lunedì 1 luglio 2013

San Pier Damiani

"E' importante anche per noi saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un “parlatorio” dove Dio parla con noi"


CICLO DI CATECHESI SUI GRANDI SCRITTORI DELLA CHIESA DI ORIENTE ED OCCIDENTE NEL MEDIOEVO

UDIENZA GENERALE: IL VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

Catechesi dell'udienza generale del 9 settembre 2009: traduzione nelle diverse lingue (da Zenit)

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

UDIENZA DEL PAPA: SERVIZIO DI SKYTG24

Il Papa: riaffermare i principi etici alla base dell'economia

Il Papa alla Coldiretti: riaffermare i principi etici nell'economia (Radio Vaticana)

Benedetto XVI all'udienza generale: la Parola di Dio è la strada della vita (Radio Vaticana)

Il Papa: impariamo a fare silenzio, per ascoltare la voce di Dio (AsiaNews)

Il Papa: san Pier Damiani non ha temuto di denunciare lo stato di corruzione esistente nei monasteri e tra il clero (Sir)

Il Papa: Non lasciamoci assorbire totalmente dalle attività, dai problemi e dalle preoccupazioni di ogni giorno, dimenticandoci di Gesù (Sir)

Il Papa: Guardare sempre alla Croce come al supremo atto di amore di Dio nei confronti dell’uomo (Sir)

L’UDIENZA GENERALE, 09.09.2009

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre - proveniente in elicottero dalla residenza estiva di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato oggi su San Pier Damiani (1007-1072), monaco.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Al termine, il Santo Padre è rientrato a Castel Gandolfo.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Pier Damiani

Cari fratelli e sorelle,

durante le catechesi di questi mercoledì sto trattando di alcune grandi figure della vita della Chiesa fin dalle sue origini.
Oggi vorrei soffermarmi su una delle più significative personalità del secolo XI, san Pier Damiani, monaco, amante della solitudine e, insieme, intrepido uomo di Chiesa, impegnato in prima persona nell’opera di riforma avviata dai Papi del tempo. Nacque a Ravenna nel 1007 da famiglia nobile, ma disagiata. Rimasto orfano di ambedue i genitori, visse un’infanzia non priva di stenti e di sofferenze, anche se la sorella Roselinda si impegnò a fargli da mamma e il fratello maggiore Damiano lo adottò come figlio. Proprio per questo sarà poi chiamato Piero di Damiano, Pier Damiani.
La formazione gli venne impartita prima a Faenza e poi a Parma, dove, già all’età di 25 anni, lo troviamo impegnato nell’insegnamento.
Accanto ad una buona competenza nel campo del diritto, acquisì una raffinata perizia nell’arte del comporre – l’ars scribendi – e, grazie alla sua conoscenza dei grandi classici latini, diventò “uno dei migliori latinisti del suo tempo, uno dei più grandi scrittori del medioevo latino” (J. Leclercq, Pierre Damien, ermite et homme d’Église, Roma 1960, p. 172).
Si distinse nei generi letterari più diversi: dalle lettere ai sermoni, dalle agiografie alle preghiere, dai poemi agli epigrammi. La sua sensibilità per la bellezza lo portava alla contemplazione poetica del mondo.

Pier Damiani concepiva l'universo come una inesauribile “parabola” e una distesa di simboli, da cui partire per interpretare la vita interiore e la realtà divina e soprannaturale. 

In questa prospettiva, intorno all’anno 1034, la contemplazione dell’assoluto di Dio lo spinse a staccarsi progressivamente dal mondo e dalle sue realtà effimere, per ritirarsi nel monastero di Fonte Avellana, fondato solo qualche decennio prima, ma già famoso per la sua austerità. Ad edificazione dei monaci egli scrisse la Vita del fondatore, san Romualdo di Ravenna, e s’impegnò al tempo stesso ad approfondirne la spiritualità, esponendo il suo ideale del monachesimo eremitico.

Un particolare va subito sottolineato: l’eremo di Fonte Avellana era dedicato alla Santa Croce, e la Croce sarà il mistero cristiano che più di tutti gli altri affascinerà Pier Damiani. “Non ama Cristo, chi non ama la croce di Cristo”, afferma (Sermo XVIII, 11, p. 117) e si qualifica come: “Petrus crucis Christi servorum famulus – Pietro servitore dei servitori della croce di Cristo” (Ep, 9, 1).
Alla Croce Pier Damiani rivolge bellissime orazioni, nelle quali rivela una visione di questo mistero che ha dimensioni cosmiche, perché abbraccia l'intera storia della salvezza: “O beata Croce – egli esclama - ti venerano, ti predicano e ti onorano la fede dei patriarchi, i vaticini dei profeti, il senato giudicante degli apostoli, l’esercito vittorioso dei martiri e le schiere di tutti i santi” (Sermo XLVIII, 14, p. 304).

Cari fratelli e sorelle, l’esempio di san Pier Damiani spinga anche noi a guardare sempre alla Croce come al supremo atto di amore di Dio nei confronti dell’uomo, che ci ha donato la salvezza.

Per lo svolgimento della vita eremitica, questo grande monaco redige una Regola in cui sottolinea fortemente il “rigore dell’eremo”: nel silenzio del chiostro, il monaco è chiamato a trascorrere una vita di preghiera, diurna e notturna, con prolungati ed austeri digiuni; deve esercitarsi in una generosa carità fraterna e in un’obbedienza al priore sempre pronta e disponibile.
Nello studio e nella meditazione quotidiana della Sacra Scrittura, Pier Damiani scopre i mistici significati della parola di Dio, trovando in essa nutrimento per la sua vita spirituale.

In questo senso egli qualifica la cella dell’eremo come “parlatorio dove Dio conversa con gli uomini”. La vita eremitica è per lui il vertice della vita cristiana, è “al culmine degli stati di vita”, perché il monaco, ormai libero dai legami del mondo e del proprio io, riceve “la caparra dello Spirito Santo e la sua anima si unisce felice allo Sposo celeste” (Ep 18, 17; cfr Ep 28, 43 ss.). 

Questo risulta importante oggi pure per noi, anche se non siamo monaci: saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un “parlatorio” dove Dio parla con noi: Apprendere la Parola di Dio nella preghiera e nella meditazione è la strada della vita.

San Pier Damiani, che sostanzialmente fu un uomo di preghiera, di meditazione, di contemplazione, fu anche un fine teologo: la sua riflessione sui diversi temi dottrinali lo porta a conclusioni importanti per la vita. Così, ad esempio, espone con chiarezza e vivacità la dottrina trinitaria utilizzando già, sulla scorta dei testi biblici e patristici, i tre termini fondamentali, che sono poi divenuti determinanti anche per la filosofia dell’Occidente, processio, relatio e persona (cfr Opusc. XXXVIII: PL CXLV, 633-642; e Opusc. II e III: ibid., 41ss e 58ss). Tuttavia, poiché l’analisi teologica del mistero lo conduce a contemplare la vita intima di Dio e il dialogo d’amore ineffabile tra le tre divine Persone, egli ne trae conclusioni ascetiche per la vita in comunità e per gli stessi rapporti tra cristiani latini e greci, divisi su questo tema. Pure la meditazione sulla figura di Cristo ha riflessi pratici significativi, essendo tutta la Scrittura centrata su di Lui.
Lo stesso “popolo dei giudei, - annota san Pier Damiani - attraverso le pagine della Sacra Scrittura, ha come portato Cristo sulle spalle” (Sermo XLVI, 15). Cristo pertanto, egli aggiunge, deve essere al centro della vita del monaco: “Cristo sia udito nella nostra lingua, Cristo sia veduto nella nostra vita, sia percepito nel nostro cuore” (Sermo VIII, 5). L’intima unione con Cristo impegna non solo i monaci, ma tutti i battezzati. Troviamo qui un forte richiamo anche per noi a non lasciarci assorbire totalmente dalle attività, dai problemi e dalle preoccupazioni di ogni giorno, dimenticandoci che Gesù deve essere veramente al centro della nostra vita.

La comunione con Cristo crea unità d’amore tra i cristiani. Nella lettera 28, che è un geniale trattato di ecclesiologia, Pier Damiani sviluppa una profonda teologia della Chiesa come comunione.

“La Chiesa di Cristo - egli scrive - è unita dal vincolo della carità a tal punto che, come è una in più membri, così è tutta intera misticamente nel singolo membro; cosicché l'intera Chiesa universale si denomina giustamente unica Sposa di Cristo al singolare, e ciascuna anima eletta, per il mistero sacramentale, viene considerata pienamente Chiesa”. 

E’ importante questo: non solo che l’intera Chiesa universale sia unita, ma in ognuno di noi dovrebbe essere presente la Chiesa nella sua totalità. Così il servizio del singolo diventa “espressione dell’universalità” (Ep 28, 9-23). 

Tuttavia l’immagine ideale della “santa Chiesa” illustrata da Pier Damiani non corrisponde – lo sapeva bene - alla realtà del suo tempo. 

Per questo non teme di denunziare lo stato di corruzione esistente nei monasteri e tra il clero, a motivo, soprattutto, della prassi del conferimento, da parte delle Autorità laiche, dell’investitura degli uffici ecclesiastici: diversi vescovi e abati si comportavano da governatori dei propri sudditi più che da pastori d’anime. Non di rado la loro vita morale lasciava molto a desiderare. 

Per questo, con grande dolore e tristezza, nel 1057 Pier Damiani lascia il monastero e accetta, pur con difficoltà, la nomina a Cardinale Vescovo di Ostia, entrando così pienamente in collaborazione con i Papi nella non facile impresa della riforma della Chiesa.

Ha visto che non era sufficiente contemplare e ha dovuto rinunciare alla bellezza della contemplazione per portare il proprio aiuto nell’opera di rinnovamento della Chiesa. Ha rinunciato così alla bellezza dell’eremo e con coraggio ha intrapreso numerosi viaggi e missioni.
Per il suo amore alla vita monastica, dieci anni dopo, nel 1067, ottiene il permesso di tornare a Fonte Avellana, rinunciando alla diocesi di Ostia. Ma la sospirata quiete dura poco: già due anni dopo viene inviato a Francoforte nel tentativo di evitare il divorzio di Enrico IV dalla moglie Berta; e di nuovo due anni dopo, nel 1071, va a Montecassino per la consacrazione della chiesa abbaziale e agli inizi del 1072 si reca a Ravenna per ristabilire la pace con l’Arcivescovo locale, che aveva appoggiato l'antipapa provocando l'interdetto sulla città. Durante il viaggio di ritorno al suo eremo, un’improvvisa malattia lo costringe a fermarsi a Faenza nel monastero benedettino di Santa Maria Vecchia fuori porta, e lì muore nella notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1072.

Cari fratelli e sorelle, è una grande grazia che nella vita della Chiesa il Signore abbia suscitato una personalità così esuberante, ricca e complessa, come quella di san Pier Damiani e non è comune trovare opere di teologia e di spiritualità così acute e vive come quelle dell’eremita di Fonte Avellana. 

Fu monaco fino in fondo, con forme di austerità, che oggi potrebbero sembrarci persino eccessive. In tal modo, però, egli ha fatto della vita monastica una testimonianza eloquente del primato di Dio e un richiamo per tutti a camminare verso la santità, liberi da ogni compromesso col male.

Egli si consumò, con lucida coerenza e grande severità, per la riforma della Chiesa del suo tempo. Donò tutte le sue energie spirituali e fisiche a Cristo e alla Chiesa, restando però sempre, come amava definirsi, Petrus ultimus monachorum servus, Pietro, ultimo servo dei monaci.



Saluti:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto voi, consiglieri ecclesiastici, dirigenti e rappresentanti tutti della Coldiretti, e vi incoraggio a proseguire con impegno il vostro servizio sociale e spirituale nel mondo dell’agricoltura. Le tematiche del vostro convegno vi siano di stimolo a riaffermare i principi etici nell’economia per rianimare la speranza con la solidarietà. Saluto gli esponenti dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro, come pure quelli dell’Associazione Invalidi Civili auspicando che nei confronti di questi nostri fratelli ci sia un’attenzione sempre più viva da parte della società e delle Istituzioni. Saluto con affetto i soci del Lyons Club Nardò ed assicuro per ciascuno e per le rispettive famiglie la mia fervida preghiera.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la memoria liturgica della Natività della Beata Vergine Maria. Il Concilio Vaticano II dice che Maria ci precede nel cammino della fede perché "ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45). Chiedo alla Vergine Santa il dono di una fede sempre più matura per voi giovani; una speranza sempre più salda per voi ammalati; un amore sempre più profondo e duraturo e per voi sposi novelli.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

Ambrogio Autperto



L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, riprendendo il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato su Ambrogio Autperto.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Ambrogio Autperto

Cari fratelli e sorelle,

la Chiesa vive nelle persone e chi vuol conoscere la Chiesa, comprendere il suo mistero, deve considerare le persone che hanno vissuto e vivono il suo messaggio, il suo mistero. 

Perciò parlo da tanto tempo nelle catechesi del mercoledì di persone dalle quali possiamo imparare che cosa sia la Chiesa. Abbiamo cominciato con gli Apostoli e i Padri della Chiesa e siamo pian piano giunti fino all’VIII secolo, il periodo di Carlo Magno.
Oggi vorrei parlare di Ambrogio Autperto, un autore piuttosto sconosciuto: le sue opere infatti erano state attribuite in gran parte ad altri personaggi più noti, da sant’Ambrogio di Milano a sant’Ildefonso, senza parlare di quelle che i monaci di Montecassino hanno ritenuto di dover rivendicare alla penna di un loro abate omonimo, vissuto quasi un secolo più tardi. A prescindere da qualche breve cenno autobiografico inserito nel suo grande commento all’Apocalisse, abbiamo poche notizie certe sulla sua vita. L’attenta lettura delle opere di cui via via la critica gli riconosce la paternità consente però di scoprire nel suo insegnamento un tesoro teologico e spirituale prezioso anche per i nostri tempi.

Nato in Provenza, da distinta famiglia, Ambrogio Autperto – secondo il suo tardivo biografo Giovanni – fu alla corte del re franco Pipino il Breve ove, oltre all’incarico di ufficiale, svolse in qualche modo anche quello di precettore del futuro imperatore Carlo Magno. Probabilmente al seguito di Papa Stefano II, che nel 753-54 si era recato alla corte franca, Autperto venne in Italia ed ebbe modo di visitare la famosa abbazia benedettina di san Vincenzo, alle sorgenti del Volturno, nel ducato di Benevento. Fondata all’inizio di quel secolo dai tre fratelli beneventani Paldone, Tatone e Tasone, l’abbazia era conosciuta come oasi di cultura classica e cristiana. Poco dopo la sua visita, Ambrogio Autperto decise di abbracciare la vita religiosa ed entrò in quel monastero, dove poté formarsi in modo adeguato, soprattutto nel campo della teologia e della spiritualità, secondo la tradizione dei Padri. Intorno all’anno 761 venne ordinato sacerdote e il 4 ottobre del 777 fu eletto abate col sostegno dei monaci franchi, mentre gli erano contrari quelli longobardi, favorevoli al longobardo Potone. La tensione a sfondo nazionalistico non si acquietò nei mesi successivi, con la conseguenza che Autperto l’anno dopo, nel 778, pensò di dare le dimissioni e di riparare con alcuni monaci franchi a Spoleto, dove poteva contare sulla protezione di Carlo Magno. Con ciò, tuttavia, il dissidio nel monastero di S. Vincenzo non venne appianato, e qualche anno dopo, quando alla morte dell’abate succeduto ad Autperto fu eletto proprio Potone (a. 782), il contrasto tornò a divampare e si giunse alla denuncia del nuovo abate presso Carlo Magno. Questi rinviò i contendenti al tribunale del Pontefice, il quale li convocò a Roma. Chiamò anche come testimone Autperto che, però, durante il viaggio morì improvvisamente, forse ucciso, il 30 gennaio 784.

Ambrogio Autperto fu monaco ed abate in un’epoca segnata da forti tensioni politiche, che si ripercuotevano anche sulla vita all’interno dei monasteri. Di ciò abbiamo echi frequenti e preoccupati nei suoi scritti. 

Egli denuncia, ad esempio, la contraddizione tra la splendida apparenza esterna dei monasteri e la tiepidezza dei monaci: sicuramente con questa critica aveva di mira anche la sua stessa abbazia. Per essa scrisse la Vita dei tre fondatori con la chiara intenzione di offrire alla nuova generazione di monaci un termine di riferimento con cui confrontarsi. 

Uno scopo simile perseguiva anche il piccolo trattato ascetico Conflictus vitiorum et virtutum ("Conflitto tra i vizi e le virtù"), che ebbe grande successo nel Medioevo e fu pubblicato nel 1473 a Utrecht sotto il nome di Gregorio Magno e un anno dopo a Strasburgo sotto quello di sant’Agostino. In esso Ambrogio Autperto intende ammaestrare i monaci in modo concreto sul come affrontare il combattimento spirituale giorno per giorno. In modo significativo egli applica l’affermazione di 2 Tim 3,12: "Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati" non più alla persecuzione esterna, ma all’assalto che il cristiano deve affrontare dentro di sé da parte delle forze del male. Vengono presentate in una specie di disputa 24 coppie di combattenti: ogni vizio cerca di adescare l’anima con sottili ragionamenti, mentre la rispettiva virtù ribatte tali insinuazioni servendosi preferibilmente di parole della Scrittura.

In questo trattato sul conflitto tra vizi e virtù, Autperto contrappone alla cupiditas (la cupidigia) il contemptus mundi (il disprezzo del mondo), che diventa una figura importante nella spiritualità dei monaci. Questo disprezzo del mondo non è un disprezzo del creato, della bellezza e della bontà della creazione e del Creatore, ma un disprezzo della falsa visione del mondo presentataci e insinuataci proprio dalla cupidigia. 

Essa ci insinua che "avere" sarebbe il sommo valore del nostro essere, del nostro vivere nel mondo apparendo come importanti. E così falsifica la creazione del mondo e distrugge il mondo. Autperto osserva poi che l’avidità di guadagno dei ricchi e dei potenti nella società del suo tempo esiste anche nell’interno delle anime dei monaci e scrive perciò un trattato intitolato De cupiditate, in cui, con l’apostolo Paolo, denuncia fin dall’inizio la cupidigia come la radice di tutti i mali. Scrive: "Dal suolo della terra diverse spine acute spuntano da varie radici; nel cuore dell’uomo, invece, le punture di tutti i vizi provengono da un’unica radice, la cupidigia" (De cupiditate 1: CCCM 27B, p. 963). Rilievo, questo, che alla luce della presente crisi economica mondiale, rivela tutta la sua attualità. Vediamo che proprio da questa radice della cupidigia tale crisi è nata.
Ambrogio immagina l’obiezione che i ricchi e i potenti potrebbero sollevare dicendo: ma noi non siamo monaci, per noi certe esigenze ascetiche non valgono. E lui risponde: "È vero ciò che dite, ma anche per voi, nella maniera del vostro ceto e secondo la misura delle vostre forze, vale la via ripida e stretta, perché il Signore ha proposto solo due porte e due vie (cioè la porta stretta e quella larga, la via ripida e quella comoda); non ha indicato una terza porta ed una terza via" (l. c., p. 978). Egli vede chiaramente che i modi di vivere sono molto diversi. Ma anche per l’uomo in questo mondo, anche per il ricco vale il dovere di combattere contro la cupidigia, contro la voglia di possedere, di apparire, contro il concetto falso di libertà come facoltà di disporre di tutto secondo il proprio arbitrio. Anche il ricco deve trovare l’autentica strada della verità, dell’amore e così della retta vita. Quindi Autperto, da prudente pastore d’anime, sa poi dire, alla fine della sua predica penitenziale, una parola di conforto: "Ho parlato non contro gli avidi, ma contro l’avidità, non contro la natura, ma contro il vizio" (l. c., p. 981).

L’opera più importante di Ambrogio Autperto è sicuramente il suo commento in dieci libri all’Apocalisse: esso costituisce, dopo secoli, il primo commento ampio nel mondo latino all’ultimo libro della Sacra Scrittura. Quest’opera era frutto di un lavoro pluriennale, svoltosi in due tappe tra il 758 ed il 767, quindi prima della sua elezione ad abate. Nella premessa, egli indica con precisione le sue fonti, cosa assolutamente non normale nel Medioevo. Attraverso la sua fonte forse più significativa, il commento del Vescovo Primasio Adrumetano, redatto intorno alla metà del VI secolo, Autperto entra in contatto con l’interpretazione che dell’Apocalisse aveva lasciato l’africano Ticonio, che era vissuto una generazione prima di sant’Agostino. Non era cattolico; apparteneva alla Chiesa scismatica donatista; era tuttavia un grande teologo. In questo suo commento egli vede soprattutto nell’Apocalisse riflettersi il mistero della Chiesa. Ticonio era giunto alla convinzione che la Chiesa fosse un corpo bipartito: una parte, egli dice, appartiene a Cristo, ma c’è un’altra parte della Chiesa che appartiene al diavolo. Agostino lesse questo commento e ne trasse profitto, ma sottolineò fortemente che la Chiesa è nelle mani di Cristo, rimane il suo Corpo, formando con Lui un solo soggetto, partecipe della mediazione della grazia. Sottolinea perciò che la Chiesa non può mai essere separata da Gesù Cristo. Nella sua lettura dell’Apocalisse, simile a quella di Ticonio, Autperto non s’interessa tanto della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi, quanto piuttosto delle conseguenze che derivano per la Chiesa del presente dalla sua prima venuta, l’incarnazione nel seno della Vergine Maria. E ci dice una parola molto importante: in realtà Cristo "deve in noi, che siamo il suo Corpo, quotidianamente nascere, morire e risuscitare" (In Apoc. III: CCCM 27, p. 205). Nel contesto della dimensione mistica che investe ogni cristiano, egli guarda a Maria come a modello della Chiesa, modello per tutti noi, perché anche in noi e tra noi deve nascere Cristo. Sulla scorta dei Padri che vedevano nella "donna vestita di sole" di Ap 12,1 l’immagine della Chiesa, Autperto argomenta: "La beata e pia Vergine … quotidianamente partorisce nuovi popoli, dai quali si forma il Corpo generale del Mediatore. Non è quindi sorprendente se colei, nel cui beato seno la Chiesa stessa meritò di essere unita al suo Capo, rappresenta il tipo della Chiesa". In questo senso Autperto vede un ruolo decisivo della Vergine Maria nell’opera della Redenzione (cfr anche le sue omelie In purificatione s. Mariae e In adsumptione s. Mariae).

La sua grande venerazione e il suo profondo amore per la Madre di Dio gli ispirano a volte delle formulazioni che in qualche modo anticipano quelle di san Bernardo e della mistica francescana, senza tuttavia deviare verso forme discutibili di sentimentalismo, perché egli non separa mai Maria dal mistero della Chiesa. Con buona ragione quindi Ambrogio Autperto è considerato il primo grande mariologo in Occidente. 

Alla pietà che, secondo lui, deve liberare l’anima dall’attaccamento ai piaceri terreni e transitori, egli ritiene debba unirsi il profondo studio delle scienze sacre, soprattutto la meditazione delle Sacre Scritture, che qualifica "cielo profondo, abisso insondabile" (In Apoc. IX). Nella bella preghiera con cui conclude il suo commento all’Apocalisse sottolineando la priorità che in ogni ricerca teologica della verità spetta all’amore, egli si rivolge a Dio con queste parole: "Quando da noi sei scrutato intellettualmente, non sei scoperto come veramente sei; quando sei amato, sei raggiunto".

Possiamo vedere oggi in Ambrogio Autperto una personalità vissuta in un tempo di forte strumentalizzazione politica della Chiesa, in cui nazionalismo e tribalismo avevano sfigurato il volto della Chiesa. Ma lui, in mezzo a tutte queste difficoltà che conosciamo anche noi, seppe scoprire il vero volto della Chiesa in Maria, nei Santi. 

E seppe così capire che cosa vuol dire essere cattolico, essere cristiano, vivere della Parola di Dio, entrare in questo abisso e così vivere il mistero della Madre di Dio: dare di nuovo vita alla Parola di Dio, offrire alla Parola di Dio la propria carne nel tempo presente. E con tutta la sua conoscenza teologica, la profondità della sua scienza, Autperto seppe capire che con la semplice ricerca teologica Dio non può essere conosciuto realmente com’è. Solo l’amore lo raggiunge. Ascoltiamo questo messaggio e preghiamo il Signore perchè ci aiuti a vivere il mistero della Chiesa oggi, in questo nostro tempo.



Saluto in lingua italiana

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina con l’Arcivescovo Mons. Salvatore Ligorio; della diocesi di Mondovì, con il Vescovo Mons. Luciano Pacomio; e dell’Arcidiocesi di Lanciano-Ortona, con l’Arcivescovo Mons. Carlo Ghidelli. Cari fratelli e sorelle, come afferma san Paolo, nessuna difficoltà può separarci dall’amore di Cristo, (cfr. Rm 8,35-39). Per questo, testimoniate con fervore la vostra comune adesione a Cristo ed edificate la Chiesa nella carità e nella verità. Saluto i Seminaristi dei Seminari Maggiori, partecipanti al convegno promosso dalla Pontifica Unione Missionaria, ed i rappresentanti del Movimento dei Laici Missionari della Carità, esortando ciascuno a riscoprire il dono della sequela di Cristo, aderendo sempre, con il suo aiuto, alla volontà del Padre. Saluto con affetto gli esponenti dell’Unione mutilati per il servizio istituzionale, ed auspico che la loro visita alle tombe degli Apostoli susciti in tutti un rinnovato desiderio di testimonianza cristiana. Un saluto speciale rivolgo ai soci dell’Associazione Nazionale S. Paolo Italia, qui convenuti così numerosi. Cari amici, vi incoraggio a proseguire generosamente la vostra importante opera in favore dell’animazione dei ragazzi e dei giovani, mediante gli Oratori e i Circoli giovanili. Come l’Apostolo delle genti, siate ferventi annunciatori del Vangelo. Il mio particolare pensiero va pure agli studenti della scuola "Giuseppe Susanna" del I° Circolo didattico "Don Lorenzo Milani" di Galatone, come pure agli alunni dell’Istituto professionale alberghiero di San Pellegrino Terme.

Saluto, ora, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Il Signore risorto riempia del suo amore il cuore di ciascuno di voi, cari giovani, perché siate pronti a seguirlo con l'entusiasmo e la freschezza della vostra età; sostenga voi, cari malati, nell'accettare con serenità il peso della sofferenza; guidi voi, cari sposi novelli, a fondare nella fedele donazione reciproca, famiglie impregnate del profumo della santità evangelica.

Desidero infine rivolgere una speciale parola ai Giovani del Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo, che ricordano oggi il 25° anniversario della consegna della croce dell’Anno Santo ai giovani del mondo. Era, infatti, il 22 aprile del 1984, quando alla fine dell'Anno Santo della Redenzione, l’amato Giovanni Paolo II affidò ai giovani del mondo la grande croce di legno che, per suo stesso desiderio, era stata tenuta presso l'altare maggiore della basilica di San Pietro durante quello speciale Anno Giubilare. Da allora, la croce fu accolta nel Centro internazionale giovanile San Lorenzo, e da lì cominciò a viaggiare per i Continenti, aprendo i cuori di tanti ragazzi e ragazze all'amore redentore di Cristo. Questo suo pellegrinaggio prosegue ancora, soprattutto in preparazione delle Giornate Mondiali della Gioventù, tanto da essere ormai nota come "Croce delle GMG". Cari amici, vi affido di nuovo questa croce! Continuate a portarla in ogni angolo della terra, perchè anche le prossime generazioni scoprano la Misericordia di Dio e ravvivino nei loro cuori la speranza in Cristo crocifisso e risorto!

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

1 LUGLIO: PREZIOSISSIMO SANGUE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

    
PROPRIO DELLA S. MESSA
tratto dal Missale Romanum a.D. 1962 promulgatum
e traduzione italiana delle letture secondo
la traduzione proposta dalle CEI


PRETIOSISSIMI SANGUINIS D.N.I.C.

(Solennità)

Il Sangue, è descritto nella Bibbia come un importante elemento della vita.
"La vita di una creatura risiede nel sangue" (Levitico 17,11). E' soprattutto in questo versetto biblico che si può comprendere l'assoluta importanza che questo liquido comporta nella vita sia degli esseri umani che degli animali.
L'Antico Testamento si sofferma diverse volte sull'argomento del sangue, ribadendone la preziosità. Dio Padre comanda di non versare il sangue, cioè di non spargerlo inutilmente con gli assassinii, di non berlo e di non mangiare carni animali che contengano ancora residui di sangue; perchè il sangue è vita, il sangue è sacro. (Deuteronomio 12,23).
Ed è all'importanza del sangue nell'Antico Testamento, che si affianca l'importanza del sangue Divino di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana: Gesù. Il Sangue di Cristo è la più grande e perfetta rivelazione dell'Amore del Padre Celeste e la sua effusione vivificante è sorgente della Chiesa, che continuamente rinasce nutrendosi del Sangue Divino, e, attraverso di essa, è riscatto per l'uomo peccatore a cui viene donata la salvezza.

La vita spirituale trova un insostituibile alimento nel Sangue di Cristo, vero fulcro del cuore, della vita e della missione della Chiesa. Gesù stesso, nell'Ultima Cena, dà importanza rilevante al Sangue, che è simbolo della Redenzione. Anche San Paolo nelle sue lettere parla con devozione del Riscatto umano dal peccato, che è avvenuto tramite la morte di Gesù, il quale ha tanto amato gli uomini fino a versare il suo Prezioso Sangue.

Dal punto di vista storico si può dire che già anticamente era viva la devozione al Preziosissimo Sangue. Dopo un lungo periodo nel corso del quale questa devozione non venne più praticata, il Sangue di Cristo cominciò nuovamente ad essere adorato nella prima metà dell'ottocento, attorno a una presunta reliquia della Passione che si conservava nella Basilica di S. Nicola in Carcere (oggi S. Giuseppe a Capo le case).
L'iniziatore, fu un pio sacerdote, poi vescovo, don Francesco Albertini, promotore di una Confraternita intitolata appunto al Preziosissimo Sangue, nel cui seno si formarono grandi spiriti che ne proseguirono e ne diffusero la devozione.

Tra gli altri propagatori di questa devozione, brillano i nomi di S.Gaspare del Bufalo, fondatore dei Missionari del Preziosissimo Sangue, e di S. Maria De Mattias, che fondò le Suore Adoratrici del Sangue di Cristo. In tutta Italia e anche nel mondo, sorsero diversi Istituti femminili dedicati al Sangue di Cristo, come le Suore del Preziosissimo Sangue, fondate a Monza da Madre Maria Matilde Bucchi, le Figlie della Carità del Prezioso Sangue, fondate a Pagani (SA) da don Tommaso Fusco. E ai nostri giorni altre congregazioni presero vita a Honk Kong, in Sudafrica e negli USA.

Nel 1822, S. Gaspare presentò istanza alla Santa Sede per ottenere il "Nulla osta" per la celebrazione della festa del Preziosissimo Sangue. La Sacra Congregazione dei Riti Religiosi, concesse di celebrarla la prima domenica di luglio, ma solo all'interno della congregazione di S. Gaspare.

Pio IX la fissò al primo luglio, e Pio XI la elevò a rito doppio di prima classe nell'aprile 1934, a ricordo del XIX centenario della Redenzione.


MESSALE

  
INTRÓITUS
    
Ap. 5, 9-10 - Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu, et lingua, et pópulo, et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum. Ps. 88, 2 - Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo. Glória Patri… Ap. 5, 9-10 - Redemísti nos, Dómine…

Apoc. 5, 9-10 - O Signore, ci hai redendo col tuo Sangue, noi di ogni tribú, e lingua, e popolo, e nazione: e hai fatto di noi un regno pel nostro Dio. Sal. 88, 2 - Le misericordie del Signore vanterò in eterno: di generazione in generazione la mia bocca annunzierà la tua verità. Gloria al Padre… Apoc. 5, 9-10 - O Signore, ci hai redendo…
 
 
  
ORÁTIO    
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac eius Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium solémni cultu ita venerári atque a præséntis vitæ malis eius virtúte deféndi in terris: ut fructu perpétuo lætémur in coelis. Per eúmdem Dóminum nostrum Iesum Christum, Fílium tuum, qui tecum vívit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.

O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito il tuo Figlio unigenito Redentore del mondo, e hai voluto essere placato dal suo Sangue, concedici, Te ne preghiamo, di venerare con culto solenne il prezzo della nostra salvezza e, per sua virtú, essere difesi dai mali presenti in terra, in modo da allietarci eternamente del suo frutto in cielo. Per lo stesso Signore nostro Gesú Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i sécoli dei sécoli.

EPISTOLA    
Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Hebræos, 9, 11-15
Fratres: Christus assístens póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non huius creatiónis: neque per sánguinem ircórum, aut vitulórum, sed per própium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sánguis hircórum, et taurórum, et cinis vítulæ aspérsus, inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sánguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ideo novi testaménti mediátor est: ut morte intercedénte, in redemptiónem eárum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hæreditátis in Christo Iesu Dómino nostro.
M. - Deo grátias.

Fratelli: Il Cristo, venuto quale Pontefice dei beni futuri, attraversò un piú grande e piú perfetto tabernacolo, non fatto da mano d’uomo, cioè non di questa creazione: né per mezzo del sangue di capri e di vitelli, ma mediante il proprio sangue entrò una volta per sempre nel Santuario, avendo ottenuto una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei tori, e la cenere di buoi, sparsa su quelli che sono immondi, li santifica, dando loro la purità della carne, quanto piú il Sangue del Cristo, che in virtú dello Spirito Santo offrí sé stesso immacolato a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, onde serviamo il Dio vivente? Appunto per questo Egli è il mediatore di un nuovo patto, affinché, morto per la remissione dei peccati commessi sotto il patto antico, i chiamati ricevano l’eterna eredità loro promessa in Cristo Gesú nostro Signore.
M. - Deo grátias.

GRADUALE    
Io. I, 5, 6 et 7-8 - Hic est qui venit per aquam et sánguinem, Iesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sánguis: et hi tres unum sunt.
 
Giov. I, 5, 6 e 7-8 – Questi è colui che è venuto con l’acqua e col sangue: Gesù Cristo; non solo con l’acqua, ma con l’acqua e col sangue. Tre sono che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono uno. E tre sono che rendono testimonianza in terra: lo Spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono uno.

ALLELÚIA   
Allelúia, allelúia.
Io. I, 5, 9 - Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei maius est: Allelúia.
 
Allelúia, allelúia.
Giov. I, 5, 9 - Se ammettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è più grande: Allelúia.

EVANGÉLIUM    
Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem, 19, 30-35

In illo témpore: Cum accepísset Iesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Iudæi ergo, quóniam Parascéve erat, ut non remanérent in cruce córpora sábbato, (erat enim magnus dies ille sábati), rogavérunt Pilátum ut frangeréntur eórum crura, et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quídem fregérunt crura, et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Iesum áutem cum veníssent, ut vidérunt eum iam mórtuum, non fregérunt eius crura, sed unus mílitum láncea latus eius apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit: et verum est testimónium eius.
M. - Laus tibi Christe.

In quel tempo: Gesú, quando ebbe preso l’aceto, disse: È consumato! E chinato il capo rese lo spirito. Allora i Giudei, dato che era la Parasceve, affinché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (e un gran sabato era quello!), chiesero a Pilato che si rompessero loro le gambe e fossero tolti. Vennero quindi i soldati, e ruppero le gambe ai due che erano stato crocifissi con lui. Ma giunti da Gesú, videro che era già morto, e non gli ruppero le gambe, ma uno dei soldati gli aperse il fianco con la lancia, e súbito ne uscí sangue e acqua. E chi vide lo attesta: e la sua testimonianza è vera.
M. - Laus tibi Christe.

ANTÍPHONA AD OFFERTÓRIUM    
I Cor. 10, 16 - Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est?

I Cor. 10, 16 - Il calice di benedizione, cui noi benediciamo, non è la partecipazione al Sangue di Cristo? E il pane che spezziamo, non è la partecipazione al Corpo del Signore?

SECRÉTA    
Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, testaménti mediatórem Iesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus. Per eúmdem Dóminum nostrum Iesum Christum, Fílium tuum, qui tecum vívit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.

Per questi tuoi divini misteri, fa, Te ne preghiamo, che ci possiamo accostare al Mediatore del Nuovo Testamento, Gesù, e sui tuoi altari, o Signore, rinnovare l’offerta di un sangue assai più eloquente di quello di Abele. Per lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, tuo  Figlio, che è Dio, e vive regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i sécoli dei sécoli.

PREFAZIO DELLA SANTA CROCE    

COMMÚNIO    
Hebr. 9, 28 - Christus semel oblátus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem.
 
Ebrei, 9, 28 - Cristo s’è offerto una volta per cancellare i peccati di molti: verrà un’altra volta, non per espiare i peccati, ma per dare la salvezza a coloro che lo attendono.   

POSTCOMMÚNIO    
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis eius fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.

Ammessi alla sacra mensa, o Signore, abbiamo attinto con gioia le acque alle fonti del Salvatore: il suo sangue, Te ne preghiamo, sia per noi fonte d’acqua viva che zampilli per la vita eterna: Egli che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i sécoli dei sécoli.



Breve y densa consagraciòn al Sagrado Corazòn




Como en el bello mes del Sagrado Corazón 
continuemos orando 
esta consagración tan breve y densa 
de San Juan Eudes
Apóstol eminente del Corazón del Señor: 


"Oh Corazón de mi Salvador, 

digno y dador de todo amor, 

se Tu el Corazón de mi corazón, 

el alma de mi alma, 

el espíritu de mi espíritu, 

la vida de mi vida 

y el único principio 

de todos mis pensamientos, palabras y acciones,
 
de todas las facultades de mi alma 

y de todos mis sentidos, 

tanto internos como externos. 

Amén"


(De San Juan Eudes)


SANTO ANTONIO, ESSENDO A RIMINO, PREDICÒ A’ PESCI DEL MARE


miracolo che Iddio fece quando santo Antonio, essendo a Rimino,
predicò a’ pesci del mare.

Volendo Cristo benedetto dimostrare la grande santità del suo fedelissimo servo messere santo Antonio, e come divotamente era da udire la sua predicazione e la sua dottrina santa; per gli animali non ragionevoli una volta tra l’altre, cioè per li pesci, riprese la sciocchezza degli infedeli eretici, a modo come anticamente nel vecchio Testamento per la bocca dell’asina avea ripresa la ignoranza di Balaam. Onde essendo una volta santo Antonio a Rimino, ove era grande moltitudine d’eretici, volendoli riducere al lume della vera fede e alla via della verità, per molti dì predicò loro e disputò della fede di Cristo e della santa Scrittura, ma eglino, non solamente non acconsentendo alli suoi santi parlari, ma eziandio come indurati e ostinati non volendolo udire, santo Antonio un dì per divina ispirazione sì se ne andò alla riva del fiume allato al mare; e standosi così alla riva tra ’l mare e ’l fiume, cominciò a dire a modo di predica, dalla parte di Dio alli pesci: “Udite la parola di Dio voi, pesci del mare e del fiume, dappoi che gl’infedeli eretici la schifano d’udire”. E detto ch’egli ebbe così, subitamente venne alla riva a lui tanta moltitudine di pesci grandi, piccoli e mezzani, che mai in quel mare né in quel fiume non ne fu veduta sì grande moltitudine; e tutti teneano i capi fuori dell’acqua e tutti stavano attenti verso la faccia di santo Antonio, e tutti in grandissima pace e mansuetudine e ordine: imperò che dinanzi e più presso alla riva istavano i pesciolini minori, e dopo loro istavano i pesci mezzani, poi di dietro, dov’era l’acqua più profonda, istavano i pesci maggiori.

Essendo dunque in cotale ordine e disposizione allogati li pesci, santo Antonio cominciò a predicare solennemente e dice così: 

“Fratelli miei pesci, molto siete tenuti, secondo la vostra possibilità, di ringraziare il Creatore che v’ha dato così nobile elemento per vostra abitazione, sicché, come vi piace, avete l’acque dolci e salse e havvi dati molti refugi a schifare le tempeste, havvi ancora dato elemento chiaro e trasparente e cibo per lo quale voi possiate vivere. 
Iddio vostro creatore cortese e benigno quando vi creò, sì vi diede comandamento di crescere e di multiplicare, e diedevi la sua benedizione. 
Poi quando fu il diluvio generalmente, tutti quanti gli altri animali morendo, voi soli riserbò Iddio senza danno. 
Appresso v’ha date l’ali per potere discorrere dovunque vi piace. 
A voi fu conceduto, per comandamento di Dio, di serbare Giona profeta e dopo il terzo dì gittarlo a terra sano e salvo. 
Voi offeriste lo censo al nostro Signore Gesù Cristo, il quale egli come poverello non aveva di che pagare. 
Voi fusti cibo dello eterno re Gesù Cristo innanzi resurrezione e dopo, per singolare mistero. 
Per le quali tutte cose molto siete tenuti di lodare e di benedire Iddio, che v’ha dati e tanti e tali benefici più che all’altre creature”. 

A queste e simiglianti parole e ammaestramenti di santo Antonio, cominciarono li pesci aprire la bocca e inchinaron li capi, e con questi e altri segnali di reverenza, secondo li modi a loro possibili, laudarono Iddio. Allora santo Antonio vedendo tanta reverenza de’ pesci inverso di Dio creatore, rallegrandosi in ispirito, in alta voce disse: “Benedetto sia Iddio eterno, però che più l’onorano i pesci acquatici che non fanno gli uomini eretici, e meglio odono la sua parola gli animali non ragionevoli che li uomini infedeli”. E quanto santo Antonio più predicava, tanto la moltitudine de’ pesci più crescea, e nessuno si partia del luogo ch’avea preso.

A questo miracolo cominciò a correre il popolo della città fra li quali vi trassono eziandio gli eretici sopraddetti; i quali vedendo lo miracolo così maraviglioso e manifesto, compunti ne’ cuori, tutti si gittavano a’ piedi di santo Antonio per udire la sua predica. E allora santo Antonio cominciò a predicare della fede cattolica, e sì nobilemente ne predicò, che tutti quegli eretici convertì e tornarono alla vera fede di Cristo, e tutti li fedeli ne rimasono con grandissima allegrezza confortati e fortificati nella fede. E fatto questo, santo Antonio licenziò li pesci colla benedizione di Dio, e tutti si partirono con maravigliosi atti d’allegrezza, e similemente il popolo. E poi santo Antonio stette in Arimino per molti dì, predicando e facendo molto frutto spirituale d’anime.


A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

Verbum caro factum est