venerdì 25 luglio 2014

Il Papa della mia Luce.

Dongo (Como), 13 agosto 1987.
Il Papa della mia Luce.




«Figli prediletti, oggi vi chiamo tutti a formare una forte barriera di preghiera e di difesa
attorno al mio Papa.
Il Papa Giovanni Paolo II è il dono più grande, che il mio Cuore Immacolato 
abbia ottenuto dal Cuore di Gesù, per questi vostri tempi della dolorosa purificazione.

È il mio Papa.
È stato formato da Me. In ogni momento è condotto da Me sul cammino 
della sua personale consacrazione alla vostra Mamma Celeste, da Lui percorso 
con docilità, con abbandono filiale e con grande fiducia.

Egli è parte importante del mio disegno.
È il Papa della mia Luce che, in questi anni, è riuscito a diffondere nella Chiesa 
e in tutte le parti di questa umanità tanto minacciata.
Io stessa lo conduco su tutte le strade del mondo.

Egli mi segue con la docilità di un bimbo, con il coraggio di un apostolo, con il 
sacrificio di un martire, con l'abbandono di un figlio.
Questo Papa è il capolavoro della mia predilezione ed ha il grande compito 
di donare a tutti il carisma della mia tenerezza materna.

Ora lo guardo con preoccupata ansietà di Mamma, mentre il mio Cuore 
Immacolato è segnato da angoscia profonda.
Quanti pericoli lo circondano; come sono forti le insidie che il mio Avversario 
gli tende sul suo cammino!
Coloro che attentano alla sua vita stanno per attuare il loro tenebroso 
disegno. Ormai per Lui è vicina l'ora del Calvario e della sua personale immolazione.

Allora, miei prediletti e figli consacrati al mio Cuore, siate voi la sua 
grande corona di gioia, con il vostro affetto filiale, con la vostra preghiera 
incessante, con la vostra sofferenza accolta ed offerta, con la vostra 
unità vissuta e testimoniata.
Aiutatelo a portare una Croce tanto pesante con la vostra sacerdotale fedeltà. 
Con la vostra amorosa presenza sorreggetelo nel doloroso percorso verso 
il Calvario.
E con il vostro affetto filiale siate tutti sotto la sua Croce, come Giovanni 
assieme alla vostra Mamma Celeste, per vivere con Lui l'ora del suo sacrificio».

Domine Iesu,
Omnia agam propter te.

Domenica 27 Luglio 2014, XVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A: Matteo 13,44-52.



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 27 Luglio 2014, XVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 13,44-52.
Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose;
trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci.
Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.
Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni
e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».
Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 239 pagina 73.

1 Sono tutti riuniti nella vasta stanza superiore. Il temporale violento si è risolto in una pioggia persistente, che ora si fa lieve fin quasi a sospendere e ora infittisce con improvvisa furia. Il lago non è certo azzurro oggi, ma giallastro, con strie di spume nei momenti di vento e acquazzone, grigio plumbeo con spume bianche nelle soste dell’acquazzone. Le colline, tutte grondanti d’acqua, con le fronde ancora piegate da tanto che sono molli di pioggia, con qualche ramo che pende spezzato dal vento e molte foglie strappate dalla grandine, mostrano righe di ruscelli da ogni parte, acque giallognole che riversano nel lago foglie, sassi, terra rapita alle chine. La luce è rimasta offuscata, verdognola.
Nella stanza sono, sedute presso una finestra che guarda le colline, Maria con Marta e la Maddalena, più due altre donne che non so di preciso chi siano. Ma ho l’impressione che siano già conosciute da Gesù e Maria e dagli apostoli, perché sono a loro agio. Certo più della Maddalena, che sta ferma ferma, a capo chino, fra la Vergine e Marta. 
Gli abiti riasciugati alla fiamma, spazzolati dal fango, sono stati rimessi. Ma dico male. È stato indossato dalla Vergine il suo di lana azzurro cupo. Ma la Maddalena ha una veste di imprestito, corta e stretta per lei alta e formosa, e cerca di riparare alle manchevolezze della veste stando avvolta nel mantello della sorella. Si è raccolta i capelli in due grosse trecce annodandosele sulla nuca in qualche modo, perché per sostenere quel peso ci vuole ben più delle poche forcine racimolate lì per lì. Infatti, dopo, io ho sempre visto che la Maddalena aiuta le forcine con un nastrino che le fa quasi un diadema sottile, perdendosi col suo colore paglia nell’oro dei capelli. 
Nell’altro lato della stanza, seduti chi su sgabelli, chi sui davanzali delle finestre, sono Gesù con gli apostoli e il padrone di casa. Manca il servo di Marta. Pietro e gli altri pescatori studiano il tempo, facendo pronostici per il domani. Gesù ascolta, oppure risponde a questo e a quello. 
«Ad averlo saputo, di questo, avrei detto a mia madre di venire. È bene che la donna sia messa subito a suo agio con le compagne» dice Giacomo di Zebedeo sbirciando verso le donne. 
«Eh! Ad averlo saputo!… 

2 Ma perché poi la mamma non è venuta con Maria?» chiede il Taddeo al fratello Giacomo. 
«Non lo so. Me lo chiedo anche io». 
«Non si sentirà male?». 
«Maria lo avrebbe detto». 
«Io glielo chiedo», e il Taddeo va dalle donne. 
Si sente la voce limpida di Maria rispondere: «Sta bene. Sono stata io che le ho evitato uno strapazzo con questo caldo. Siamo scappate come due bambine, non è vero, Maria? Maria è venuta a sera oscura e all’alba siamo partite. Non ho che detto ad Alfeo: “Ecco la chiave. Tornerò presto. Dillo a Maria”. E sono venuta».

3«Torneremo insieme, Madre. Non appena il tempo sarà buono e Maria avrà una veste, noi andremo, tutti insieme, per la Galilea, accompagnando le sorelle fino alla via più sicura. Così saranno conosciute anche da Porfirea, da Susanna, dalle vostre mogli e figlie, Filippo e Bartolomeo». 
È squisito quel dire: «saranno conosciute», per non dire: «Maria sarà conosciuta»! È forte, anche. E abbatte tutte le prevenzioni e restrizioni mentali degli apostoli verso la redenta. La impone, vincendo le riluttanze di loro, le vergogne di lei, tutto. Marta splende nel viso, Maria Maddalena avvampa e ha uno sguardo supplice, riconoscente, turbato, che so?… Maria Ss. ha il suo sorriso soave. 

«Dove andremo per primo luogo, Maestro?». 
«A Betsaida. Poi per Magdala, Tiberiade, Cana, a Nazaret. Di lì per Jafia e Semeron, andremo a Betlem di Galilea e poi a Sicaminon e a Cesarea…». 
Gesù è interrotto da uno scoppio di pianto della Maddalena. Alza il capo, la guarda e poi riprende come nulla fosse: «A Cesarea troverete il vostro carro. Ho ordinato così al servo, e andrete a Betania. Ci rivedremo poi, ai Tabernacoli». 
Maddalena si riprende presto e non risponde alle domande della sorella, ma esce dalla stanza ritirandosi forse in cucina per qualche tempo. 
«Maria soffre, Gesù, nel sentire che deve venire in certe città. Bisogna capirla… Lo dico più per i discepoli che per Te, Maestro» dice umile ed affannata Marta. 
«È vero, Marta. Ma così deve avvenire. Se ella non affronta subito il mondo e non strozza quell’orrendo aguzzino del rispetto umano, rimane paralizzata la sua eroica conversione. Subito e con noi». 

4«Con noi nessuno le dirà nulla. Te lo assicuro, Marta, anche per tutti i compagni miei» promette Pietro. 
«Ma certo! La circonderemo come una sorella. Così ha detto Maria che ella è, e così sarà per noi» conferma il Taddeo. 
«E poi!… Siamo tutti peccatori e il mondo non ci ha risparmiato neppure noi. Comprendiamo perciò le sue lotte» dice lo Zelote. 
«Io più di tutti la capisco. Nei posti dove peccammo è molto meritorio vivere. Le persone sanno chi siamo!… È una tortura. Ma è anche una giustizia e una gloria resistere lì. Appunto perché è palese in noi la potenza di Dio, noi siamo oggetto di conversioni anche senza usare le parole». Dice Matteo. 
«Tu vedi, Marta, che tua sorella è compresa da tutti e amata da tutti. E lo sarà sempre di più. Lei diverrà un segno indicatore per tante anime colpevoli e pavide. È una grande forza anche per i buoni. Perché Maria, quando avrà frantumato le ultime catene della sua umanità, sarà un fuoco d’amore. Non ha che cambiato direzione all’esuberanza del suo sentimento. Ha riportato questa sua potente facoltà di amare in un piano soprannaturale. E ivi compierà prodigi. Ve lo assicuro. Ora è ancora turbata. Ma la vedrete giorno per giorno pacificarsi e irrobustirsi nella sua nuova vita. In casa di Simone ho detto: “Molto le è perdonato perché molto ella ama.” Ora vi dico che in verità tutto le sarà perdonato perché ella amerà con tutta la sua forza, la sua anima, il suo pensiero, il suo sangue, la sua carne, fino all’olocausto, il suo Dio». 
«Lei beata che merita queste parole! Vorrei meritarle anche io» sospira Andrea. 
«Tu? Ma tu le meriti già! 

5 Vieni qui, mio pescatore. Ti voglio raccontare una parabola che pare pensata proprio per te». 
«Maestro, attendi. Vado a prendere Maria. Desidera tanto sapere la tua dottrina!…». 
Mentre Marta esce, gli altri dispongono i sedili in modo da fare un semicerchio intorno a quello di Gesù. Tornano le due sorelle e riprendono posto vicino a Maria Ss. 


Gesù inizia a parlare: 
«Dei pescatori uscirono al largo e gettarono nel mare la loro rete, e dopo il tempo dovuto la tirarono a bordo. Con molta fatica compivano così il loro lavoro per ordine di un padrone che li aveva incaricati di fornire di pesce prelibato la sua città, dicendo loro anche: “Però quei pesci che sono nocivi o scadenti non state neppure a trasportarli a terra. Ributtateli in mare. Altri pescatori li pescheranno e, poiché sono pescatori di un altro padrone, li porteranno alla città dello stesso, perché là si consuma ciò che è nocivo e che rende sempre più orrida la città del mio nemico. Nella mia, bella, luminosa, santa, non deve entrare nulla di malsano”. 

Tirata perciò a bordo la rete, i pescatori iniziarono il lavoro di cernita. I pesci erano molti, di diverso aspetto, grossezza e colore. Ve ne erano di bell’aspetto, ma con una carne piena di spine, dal cattivo sapore, dal grosso buzzo pieno di fanghiglia, di vermi, di erbe marce che aumentavano il sapore cattivo della carne del pesce. Altri invece erano di brutto aspetto, un muso che pareva il ceffo del delinquente o di un mostro da incubo, ma i pescatori sapevano che la loro carne è squisita. Altri, per essere insignificanti, passavano inavvertiti. I pescatori lavoravano, lavoravano. Le ceste erano colme di pesce squisito ormai e nella rete erano i pesci insignificanti. “Ormai basta. Le ceste sono colme. Gettiamo tutto il resto a mare” dissero molti pescatori. 
Ma uno, che poco aveva parlato, mentre gli altri avevano magnificato o deriso ogni pesce che capitava loro fra le mani, rimase a frugare nella rete e tra la minutaglia insignificante scoperse ancora due o tre pesci, che mise al di sopra di tutti nelle ceste. “Ma che fai?” chiesero gli altri. “Le ceste sono complete, belle. Tu le sciupi mettendovi sopra per traverso quel povero pesce lì. Sembra che tu lo voglia celebrare come il più bello”. “Lasciatemi fare. Io conosco questa razza di pesci e so che rendimento e che piacere danno”. 

Questa è la parabola, che finisce con la benedizione del padrone al pescatore paziente, esperto e silenzioso, che ha saputo discernere fra la massa i migliori pesci. 

6  Ora udite l’applicazione di essa. 

Il padrone della città bella, luminosa e santa è il Signore. La città è il Regno dei Cieli. I pescatori, i miei apostoli. I pesci del mare, l’umanità nella quale è presente ogni categoria di persone. I pesci buoni, i santi. 
Il padrone della città orrida è Satana. La città orrida, l’Inferno. I suoi pescatori, il mondo, la carne, le passioni malvagie incarnate nei servi di Satana sia spirituali, ossia demoni, sia umani, ossia uomini che sono i corruttori dei loro simili. I pesci cattivi, l’umanità non degna del Regno dei Cieli: i dannati. 

Fra i pescatori delle anime per la Città di Dio ci saranno sempre quelli che emuleranno la capacità paziente del pescatore che sa perseverare nella ricerca, proprio negli strati dell’umanità, dove altri suoi compagni, più impazienti, hanno levato solo le bontà che appaiono tali a prima vista. E vi saranno purtroppo anche pescatori che, per essere troppo svagati e ciarlieri, mentre il lavoro di cernita esige attenzione e silenzio per udire le voci delle anime e le indicazioni soprannaturali, non vedranno pesci buoni e li perderanno. E vi saranno quelli che per troppa intransigenza respingono anche anime che non sono perfette nell’aspetto esteriore ma ottime per tutto il resto. 

Che vi importa se uno dei pesci che catturate per Me mostra i segni di lotte passate, presenta mutilazioni prodotte da tante cause, se poi queste non ledono il suo spirito? Che vi importa se uno di questi, per liberarsi dal Nemico, si è ferito e si presenta con queste ferite, se il suo interno mostra la sua chiara volontà di voler essere di Dio? Anime provate, anime sicure. Più di quelle che sono come infanti salvaguardati dalle fasce, dalla cuna e dalla mamma, e che dormono sazi e buoni, o sorridono tranquilli, ma che però possono in seguito, con la ragione e l’età, e le vicende della vita che avanzano, dare dolorose sorprese di deviazioni morali. 

7 Vi ricordo la parabola del figliuol prodigo. Altre ne udrete perché sempre Io mi studierò a infondervi un retto discernimento nel modo di vagliare le coscienze e di scegliere il modo con cui guidare le coscienze, che sono singole, ed ognuna, perciò, ha il suo speciale modo di sentire e di reagire alle tentazioni e agli insegnamenti. 
Non crediate facile l’essere cernitore di animi. Tutt’altro. Ci vuole occhio spirituale tutto luminoso di luce divina, ci vuole intelletto infuso di divina sapienza, ci vuole possesso delle virtù in forma eroica, prima fra tutte la carità. Ci vuole capacità di concentrarsi nella meditazione, perché ogni anima è un testo oscuro che va letto e meditato. Ci vuole unione continua con Dio, dimenticando tutti gli interessi egoisti. Vivere per le anime e per Dio. Superare prevenzioni, risentimenti, antipatie. Essere dolci come padri e ferrei come guerrieri. Dolci per consigliare e rincuorare. Ferrei per dire: “Ciò non è lecito, e non lo farai”. Perché, pensatelo bene, molte anime saranno gettate negli stagni infernali. Ma non saranno solo anime di peccatori. Anche anime di pescatori evangelici vi saranno: quelle di coloro che avranno mancato al loro ministero, contribuendo alla perdita di molti spiriti. 

Verrà il giorno - l’ultimo giorno della terra, il primo della Gerusalemme completata e eterna - in cui gli angeli, come i pescatori della parabola, separeranno i giusti dai malvagi, perché al comando inesorabile del Giudice i buoni passino al Cielo e i cattivi nel fuoco eterno. E allora sarà resa nota la verità circa i pescatori ed i pescati, cadranno le ipocrisie e apparirà il popolo di Dio quale è, coi suoi duci e i salvati dai duci. Vedremo allora che tanti, fra i più insignificanti all’esterno o i più malmenati all’esterno, sono gli splendori del Cielo, e che i pescatori quieti e pazienti sono quelli che più hanno fatto, splendendo ora di gemme per quanti sono i loro salvati. 
La parabola è detta e spiegata». 

8«E mio fratello?!… Oh! ma!…>> Pietro lo guarda, lo guarda… Poi guarda la Maddalena… 
«No, Simone. In quella io non ci ho merito. Il Maestro solo ha fatto» dice schietto Andrea. 
«Ma gli altri pescatori, quelli di Satana, prendono dunque gli avanzi?» chiede Filippo. 
«Tentano di prendere i migliori, gli animi capaci di maggior prodigio di Grazia, ed usano degli stessi uomini per farlo, oltre che delle loro tentazioni. Ce ne sono tanti nel mondo che per un piatto di lenticchie rinunciano alla primogenitura!». 

«Maestro, l’altro giorno Tu dicevi che molti sono quelli che si lasciano sedurre da cose del mondo. Sarebbero ancora quelli che pescano per Satana?» chiede Giacomo d’Alfeo. 
«Si, fratello mio. In quella parabola l’uomo si lasciò sedurre dal molto denaro che poteva dare molto godimento, perdendo ogni diritto al Tesoro del Regno. Ma in verità vi dico che su cento uomini, solo un terzo sa resistere alla tentazione dell’oro o ad altre seduzioni, e di questo terzo solo la metà sa farlo in maniera eroica. Il mondo muore asfissiato per aggravarsi volontariamente dei lacci del peccato. Vale meglio essere spogli di tutto anziché avere ricchezze irrisorie e illusorie. Sappiate fare come i saggi gioiellieri, i quali, saputo che in un luogo è stata pescata una perla rarissima, non si preoccupano di trattenere tante piccole gioie nei loro forzieri, ma di tutto si liberano per acquistare quella perla meravigliosa».

«Ma allora perché Tu stesso metti delle differenze nelle missioni che dài alle persone che ti seguono, e dici che noi le missioni le dobbiamo tenere come dono di Dio? Allora bisognerebbe rinunciare anche a queste, perché anche queste sono briciole rispetto al Regno dei Cieli» dice Bartolomeo. 
«Non briciole: mezzi sono. Briciole sarebbero, meglio ancora, sarebbero festuche di paglia sudicia, se divenissero scopo umano nella vita. Quelli che armeggiano per avere un posto a scopo di utile umano fanno di quel posto, anche se santo, una festuca di paglia sudicia. Ma fatene una ubbidiente accettazione, un gioioso dovere, un totale olocausto, e ne farete una perla rarissima. La missione è un olocausto, se compiuta senza riserva, è un martirio, è una gloria. Gronda lacrime, sudore, sangue. Ma forma corona di eterna regalità». 

9«Tu sai proprio rispondere a tutto!». 

«Ma mi avete capito? Comprendete ciò che Io dico con paragoni trovati dalle cose di ogni giorno, illuminate però da una luce soprannaturale che ne fa spiegazione a cose eterne?». 
«Sì , Maestro». 

«Ricordatevi allora il metodo per istruire le turbe. Perché questo è uno dei segreti degli scribi e dei rabbi: ricordare. In verità vi dico che ognuno di voi, istruito nella sapienza di possedere il Regno dei Cieli, è simile ad un padre di famiglia che trae fuori del suo tesoro ciò che serve alla famiglia, usando cose antiche o cose nuove, ma tutte per l’unico scopo di procurare il benessere ai propri figli. L’acqua è cessata. Lasciamo in pace le donne e andiamo dal vecchio Tobia che sta per aprire i suoi occhi spirituali sulle albe dell’al di là. La pace a voi, donne».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 

SI AVVICINA LA FESTA DEL SANTO CURATO: Lettera spirituale: Carissimo/a Amico/a,


Carissimo/a  Amico/a,

La sera del 19 febbraio 1818, dopo aver percorso a piedi i trenta chilometri che separano Ecully dal villaggio di Ars (vicino a Lione), Giovanni Maria Vianney, giovane sacerdote, chiede la strada della sua nuova parrocchia ad un pastorello. Questi mette sulla buona strada lo sconosciuto, e, a titolo di ringraziamento, si sente dire: «Amichetto mio, mi hai indicato la via per Ars; ti mostrerò la via del Cielo».«Rendiamo grazie a Dio per i santi che hanno costellato la storia della Francia» (Giovanni Paolo II, 25 settembre 1996). Forse che i santi non hanno la missione di indicarci la via che porta al Cielo? San Benedetto, nel Prologo della sua Regola, ci dice: «Cingiamoci i fianchi della fede e della pratica delle opere pie; sotto la guida del Vangelo, avanziamo sulle vie del Signore, al fine di meritare di vedere Colui che ci ha chiamati nel suo regno. Ma se vogliamo abitare nella dimora di tale regno, bisogna che vi corriamo attraverso le opere pie, senza le quali non vi si giunge».
San Giovanni Maria Vianney, una delle fiaccole che rischiarano la nostra strada, ci aiuta, con il suo esempio, ad agire secondo la vocazione cristiana.


Un pastorello sotto il terrore

1793. Il Terrore. A Lione, sulla piazza des Terreaux, la ghigliottina non smette di funzionare. Le chiese sono chiuse. Lungo le strade, solo i basamenti delle croci sussistono: uomini venuti da Lione hanno abbattuto le croci. Solo il santuario dei cuori rimane inviolato nei veri fedeli. Giovanni Maria Vianney, nato nel 1786, passa l'infanzia in quest'atmosfera di rivoluzione.

Conserva con infinite precauzioni una statuetta della Santa Vergine, che porta con sè perfino in campagna, in una tasca del camiciotto. La mette nel tronco di un vecchio albero, la circonda di muschio, di rami e di fiori, e poi, inginocchiato nell'erba, sgrana il rosario. Le sponde del ruscello hanno sostituito la chiesa sconsacrata, dove nessuno più prega. Altri pastori sorvegliano le greggi nei dintorni. Non è una compagnia sempre assennata; ma Giovanni Maria non può impedirle di avvicinarsi. Ed ecco che, senza pensarci, diventa apostolo. Catechista dei compagni, ripete quel che ha sentito lui stesso nel silenzio delle notti, ed insegna le preghiere che ha imparato dalla madre. Una vocazione sacerdotale è sbocciata: in fondo alla sua anima, si fa sentire quel seguimi (Matt. 8, 22) che, sulla riva del lago di Galilea, attira Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni al seguito di Gesù.

A 19 anni, comincia gli studi di seminarista. Ahimè! la grammatica latina gli sembra ostica. Il giovane ha la risposta pronta ed acuta; vien ascoltato con piacere, ma gli studi sono difficili; non appena ha in mano una penna, diventa lento, imbarazzato. Al seminario maggiore di Lione, i suoi sforzi sembrano sterili. La prova è dura quando, in capo a cinque o sei mesi, i direttori, ritenendo che non possa riuscire, lo pregano di ritirarsi. Molti suoi condiscepoli sono veramente afflitti nel vederlo lasciare il seminario. E lui, profondamente avvilito, si affida alla Provvidenza. Dopo un'attesa lunga e studiosa, il suo direttore spirituale lo presenta ad uno dei vicari generali, Monsignor Courbon, che regge l'arcidiocesi di Lione:
«È pio don Vianney? chiede questi. È devoto alla Santa Vergine? Sa recitare il rosario? – Sì, è un modello di devozione. – Un modello di devozione! Allora lo chiamo. La grazia di Dio farà il resto... La Chiesa non ha bisogno soltanto di sacerdoti dotti, ma anche e soprattutto di sacerdoti pii».

Monsignor Courbon ha una buona ispirazione. Con la grazia di Dio ed un lavoro assiduo, don Vianney compie effettivi progressi negli studi. Quando sostiene l'esame canonico in vista del sacerdozio, l'esaminatore lo interroga per più di un'ora sui punti più difficili della teologia morale. Le sue risposte nette e precise sono totalmente soddisfacenti. Durante tutta la vita, il Santo Curato darà una grande importanza alla conoscenza della santa dottrina. Preparerà accuratamente le prediche. Per alimentare le cognizioni acquisite, si rimetterà a studiare nelle serate invernali.


L'ossessione della salvezza delle anime

L'accesso al sacerdozio è ormai libero per don Vianney, che riceve l'Ordine sacro il 13 agosto 1815. Dio ha mandato suo Figlio nel mondo affinché, per mezzo di Lui, il mondo sia salvato (Giov. 3, 17). La missione dei sacerdoti è precisamente quella di rendere tale opera di salvezza presente ed efficiente ovunque nel mondo. Per questo, il Curato d'Ars potrà dire: «Senza il sacerdote, la morte e la Passione di Nostro Signore non servirebbero a nulla. È il sacerdote che continua l'opera della Redenzione sulla terra».
Come il Buon Pastore, passerà la vita a cercare le pecorelle smarrite per ricondurle all'ovile. «Se un pastore rimane muto vedendo Dio oltraggiato e le anime che si perdono, dirà un giorno, guai a lui!» Ha un'inclinazione particolare per la conversione dei peccatori. I suoi lamenti sulla perdita delle anime spezzano il cuore: «E ancora, se il Buon Dio non fosse così buono, ma è così buono!... Salva la tua povera anima!... Che peccato perdere un'anima che è costata tanto a Nostro Signore! Che male ti ha mai fatto perchè lo tratti in questo modo?» Un giorno, fa un'esposizione memorabile sul giudizio finale, ripetendo a parecchie riprese, a proposito dei dannati: «Maledetti da Dio!... Maledetti da Dio!... Che disgrazia, che disgrazia!» Non sono più parole, ma singhiozzi, che strappano le lacrime a tutti i presenti.

Si rende disponibile, tanto quanto può, per offrire alle anime pentite il perdono di Dio. Infatti, ha un immenso orrore del male: «Attraverso il peccato, cacciamo il Buon Dio dalle nostre anime, disprezziamo il Buon Dio, Lo crocifiggiamo, sfidiamo la Sua giustizia, rattristiamo il Suo cuore paterno, Gli togliamo adorazioni, omaggi che sono dovuti a Lui solo... Il peccato getta nel nostro spirito tenebre orribili che otturano gli occhi dell'anima, ottenebra la fede come una densa nebbia ottenebra il sole alla nostra vista... Ci impedisce di andare in cielo. Oh! che gran male è il peccato!» Per questo, impiega un tempo considerevole ad amministrare il sacramento della Penitenza, mezzo ordinario per ritrovare lo stato di grazia e l'amicizia del Signore.


Un confessionale assediato

«Il grande miracolo del Curato d'Ars, è stato detto, è il suo confessionale assediato giorno e notte». Il Santo vive in quell'angusto bugigattolo i tre quarti della sua esistenza: da novembre a marzo, vi passa almeno 11-12 ore al giorno, e durante la bella stagione, 16-18 ore. D'inverno, quando le dita screpolate dai geloni sono troppo intorpidite, accende bene o male un pezzo di giornale per riscaldarle. Quanto ai piedi, confessava lui stesso, «da Ognissanti a Pasqua, non li sento!» È talmente vero, che gli capita, la sera, togliendosi i calzini, di strappare in pari tempo anche la pelle dei calcagni. Ma le sofferenze non hanno importanza per lui, per salvare anime, è pronto a tutto.


«Per cancellare bene i peccati, bisogna confessarsi bene!» ha l'abitudine di dire. «Confessarsi bene»: ciò significa, prima di tutto, che bisogna prepararsi con un serio esame di coscienza. Papa Giovanni Paolo II ha ricordato che «la confessione deve essere completa, nel senso che deve enunciare tutti i peccati mortali... Oggi, numerosi fedeli che si accostano al sacramento della Penitenza, non si accusano integralmente dei peccati mortali, e, talvolta, si oppongono al sacerdote confessore, che, conformemente al proprio dovere, li interroga per giungere ad una formulazione esauriente e necessaria dei peccati, come se si permettesse un'intrusione ingiustificata nel santuario della coscienza. Spero e prego perchè quei fedeli poco illuminati si convincano che la regola secondo la quale si esige l'enumerazione specifica ed esauriente dei peccati, nella misura in cui la memoria interrogata onestamente permette di ricordarsene, non è un peso che vien loro arbitrariamente imposto, ma un mezzo di liberazione e di serenità» (Lettera al Cardinale W. Baum, 22 marzo 1996).
«Il peccato lega l'uomo con legami vergognosi», insegna il Santo Curato. Secondo le parole di Nostro Signore: Colui che commette il peccato è schiavo del peccato (Giov. 8, 34). Infatti, il peccato trascina al peccato, genera il vizio ed ottenebra la coscienza (ved. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1865). L'assoluzione sacramentale, ricevuta con le dovute disposizioni, rende all' anima la vera libertà interiore e le dà forze per vincere le cattive abitudini. «È bello pensare che abbiamo un sacramento che guarisce le piaghe dell'anima!» esclama San Giovanni Maria Vianney. «Nel sacramento della Penitenza, dice anche, Dio ci mostra e ci concede la sua misericordia fino all'infinito... Avete visto la mia candela questa notte: stamane ha finito di ardere. Dov'è? Non esiste più, è distrutta: allo stesso modo, i peccati per i quali si è ricevuta l'assoluzione non esistono più: sono distrutti».


Il sacramento della riconciliazione con Dio porta una vera «risurrezione spirituale», una restituzione dell'amicizia divina. Uno dei suoi frutti secondari è la gioia dell'anima, la pace della coscienza. Sono numerosi i penitenti di Ars ad averlo sperimentato. Uno di essi, un vecchio scettico che non si era confessato da più di trent'anni, riconobbe, dopo aver confessato le sue colpe, di aver provato «un benessere indefinibile».

La bontà del Santo per i peccatori non si cambia in debolezza. Prima di dare l'assoluzione, esige indizi sufficienti di conversione. Due cose sono assolutamente necessarie: prima di tutto, la contrizione, vale a dire «il dolore di aver peccato, fondato su motivi soprannaturali, poiché il peccato viola la carità verso Dio, Bene supremo, ha causato le sofferenze del Redentore e ci ha occasionato la perdita dei Beni eterni» (Giovanni Paolo II, ibid.). Il Santo Curato riprende un giorno un penitente maldisposto in questi termini: «Il tuo pentimento non viene da Dio, nè dal dolore per i tuoi peccati, ma soltanto dal timore dell'inferno». Il fermo proposito di non peccare più è altrettanto necessario. «È, inoltre, evidente che la formulazione dei peccati deve comprendere la seria intenzione di non commetterne più in avvenire. Se venisse meno tale disposizione dell'anima, in realtà non vi sarebbe più pentimento» (Giovanni Paolo II, idib.). L'intenzione di non peccare più implica la volontà di mettere in opera i mezzi appropriati e, se necessario, la rinuncia a certi comportamenti. A questo proposito, il Curato d'Ars manifesta una fermezza che gli attira critiche, quando, per esempio, esige dai penitenti la rinuncia alla danza ed all'abbigliamento indecente.


Fiducia nella grazia

«L 'intenzione di non peccare deve basarsi sulla grazia divina che il Signore non rifiuta mai a chi fa tutto il possibile per agire onestamente. Attendiamo dalla Bontà divina, in ragione delle promesse e dei meriti di Gesù Cristo, la vita eterna e le grazie necessarie per ottenerla» (Giovanni Paolo II, ibid.). Il Santo Curato incoraggia i penitenti ad attingere alle sorgenti della grazia: «Vi sono due cose per unirsi a Nostro Signore e per salvarsi: la preghiera ed i sacramenti». Con la grazia, tutto diventa possibile ed addirittura facile.


È alla comunione eucaristica che San Giovanni Maria Vianney vuol condurre soprattutto i fedeli. Comunicarsi, vuol dire ricevere Cristo stesso ed accrescere la nostra unione con Lui. Questo suppone lo stato di grazia: «Chi vuol ricevere Cristo nella comunione eucaristica deve essere in stato di grazia. Se uno è consapevole di aver peccato mortalmente, non deve accostarsi all'Eucaristia senza prima aver ricevuto l'assoluzione nel sacramento della Penitenza» (CCC, 1415). Alle anime bendisposte e desiderose di progredire, il Curato d'Ars, contrariamente alla consuetudine dell'epoca, consiglia di comunicarsi di frequente: «Il corpo ed il sangue di un Dio sono il nutrimento dell'anima! oh che bel nutrimento! l'anima può nutrirsi solo di Dio! solo Dio può appagarla! solo Dio può saziare la sua fame! le ci vuole assolutamente Dio! accostatevi dunque alla comunione, avvicinatevi a Gesù con amore e fiducia!»
Lui stesso ha fatto dell'Eucaristia il centro della propria vita. Si sa quale posto occupi la Messa in ciascuna delle sue giornate, con che cura vi si prepari e la celebri. Incoraggia pure molto le visite al Santissimo Sacramento, e gli piace raccontare il seguente aneddoto: «C'era qui, nella parrocchia, un uomo che è morto alcuni anni fa. Entrato la mattina in chiesa per recitare una preghiera prima di andare in campagna, lasciò la zappa davanti alla porta e perse la nozione del tempo lì, davanti a Dio. Un vicino, che lavorava non lontano da lui e che aveva l'abitudine di scorgerlo, si stupì della sua assenza. Tornando indietro, pensò di entrare in chiesa, ritenendo che ve lo avrebbe forse trovato. Ed infatti ve lo trovò. «Che ci fai così a lungo?» gli chiese.
E l'altro rispose: «Informo il Buon Dio, ed il Buon Dio informa me»».

Il mio più vecchio affetto

Mentre conduce le anime all'Eucaristia, il Santo Curato le conduce anche alla Santa Vergine, Madre della misericordia e Rifugio dei peccatori. Rimane per ore ed ore in preghiera ai piedi del suo altare. Nei catechismi, nelle prediche, nei colloqui, ne parla con il cuore in mano: «La Santissima Vergine sta fra suo Figlio e noi. Più siamo peccatori e più prova tenerezza e compassione per noi. Il figlio che è costato più lacrime alla madre è quello che è più caro al suo cuore. Una madre non corre sempre verso il figlio più debole e più esposto al pericolo? Un medico, in un ospedale, non ha più sollecitudine per i malati più gravi?» Un giorno, confida a Caterina Lassagne, di cui è il direttore spirituale: «L'ho amata, la Vergine, addirittura prima di conoscerla; è il mio più vecchio affetto!» La Santissima Vergine è la luce dei suoi giorni tetri. L'8 dicembre 1854, Papa Pio IX definisce il dogma dell'Immacolata Concezione. Malgrado la stanchezza, il Curato d'Ars tiene a cantare lui medesimo la messa solenne. Nel pomeriggio, dopo il Vespro, tutta la parrocchia si reca in processione al collegio dei Frati, dove egli benedice una statua dell'Immacolata, sistemata nel giardino, e di cui è il donatario. La sera, nel villaggio, vengono illuminati il campanile, i muri della chiesa, le facciate delle case. Questa festa costituisce veramente uno dei più bei giorni della sua vita. Quasi settuagenario, sembra ringiovanito di vent'anni. Mai figlio fu più felice di assistere al trionfo della propria madre: «Che gioia, che gioia! Ho sempre pensato che mancasse questo raggio allo splendore delle verità cattoliche. È una lacuna che non poteva trovar posto nella religione».

«Mi riposerò in paradiso»


Nel suo amore per le anime, San Giovanni Maria Vianney non dimentica i poveri. Fonda un pensionato per le ragazze abbandonate, e lo chiama «la Provvidenza». Tale istituto accoglie cinquanta-sessanta ragazze, dai dodici ai diciotto anni. Venute da tutte le regioni ed accolte senza che debbano pagare una retta, vi rimangono per un periodo indeterminato, quindi vanno a servizio nelle fattorie locali. Durante il loro soggiorno, imparano a conoscere, ad amare, a servire Dio. Formano una famiglia, in cui le maggiori servono di esempio, di consiglio e di guida alle più giovani. Non si tratta di un istituto ordinario, ma piuttosto di una emanazione della santità del fondatore. Risorse, vita, spirito e direzione provengono da lui.


Ma le anime non vengono salvate senza molte sofferenze. Da tutte le parti, contraddizioni, croci, lotte, insidie si riversano sul Santo Curato, tanto da parte degli uomini, che da parte dell'«Accalappiatore» (nomignolo con cui egli designa abitualmente il demonio). La sua vita è una lotta contro le forze del male. Le sole risorse che lo sostengano sono la pazienza, le preghiere ed il digiuno che supera talvolta i limiti della prudenza umana. Sviluppa la virtù della dolcezza al punto di far credere che è senza passioni ed incapace di adirarsi. Tuttavia, le persone che vivono accanto a lui e lo frequentano assiduamente si accorgono assai rapidamente che ha un'immaginazione fervida, un carattere focoso. Fra le prove stupefacenti della sua pazienza, si narra di un tale di Ars che si recò in canonica per coprirlo di insulti: lo riceve, lo ascolta senza aprir bocca, poi, per cortesia, lo riaccompagna e, prima di lasciarlo, lo abbraccia. Il sacrificio gli costa talmente, che risale immediatamente in camera sua e deve stendersi sul letto. Ha il corpo coperto di foruncoli, causati dallo sforzo che ha dovuto fare per dominarsi...

Tale eroica pazienza, il Santo la deve al suo amore per Gesù Cristo. Nostro Signore è la sua vita, il suo cielo, il suo presente, il suo avvenire, e la venerabile Eucaristia è la sola che possa estinguere la sete che lo consuma. «O Gesù! esclama spesso, con gli occhi pieni di lacrime, conoscerti, vuol dire amarti... Se sapessimo quanto ci ama Nostro Signore, moriremmo di piacere! Non ritengo che vi siano cuori abbastanza duri per non amare, vedendosi amati tanto... La carità è qualcosa di talmente bello! È un flusso del Cuore di Gesù, che è tutto amore... La sola felicità che abbiamo quaggiù, è quella di amare Dio e di sapere che Dio ci ama...»


Giunto al termine della vita, di cui abbiamo riferito soltanto alcuni episodi, il Santo Curato aspira ardentemente al Cielo. «Lo vedremo! lo vedremo!... oh, fratelli! ci avete mai pensato? vedremo Dio! lo vedremo davvero! lo vedremo quale Egli è... faccia a faccia!... lo vedremo! lo vedremo!» aveva detto un giorno. Come l'operaio che ha assolto coscienziosamente il proprio dovere, egli va a vedere Dio ed a riposarsi in paradiso, il 4 agosto 1859.


«La Chiesa non considera la sua eredità come il tesoro di un passato trascorso, ma come una potente ispirazione per progredire nel pellegrinaggio della fede, su vie sempre nuove» (Giovanni Paolo II, Reims, 22 settembre 1996). La vita del Curato d'Ars è un tesoro per la Chiesa. «San Giovanni Maria Vianney, tu che, durante tutta la vita, sei stato pieno di zelo per la salvezza delle anime ed hai avuto un amore senza limiti per i poveri peccatori, accresci in noi lo spirito di sacrificio e preparaci un posto in Cielo, affinché possiamo contemplare con te Dio in eterno».
È quel che chiediamo, nelle nostre preghiere, per Lei, per coloro che Le sono cari e per tutti i Suoi defunti.
Dom Antoine Marie osb

lunedì 21 luglio 2014

Papa Benedetto XVI: INCONTRO CON I GIOVANI Kraków-Błonie, 27 maggio 2006


DISCORSO DEL SANTO PADRE
INCONTRO CON I GIOVANI
Kraków-Błonie, 27 maggio 2006

Cari giovani amici,
vi porgo il mio cordiale benvenuto! La vostra presenza mi rallegra. Sono grato al Signore per questo incontro con il calore della vostra cordialità. Sappiamo che "dove due o tre sono uniti nel nome di Gesù, Egli è in mezzo a loro" (cfr Mt 18, 20). Ma voi siete qui oggi ben più numerosi! Ringrazio per questo ciascuno e ciascuna di voi. Gesù dunque è qui con noi. Egli è presente tra i giovani della terra polacca, per parlare loro di una casa, che non crollerà mai, perché edificata sulla roccia. È la parola  evangelica  che  abbiamo poc'anzi ascoltato (cfr Mt 7, 24-27).
Nel cuore di ogni uomo c'è, amici miei, il desiderio di una casa. Tanto più in un cuore giovane c'è il grande anelito ad una casa propria, che sia solida, nella quale non soltanto si possa tornare con gioia, ma anche con gioia si possa accogliere ogni ospite che viene. È la nostalgia di una casa nella quale il pane quotidiano sia l'amore, il perdono, la necessità di comprensione, nella quale la verità sia la sorgente da cui sgorga la pace del cuore. È la nostalgia di una casa di cui si possa essere orgogliosi, di cui non ci si debba vergognare e della quale non si debba mai piangere il crollo. Questa nostalgia non è che il desiderio di una vita piena, felice, riuscita. Non abbiate paura di questo desiderio! Non lo sfuggite! Non vi scoraggiate alla vista delle case crollate, dei desideri vanificati, delle nostalgie svanite. Dio Creatore, che infonde in un giovane cuore l'immenso desiderio della felicità, non lo abbandona poi  nella faticosa costruzione di  quella  casa che si chiama vita.

Amici miei, una domanda si impone: "Come costruire questa casa?". È una domanda che sicuramente si è già affacciata molte volte al vostro cuore e che ancora tante volte ritornerà. È una domanda che è doveroso porre a se stessi non una volta soltanto. Ogni giorno deve stare davanti agli occhi del cuore: come costruire quella casa chiamata vita? Gesù, le cui parole abbiamo ascoltato nella redazione dell'evangelista Matteo, ci esorta a costruire sulla roccia. Soltanto così infatti la casa non crollerà. Ma che cosa vuol dire costruire la casa sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire prima di tutto: costruire su Cristo e con Cristo. Gesù dice: "Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia" (Mt 7, 24). Non si tratta qui di parole vuote dette da una persona qualsiasi, ma delle parole di Gesù. Non si tratta di ascoltare una persona qualunque, ma di ascoltare Gesù. Non si tratta di compiere una cosa qualsiasi, ma di compiere le parole di Gesù.
Costruire su Cristo e con Cristo significa costruire su un fondamento che si chiama amore crocifisso. Vuol dire costruire con Qualcuno che, conoscendoci meglio di noi stessi, ci dice: "Tu sei prezioso ai miei occhi, ...sei degno di stima e io ti amo" (Is 43, 4). Vuol dire costruire con Qualcuno che è sempre fedele, anche se noi manchiamo di fedeltà, perché egli non può rinnegare se stesso (cfr 2 Tm 2, 13). Vuol dire costruire con Qualcuno che si china costantemente sul cuore ferito dell'uomo e dice: "Non ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più" (cfr Gv 8, 11). Vuol dire costruire con Qualcuno, che dall'alto della croce stende le sue braccia, per ripetere per tutta l'eternità: "Io do la mia vita per te, uomo, perché ti amo". Costruire su Cristo vuol dire infine fondare sulla sua volontà tutti i propri desideri, le attese, i sogni, le ambizioni e tutti i propri progetti. Significa dire a se stessi, alla propria famiglia, ai propri amici e al mondo intero e soprattutto a Cristo: "Signore, nella vita non voglio fare nulla contro di Te, perché Tu sai che cosa è il meglio per me. Solo Tu hai parole di vita eterna" (cfr Gv 6, 68). Amici miei, non abbiate paura di puntare su Cristo! Abbiate nostalgia di Cristo, come fondamento della vita! Accendete in voi il desiderio di costruire la vostra  vita  con  Lui  e   per Lui!  Perché  non può perdere colui che punta tutto sull'amore  crocifisso  del  Verbo incarnato.

Costruire sulla roccia significa costruire su Cristo e con Cristo, che è la roccia. Nella Prima Lettera ai Corinzi san Paolo, parlando del cammino del popolo eletto attraverso il deserto, spiega che tutti "bevvero ... da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo" (1 Cor 10, 4). I padri del popolo eletto certamente non sapevano che quella roccia era Cristo. Non erano consapevoli di essere accompagnati da Colui il quale, quando sarebbe venuta la pienezza dei tempi, si sarebbe incarnato, assumendo un corpo umano. Non avevano bisogno di comprendere che la loro sete sarebbe stata soddisfatta dalla Sorgente stessa della vita, capace di offrire l'acqua viva per dissetare ogni cuore. Bevvero tuttavia a questa roccia spirituale che è Cristo, perché avevano nostalgia dell'acqua della vita, ne avevano bisogno. In cammino sulle strade della vita, forse a volte non siamo consapevoli della presenza di Gesù. Ma proprio questa presenza, viva e fedele, la presenza nell'opera della creazione, la presenza nella Parola di Dio e nell'Eucaristia, nella comunità dei credenti e in ogni uomo redento dal prezioso Sangue di Cristo, questa presenza è la fonte inesauribile della forza umana. Gesù di Nazaret, Dio che si è fatto Uomo, sta accanto a noi nella buona e nella cattiva sorte e ha sete di questo legame, che è in realtà il fondamento dell'autentica umanità. Leggiamo nell'Apocalisse queste significative parole: "Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap3, 20).

Amici miei, che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia significa anche costruire su Qualcuno che è stato rifiutato. San Pietro parla ai suoi fedeli di Cristo come di una "pietra viva rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio" (1 Pt 2, 4). Il fatto innegabile dell'elezione di Gesù da parte di Dio non nasconde il mistero del male, a causa del quale l'uomo è capace di rigettare Colui che lo ha amato sino alla fine. Questo rifiuto di Gesù da parte degli uomini, menzionato da san Pietro, si protrae nella storia dell'umanità e giunge anche ai nostri tempi. Non occorre una grande acutezza di mente per scorgere le molteplici manifestazioni del rigetto di Gesù, anche lì dove Dio ci ha concesso di crescere. Più volte Gesù è ignorato, è deriso, è proclamato re del passato, ma non dell'oggi e tanto meno del domani, viene accantonato nel ripostiglio di questioni e di persone di cui non si dovrebbe parlare ad alta voce e in pubblico. Se nella costruzione della casa della vostra vita incontrate coloro che disprezzano il fondamento su cui voi state costruendo, non vi scoraggiate! Una fede forte deve attraversare delle prove. Una fede viva deve sempre crescere. La nostra fede in  Gesù  Cristo, per rimanere tale, deve spesso confrontarsi con la mancanza di fede degli altri.
Cari amici, che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire essere consapevoli che si avranno delle contrarietà. Cristo dice: "Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono sulla casa..." (Mt 7, 25). Questi fenomeni naturali non sono soltanto l'immagine delle molteplici contrarietà della sorte umana, ma ne indicano anche la normale prevedibilità. Cristo non promette che su una casa in costruzione non cadrà mai un acquazzone, non promette che un'onda rovinosa non travolgerà ciò che per noi è più caro, non promette che venti impetuosi non porteranno via ciò che abbiamo costruito a volte a prezzo di enormi sacrifici. Cristo comprende non solo l'aspirazione dell'uomo ad una casa duratura, ma è pienamente consapevole anche di tutto ciò che può ridurre in rovina la felicità dell'uomo. Non vi meravigliate dunque delle contrarietà, qualunque esse siano! Non vi scoraggiate a motivo di esse! Un edificio costruito sulla roccia non equivale ad una costruzione sottratta al gioco delle forze naturali, iscritte nel mistero dell'uomo. Aver costruito sulla roccia significa poter contare sulla consapevolezza che nei momenti  difficili  c'è  una  forza  sicura su cui fare affidamento.

Amici miei, consentitemi di insistere: che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Vuol dire costruire con saggezza. Non senza un motivo Gesù paragona coloro che ascoltano le sue parole e le mettono in pratica a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. È stoltezza, infatti, costruire sulla sabbia, quando si può farlo sulla roccia, avendo così una casa in grado di resistere ad ogni bufera. È stoltezza costruire la casa su un terreno che non offre le garanzie di reggere nei momenti più difficili. Chissà, forse è anche più facile fondare la propria vita sulle sabbie mobili della propria visione del mondo, costruire il proprio futuro lontano dalla parola di Gesù, e a volte perfino contro di essa. Resta tuttavia che chi costruisce in questo modo non è prudente, perché vuol persuadere se stesso e gli altri che nella sua vita non si scatenerà alcuna tempesta, che nessuna onda colpirà la sua casa. Essere saggio significa sapere che la solidità della casa dipende dalla scelta del fondamento. Non abbiate paura di essere saggi, cioè non abbiate paura di costruire sulla roccia!
Amici miei, ancora una volta: che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire anche costruire su Pietro e con Pietro. A lui infatti il Signore disse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16, 16). Se Cristo, la Roccia, la pietra viva e preziosa, chiama il suo Apostolo pietra, significa che egli vuole che Pietro, e insieme a lui la Chiesa intera, siano segno visibile dell'unico Salvatore e Signore. Qui, a Cracovia, la città prediletta del mio Predecessore Giovanni Paolo II, le parole sul costruire con Pietro e su Pietro non stupiscono certo nessuno. Perciò vi dico: non abbiate paura a costruire la vostra vita nella Chiesa e con la Chiesa! Siate fieri dell'amore per Pietro e per la Chiesa a lui affidata. Non vi lasciate illudere da coloro che vogliono contrapporre Cristo alla Chiesa! C'è un'unica roccia sulla quale vale la pena di costruire la casa. Questa roccia è Cristo. C'è solo una pietra su cui vale la pena di poggiare tutto. Questa pietra è colui a cui Cristo ha detto: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16, 18). Voi giovani avete conosciuto bene il Pietro dei nostri tempi. Perciò non dimenticate che né quel Pietro che sta osservando il nostro incontro dalla finestra di Dio Padre, né questo Pietro che ora sta dinanzi a voi, né nessun Pietro successivo sarà mai contro di voi, né contro la costruzione di una casa durevole sulla roccia. Anzi, impegnerà il suo cuore ed entrambe le mani nell'aiutarvi a costruire la vita su Cristo e con Cristo.
Cari amici, meditando le parole di Cristo sulla roccia come fondamento adeguato per la casa, non possiamo non rilevare che l'ultima parola è una parola di speranza. Gesù dice che, nonostante lo scatenarsi degli elementi, la casa non è crollata, perché era fondata sulla roccia. In questa sua parola c'è una straordinaria fiducia nella forza del fondamento, la fede che non teme smentite perché confermata dalla morte e risurrezione di Cristo. Questa è la fede che, dopo anni, verrà confessata da san Pietro nella sua lettera: "Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso" (1 Pt 2, 6). Certamente "Non resterà confuso...". Cari giovani amici, la paura dell'insuccesso può a volte frenare perfino i sogni più belli. Può paralizzare la volontà e rendere incapaci di credere che possa esistere una casa costruita sulla roccia. Può persuadere che la nostalgia della casa è soltanto un desiderio giovanile e non un progetto per la vita. Insieme a Gesù dite a questa paura: "Non può cadere una casa fondata sulla roccia"! Insieme con san Pietro dite alla tentazione del dubbio: "Chi crede in Cristo non resterà confuso!". Siate testimoni della speranza, di quella speranza che non teme di costruire la casa della propria vita, perché sa bene di poter contare sul fondamento che non crollerà mai: Gesù Cristo nostro Signore.

© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana

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