 14La Legge è in Israele. Ma vi è come le piante pietrificate sono nel deserto: divenute silice. Morte. Oggetto di inganno. Oggetto destinato a corrodersi senza servire. Anzi nuocendo perché creano miraggi che allettano allontanando dalle oasi vere, facendo morire di sete, di fame, di desolazione, col loro attirare alla loro morte. Morte che attira altri a morte, come si legge in certe favole di miti pagani.

   Voi oggi ne avete avuto un esempio di cosa è una Legge ridotta a pietra in un'anima pure divenuta pietra. È peccato di ogni genere e creatore di sventura. Questo vi serva a saper vivere e a saper far rivivere la Legge in voi, nella sua integrità che Io illumino con luci di misericordia.

   La notte è alta. Le stelle ci guardano e con esse Dio. Alzate lo sguardo al cielo stellato ed elevate lo spirito a Dio. E senza critiche verso gli infelici già da Dio puniti, e senza orgogli per essere senza il loro peccato, promettete a Dio e a voi stessi di non cadere nella aridità delle piante maledette dei deserti e delle valli d'Egitto.

   La pace sia con voi».

   Li benedice e poi si ritira nell'ampio recinto dell'ovile, cinto da rustici portici, sotto cui i pastori hanno steso molto fieno a fare da letto ai servi del Signore.


http://www.valtortamaria.com/operamaggiore/volume/4/ccxlviii-a-betlem-di-galilea-giudizio-per-un-omicidio-e-parabola-delle-foreste-pietrificate


AMDG et BVM

FIDES ET RATIO // FEDE E RAGIONE


Tra le Encicliche più belle e fondamentali 
di Papa Giovanni Paolo II c'è 
la FIDES ET RATIO
e qui sotto una 
SINTESI  

FIDES ET RATIO 
Lettera enciclica circa i rapporti tra fede e ragione 
di 
Giovanni Paolo II 
(14 settembre 1998 festa dell’Esaltazione della Santa Croce, ventesimo del mio pontificato) 

La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità. E’ Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e in definitiva Lui, perché conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso. 

INTRODUZIONE 
“CONOSCI TE STESSO” 

Da 1. a 6. Più l’uomo conosce la realtà e il mondo e più conosce se stesso nella sua unicità, mentre gli diventa sempre più impellente la domanda sul senso delle cose e della sua stessa esistenza. 
La Chiesa si è fatta pellegrina per le strade del mondo per annunziare che Gesù è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Annuncio pur nella consapevolezza che ogni verità raggiunta è sempre e solo una tappa verso quella piena verità che si manifesterà nella rivelazione ultima di Dio: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa: ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente” (1Cor 13,12). 
Il termine filosofia significa “amore per la saggezza. E’ nata nel momento in cui l’uomo ha iniziato a interrogarsi sul perché delle cose. E’ una proprietà nativa della sua ragione interrogarsi sul perché delle cose. La Chiesa, non può che apprezzare l’impegno della ragione per il raggiungimento di obiettivi che rendano l’esistenza personale sempre più degna. E considera la filosofia un aiuto indispensabile per approfondire l’intelligenza della fede per comunicare la verità del Vangelo a quanti ancora non la conoscono. Senza dubbio la filosofia moderna ha il grande merito di aver concentrato la sua attenzione sull’uomo. Tuttavia i risultati positivi, non devono indurre a trascurare il fatto che quella stessa ragione, intenta a indagare in maniera unilaterale sull’uomo some soggetto, sembra aver dimenticato che questi è pur sempre chiamato a indirizzarsi verso una verità che lo trascende. La ragione sotto il peso di tanto sapere si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno, incapace di sollevare lo sguardo verso l’alto per osare di raggiungere la verità dell’essere. Ne sono derivate varie forme di agnosticismo. Di conseguenza, sono emersi nell’uomo contemporaneo, e non solo presso alcuni filosofi, atteggiamenti di diffusa sfiducia nei confronti delle grandi risorse conoscitive dell’essere umano. Ci si accontenta di verità parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita umana, personale e sociale. E’ venuta meno, la speranza di poter ricevere dalla filosofia risposte definitive a tali domande. Depositaria della Rivelazione di Gesù Cristo, la Chiesa intende riaffermare la necessità della riflessione sulla verità. Riaffermando la verità della fede, possiamo ridare all’uomo del nostro tempo genuina fiducia nelle sue capacità conoscitive e offrire alla filosofia una provocazione perché possa recuperare e sviluppare la sua piena dignità, la sua vocazione originaria. 

CAP. I 
LA RIVELAZIONE DELLA SAPIENZA DI DIO 

Gesù rivelatore del Padre 
Da 7. a 12. La Chiesa è depositaria di un messaggio che ha la sua origine in Dio stesso (cfr. 2Cor 4,1-2). All’origine del nostro essere credenti vi è un incontro, unico che segna un mistero nascosto nei secoli, ma ora rivelato: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura”. E’ questa un’iniziativa gratuita che parte da Dio per raggiungere l’umanità e salvarla. Esistono due ordini di conoscenza, nell’uno conosciamo con la ragione naturale, nell’altro con la fede divina. La filosofia e le scienze spaziano nell’ordine della ragione naturale, mentre la fede, illuminata e guidata dallo Spirito, riconosce nel messaggio della salvezza la “pienezza di grazia e di verità” (cfr.Gv 1,14) che Dio ha voluto rivelare nella storia e in maniera definitiva per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo (cfr. 1Gv 5,9; Gv 5,31-32). La profonda verità su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa Rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione. La rivelazione di Dio, si inserisce nel tempo e nella storia. A duemila anni di distanza, sento il dovere di riaffermare con forza che “nel cristianesimo il tempo ha un’importanza fondamentale. Con l’incarnazione del Figlio di Dio noi viviamo e anticipiamo fin da ora ciò che sarà il compimento del tempo (cfr Eb 1,2). Gesù Cristo, Verbo fatto carne, mandato come “uomo agli uomini”, parla le parole di Dio” (Gv 3.34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5,36; 17,4). Ora tutti hanno in Cristo accesso al Padre; con la sua morte e risurrezione, infatti, egli ha donato la vita divina che il primo Adamo aveva rifiutato (cfr. Rm 5.12-15). 
La ragione dinanzi al mistero 
Da 13. a 15. Gesù rivela il volto del Padre a lui è dovuta obbedienza. La fede è risposta di obbedienza a Dio. Con la fede, l’uomo dona il suo assenso a tale testimonianza divina. Riconosce pienamente e integralmente la verità di quanto rivelato, perché è Dio stesso che se ne fa garante. L’atto con il quale ci si affida a Dio è sempre stato considerato dalla Chiesa come un momento di scelta fondamentale, in cui tutta la persona è coinvolta. E’ la fede, anzi, che permette a ciascuno di esprimere al meglio la propria libertà. La libertà non si realizza nelle scelte contro Dio. In aiuto alla ragione, vengono anche i segni presenti nella Rivelazione, in particolare nel segno eucaristico. Cristo nell’Eucaristia è veramente presente e vivo, opera con il suo Spirito, ma come aveva ben detto san Tommaso, “tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. La verità rivelata è anticipo, posto nella nostra storia, di quella visione ultima e definitiva di Dio che è riservata a quanti credono in lui o lo ricercano con cuore sincero. 

CAP. II 
CREDO UT INTELLEGAM 

“La sapienza tutto conosce e tutto comprende” (Sap 9,11) 
Da 16. a 20. “ Beato l’uomo che medita sulla sapienza e ragiona con l’intelligenza, considera nel cuore le sue vie, ne penetra con la mente i segreti. La insegue ……..” (Sir 14,20-27). Il desiderio di conoscere è una caratteristica che accomuna tutti gli uomini. Grazie all’intelligenza, è data a tutti, credenti e non, la possibilità di attingere alle acque profonde” della conoscenza (cfr. Pr 20,5). L’uomo con la luce della ragione sa riconoscere la sua strada, ma la può percorrere in maniera spedita, senza ostacoli e fino alla fine, se con animo retto inserisce la sua ricerca nell’orizzonte della fede. La ragione e la fede, pertanto, non possono essere separate. L’una è nell’altra. Se l’uomo con la sua intelligenza non arriva a riconoscere Dio creatore di tutto, è dovuto dalla sua libera volontà e dal suo peccato. 

“Acquista la sapienza, acquista l’intelligenza” (Pr 4,5) Il rapporto del cristiano con la filosofia, richiede un discernimento radicale. Nelle lettere di san Paolo un dato emerge con grande chiarezza: la contrapposizione tra “ la sapienza di questo mondo” e quella di Dio rivelata in Gesù Cristo. La sapienza dell’uomo rifiuta di vedere nella propria debolezza il presupposto della sua forza; ma san Paolo afferma “Quando sono debole, è allora che sono forte” (“Cor 12,10). L’uomo non riesce a comprendere come la morte possa essere fonte di vita e di amore, ma Dio ha scelto per rivelare il mistero del suo disegno di salvezza proprio ciò che la ragione considera “follia” e “scandalo”. La sapienza della croce, dunque, supera ogni limite culturale. 

CAP. III 
INTELLEGO UT CREDAM 

In cammino alla ricerca della verità 
Da 24. a 27 Nel cuore dell’uomo è seminato il desiderio e la nostalgia di Dio. Tutti gli uomini desiderano sapere, oggetto proprio di questo desiderio è la verità. La stessa vita quotidiana mostra quanto ciascuno sia interessato a scoprire, oltre il semplice sentito dire, come stanno veramente le cose. L’uomo è l’unico essere in tutto il creato visibile che non soltanto è capace di sapere, ma sa anche di sapere, e per questo si interessa alla verità reale di ciò che gli appare. Nessuno può essere indifferente alla verità del suo sapere. Se scopre che è falso, lo rigetta; se può invece accertarne la verità, si sente appagato. Se esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità, esiste ancora prima l’obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta. E’ necessario, dunque che i valori scelti e perseguiti con la propria vita siano veri, perché solo i valori veri possono perfezionare la persona realizzandone la natura. 

I differenti volti della verità dell’uomo 
Da 28. a 35. Vi sono diverse forme di verità: - quelle che poggiano su evidenze immediate. E’ questo l’ordine di verità proprio della vita quotidiana e scientifica; - a un altro livello si trovano le verità di carattere filosofico, a cui l’uomo giunge mediante capacità speculative del suo intelletto; - infine vi sono le verità religiose, che in qualche misura affondano le loro radici anche nella filosofia. Esse sono contenute nelle risposte che le varie religioni nelle loro tradizioni offrono alle domande ultime. L’uomo sa di avere trovato nell’incontro con Gesù Cristo la verità sulla sua vita e niente e nessuno potrà mai strappargli questa certezza. Né la sofferenza, né la morte violenta lo potranno fare recedere dall’adesione alla verità che ha scoperto nell’incontro con Cristo. 

CAP. IV 
IL RAPPORTO TRA LA FEDE E LA RAGIONE 

Tappe significative dell’incontro tra fede e ragione 
Da 36. a 42. Per farsi comprendere dai pagani, i primi cristiani non potevano rinviare soltanto “a Mosè e ai profeti”, dovevano anche far leva sulla conoscenza naturale di Dio e sulla voce della coscienza morale di ogni uomo (cfr Rm 1,19.21; 2,14-15; At 14,16-17). Tale conoscenza tra i pagani, era scaduta nell’idolatria (Rm 1,21-32), l’Apostolo ritenne più saggio collegare il suo discorso al pensiero dei filosofi. Uno degli sforzi maggiori che i filosofi del pensiero classico operarono, infatti, fu quello di purificare la concezione che gli uomini avevano di Dio da forme mitologiche. Fu compito dei padri della filosofia far emergere il legame tra la ragione e la religione, non si accontentarono più dei miti antichi, ma vollero giungere a dare fondamento razionale alla loro credenza nella divinità. Le superstizioni vennero riconosciute come tali e la religione fu, almeno in parte, purificata mediante l’analisi razionale. Fu su questa base che i Padri della Chiesa avviarono un dialogo fecondo con i filosofi antichi, aprendo la strada all’annuncio e alla comprensione del Dio di Gesù Cristo. Onde evitare però speculazioni esoteriche, san Paolo mette in guardia i Colossesi: “Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (2,8). Diverse sono state le forme con cui i Padri d’Oriente e d’Occidente sono entrati in rapporto con le scuole filosofiche. Gli antichi filosofi avevano avuto il compito di mostrare in quale modo la ragione, rientrata dai vincoli esterni, potesse uscire dal vicolo cieco dei miti per aprirsi in modo più adeguato alla trascendenza, una ragione purificata e retta, quindi, era in grado di elevarsi ai livelli più alti della riflessione, dando fondamento solido alla percezione dell’essere, del trascendente e dell’assoluto. Proprio qui sta la novità operata dai Padri. Essi accolsero in pieno la ragione aperta all’assoluto e in essa innestarono la ricchezza proveniente dalla Rivelazione, l’incontro non fu solo a livello di culture, ma avvenne anche nell’intimo degli animi e fu incontro tra la creatura e il suo Creatore. Sant’Anselmo sottolinea il fatto che l’intelletto deve porsi in ricerca di ciò che ama: più ama, più desidera conoscere. Il desiderio di verità, spinge la ragione ad andare sempre oltre. La ragione è in grado di scoprire ove stia il compimento del suo cammino. La fede chiede che il suo oggetto venga compreso con l’aiuto della ragione; la ragione, al culmine della sua ricerca, ammette come necessario ciò che la fede presenta. 
La novità perenne del pensiero di san Tommaso d’Aquino 
43. 44. Per san Tommaso la luce della ragione e quella delle fede provengono entrambe da Dio, perciò non possono contraddirsi tra loro. Egli riconosce che la natura, oggetto proprio della filosofia, può contribuire alla comprensione della rivelazione divina. La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida. Come la grazia suppone la natura e la porta a compimento, così la fede suppone e perfeziona la ragione. Quest’ultima illuminata dalla fede, viene liberata dalle fragilità e dai limiti derivanti dalla disobbedienza del peccato e trova la forza per elevarsi alla conoscenza del mistero di Dio Uno e Trino. Mi piace ricordare che san Tommaso, come disse il mio predecessore, possedette al massimo grado il coraggio della verità, la libertà di spirito nell’affrontare i nuovi problemi, l’onestà intellettuale di chi non ammette la contaminazione del cristianesimo con la filosofia profana, ma nemmeno il rifiuto a priori di questa. Tra le grandi intuizioni di san Tommaso vi è anche quella relativa al ruolo che lo Spirito santo svolge nel far maturare in sapienza la scienza umana. Volle mostrare il primato di quella sapienza che è dono dello Spirito santo e introduce alla conoscenza delle realtà divine. La sapienza presuppone la fede e arriva a formulare il suo retto giudizio a partire dalla verità della fede stessa: “la sapienza elencata tra i doni dello Spirito santo è distinta da quella che è posta tra le virtù intellettuali. Infatti, quest’ultima si acquista con lo studio: quella invece “viene dall’alto”, come si esprime Giacomo. E’ proprio del dono di sapienza giudicare secondo la verità divina. 
Il dramma della separazione tra fede e ragione 
Da 45. a 48. Con il sorgere delle prime università, la teologia veniva a confrontarsi più direttamente con altre forme della ricerca e del sapere scientifico. Sant’Alberto Magno e san Tommaso, pur mantenendo un legame organico tra la teologia e la filosofia, furono i primi a riconoscere la necessaria autonomia di cui la filosofia e le scienze avevano bisogno, per applicarsi efficacemente ai rispettivi campi di ricerca. A partire dal Medio Evo tuttavia, la legittima distinzione tra i due saperi si trasformò progressivamente in una nefasta separazione. A seguito di un eccessivo spirito razionalista, in alcuni pensatori, si radicalizzarono le posizioni, giungendo di fatto ad una filosofia separata e assolutamente autonoma nei confronti dei contenuti della fede. Di conseguenza vi fu una diffidenza sempre più forte nei confronti della stessa ragione. Alcuni iniziarono a professare una sfiducia generale, scettica e agnostica, o per riservare più spazio alla fede o per screditarne ogni possibile riferimento razionale. Nell’ambito della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma soprattutto ha lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale. Certi scienziati rischiano di non avere più al centro del loro interesse la persona e la globalità della sua vita. Come conseguenza della crisi del razionalismo ha preso corpo, il nichilismo. Quale filosofia del nulla, esso riesce ad esercitare fascino sui nostri contemporanei, l’esistenza è solo un’opportunità per sensazioni ed esperienze in cui l’effimero ha il primato. La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale. E’ illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Allo stesso modo, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell’essere. Alla parresìa [franchezza] della fede deve corrispondere l’audacia della ragione. 

CAP. V 
GLI INTERVENTI DEL MAGISTERO IN MATERIA FILOSOFICA 

Il discernimento del Magistero come diaconia alla verità 
Da 49. a 56. Un’espressione oggi diffusa alla tendenza fideistica è il “biblicismo”, che tende a fare della lettura della Sacra Scrittura o della sua esegesi l’unico punto di riferimento veritativo. Accade così che si identifichi la parola di Dio con la sola Sacra Scrittura, vanificando in tal modo la dottrina della Chiesa che il concilio ecumenico Vaticano II ha ribadito espressamente. La costituzione Dei Verbum, dopo aver ricordato che la parola di Dio è presente sia nei testi sacri che nella Tradizione, afferma con forza “La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera costantemente nell’insegnamento degli Apostoli”- La Sacra Scrittura, pertanto, non è il solo riferimento per la chiesa. La “regola suprema della propria fede”, infatti, le proviene dall’unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente. 
L’interesse della Chiesa per la filosofia 
Da 57. a 63. Il Magistero, comunque, ha voluto ribadire i principi fondamentali per un genuino rinnovamento del pensiero filosofico, indicando anche concreti percorsi da seguire. Papa leone XIII, con la sua lettera enciclica Aeterni Patris riprese e sviluppò l’insegnamento del concilio Vaticano I sul rapporto tra fede e ragione, mostrando come il pensare filosofico sia un contributo fondamentale per la fede e la scienza teologica. A più di un secolo di distanza, molte indicazioni contenute non hanno perduto il loro interesse. La riproposizione del pensiero del Dottore Angelico, appariva a papa Leone XIII come la strada migliore per recuperare un uso della filosofia conforme alle esigenze della fede. San Tommaso, egli scriveva, “nel momento stesso in cui, come conviene, distingue perfettamente la fede dalla ragione, le unisce ambedue con legami di amicizia reciproca: conserva a ognuna i propri diritti e ne salvaguarda la dignità”. Desidero ribadire con vigore che lo studio della filosofia riveste un carattere fondamentale e ineliminabile nella struttura degli studi teologici e nella formazione dei candidati al sacerdozio, che affonda le sue radici nel Medio Evo quando è stata posta in evidenza l’importanza di una costruttiva armonia tra il sapere filosofico e quello teologico. 

CAP. VI 
INTERAZIONE TRA TEOLOGIA E FILOSOFIA 

La scienza della fede e le esigenze della ragione filosofica 
Da 64. a 74. La teologia si organizza come scienza della fede alla luce di un duplice principio metodologico: l’auditus fidei e l’intellectus fidei. Con il primo, essa entra in possesso dei contenuti della Rivelazione così come sono stati esplicitati progressivamente nella Sacra Scrittura e nel magistero vivo della Chiesa. Con il secondo, la teologia vuole rispondere alle esigenze proprie del pensiero mediante la riflessione speculativa. Per quanto concerne un corretto auditus fidei, la filosofia reca alla teologia il suo peculiare contributo nel momento in cui considera la struttura della conoscenza e della comunicazione personale e le varie forme e funzioni del linguaggio. 
Importante è anche l’apporto della filosofia per una più coerente comprensione della Tradizione ecclesiale. Per quanto riguarda l’intellectus fidei, si deve considerare, che la Verità divina, “a noi proposta nelle Sacre Scritture, interpretate rettamente dalla dottrina della Chiesa”1 , gode di una propria intelligibilità così coerente da proporsi come autentico sapere. 
La teologia dogmatica, da parte sua, deve essere in grado di articolare il senso universale del mistero del Dio Uno e Trino e dell’economia della salvezza. Senza l’apporto della filosofia, infatti, non si potrebbero illustrare contenuti teologici quali, il linguaggio su Dio, le relazioni personali all’interno della Trinità, l’azione creatrice di Dio nel mondo, il rapporto tra Dio e l’uomo, l’identità di Cristo che è vero Dio e vero uomo. 
Le stesse considerazioni valgono per la teologia morale, dove è immediato il ricorso a concetti quali: legge morale, coscienza, libertà, responsabilità personale, colpa, ecc., che ricevono una loro definizione a livello di etica filosofica. E necessario dunque, che la ragione del credente abbia una conoscenza naturale, vera è coerente delle cose create, del mondo e dell’uomo che sono anche oggetto della rivelazione divina. 
La teologia fondamentale, per il suo carattere proprio di disciplina che ha il compito di rendere ragione della fede (cfr. 1Pt 3,15), dovrà farsi carico di giustificare ed esplicitare la relazione tra la fede e la riflessione filosofica. Dovrà dimostrare la compatibilità tra la fede e la sua esigenza essenziale di esplicitarsi mediante una ragione in grado di dare in piena libertà il proprio assenso. La fede saprà mostrare così in pienezza il cammino a una ragione in ricerca sincera della verità. La fede pur fondandosi sulla ragione, non può fare a meno di essa; al tempo stesso, appare la necessità per la ragione di farsi forte della fede per scoprire gli orizzonti ai quali da sola non potrebbe giungere. 
Il fecondo rapporto tra filosofia e parola di Dio si manifesta anche in pensatori più recenti quali John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain, Etienne Gilson, Edith Stein e per l’oriente, Vladimir S. Solov’ev, Pavel A. Florenskij ecc… 

Differenti stati della filosofia 
Da 75. a 79. Si possono distinguere diversi stati della filosofia rispetto alla fede cristiana. 

- Un primo è quello della filosofia totalmente indipendente dalla Rivelazione evangelica: nelle epoche che hanno preceduto la nascita del Redentore e dopo di essa, nelle regioni non ancora raggiunte dal Vangelo. In questa situazione la filosofia manifesta la sua legittima aspirazione ad essere un’impresa autonoma, avvalendosi delle sole forze della ragione. 

- Un secondo stato della filosofia è quello della filosofia cristiana. Con il quale termine si intende semplicemente una filosofia elaborata da filosofi cristiani, i quali nella loro ricerca non hanno voluto contraddire la fede. Due sono gli aspetti: uno soggettivo, che consiste nella purificazione della ragione da parte della fede; l’altro oggettivo, riguardante i contenuti: la Rivelazione propone chiaramente alcune verità che, pur non essendo naturalmente inaccessibili alla ragione, forse non sarebbero mai state da essa scoperte. In questo orizzonte si situano questioni come il concetto di un Dio personale, libero e creatore, la realtà del peccato, la concezione della persona come essere spirituale: l’annuncio cristiano della dignità dell’uguaglianza e della libertà degli uomini. 
- Un altro stato significativo si ha quando è la stessa teologia a chiamare in causa la filosofia. In realtà la teologia ha sempre e continua ad aver bisogno dell’apporto filosofico. 

CAP. VII 
ESIGENZE E COMPITI ATTUALI 

Le esigenze irrinunciabili della parola di Dio 
Da 80. a 91. La Sacra Scrittura contiene una serie di elementi che consentono di raggiungere una visione dell’uomo e del mondo di notevole spessore filosofico. I cristiani hanno preso coscienza della ricchezza racchiusa in quelle pagine sacre. Da esse risulta che la realtà di cui facciamo parte 1)
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 1) San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, 5,3 ad 2 


non è l’assoluto. Dio soltanto è l’Assoluto. Non essendo il mondo creato autosufficiente, ogni illusione di autonomia, che ignori l’essenziale dipendenza da Dio di ogni creatura, porta a drammi che distruggono la ricerca razionale dell’armonia e del senso dell’esistenza umana. 

Anche il problema del male morale – la forma di male più tragica – è affrontato nella Bibbia, la quale ci dice che esso non è riconducibile a una qualche deficienza dovuta alla materia, ma è una ferita che proviene dall’esprimersi disordinato della libertà umana. La parola di Dio, infine, prospetta il problema del senso dell’esistenza e rivela la sua risposta indirizzando l’uomo a Gesù Critsto, il Verbo di Dio incarnato, che realizza in pienezza l’esistenza umana. 
La convinzione fondamentale di questa “filosofia” racchiusa nella Bibbia è che la vita umana e il mondo hanno un senso e sono diretti verso il loro compimento, che si attua in Gesù Cristo. Il mistero dell’Incarnazione resterà sempre il centro a cui riferirsi per poter comprendere l’enigma dell’esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso. 
Per essere in consonanza con la parola di Dio è necessario che la filosofia ritrovi la sua dimensione sapienziale di ricerca del senso ultimo e globale della vita. La Sacra Scrittura presuppone sempre che l’uomo, anche se colpevole di doppiezza e di menzogna, sia capace di conoscere e di afferrare la verità limpida e semplice. Nei Libri Sacri, e in particolare nel Nuovo testamento, si trovano testi e affermazioni di portata propriamente ontologica. Gli autori ispirati, hanno inteso formulare affermazioni vere, tali cioè da esprimere la realtà oggettiva. La teologia, ha bisogno pertanto dell’apporto di una filosofia che non rinneghi la possibilità di una conoscenza oggettivamente vera, per quanto sempre perfezionabile. Compiti attuali per la teologia 
Da 92. a 99. La teologia oggi ha un duplice compito. Da una parte, deve sviluppare l’impegno che il concilio Vaticano II, a suo tempo le ha affidato: rinnovare le proprie metodologie in vista di un servizio più efficace all’evangelizzazione. Dall’altra parte, la teologia deve puntare gli occhi sulla verità ultima che le viene consegnata con la Rivelazione, senza accontentarsi di fermarsi a stadi intermedi. Oggetto proprio della sua ricerca è “la Verità, il Dio vivo e il suo disegno di salvezza rivelato in Gesù Cristo”. Questo compito che tocca in prima istanza la teologia, provoca nello stesso tempo la filosofia. La mole dei problemi che oggi si impongono, infatti, richiede un lavoro comune. 
Se compito importante della teologia è l’interpretazione delle fonti, impegno ulteriore e anche più delicato ed esigente è la comprensione della verità rivelata, o l’elaborazione dell’intellecus fidei che richiede l’apporto di una filosofa dell’essere. La filosofia dell’essere è una filosofia dinamica che vede la realtà nelle sue strutture ontologiche, causali e comunicative. Essa trova la sua forza nel fatto di fondarsi sull’atto stesso dell’essere che permette l’apertura piena e globale di tutta la realtà, oltrepassando ogni limite fino a raggiungere Colui che a tutto dona compimento. 

CONCLUSIONE 

Da 100. a 108. La Chiesa permane nella più profonda convinzione che fede e ragione “ si recano un aiuto scambievole”, esercitando l’una per l’altra una funzione sia di vaglio critico e purificatore, sia di stimolo a progredire nella ricerca e nell’approfondimento. 
A tutti chiedo di guardare in profondità all’uomo, che Cristo ha salvato nel mistero del suo amore, e alla sua costante ricerca di verità e di senso. Diversi sistemi filosofici, illudendolo, lo hanno convinto che egli è assoluto padrone di sé e che può decidere autonomamente del proprio destino e futuro confidando solo sulle sue forze. La grandezza dell’uomo non potrà mai essere questa. Ma determinante per l’uomo sarà la scelta di inserirsi nella verità, all’ombra della Sapienza e abitando in essa. 

Sintesi a cura di Luciana Graceffo
http://old.lanuovaregaldi.it/doc/evento/FIDES%20ET%20RATIO%20sintesi.pdf

AMDG et BVM

San Egidio abate

San Egidio, abate
Lettura 

Egidio, Ateniense, di stirpe reale, fin dai primi anni si dedicò talmente allo studio delle sacre lettere e alle opere di carità, da sembrargli indifferente tutto il resto. 

Quindi, mortigli i genitori, distribuì ai poveri tutto il suo patrimonio; anzi si spogliò perfino della propria tunica per vestirne un malato indigente, che al suo contatto rimase subito guarito. 
Ma divenuto poi sempre più illustre per molti altri miracoli, temendo che il suo nome divenisse celebre, si portò ad Arles presso san Cesario in Francia. Dal quale partitosi dopo due anni, si ritirò nell'eremo; dove visse per molto tempo con mirabile santità cibandosi solo di radici di erbe e del latte d'una cerva, che veniva da lui a certe ore. 

Inseguita un giorno questa dai cani del re, e rifugiatosi nella grotta di Egidio, fu causa che il re di Francia lo pressasse vivamente di permettergli di costruire un monastero in quel luogo. Ad istanza del re ne prese, sebbene a malincuore, la direzione: e dopo averlo amministrato con prudenza e pietà per alcuni anni, se ne andò in cielo.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Preghiamo
Signore, ci renda accetti l'intercessione del beato Abate Egidio: affinché, ciò che non possiamo coi nostri meriti, l'otteniamo per il suo patrocinio. 
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.

Quale grande amica!


Gesù descrive alla mistica Maria Valtorta 
[e a noi pure] 
alcune caratteristiche dell’anima e del rapporto con Dio.
 
 
La vita del mondo leva quel candore di giglio che ha l’anima uscita dalle dimore del Cielo per scendere ad animare una carne nata da due amori fatti uno.



È la terra, l’atmosfera della terra, non l’atmosfera astronomica creata dal Padre mio, ma l’atmosfera morale della terra – quella creata da voi, che per essere stati avvelenati all’origine dallo Spirito del Male portate nel sangue germi di male inoculato ai progenitori – quella che offusca lo splendente candore su cui è solo una macchia che il mio Battesimo lava.



Oh! fulgore dell’anima dopo il lavacro battesimale! Se vi fosse dato vedere quel luminoso candore, vedreste qualcosa da rapire i vostri sentimenti. il giglio è opaco e la perla è grigia a confronto dell’anima avvolta nella luce battesimale.



In verità l’anima rivestita dalla grazia battesimale è come uno specchio che riflette Dio, è un piccolo Dio che attende, amando, di tornare al Cielo dove il suo Amore creatore l’attende.



Se l’uomo riflettesse – ed è per questo che la mia Bontà non calcola le colpe commesse avanti l’uso di ragione – se l’uomo, ormai capace di distinguere il Bene dal Male – e nota che gli istinti del senso si destano dopo l’uso di ragione; prima sono vivi solo gli istinti della vita che spingono il bambino a cercare la mammella o il cibo, il calore della madre o del sole, la mano della madre o il sostegno degli oggetti – se l’uomo riflettesse a ciò che fa, a ciò che perde facendo, a quale delitto a quale furto giunge levando alla sua anima il suo candore battesimale, quale sacrilegio compie profanando in sé la vera immagine di Dio: Spirito di Grazia, di Bellezza, di Bontà, di Purezza, di Carità infinita; se riflettesse al deicidio che compie uccidendo la sua anima, oh! no! l’uomo, essere dotato di ragione, non peccherebbe.
 
 
Poche sono le anime che non vengano a Dio un po’ brune, fatte brune dalle conseguenze della vita che non hanno saputo condurre con quella santa e attenta riflessione che ci vorrebbe per rispetto all’anima che ha diritti superiori alla carne.


Voi vi ricordate molto dei diritti della carne, cosa che muore e che solo essendo vissuta ancella dello spirito, e non padrona dello spirito, può divenire, a suo tempo, abitatrice nella reggia dei Cieli.
Vi preoccupate della vostra estetica, della vostra salute fisica, di prolungare la vita sulla terra il più possibile.

Ma non vi preoccupate della vostra anima, di conservarla bella, di renderla sempre più ornata per aggiungere alla sua bellezza creata da Dio le gemme conquistate dalla vostra volontà di figli pensosi del Padre, al quale vogliono tornare arricchiti di meriti: veri gioielli, vere ricchezze che non periscono in eterno.

(…) Ecco ciò che dà pregio al corpo, o uomini stolti.
L’anima che è il dono di Dio lo spirito che è manifestazione di Dio, e che ha un pregio davanti al quale quelli della carne sono un nulla spregevole.

Io, la Pietà perfetta, non guardo se venite a Me “un po’ bruni” dai riverberi del sole terreno delle tendenze vostre. Voglio solo che lottiate perché il sole bruciante della carnalità non vi renda irriconoscibili al mio sguardo e repellenti al mio occhio.

Anima e Dio, Dio e anima: ecco i due perenni amatori. Perché defraudare Dio e l’anima del loro fine che è l’unirsi, oltre il giorno terreno, nella eterna dimora?
 
 
La vostra anima, se fosse un soggetto visibile, vi direbbe, essa che quando è in grazia è tenuta come un fiore fra le mani dell’angelo vostro, essa che quando è in grazia è come un fiore baciato dal sole e irrorato dalla rugiada per lo Spirito Santo che la scalda e illumina, che la irriga e la decora di celesti luci.
Quante verità vi direbbe la vostra anima se sapeste conversare con essa, se l’amaste come quella che mette in voi la somiglianza con Dio, che è Spirito come spirito è la vostra anima.

Quale grande amica avreste se amaste la vostra anima in luogo di odiarla sino ad ucciderla; quale grande, sublime amica con la quale parlare di cose di Cielo.
L’anima in grazia possiede l’amore e possedendo l’amore possiede Dio, ossia il Padre che la conserva, il Figlio che l’ammaestra, lo Spirito che la illumina.
Possiede quindi la Conoscenza, la Scienza, la Sapienza. Possiede la Luce.

Se sapeste interrogare la vostra anima, vi spiegherebbe persino perchè Dio aveva proibito ad Adamo e Eva la conoscenza del Bene e del Male: perché il Bene lo aveva elargito alle sue creature gratuitamente, e il Male non voleva che lo conosceste perché è frutto dolce al palato ma che, sceso col suo succo nel sangue, ne desta una febbre che uccide e produce arsione, per cui più si beve di quel suo succo mendace e più se ne ha sete.
Voi obbietterete: “E perché allora ha messo l’albero nel Giardino dell’Eden?”. E perché!
Perché il Male è una forza che è nata da sola come certi mali mostruosi nel corpo più sano.
Lucifero era angelo, il più bello degli angeli. Spirito perfetto inferiore a Dio soltanto. Eppure nel suo essere luminoso nacque un vapore di superbia che esso non disperse.
Ma anzi condensò covandolo. E da questa incubazione è nato il Male.
Esso era prima che l’uomo fosse. Dio l’aveva precipitato fuor dal Paradiso, l’incubatore maledetto del Male, questo insozzatore del Paradiso. Ma esso è rimasto l’eterno incubatore del Male, e non potendo più insozzare il Paradiso ha insozzato la Terra.


Nulla di più sano e di più santo di due che si amano onestamente e si uniscono per perpetuare la razza umana e dare anime al Cielo.
La dignità dell’uomo e della donna divenuti genitori è la seconda dopo quella di Dio. Neppure la dignità regale è simile a questa. Perché il re, anche il più saggio, non fa che amministrare dei sudditi.
Essi genitori attirano invece su loro lo sguardo di Dio e rapiscono a quello sguardo una nuova anima che chiudono nell’involucro della carne nata da loro.
Direi quasi che hanno a suddito Dio, in quel momento, perché Dio, al loro retto amore che si unisce per dare alla Terra e al Cielo un nuovo cittadino, crea immediatamente una nuova anima.
Dio è Padre buono, che giubila delle oneste gioie dei figli e che ai loro santi amplessi risponde con benedizioni celesti e con l’approvazione di cui è prova la creazione di un’anima nuova.


L’anima non muore col corpo, ma sopravvive ad esso in eterno. Idea del Creatore Iddio, che ha dato all’uomo l’anima, era che tutte le anime degli uomini si riunissero in un unico luogo: il Cielo, costituendo il Regno dei Cieli il cui monarca è Dio e i suoi sudditi sarebbero stati gli uomini dopo una vita santa e una placida dormizione.

L’anima è creata di volta in volta e non mai più usata per successive incarnazioni.

Le anime, superata la sosta sulla terra, non tornano mai più sulla terra in nessun corpo. Credere nella reincarnazione è errore e offesa verso Dio ammettere che Egli abbia potuto creare che un numero limitato di anime. Errore e offesa anche verso l’uomo, giudicandolo così corrotto che difficilmente meriti premio.

L’uomo può ricordare, pur nascendo una volta sola, con la sua parte migliore che è l’anima. Essa viene da Dio Spirito intelligentissimo, potentissimo, perfetto.
Quando parlo di “ricordare” intendo che l’anima, lucida, intelligente, spirituale, opera di Dio, “si ricorda” del Creatore. E soffre perché desidera Dio, il vero Dio da cui viene, e ha fame di Dio. Ecco perché pungola il corpo torpido a cercare di accostarsi a Dio.


La differenza fra la separazione dell’anima dal corpo per la morte e momentanea separazione dello spirito dal corpo ed anima per l’estasi o il rapimento consiste che, mentre il distacco dell’anima dal corpo provoca morte, la contemplazione estatica, ossia la temporanea orazione dello spirito fuor dalle barriere dei sensi e della materia, non provoca morte.

E questo perché l’anima non si stacca, ma con la sua parte migliore si immerge nei fuochi della contemplazione.

Per capire meglio questa cosa, è bene meditare che tutti gli uomini, finché sono in vita, hanno in sé l’anima (morta o viva che sia per peccato o per giustizia), ma solo i grandi amanti di Dio raggiungono la contemplazione vera.

Questo sta a dimostrare che l’anima conservante l’esistenza sinché è unita al corpo – e in questa particolarità in tutti gli uomini uguale – ha in sé una parte eletta: l’anima dell’anima, dirò così, che col disamore a Dio e alla sua Legge, e anche con la tiepidezza e i peccati veniali, perde la grazia di poter contemplare e conoscere, quanto lo può creatura e a seconda della perfezione raggiunta, Dio e gli eterni veri.



Le anime cessano di animare un corpo e tornano a Dio per essere destinate a seconda dei loro meriti. 
Dio crea nuove anime per mantenere il numero di creature che devono popolare la terra. Prima operazione di divino ordine. 

La seconda è quella di creare, a seconda delle necessità che Egli vede, quella speciale categoria più numerosa dell’altra, onde tutto sia armonico nella razza e l’uno serva all’altro come i denti di un ingranaggio servono all’ingranaggio vicino, facendo muovere la gigantesca macchina senza attriti e lesioni.
Così fa Dio.

Dio provvede a creare col suo pensiero anime di diverse tendenze, allo scopo che la terra goda di un equilibrio giusto in tutte le sue necessità inferiori e superiori. Che se poi la ribellione dell’uomo altera questo equilibrio volendo andare sempre contro la Volontà divina che amorosamente lo guida per via giusta, non è di Dio la colpa.



Un’anima che perde la grazia perde tutto. Per lei inutilmente il Padre l’ha creata, per lei inutilmente il Figlio l’ha redenta, per lei inutilmente lo Spirito Santo l’ha infusa dei suoi doni, per lei inutilmente sono i Sacramenti. E’ morta. Ramo putrido che sotto l’azione corrosiva del peccato si stacca e cade dall’albero vitale e finisce di corrompersi nel fango.

Se un’anima sapesse conservarsi come è dopo il Battesimo e dopo la Confermazione, ossia quando essa è imbibita letteralmente dalla grazia, quell’anima sarebbe di poco minore a Dio. E questo vi dica tutto.



L’anima che lascia la carne che l’animava si trova immediatamente di fronte alla Divinità che la giudica, senza necessità di salire e presentarsi alle soglie del beato Regno. E’ catechismo che Dio è in Cielo, in terra e in ogni luogo. E perciò l’incontro avviene dovunque.

Il giudizio è rapido come rapida è stata la creazione: meno di un millesimo della vostra più piccola unità di tempo. Ma come nell’atomo dell’attimo creativo l’anima ha tempo di intravedere la S.S. Origine che la crea e di seco portarne il ricordo, perché sia istintiva religione e guida nella ricerca della fede, della speranza, della carità, che se voi ben osservate, sono nebulosamente, come germi informi, anche nelle religioni più imperfette – la fede in una divinità, la speranza in un premio dato da questa divinità, l’amore a questa divinità – altrettanto nell’atomo dell’attimo del giudizio particolare lo spirito ha tempo di comprendere ciò che non ha voluto comprendere nella vita terrena, e ha odiato come nemico o schernito o negato come fola vana, o anche servito con tiepidezze che esigono riparazione e di seco portare, nel luogo espiativo o nell’eterna dannazione, il ricordo, a suscitare fiamme d’amore per l’eterna Bellezza o tortura di castigo col rovello del Bene perduto che la coscienza intelligente rimprovererà di aver voluto liberamente perdere. Perché lo ricorderanno, e terribile, senza poterlo contemplare, insieme ai loro peccati.

La creazione dell’anima e il giudizio particolare, sono i due atomi di attimi in cui le anime dei figli dell’uomo, intellettualmente conoscono Dio, per quel tanto che è giusto e sufficiente a dar loro un agente per tendere al loro Bene appena intraveduto, ma rimasto impresso nella sostanza che, essendo intelligente, libera, semplice, spirituale, ha comprensioni pronte, volontà libere, desideri semplici e movimento o inclinazione o appetito, se più vi piace, a riunirsi con l’amore a Colui donde venne e a raggiungere il suo fine del quale ha già intuito la bellezza, o a staccarsene con un odio perfetto raggiungendo colui che è il loro dannato re, e avendo nel ricordo “di odio“ un tormento, il maggiore fra i tormenti infernali, una disperazione, una maledizione indescrivibili.



L’anima non può morire perché spirituale.
L’anima soltanto da Dio potrebbe essere distrutta. Perché Dio padrone assoluto del creato, tutto può: creare come distruggere. 
Ma Dio non può volere distruggere ciò che Egli ha creato per fine d’amore col suo Divino Volere e col suo Divino Soffio. Se avesse voluto l’uomo dotato di un’anima intelligente e ragionevole, lo avrebbe potuto fare. Questo genere d’anima avrebbe servito a fare dell’uomo il re del creato. Ma non avrebbe servito a farne il figlio adottivo di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza proprio per l’anima che è libera, immortale e che è tempio, o tal avrebbe dovuto essere, della Grazia.

Dio ha voluto l’anima immortale per amore di questo suo capolavoro creativo che è parte di Sé stesso infusa nella creatura uomo, per avere a soddisfare il suo amore infinito e insaziabile con l’amore che i creati spiriti a Lui fedeli gli daranno nei secoli dei secoli, e quanto più numeroso sarà il popolo celeste degli spiriti a Lui fedeli, più ardente, gioioso, il suo amore.

Nell’anima dell’uomo, anche inconsapevolmente dalla stessa, Dio ha scolpito le formule della Legge e la meta e il premio che l’ubbidienza ad esse ci procura. Legge naturale, legge morale, legge spirituale, voce della coscienza, anelito dello spirito è nell’uomo, per l’anima spirituale, una forza che grida “fa” o urla “non fare”, mentre dall’alto una Luce attira e indica il vero fine, la vera gioia nell’ordine, nella pace, nel possesso del Regno di Dio."

Estratti dai “Quaderni” della mistica italiana Maria Valtorta, 1940-1950.

*  Come vorremmo aver ascoltato dalle stesse labbra di Chiara quelle parole di fiducioso abbandono alla tenerezza di Dio: «Volgendosi poi a se stessa, la vergine santissima parla silenziosamente alla sua anima: “Va' sicura - le dice - perché hai buona scorta, nel viaggio. Va', perché Colui che t'ha creata, ti ha santificata e sempre guardandoti come una madre suo figlio, ti ha amata con tenero amore. E tu, Signore - soggiunge - sii benedetto, che mi hai creata»!  *