mercoledì 1 agosto 2012

CAPITOLO V Caritas patiens est. L'anima che ama Gesù Cristo ama il patire.




CAPITOLO V

Caritas patiens est.
L'anima che ama Gesù Cristo ama il patire.

1. Questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patimenti. La patria nostra, ove Dio ci ha preparato il riposo in un gaudio eterno, è il paradiso. In questo mondo poco tempo abbiamo da starvi; ma in questo poco tempo molti sono i travagli che abbiamo da soffrire. Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis (Iob. XIV, 1). Si ha da patire, e tutti han da patire: siano giusti, siano peccatori, ognuno ha da portar la sua croce. Chi la porta con pazienza si salva, chi la porta con impazienza si perde. Le stesse miserie, dice S. Agostino, mandano altri al paradiso, altri all'inferno: Una eademque tunsio bonos perducit ad gloriam, malos reducit in favillam. Colla pruova del patire, dice lo stesso santo, si distingue la paglia dal grano nella chiesa di Dio: chi nelle tribolazioni si umilia e si rassegna al divino volere è grano per lo paradiso; chi s'insuperbisce e si adira, e perciò lascia Dio, è paglia per l'inferno.
2. Nel giorno in cui avrà da giudicarsi la causa della nostra salute, per aver la sentenza felice de' predestinati, la nostra vita dovrà trovarsi uniforme alla vita di Gesù Cristo: Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Rom. VIII, 29). Questo fu il fine per cui l'Eterno Verbo discese in terra, per insegnarci col suo esempio a portare con pazienza le croci che Dio ci manda: Christus passus est pro vobis, scrisse S. Pietro, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius (I Petr. II, 21). Sicchè Gesù Cristo volle patire per animarci a patire. — Oh Dio! qual fu la vita di Gesù Cristo? Vita d'ignominie e di pene. Il Profeta chiamò il nostro Redentore: Despectum, novissimum virorum, virum dolorum (Is. LIII, 3): l'uomo disprezzato e trattato come l'ultimo, il più vile di tutti gli uomini, l'uomo de' dolori; sì, perchè la vita di Gesù Cristo fu tutta piena di travagli e di dolori.
3. Or siccome Iddio ha trattato il suo Figlio diletto, così tratta ancora ognuno che ama e riceve per suo figlio: Quem enim diligit Dominus castigat; flagellat autem omnem filium quem recipit (Hebr. XII, 6). Onde disse un giorno a S. Teresa: «Sappi che le anime più care al mio Padre sono quelle che sono afflitte da patimenti più grandi». Quindi la santa, quando vedeasi travagliata, dicea che non avrebbe cambiati i suoi travagli con tutti i tesori del mondo. Comparve ella dopo morte ad un'anima, e le rivelò che godeva un gran premio in cielo, non tanto per le sue opere buone, quanto per le pene sofferte in vita volentieri per amor di Dio; e che se per alcuna causa avesse desiderato di tornare al mondo, l'unica sarebbe stata per poter patire qualche altra cosa per Dio.
4. Chi ama Dio patendo fa doppio guadagno per lo paradiso. Dicea S. Vincenzo de' Paoli che in questa vita il non patire dee riputarsi per una gran disgrazia. E soggiungeva che una congregazione o persona che non patisce, ed a cui tutto il mondo applaudisce, è vicina alla caduta. Perciò S. Francesco d'Assisi in quel giorno che passava senza patire qualche croce per Dio, temeva che Dio si fosse quasi scordato di lui. — Scrive S. Giovanni Grisostomo che quando il Signore dona ad alcuno la grazia di patire, gli fa maggior grazia che se gli donasse la podestà di risuscitare i morti, perchè nel far miracoli l'uomo resta debitore a Dio, ma nel patire Dio si rende debitore all'uomo. E soggiungea che chi patisce qualche cosa per Dio, se non avesse altro dono che il poter soffrire per Dio che ama, questa sarebbe per lui una gran mercede. Pertanto dicea ch'egli stimava più la grazia di Paolo in esser incatenato per Gesù Cristo che in esser rapito al terzo cielo.
5. Patientia autem opus perfectum habet (Iac. I, 4). Ciò vuol dire che non vi è cosa che più gradisca a Dio, quanto il vedere un'anima che con pazienza e pace soffre tutte le croci ch'egli le manda. Ciò fa l'amore, rende l'amante simile all'amato. Dicea S. Francesco di Sales: «Tutte le piaghe del Redentore son tante bocche le quali c'insegnano come bisogna per lui patire. Questa è la scienza de' santi, soffrire costantemente per Gesù; e così diverremo presto santi». Chi ama Gesù Cristo desidera vedersi trattato come fu Gesù Cristo, povero, straziato e disprezzato. — Da S. Giovanni furono veduti tutti i santi vestiti di bianco e colle palme in mano: Amicti stolis albis et palmae in manibus eorum (Ap. VII, 9). La palma è l'insegna de' martiri, ma non tutti i santi hanno avuto il martirio; come tutti i santi portano le palme in mano? Risponde S. Gregorio che tutti i santi sono stati martiri o di ferro o di pazienza; e così poi soggiunge: Nos sine ferro martyres esse possumus, si patientiam custodimus.
6. Qui sta il merito di un'anima che ama Gesù Cristo, nell'amare e patire. Ecco quel che disse il Signore a S. Teresa: «Pensi tu, figlia mia, che 'l merito consiste nel godere? no, consiste in patire ed amare. Mira la vita mia tutta piena di pene. Credi, figlia, che chi è più amato da mio Padre maggiori travagli da lui riceve, ed a ciò corrisponde l'amore. Mira queste piaghe, chè non giungeranno mai a tanto i tuoi dolori. Il pensare che mio Padre ammette alla sua amicizia gente senza travaglio, è sproposito». Ed aggiunge S. Teresa per nostra consolazione: «Iddio non manda mai un travaglio che non lo paghi subito con qualche favore».
Apparve un giorno Gesù Cristo alla B. Battista Varani, e le disse che tre sono i maggiori benefici ch'egli fa all'anime sue dilette: il primo, di non peccare: il secondo, ch'è maggiore, di far opere buone: il terzo, ch'è il massimo, di patire per suo amore. Onde dicea S. Teresa che quando alcuno fa per Dio qualche bene, il Signore ce lo rende con qualche travaglio. E perciò i santi nel ricevere i travagli ne rendeano le grazie a Dio. S. Luigi re di Francia, parlando della schiavitù da lui sofferta in Turchia, disse: «Io godo, e ringrazio Dio più della pazienza che mi concesse nel tempo della mia prigionia, che se avessi acquistata tutta la terra». E S. Lisabetta principessa di Turingia, quando, morto il marito, fu discacciata dallo stato insieme col figlio, e si vide raminga e abbandonata da tutti, andò ad un convento di Francescani, ed ivi fe' cantare il Te Deum in ringraziamento a Dio, perchè così la favoriva con farla patire per di lui amore.
7. Diceva S. Giuseppe Calasanzio: «Per guadagnare il paradiso ogni fatica è poca». E prima lo disse l'Apostolo: Non sunt condignae passiones huius temporis ad futuram gloriam quae revelabitur in nobis (Rom. VIII, 18). Sarebbe un gran guadagno il patire tutte le pene che han patite i santi martiri, in tutta la nostra vita, per godere un sol momento di paradiso; or quanto più noi dobbiamo abbracciar le nostre croci, sapendo che 'l patire della nostra breve vita ci farà acquistare una beatitudine eterna? Momentaneum et leve tribulationis nostrae... aeternum gloriae pondus operatur in nobis (II Cor. IV, 17). — S. Agapito, giovinetto di pochi anni, quando fu minacciato dal tiranno di fargli bruciar la testa con un elmo infocato, rispose: «E che maggior fortuna posso aver io, che perder la mia testa per vederla poi coronata in paradiso?» Ciò facea dire a S. Francesco: «Tanto è grande il ben che aspetto, che ogni pena mi è diletto». Ma chi vuol la corona del paradiso bisogna che combatta e soffra: Si sustinebimus, et conregnabimus (II Tim. II, 12). Non si può aver premio senza merito, nè merito senza pazienza. Non coronatur, nisi qui legitime certaverit (Ibid. 5). E chi combatte con maggior pazienza, avrà maggior corona — Gran cosa! quando si tratta de' beni temporali di questa terra, i mondani procurano di acquistarne quanto più si può; quando si tratta poi de' beni eterni, dicono: «Basta che abbiamo un cantone in paradiso!» Non dicono così i santi. Essi in questa vita si contentano di ogni cosa, anzi si spoglian di questi beni terreni; ma parlando de' beni eterni procurano guadagnarne quanto più possono. Dimando: Chi di costoro opera più da savio e da prudente?
8. Ma parlando anche di questa vita, è certo che chi patisce con più pazienza gode più pace. Dicea S. Filippo Neri che in questo mondo non vi è purgatorio: o vi è paradiso o inferno: chi sopporta le tribolazioni con pazienza gode il paradiso: chi no, patisce l'inferno. Si, perchè, come scrive S. Teresa, chi abbraccia le croci che Dio gli manda non le sente. — S. Francesco di Sales, ritrovandosi in un certo tempo cinto da molte tribulazioni, disse: «Da qualche tempo in qua le tante opposizioni e segrete contraddizioni che mi sono avvenute mi recano una pace sì dolce che non ha pari: e mi presagiscono il prossimo stabilimento dell'anima mia nel suo Dio, che con tutta verità è l'unica ambizione e l'unico desiderio del mio cuore». — Eh che la pace non può trovarsi da chi fa una vita sconcertata, ma solo da chi vive unito con Dio e colla sua santa volontà. Un certo religioso missionario, ritrovandosi nell'Indie a vedere un condannato che stava già sul palco per essere giustiziato, fu chiamato da quell'uomo che gli disse: «Sappiate, Padre, ch'io sono stato nella vostra religione; quando io osservai le regole, vissi una vita sempre contenta; ma quando poi cominciai a rilasciarmi, subito cominciai a sentir pena in ogni cosa; tanto che lasciai la religione, e mi abbandonai a' vizi, i quali finalmente mi han ridotto a questo termine infelice in cui mi vedete». E finì dicendo: «Vi ho detto questo, affinchè il mio esempio possa giovare ad altri». Dicea il Ven. P. Luigi da Ponte: «Piglia le cose dolci di questa vita per amare e le amare per dolci, e così goderai sempre pace». Sì, perchè le dolci, benchè piacciono al senso, lasciano nonperò sempre l'amaro del rimorso di coscienza per la compiacenza difettosa che per lo più in quelle abbiamo; ma le amare, prese con pazienza dalla mano di Dio, diventano dolci e care alle anime che l'amano.
9. Persuadiamoci che in questa valle di lagrime non può aversi vera pace di cuore, se non da chi tollera ed abbraccia con amore i patimenti per dar gusto a Dio: così porta lo stato di corruzione, dalla quale siamo rimasti tutti infettati per lo peccato. Lo stato dei santi in terra è di patire amando: lo stato de' santi in cielo è di godere amando. Scrisse una volta il P. Paolo Segneri juniore ad una sua penitente, per animarla a patire, che tenesse scritte a' piedi del Crocifisso queste parole: Così si ama. Non il patire, ma il voler patire per amor di Gesù Cristo è il segno più certo per vedere se un'anima l'ama. «E qual maggior acquisto, dicea S. Teresa, può aversi, che in aver qualche testimonianza che diamo gusto a Dio?» Oimè che la maggior parte degli uomini si sgomentano al solo nome di croce, di umiliazione e di pena! Ma non mancano tante anime amanti che trovano tutto il lor contento nel patire, e sarebbero quasi inconsolabili se vivessero quaggiù senza patire. «Il mirar Gesù crocifisso, dicea una persona santa, mi rende così amabile la croce, che parmi non potere essere felice senza patire; l'amore di Gesù Cristo mi basta per tutto». Ecco quello che Gesù consiglia a chi vuole seguitarlo, il prendere e portar la sua croce: Tollat crucem suam... et sequatur me (Luc. IX, 23). Ma bisogna prenderla e portarla non a forza e con ripugnanza, ma con umiltà, pazienza ed amore.
10. O che gusto dà a Dio chi con umiltà e pazienza abbraccia le croci che Dio gli manda! Dicea S. Ignazio di Loyola: «Non vi è legno più atto a produrre e conservare l'amore verso Dio, che il legno della santa croce», cioè l'amarlo in mezzo a' patimenti. Un giorno S. Gertrude dimandò al Signore che cosa potea ella offerirgli di suo maggior gusto; ed egli le rispose: «Figlia, tu non puoi farmi cosa più grata che soffrir con pazienza tutte le tribulazioni che ti si presentano». Quindi diceva la gran serva di Dio Suor Vittoria Angelini, che vale più una giornata crocifissa che cento anni di tutti gli altri esercizi spirituali. E 'l Venerabile P. Giovanni d'Avila dicea: «Vale più un Benedetto sia Dio nelle cose contrarie, che mille ringraziamenti nelle cose prospere». Oimè che non è conosciuto dagli uomini il valore de' patimenti sofferti per Dio! Dicea la B. Angela da Foligno che il patire per Dio, se noi lo conoscessimo, «sarebbe oggetto di rapina»: viene a dire che ognuno anderebbe in cerca di rapire agli altri le occasioni di patire. Perciò S. Maria Maddalena de' Pazzi, conoscendo la preziosità del patire, desiderava che si prolungasse la sua vita più tosto che morire e andare in cielo; perchè, diceva, «in cielo non si può patire».
11. L'intento di un'anima che ama Dio non è che di unirsi tutta con Dio; ma per giungere a questa perfetta unione, udiamo quel che dicea S. Caterina da Genova: «Per arrivare all'unione di Dio son necessarie le avversità; perchè Dio attende per mezzo di quelle a consumar tutt'i nostri pravi movimenti di dentro e di fuori. E però tutte le ingiurie, disprezzi, infermità, abbandonamenti de' parenti e d'amici, confusioni, tentazioni ed altre cose contrarie, tutte ci sono sommamente di bisogno, affinchè combattiamo, finchè per via di vittorie vengano ad estinguersi in noi tutt'i malvagi movimenti, sicchè più non li sentiamo; e finchè più non ci paiano amare, ma soavi per Dio tutte le avversità, non giungeremo mai alla divina unione».
12. Da tutto ciò, un'anima che desidera di esser tutta di Dio dee risolversi, come scrive S. Giovanni della Croce, a cercare in questa vita non di godere, ma di patire in tutte le cose, abbracciando con avidità tutte le mortificazioni volontarie e con maggior avidità ed amore le involontarie, perchè queste sono più care a Dio. Disse Salomone: Melior est patiens viro forti (Prov. XVI, 32). Piace a Dio chi si mortifica con digiuni, cilizi e discipline, per la fortezza che vi esercita in mortificarsi; ma molto più gli piace chi è forte in soffrire con pazienza ed allegrezza le croci che Iddio gli manda. Dicea S. Francesco di Sales: «Le mortificazioni che ci vengono per parte di Dio o degli uomini per sua permissione, sono sempre più preziose di quelle che sono figlie della nostra volontà; essendo regola generale che dove meno vi è di nostra elezione, vi è di maggior gusto di Dio e maggior nostro profitto». Lo stesso avvertimento dava S. Teresa: «Si acquista più in un sol giorno co' travagli che ci vengon da Dio o dal prossimo, che in dieci anni co' patimenti pigliati da noi». Quindi dicea generosamente S. Maria Maddalena de' Pazzi non trovarsi al mondo pena così acerba che ella non avrebbe sofferta con allegrezza, pensando che veniva da Dio; ed in fatti in quei gran travagli che la santa patì nella prova di cinque anni, bastava ricordarle essere volontà di Dio che così patisse, per farla rimettere in pace. Ah che per acquistare un Dio, questo gran tesoro, ogni cosa è poca. Dicea il P. Ippolito Durazzo: «Costi Dio quanto vuol, non fu mai caro».
13. Deh preghiamo il Signore che ci faccia degni del suo santo amore; che se perfettamente l'ameremo, ci sembreranno fumo e loto tutti i beni di questa terra, e ci diverranno delizie le ignominie e i patimenti. Udiamo quel che dice il Grisostomo di un'anima che si è data tutta a Dio: «Giunto ch'è uno al perfetto amore di Dio, diventa come se fosse egli solo sovra la terra. Non cura più nè la gloria nè l'ignominia, disprezza le tentazioni e i patimenti, perde il gusto e l'appetito di tutte le cose. E non trovando appoggio nè riposo in cosa alcuna, va continuamente in cerca dell'amato senza mai stancarsi; in modo che quando lavora, quando mangia, quando veglia, quando dorme, in ogni sua operazione e discorso, tutto il suo pensiero e tutto il suo studio è di trovare l'amato, perchè ivi ha egli il suo cuore, ov'è il suo tesoro».
In questo capo abbiamo parlato della pazienza in generale; nel capo XV tratteremo di più cose particolari nelle quali dobbiamo specialmente esercitare la nostra pazienza.
Affetti e preghiere.
Caro ed amato Gesù mio e mio tesoro, io per le offese che vi ho fatte non meriterei più di potervi amare; ma per li meriti vostri, vi prego, fatemi degno del vostro puro amore. Io v'amo sopra ogni cosa, e mi pento con tutto il cuore di avervi disprezzato un tempo, e discacciato dall'anima mia; ma ora io v'amo più di me stesso, v'amo con tutto il cuore, o bene infinito, io v'amo, io v'amo, io v'amo, ed altro non desidero che di perfettamente amarvi; e d'altro non ho timore, che di vedermi privo del vostro santo amore.
Deh innamorato mio Redentore, fatemi conoscere il gran bene che siete, e l'amore che mi avete portato per obbligarmi ad amarvi.
Ah mio Dio, non permettete ch'io viva più ingrato a tanta vostra bontà. Basta quanto v'ho offeso, io non voglio lasciarvi più; gli anni che mi restano di vita voglio tutti impiegarli in amarvi e darvi gusto. Gesù mio, amor mio, soccorretemi; soccorrete un peccatore che vuole amarvi ed esser tutto vostro.
O Maria, speranza mia, il vostro figlio vi sente, pregatelo per me, ed ottenetemi la grazia di amarlo perfettamente.

CAPITOLO IV Quanto noi siamo obbligati ad amar Gesù Cristo.


CAPITOLO IV
Quanto noi siamo obbligati
ad amar Gesù Cristo.


1. Gesù Cristo come Dio merita per sè da noi tutto l'amore; ma egli, coll'amore che ci ha dimostrato, ha voluto metterci per così dire in necessità di amarlo almeno per gratitudine di quanto ha fatto e patito per noi. Egli ci ha amati assai per esser assai da noi amato. Ad quid amat Deus, nisi ut ametur? scrisse S. Bernardo. E prima lo disse Mosè: Et nunc, Israel, quid Dominus Deus petit a te, nisi ut timeas Dominum Deum tuum... et diligas eum? (Deut. X, 12). Perciò il primo precetto ch'egli ci diede fu questo: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo (Deut. VI, 5).

2. E dice S. Paolo che l'amore è la pienezza della legge: Plenitudo legis est dilectio (Rom. XIII, 10). Plenitudo, dice il testo greco complexio legis, il compimemto della legge è l'amore. Ma chi mai, a vista d'un Dio crocifisso che muore per amore nostro, potrà resistere a non amarlo? Troppo gridano quelle spine, quei chiodi, quella croce, quelle piaghe e quel sangue, cercando da noi che amiamo chi ci ha tanto amato. È troppo poco un cuore per amar questo Dio così innamorato di noi. Per compensar l'amore di Gesù Cristo, bisognerebbe che un altro Dio morisse per suo amore. «Ah perchè, esclamava S. Francesco di Sales, non ci gettiamo sovra di Gesù crocifisso per morir sulla croce con colui che ha voluto morirvi per amore di noi?» Ben ci fa sapere l'Apostolo che Gesù Cristo a questo fine ha voluto morire per tutti noi, acciocchè tutti non viviamo più a noi, ma solo a quel Dio che per noi è morto: Pro nobis mortuus est Christus, ut et qui vivunt iam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis mortuus est (II Cor. V, 15).

3. Qui fa quello che raccomanda l'Ecclesiastico: Gratiam fideiussoris ne obliviscaris, dedit enim pro te animam suam (Eccli. XXIX, 20). Non ti dimenticare del tuo mallevadore che, per soddisfare i tuoi peccati, ha voluto pagare colla sua morte la pena da te dovuta. — Oh quanto gradisce Gesù Cristo che noi spesso ci ricordiamo della sua Passione! e quanto gli rincresce che noi trascuriamo di pensarci! Se uno patisse per un suo amico ingiurie, percosse e carceri, quanto si affliggerebbe in saper che l'amico niente poi se ne ricorda, e neppure vuol sentirne parlare! All'incontro quanto gradirebbe il saper che l'amico sempre ne parla con tenerezza, e sempre ne lo ringrazia! Così Gesù Cristo molto si compiace che noi ci ricordiamo con riconoscenza d'amore de' suoi dolori e della morte che per noi sofferse.
Gesù Cristo è stato il desiderio di tutti gli antichi padri, egli è stato il desiderio di tutte le genti, quando ancora non era venuto in questa terra. Or quanto più egli dee esser l'unico nostro desiderio ed unico nostro amore, ora che il vediamo già venuto, e sappiamo quanto ha fatto ed ha patito per noi, sino a morir crocifisso per nostro amore?

4. A questo fine egli istituì il sagramento dell'Eucaristia nel giorno antecedente alla sua morte, e ci raccomandò che semprechè ci fossimo cibati delle sue carni sagrosante, ci fossimo ricordati della sua morte: Accipite et manducate: hoc est corpus meum...: hoc facite in meam commemorationem etc. Quotiescumque enim manducabitis panem hunc... mortem Domini annuntiabitis (I Cor. XI, 24 et 26). Quindi poi la S. Chiesa prega: Deus qui nobis sub Sacramento mirabili Passionis tuae memoriam reliquisti etc. Ed inoltre canta: O sacrum convivium, in quo Christus sumitur, recolitur memoria Passionis eius etc. Da ciò argomentiamo quanto gradisce Gesù Cristo coloro che spesso pensano alla sua Passione, giacchè a posta si è lasciato sagramentato sugli altari, affinchè noi avessimo continua e grata memoria di quel che ha patito per noi, e così sempre crescesse in noi l'amore verso di lui. S. Francesco di Sales chiamava il monte Calvario, il monte degli amanti. Non è possibile ricordarsi di quel monte e non amar Gesù Cristo che volle ivi morire per nostro amore.

5. Oh Dio, e perchè gli uomini non amano questo Dio che tanto ha fatto per essere amato dagli uomini! Prima dell'Incarnazione del Verbo potea dubitare l'uomo se Dio lo amasse con vero amore; ma dopo la venuta del Figlio di Dio, e dopo essere egli morto per amore degli uomini, come mai possiamo più dubitarne? Uomo, dice S. Tommaso da Villanova, guarda quella croce, quei dolori e quella morte acerba che per te ha sofferta Gesù Cristo: dopo tali e tanti testimoni del suo amore non puoi aver più dubbio ch'egli t'ama e t'ama assai: Testis crux, testes dolores, testis amara mors quam pro te sustinuit. E S. Bernardo dice che grida la croce ed ogni piaga del nostro Redentore per farci intendere l'amore che ci porta.

6. In questo gran mistero della Redenzione umana bisogna considerare il pensiero e la premura ch'ebbe Gesù Cristo di trovar diverse maniere per farsi da noi amare. Se voleva egli morire per salvarci, bastava che morisse insieme cogli altri bambini uccisi da Erode; ma no, volle prima di morire fare per 33 anni una vita piena di stenti e di pene, ed in questa sua vita, per tirarci ad amarlo, volle a noi comparire in tante sembianze diverse. Prima si fe' vedere nato da povero bambino in una stalla, poi da garzoncello in una bottega, e finalmente da reo giustiziato su d'una croce. Ma prima di morire in croce volle prendere altre diverse sembianze compassionevoli, e tutte per farsi amare: volle farsi vedere nell'orto agonizzante e tutto bagnato di sudore di sangue: di poi nel pretorio di Pilato lacerato da' flagelli: di poi trattato da re di scena con una canna in mano, uno straccio purpureo sulle spalle ed una corona di spine sulla testa: indi in mezzo alla via pubblica strascinato alla morte colla croce sulle spalle: e finalmente sul Calvario appeso a tre uncini di ferro. Merita o no di essere da noi amato un Dio che ha voluto soffrir tante pene e praticar tanti modi per cattivarsi il nostro amore? Diceva il P. Giovanni Rigoleu: «Io non farei altro che piangere d'amore per un Dio condotto dall'amore a morire per la salute degli uomini».

7. Magna res amor, dice S. Bernardo (Ser. 83 in Cant.). Gran cosa, preziosa cosa è l'amore. Parlando Salomone della divina sapienza, ch'è la santa carità, la chiamò tesoro infinito, poichè chi ha la carità è fatto partecipe dell'amicizia di Dio: Infinitus enim thesaurus est hominibus, quo qui usi sunt participes facti sunt amicitiae Dei (Sap. VII, 14). Dice S. Tommaso l'Angelico (Tr. de virt. a. 3) che la carità non solo è la regina di tutte le virtù, ma è quella che dove regna trae seco tutte le altre virtù come in suo corteggio, e tutte le indrizza a più unirci con Dio; ma la carità propriamente è quella che con Dio ci unisce, come dice S. Bernardo: Caritas est virtus coniungens nos Deo. E ben più volte sta espresso nelle sagre Scritture che Dio ama chi l'ama: Ego diligentes me diligo (Prov. VIII, 17). Si quis diligit me... Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus (Io. XIV, 23). Qui manet in caritate in Deo manet et Deus in eo (I Io. IV, 16). Ecco la bella unione che opera la carità: unisce l'anima con Dio. — Inoltre l'amore dà forza di fare e patire ogni gran cosa per Dio. Fortis ut mors dilectio (Cant. VIII, 6). Scrive S. Agostino: Nihil tam durum, quod non amoris igne vincatur (Lib. de Mor. Eccl. c. 22): non vi è cosa così difficile che non si superi col fervor dell'amore; perocchè, dice il santo, in ciò che si ama, o non si sente la fatica o la stessa fatica è amata: In eo quod amatur aut non laboratur aut labor amatur.

8. Udiamo quel che dice S. Giovanni Grisostomo di quel che fa il divino amore in quell'anime ove regna: «Quando l'amore di Dio si è impadronito di un'anima, produce in essa un'insaziabile brama di operar per l'amato; tanto che, per molte e grandi opere che faccia, e per molto tempo che spenda in suo servigio, tutto le sembra nulla, e sempre si affligge di far poco per Dio; e se le fosse lecito di morire e distruggersi per lui, ne resterebbe contenta. Ond'è ch'ella si tiene sempre per inutile in tutto ciò che fa; poichè insegnandole l'amore quel che Dio merita, a quel chiaro lume vede tutti i difetti delle sue azioni, e così cava da tutto confusione e pena, conoscendo esser molto basso il suo operare per un Signore sì grande».

9. Oh quanto s'inganna, dice S. Francesco di Sales, chi ripone la santità in altro che in amare Dio! «Altri, scrive il santo, pongono la perfezione nell'austerità, altri nelle limosine, altri nell'orazione, altri nella frequenza de' sagramenti. Io per me non conosco altra perfezione che quella di amare Iddio di tutto cuore; poichè tutte le altre virtù senza l'amore non sono che una massa di pietre. E se non godiamo perfettamente questo santo amore, il difetto viene da noi, perchè non finiamo di darci tutti a Dio».

10. Disse un giorno il Signore a S. Teresa: «Ogni cosa che non dà gusto a me è vanità». Oh intendessero tutti questa verità! — Porro unum est necessarium. Non è già necessario l'esser ricchi in questa terra, il farci stimare dagli altri, il fare una vita comoda, l'avere dignità, l'aver fama di dotto; solo è necessario l'amare Dio e far la sua volontà. A questo solo fine egli ci ha creati e ci conserva la vita, e solamente così noi possiamo esser ammessi al paradiso. — Pone me ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum (Cant. VIII, 6). Così dice il Signore ad ogni anima sua sposa: mettimi come segno sovra il tuo cuore e sovra il tuo braccio, affinchè a me indirizzi tutti i tuoi desideri e tutte le tue azioni; sovra il tuo cuore, acciocchè non v'entri altro amore fuori del mio; sovra il tuo braccio, acciocchè in tutto quel che fai non abbi altro fine che me. — Oh come ben corre alla perfezione chi in ogni sua operazione non guarda che Gesù crocifisso, e non pretende altro che dargli gusto!

11. Questa dunque ha da essere tutta la nostra cura, di acquistare un vero amore verso Gesù Cristo.
I maestri di spirito descrivono i segni del vero amore. L'amore, dicono, è timoroso, e 'l suo timore non è altro che di dar disgusto a Dio. È generoso, poichè, fidato in Dio, non si sgomenta d'imprendere ogni gran cosa di sua gloria. È forte, mentre vince tutti gli appetiti malvagi, anche in mezzo alle tentazioni più violente ed alle desolazioni più tenebrose. È ubbidiente, perchè subito cerca di eseguir le voci divine. È puro, poichè ama Iddio solo, e solo perchè merita d'esser amato. È ardente, perchè vorrebbe accender tutti e vederli consumati di divino amore. È inebriante, che fa vivere l'anima quasi fuori di sè, come più non vedesse, non sentisse, nè avesse più sensi per le cose terrene, intenta solo ad amare Dio. È unitivo, che unisce strettamente la volontà della creatura colla volontà del suo Creatore. È sospirante, perchè riempie l'anima di desideri di lasciar questa terra per volare ad unirsi perfettamente con Dio nella patria beata, affin di amarlo ivi con tutte le forze.

12. Ma niuno meglio insegna quali siano i caratteri e la pratica della vera carità, che il gran predicatore della carità S. Paolo. Egli nella sua prima lettera a' Corinti al Capo XIII dice primieramente che senza la carità l'uomo è nulla, e nulla gli giova: Et si habuero omnem fidem, ita ut montes transferam, caritatem autem non habuero, nihil sum. Et si distribuero in cibos pauperum omnes facultates meas, et si tradidero corpus meum, ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest. Sicchè se uno avesse una tal fede che giungesse a smuovere i monti, come fece S. Gregorio Taumaturgo, ma non avesse la carità, egli niente vale. Se dispensasse tutti i suoi beni a' poveri, se anche soffrisse volontariamente il martirio, ma senza la carità, in modo che ciò facesse per altro fine che per piacere a Dio, niente gli giova. — Indi S. Paolo ci addita i contrassegni della vera carità, ed insieme c'insegna la pratica di quelle virtù che sono figlie della carità; e siegue a dire così: Caritas patiens est, benigna est: caritas non aemulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum, non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati: omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet.

Anderemo dunque nel presente libro considerando queste sante pratiche, così per vedere se veramente in noi regna l'amore che dobbiamo a Gesù Cristo, come anche per intendere in quali virtù dobbiamo principalmente esercitarci per conservare in noi ed aumentare questo santo amore.
Affetti e preghiere.

O amabilissimo ed amantissimo Cuore di Gesù, misero quel cuore che non v'ama! Oh Dio, voi moriste sulla croce per amore degli uomini, abbandonato da ogni sollievo, e come poi gli uomini vivono così scordati di voi?

O amore divino! o ingratitudine umana! O uomini, uomini, deh guardate l'Agnello di Dio innocente che agonizza su quella croce e muore per voi, affin di pagare alla divina giustizia i vostri peccati e così tirarvi al suo amore. Mirate, come nello stesso tempo sta pregando l'Eterno Padre che vi perdoni. Miratelo ed amatelo.

Ah Gesù mio, quanto son pochi quelli che v'amano! Misero me, che anch'io per tanti anni son vivuto scordato di voi, e perciò vi ho tanto offeso. Caro mio Redentore, non tanto mi fa piangere la pena che mi sono meritata, quanto l'amore che voi m'avete portato.

O dolori di Gesù, o ignominie di Gesù, o piaghe di Gesù, o morte di Gesù, o amore di Gesù, fissatevi nel mio cuore, e resti ivi per sempre la vostra dolce memoria a ferirmi continuamente ed infiammarmi d'amore.

V'amo, Gesù mio; v'amo, mio sommo bene; v'amo, mio amore, mio tutto: v'amo e voglio sempre amarvi.
Deh! non permettete ch'io vi lasci e vi perda più.
Rendetemi tutto vostro; fatelo per li meriti della vostra morte. A questa io fermamente confido.
E molto confido ancora alla vostra intercessione, o Maria. Regina mia, fatemi amare Gesù Cristo, e fatemi amare ancora voi, madre e speranza mia.


CAPITOLO III Della gran confidenza che dobbiamo mettere nell'amore che ci ha dimostrato Gesù Cristo, ed in tutto quello che ha fatto per noi.




CAPITOLO III

Della gran confidenza
che dobbiamo mettere nell'amore
che ci ha dimostrato Gesù Cristo,
ed in tutto quello che ha fatto per noi.



1. Davide riponeva tutta la speranza della sua salute nel suo Redentore futuro, e diceva: In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum; redemisti me, Domine, Deus veritatis (Ps. XXX, 6). Or quanto più noi dobbiamo riporre la nostra fiducia in Gesù Cristo, dopo ch'egli è già venuto ed ha compita l'opera della redenzione? Onde con maggior fiducia dee dire e sempre replicare ognuno di noi: In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum; redemisti me, Domine, Deus veritatis.
2. Se abbiamo noi gran motivi di temere la morte eterna per causa delle offese fatte a Dio, abbiamo all'incontro motivi assai più grandi di sperare la vita eterna ne' meriti di Gesù Cristo, i quali sono di valore infinitamente maggiore a salvarci, di quel che vagliono i nostri peccati a farci perdere. Noi abbiam peccato e ci siamo meritato l'inferno; ma il Redentore è venuto a caricarsi di tutte le nostre colpe per soddisfarle co' suoi patimenti: Vere languores nostros ipse tulit, et dolores nostros ipse portavit (Is. LIII, 4).
3. Nello stesso punto infelice in cui peccammo, fu già contra di noi da Dio scritta la condanna di morte eterna; ma il nostro pietoso Redentore che ha fatto? Delens quod adversus nos erat chirographum decreti... et ipsum tulit de medio, affigens illud cruci (Coloss. II, 14). Egli cancellò col suo sangue il decreto della nostra condanna, e poi l'affisse alla croce, acciocchè noi, guardando la sentenza di nostra dannazione per li peccati commessi, guardassimo insieme la croce ove Gesù Cristo, morendo, l'ha cancellata col suo sangue, e così ripigliassimo la speranza del perdono e della salute eterna.
4. Oh quanto meglio parla per noi e ci ottiene la divina misericordia il sangue di Gesù Cristo, che non parlava contra Caino il sangue di Abele! Accessistis ad mediatorem Iesum, et sanguinis aspersionem melius loquentem quam Abel (Hebr. XII, 24). Come dicesse l'Apostolo: Peccatori, felici voi che dopo il peccato siete ricorsi a Gesù crocifisso il quale ha sparso tutto il sangue per rendersi con ciò mediatore di pace fra i peccatori e Dio, ed ottenere ad essi il perdono. Gridano contra di voi le vostre iniquità, ma perora a vostro favore il sangue del Redentore; ed alla voce di questo sangue non può non restar placata la divina giustizia.
5. È vero che di tutti i nostri peccati è rigoroso il conto che ne abbiamo da rendere all'eterno Giudice. Ma chi ha da essere il nostro giudice? Pater... omne iudicium dedit Filio (Io. V, 22). Consoliamoci, l'Eterno Padre ha commesso il giudizio di noi al medesimo nostro Redentore. Dunque ci fa coraggio San Paolo dicendo: Quis est qui condemnet? Christus Iesus qui mortuus est... qui etiam interpellat pro nobis (Rom. VIII, 34). Chi è il giudice che ha da condannarci? È quel medesimo Salvatore che, per non condannarci alla morte eterna, ha voluto condannare se stesso, ed è morto; e, di ciò non contento, ora in cielo seguita presso il suo padre a procurarci la salute. Quindi scrive S. Tommaso da Villanova e dice: Che temi, peccatore, se detesti il tuo peccato? come ti condannerà colui che muore per non condannarti? Come ti discaccerà, se ritorni a' suoi piedi, quegli ch'è venuto dal cielo a cercarti quando tu lo fuggivi? Quid times, peccator? Quomodo damnabit poenitentem, qui moritur ne damneris? Quomodo abiiciet redeuntem, qui de caelo venit quaerens te?
6. E se temiamo, per cagion della nostra debolezza, di cadere negli assalti de' nostri nemici contra i quali ci resta a combattere, ecco quel che abbiam da fare, come ci ammonisce l'Apostolo: Curramus ad propositum nobis certamen, aspicientes in auctorem fidei et consummatorem Iesum, qui, proposito sibi gaudio, sustinuit crucem, confusione contempta (Hebr. XII, 1 et 2). Andiamo con animo grande a combattere, mirando Gesù crocifisso che dalla sua croce ci offerisce il suo aiuto, la vittoria e la corona. Per lo passato siam caduti perchè abbiamo lasciato di mirar le piaghe e le ignominie sofferte dal nostro Redentore, e così non siamo ricorsi a lui per aiuto. Ma se per l'avvenire ci metteremo davanti gli occhi quanto egli ha patito per nostro amore e come sta pronto a soccorrerci se a lui ricorriamo, no che certamente non resteremo vinti da' nostri nemici. Dicea S. Teresa col suo spirito sì generoso: «Io non intendo certi tremori, demonio, demonio, dove possiamo dire, Dio, Dio, e farlo tremare». All'incontro diceva la santa che se non riponiamo tutta la nostra confidenza in Dio, poco o niente ci serviranno tutte le nostre diligenze: «Tutte le diligenze — sono le sue parole — giovano poco, se tolta via affatto la confidenza in noi, non la mettiamo in Dio».
7. Oh che due gran misteri di speranza e di amore sono per noi la Passione di Gesù Cristo e il Sagramento dell'altare! Misteri che, se la fede non ce ne accertasse, e chi mai potrebbe crederli? Un Dio onnipotente voler farsi uomo, spargere tutto il suo sangue e morir di dolore sovra d'un legno; e perchè? per pagare i nostri peccati e salvare noi vermi ribelli! E poi il medesimo suo corpo, un giorno sagrificato per noi sulla croce, volercelo dare in cibo per così unirsi tutto con noi! Oh Dio che questi due misteri dovrebbero incenerire d'amore tutti i cuori degli uomini. E qual peccatore, dissoluto che sia, potrà disperare del perdono, se si pente del male che ha fatto, vedendo un Dio così innamorato degli uomini ed inclinato a far loro bene? Quindi tutto fiducia dicea S. Bonaventura: Fiducialiter agam, immobiliter sperans nihil ad salutem necessarium ab eo negandum, qui tanta pro mea salute fecit et pertulit. Come, dicea, può negarmi le grazie necessarie alla salute colui che tanto ha fatto e sofferto per salvarmi?
8. Adeamus ergo — ci esorta l'Apostolo — cum fiducia ad thronum gratiae, ut misericordiam consequamur et gratiam inveniamus in auxilio opportuno (Hebr. IV, 16). Il trono della grazia è la croce ove Gesù siede come in suo trono per dispensar grazie e misericordie a chi vi ricorre. Ma bisogna ricorrervi presto, or che possiam trovare l'aiuto opportuno a salvarci, perchè poi verrà forse tempo che non potremo più trovarlo. Andiam dunque presto ad abbracciarci alla croce di Gesù Cristo, ed andiamoci con gran confidenza. Non ci sgomentino le nostre miserie: in Gesù crocifisso troveremo per noi ogni ricchezza, ogni grazia: In omnibus divites facti estis in illo... ita ut nihil vobis desit in ulla gratia (I Cor. I, 5 et 7). I meriti di Gesù Cristo ci han fatti ricchi di tutti i divini tesori, e ci han renduti capaci di ogni grazia che desideriamo.
9. Dice S. Leone che Gesù colla sua morte ci apportò maggior bene che non ci recò di danno il demonio col peccato: Ampliora adepti sumus per Christi gratiam, quam per diaboli amiseramus invidiam (Serm. 1 de Ascens.). E con ciò dichiarasi quel che disse prima S. Paolo, che il dono della Redenzione è stato maggiore che non fu il peccato: la grazia ha superato il delitto: Non sicut delictum, ita et donum; ubi abundavit delictum, superabundavit gratia (Rom. V, 15 et 20). Quindi il Salvatore ci animò a sperare ogni favore ne' suoi meriti, ed ogni grazia. Ed ecco come c'insegnò il modo per ottener quanto vogliamo dall'eterno suo Padre: Amen, amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo dabit vobis (Io. XVI, 25). Quanto, dice, voi desiderate, chiedetelo al mio Padre in mio nome, ed io vi prometto che sarete esauditi. Ma come il Padre potrà negarci alcuna grazia, se egli ci ha dato l'unigenito suo Figlio ch'egli ama quanto se stesso? Pro nobis omnibus tradidit illum, quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. VIII, 32). Dice l'Apostolo omnia; dunque niuna grazia sta eccettuata, non il perdono, non la perseveranza, non il santo amore, non la perfezione, non il paradiso, omnia, omnia nobis donavit. Ma bisogna pregarlo: Iddio è tutto liberale con chi lo prega: Dives in omnes qui invocant illum (Rom. X, 12).
10. Voglio qui ancora soggiungere molti altri belli sentimenti che scrisse nelle sue lettere il Ven. Giovanni d'Avila, della gran confidenza che noi dobbiamo avere ne' meriti di Gesù Cristo.
11. «Non vi dimenticate, che tra il Padre Eterno e noi ci è mezzano Gesù Cristo, per cui siamo amati e stretti con tali forti legami d'amore che niuna cosa li può sciogliere se l'uomo non gli spezza con qualche colpa mortale. Il sangue di Gesù grida chiedendo per noi pietà, e grida in modo che il romore de' nostri peccati non è udito. La morte di Gesù Cristo ha fatto morire le nostre colpe: O mors, ero mors tua. Quei che si perdono, non si perdono per mancanza di soddisfazione, ma per non volersi approfittare, per mezzo de' sagramenti, della soddisfazione data da Gesù Cristo.
12. «Il negozio del nostro rimedio Gesù l'ha preso a suo carico come se fosse suo proprio; onde i peccati nostri, benchè non gli abbia egli commessi, gli ha chiamati suoi e per quelli ha cercato perdono; e con amore sviscerato ha pregato, come pregasse per sè, che tutti quei che vogliono accostarsi a lui fossero amati. E come l'ha cercato così l'ha ottenuto: poichè Iddio ha disposto che Gesù e noi siamo talmente uniti in uno, che o abbiamo ad essere amati egli e noi, o egli e noi odiati; e giacchè non è odiato Gesù nè può essere odiato, nello stesso modo, se noi siamo uniti con Gesù coll'amore, ancor noi siamo amati. Per essere egli amato da Dio siamo amati ancora noi, attesochè vale più Gesù Cristo a far che noi siamo amati, che non vagliamo noi a far che siamo odiati; mentre l'Eterno Padre più ama il Figlio, che non odia i peccatori.
13. «Gesù disse al Padre: Voglio, Padre, che dove sono io siano ancora quelli che mi avete dati: Pater, quos dedisti mihi, volo ut ubi sum ego et illi sint mecum (Io. XVII, 24). Vinse il maggior amore l'odio minore, e così noi siamo stati perdonati ed amati, sicuri di non essere mai abbandonati, dov'è un nodo sì forte d'amore. Dice il Signore per Isaia (IL, 15): Può scordarsi una madre del suo figlio? E se mai quella se ne scorderà, io non mi scorderò di te, perchè ti tengo scritto nelle mie mani. Egli ci ha scritti nelle sue mani col suo proprio sangue. Per tanto non dobbiamo turbarci per cosa alcuna, mentre tutto vien disposto da quelle mani che sono state inchiodate alla croce, in testimonianza dell'amore che ha per noi.
14. «Niuna cosa può tanto atterrirci, quanto Gesù Cristo può assicurarci. Mi circondino pure i peccati fatti, i timori del futuro mi accusino, i demoni mi tendano lacci, che con chieder misericordia a Gesù Cristo tutto benigno, mio amatore sino alla morte, io non posso diffidare; mentre mi veggo talmente prezzato che un Dio si è dato per me. — O Gesù mio, porto sicuro di coloro che stando in tempesta a te ricorrono, o pastor vigilante, s'inganna chi di te non si fida, purchè voglia emendarsi. Perciò dicesti: Io sono, non vogliate temere: io son quello che tribolo e consolo. Metto talvolta alcuni in desolazioni che sembrano un inferno, ma poi ne li cavo e gli sollevo. Io son vostro avvocato, che ho presa la vostra causa per mia. Io vostro mallevadore, che son venuto a pagare i vostri debiti. Io vostro Signore, che col mio sangue vi ho ricomprati non per abbandonarvi, ma per arricchirvi, avendovi riscattati a gran prezzo. Come fuggirò da chi mi va cercando, essendo andato incontro a coloro che mi cercavano per oltraggiarmi? Non ho voltata la faccia a chi mi percoteva, e la volterò a chi vuole adorarmi? Come possono i miei figli dubitare se io l'amo, vedendomi posto in mano de' miei nemici per loro amore? Chi mai ho disprezzato, che mi abbia amato? Chi mai ho abbandonato, che mi ha cercato aiuto? Io vado cercando ancora chi non mi cerca.
15. «Se credi che il Padre Eterno ti ha donato il suo Figlio, credi ancora che ti donerà il resto, che tutto è assai meno del Figlio. Non pensare che Gesù Cristo siasi scordato di te, mentre ti ha lasciato in memoria del suo amore il maggior pegno che avesse, quanto fu se medesimo nel Sagramento dell'altare».
Affetti e preghiere.
Ah Gesù mio, amor mio, e che belle speranze mi dà la vostra Passione! Come posso temere di non ricevere il perdono de' miei peccati, il paradiso e tutte le grazie che mi bisognano, da un Dio onnipotente che mi ha dato tutto il suo sangue?
Ah Gesù mio, speranza mia ed amore mio, voi per non perdere me avete voluto perder la vita.
Io v'amo sovra ogni bene, mio Redentore e Dio. Voi vi siete dato tutto a me, io vi dono tutta la mia volontà, e con questa ripeto ch'io v'amo, io v'amo, e voglio sempre replicarlo, io v'amo, io v'amo. Così voglio sempre dire in questa vita, e così voglio morire, spirando l'ultimo fiato con questa cara parola in bocca, mio Dio io v'amo, per cominciar da quel punto un amore verso di voi continuo, che durerà in eterno, senza cessar mai più d'amarvi.
Io v'amo dunque, e, perchè v'amo, mi pento sovra ogni male di avervi così offeso. Misero, per non perdere una breve soddisfazione, ho voluto tante volte perdere voi, bene infinito! Questo pensiero mi tormenta più d'ogni pena; ma mi consola il pensare che ho che fare con una bontà infinita che non sa disprezzare un cuore che l'ama. Oh potessi morire per voi che siete morto per me!
Caro mio Redentore, io spero certamente da voi la salute eterna nell'altra vita, ed in questa spero la santa perseveranza nell'amor vostro; perciò propongo di cercarvela sempre. E voi per li meriti della vostra morte datemi la perseveranza a pregarvi.
Questa ancora domando e spero da voi, regina mia Maria.

CAPITOLO II Quanto merita Gesù Cristo d'esser amato da noi per l'amore che ci ha dimostrato nell'istituire il SS. Sagramento dell'altare.

Catecismo para niños
CAPITOLO II

Quanto merita Gesù Cristo
d'esser amato da noi per l'amore
che ci ha dimostrato nell'istituire
il SS. Sagramento dell'altare.



1. Sciens Iesus quia venit hora eius ut transeat ex hoc mundo ad Patrem, cum dilexisset suos... in finem dilexit eos (Io. XIII, 1). L'amantissimo nostro Salvatore, sapendo esser già arrivata l'ora di partirsi da questa terra, prima di andare a morire per noi, volle lasciarci il segno più grande che potea darci del suo amore, qual fu appunto questo dono del SS. Sagramento. — Dice S. Bernardino da Siena che i segni d'amore che si dimostrano in morte, più fermamente restano a memoria, e si tengono più cari: Quae in fine in signum amicitiae celebrantur, firmius memoriae imprimuntur et cariora tenentur. Onde sogliono gli amici, morendo, lasciare alle persone che hanno amate in vita, qualche dono, una veste, un anello, in memoria del loro affetto. Ma voi, Gesù mio, partendo da questo mondo che cosa ci avete lasciato in memoria del vostro amore? Non già una veste, un anello, ma ci avete lasciato il vostro corpo, il vostro sangue, l'anima vostra, la vostra divinità, tutto voi stesso, senza riserbarvi niente. Totum tibi dedit, dice S. Giovanni Grisostomo, nihil sibi reliquit.

2. Dice il Concilio di Trento che, in questo dono dell'Eucaristia, Gesù Cristo volle quasi cacciar fuori tutte le ricchezze dell'amore ch'egli serbava per gli uomini: Divitias sui erga homines amoris velut effudit (Sess. XIII, c. 2). E nota l'Apostolo che Gesù volle far questo dono agli uomini in quella stessa notte appunto in cui gli uomini gli apparecchiavano la morte: In qua nocte tradebatur, accepit panem, et gratias agens, fregit et dixit: Accipite et manducate, hoc est corpus meum (I Cor. XI, 23, 24). Dice S. Bernardino da Siena che Gesù Cristo, ardendo per noi d'amore e non contento di apparecchiarsi a dar la vita per noi, prima di morire fu costretto dall'eccesso del suo amore a fare un'opera più grande, qual fu di darci in cibo il suo medesimo corpo: In illo fervoris excessu, quando paratus erat pro nobis mori, ab excessu amoris maius opus agere coactus est, quam umquam operatus fuerat, dare nobis corpus in cibum (S. Bern. Sen., T. 2. serm. 54. art. 1. cap. 1).
3. Ben dunque da S. Tommaso fu chiamato questo sagramento sacramentum caritatis, pignus caritatis. Sagramento d'amore, perchè il solo amore indusse Gesù Cristo a donarci in quello tutto se stesso; e pegno d'amore, acciocchè se noi avessimo mai dubitato del suo amore, in questo sagramento ne avessimo ricevuto il pegno. Come se avesse detto il nostro Redentore nel lasciarci questo dono: Anime, se mai voi dubitate del mio amore, ecco ch'io vi lascio me stesso in questo sagramento; con tal pegno in mano, non potete aver più dubbio ch'io v'amo, e v'amo assai. — Ma inoltre da S. Bernardo fu chiamato questo sagramento amor amorum, amore degli amori, perchè questo dono comprende tutti gli altri doni che il Signore ci ha fatti, la creazione, la redenzione, la predestinazione alla gloria; mentre l'Eucaristia non solo è pegno dell'amore di Gesù Cristo, ma è pegno ancora del paradiso che vuol darci: In quo, parla la Chiesa, futurae gloriae nobis pignus datur. Quindi S. Filippo Neri non sapeva nominar Gesù Cristo nel sagramento se non col nome di amore. Così appunto fu udito esclamare allorchè gli fu portato il SS. Viatico: «Ecco l'amor mio, disse, datemi il mio amore».
4. Voleva il profeta Isaia che si manifestassero a tutti le invenzioni amorose che ha trovate Iddio per farsi amare dagli uomini. E chi mai avrebbe potuto pensare, s'egli stesso non l'avesse fatto, che il Verbo Incarnato si fosse posto sotto le specie di pane per farsi nostro cibo? Non sembra una pazzia, dice S. Agostino, il dire: Mangiate la mia carne, bevete il mio sangue? Nonne insania videtur dicere: Manducate meam carnem, bibite meum sanguinem? Quando Gesù Cristo svelò ai suoi discepoli questo sagramento che voleva lasciarci, essi non poterono giungere a crederlo, e si licenziarono da lui dicendo: Quomodo potest hic carnem suam dare ad manducandum? (Io. VI, 53). Durus est hic sermo, et quis potest eum audire? (Io. VI, 61). Ma quel che gli uomini non potevano pensare e credere, l'ha pensato e fatto il grande amore di Gesù Cristo. Accipite et manducate, egli disse ai suoi discepoli, e per essi a tutti noi, prima di andare a morire: Ricevete e mangiate! Ma qual cibo sarà mai questo, o Salvatore del mondo, che prima di morire volete donarci? Accipite et manducate: hoc est corpus meum (I Cor. XI, 24). Questo cibo non è terreno: sono io stesso che mi do tutto a voi.
5. Ed oh con qual desiderio Gesù Cristo anela di venire all'anime nostre nella santa comunione! Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum (Luc. XXII, 15). Così egli disse in quella notte in cui istituì questo sagramento d'amore. Desiderio desideravi: così gli fe' dire, scrive S. Lorenzo Giustiniani, l'amore immenso che ci portava: Flagrantissimae caritatis est vox haec. Ed acciocchè facilmente ognuno avesse potuto riceverlo, volle lasciarsi sotto le specie di pane. Se si fosse lasciato sotto le specie di qualche cibo raro o di gran prezzo, i poveri ne sarebbero rimasti privi; ma no, Gesù ha voluto ponersi sotto le specie di pane che poco costa e da per tutto si trova, affinchè tutti in ogni paese possan trovarlo e riceverlo.
6. Acciocchè poi anche noi c'invogliassimo a riceverlo nella santa comunione, non solo ci esorta a ciò con tanti inviti: Venite, comedite panem meum et bibite vinum quod miscui vobis (Prov. IX, 5); comedite, amici, et bibite, parlando di questo pane e vino celeste (Cant. V, 1), ma anche ce l'impone per precetto: Accipite et manducate: hoc est corpus meum (I Cor. XI, 24). Di più, acciocchè noi andiamo a riceverlo, ci alletta colla promessa del paradiso: Qui manducat meam carnem, habet vitam aeternam (Io. VI, 55). Qui manducat hunc panem vivet in aeternum (Ibid. 59). Di più ci minaccia l'inferno coll'esclusione del paradiso, se noi ricusiamo di comunicarci: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, non habebitis vitam in vobis (Ibid. 54). Quest'inviti, queste promesse e queste minacce, tutte nascono dal gran desiderio ch'egli ha di venire a noi in questo sagramento.
7. Ma perchè mai tanto desidera Gesù Cristo che noi lo riceviamo nella santa comunione? Ecco la ragione. Dice S. Dionisio che l'amore aspira sempre e tende all'unione; e, come si dice presso S. Tommaso: Amantes desiderant ex ambobus fieri unum (1. 2. q. 28. a. 1. ad 2): gli amici che si amano di cuore vorrebbero talmente esser uniti che fossero un solo uomo. Or ciò ha fatto che l'immenso amore di Dio verso gli uomini non solo si desse tutto loro nel regno eterno, ma che in questa terra ancora si lasciasse dagli uomini possedere coll'unione più intima che possa darsi, dandosi tutto loro sotto le apparenze di pane nel Sagramento. Ivi egli sta come dietro un muro, e di là ci guarda come per mezzo di stretti cancelli: En ipse stat post parietem nostrum, respiciens per fenestras, prospiciens per cancellos (Cant. II, 9). Sì che noi non lo vediamo, ma egli di là ci guarda, ed ivi è realmente presente: è presente per lasciarsi da noi possedere, ma si nasconde per farsi da noi desiderare; e finchè noi non perveniamo alla patria, Gesù vuol darsi a noi tutto, e star tutto unito con noi.
8. Ei non potè contentare il suo amore con darsi tutto al genere umano colla sua Incarnazione e Passione, morendo per tutti gli uomini; ma volle trovare il modo di darsi tutto a ciascuno di noi; e perciò istituì il Sagramento dell'altare, affin di unirsi tutto con ognuno di noi. Qui manducat meam carnem, egli disse, in me manet et ego in eo (Io. VI, 57). Nella santa comunione Gesù si unisce all'anima, e l'anima a Gesù, e questa unione non è di mero affetto, ma è vera e reale. Quindi ebbe a dire S. Francesco di Sales: «In niun'altra azione può considerarsi il Salvatore nè più tenero nè più amoroso, che in questa, in cui si annichila, per così dire, e si riduce in cibo per penetrar l'anime nostre, ed unirsi al cuore de' suoi fedeli». Dice S. Giovanni Grisostomo che Gesù Cristo, per l'ardente amore che ci portava, volle talmente con noi unirsi che diventassimo la stessa cosa con esso: Semetipsum nobis immiscuit ut unum quid simus: ardenter enim amantium hoc est (Chrysost. Hom. 61, ad Pop. Ant.).
9. Volesti in somma, soggiunge S. Lorenzo Giustiniani, o Dio innamorato delle anime nostre, con questo Sagramento far che il tuo Cuore col nostro divenisse un solo cuore inseparabilmente unito: O mirabilis dilectio tua, Domine Iesu, qui tuo corpori taliter nos incorporari voluisti, ut tecum unum Cor et animam unam haberemus inseparabiliter colligatam! Aggiunge S. Bernardino da Siena che il darsi Gesù Cristo a noi in cibo fu l'ultimo grado d'amore, poichè si diede a noi per unirsi totalmente con noi, come si unisce insieme il cibo con chi lo mangia: Ultimus gradus amoris est, cum se dedit nobis in cibum, quia dedit se nobis ad omnimodam unionem, sicut cibus et cibans invicem uniuntur (S. Bern. Sen., T. 2. serm. 54). Oh quanto Gesù Cristo si compiace di stare unito colle anime nostre! Disse egli un giorno dopo la comunione alla sua diletta serva Margarita d'Ipres: «Vedi, figlia mia, la bella unione fatta tra me e te; orsù amami, e stiamoci sempre uniti in amore, e non ci separiamo più».
10. Quindi dobbiam persuaderci che un'anima non può fare nè pensare di far cosa più grata a Gesù Cristo, che di andare a comunicarsi colla disposizione conveniente ad un tanto ospite che ha da ricevere nel suo petto; mentre così si unisce a Gesù Cristo, ch'è l'intento di questo innamorato Signore. Ho detto: colla disposizione conveniente, non già colla degna, perchè se bisognasse la degna, e chi mai potrebbe più comunicarsi? Solo un altro Dio sarebbe degno di ricevere un Dio. Intendo conveniente quella che conviene ad una misera creatura vestita dell'infelice carne di Adamo. Basta che la persona, ordinariamente parlando, si comunichi in grazia, e con vivo desiderio di crescere nell'amore verso Gesù Cristo. «Solo per amore dee riceversi Gesù Cristo nella comunione, dicea S. Francesco di Sales, giacch'egli solo per amore a noi si dona». Del resto quanto spesso poi ciascuno debba comunicarsi, in ciò dee regolarsi secondo il giudizio del suo padre spirituale. Sappiasi non però, che niuno stato o impiego, anche di maritato o negoziante, impedisce la comunione frequente, quando il direttore la stima opportuna, come dichiarò il Pontefice Innocenzo XI nel suo decreto dell'anno 1679, ove si disse: Frequens accessus — ad Eucharistiam — confessariorum iudicio est relinquendus, qui... laicis negotiatoribus et coniugatis, quod prospiciunt eorum saluti profuturum, id illis praescribere debebunt.
11. Bisogna poi intendere che non vi è cosa da cui possiam cavar tanto profitto quanto dalla comunione. L'Eterno Padre ha fatto padrone Gesù Cristo di tutte le sue ricchezze divine: Omnia dedit ei Pater in manus (Io. XIII, 3). Onde quando viene Gesù in un'anima colla santa comunione, egli le porta seco immensi tesori di grazie. E perciò ben può dire una persona che si è comunicata: Venerunt autem mihi omnia bona pariter cum illa (Sap. VII, 11). Dice S. Dionisio che il sagramento dell'Eucaristia ha una somma virtù di santificare l'anime, più che tutti gli altri mezzi spirituali: Eucharistia maximam vim habet perficiendae sanctitatis. E S. Vincenzo Ferreri scrisse che più profitta l'anima con una comunione, che con una settimana di digiuni in pane ed acqua.
12. Primieramente, come insegna il Concilio di Trento, la comunione è quel gran rimedio che ci libera dai peccati veniali e ci preserva dai mortali: Antidotum quo a culpis quotidianis liberemur et a mortalibus praeservemur (Trid. Sess. XIII, cap. 2). Dicesi liberemur a culpis quotidianis, perchè, secondo S. Tommaso (3 p. q. 79. a. 4), per mezzo di questo Sagramento l'uomo viene eccitato a far atti d'amore, per cui poi si cancellano i peccati veniali. E dicesi a mortalibus praeservemur, perchè la comunione conferisce l'aumento della grazia che ci preserva dalle colpe gravi. Quindi scrisse Innocenzo III che Gesù Cristo colla sua Passione ci liberò dalla podestà del peccato, ma coll'Eucaristia ci libera dalla podestà di peccare: Per crucis mysterium liberavit nos a potestate peccati; per Eucharistiae sacramentum liberat nos a potestate peccandi.
13. Di più questo Sagramento principalmente infiamma l'anime del divino amore. Iddio è amore: Deus caritas est (I Io. IV, 8). Ed è fuoco che consuma ne' nostri cuori tutti gli affetti terreni: Ignis consumens est (Deut. IV, 24). Or questo fuoco d'amore venne appunto il Figlio di Dio ad accendere in terra: Ignem veni mittere in terram; e soggiunse che altro non bramava che di vedere acceso questo santo fuoco nell'anime nostre: Et quid volo, nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49). Ed oh quali fiamme di divino amore accende Gesù Cristo in ognuno che divotamente lo riceve in questo Sagramento! S. Caterina da Siena vide un giorno in mano d'un sacerdote Gesù sagramentato come un globo di fuoco da cui la santa si ammirava come da quella fiamma non restassero arsi ed inceneriti tutti i cuori degli uomini. S. Rosa di Lima dopo la comunione mandava tali raggi dalla faccia che abbagliavano la vista, ed usciva tal calore dalla sua bocca che chi vi accostava la mano sentiva scottarsi. Narrasi di S. Venceslao che col solo andar visitando le chiese ove stava il Sagramento, s'infiammava di tanto ardore che il servo il quale l'accompagnava, camminando sulla neve e mettendo i piedi sulle pedate del santo, non sentiva più freddo. Dicea per tanto il Grisostomo che il SS. Sagramento è fuoco che c'infiamma, acciocchè partendo dall'altare spiriamo tali fiamme d'amore che ci rendano terribili all'inferno: Carbo est Eucharistia, quae nos inflammat, ut tamquam leones ignem spirantes ab illa mensa recedamus, facti diabolo terribiles (Hom. 61, ad Pop.).
14. Diceva la sposa de' Cantici: Introduxit me rex in cellam vinariam, ordinavit in me caritatem (Cant. II, 4). Scrive S. Gregorio Nisseno che appunto la comunione è quella cella di vino ove l'anima resta talmente inebriata di divino amore, che si dimentica e perde di vista tutte le cose create; e questo è quel languire d'amore, del quale poi parla dicendo: Fulcite me floribus, stipate me malis, quia amore langueo (ibid. 5). — Dirà taluno: Ma perciò io non mi comunico spesso, perchè mi vedo freddo nel divino amore. Risponde a costui il Gersone e dice: «Dunque perchè ti vedi freddo, per questo vuoi allontanarti dal fuoco?» Anzi perchè ti senti freddo, tanto più dei accostarti spesso a questo Sagramento, sempre che hai vero desiderio di amar Gesù Cristo. Licet tepide, scrisse S. Bonaventura, tamen confidens de misericordia Dei accedas; tanto magis eget medico, quanto quis senserit se aegrotum (De prof. rel., c. 78). Parimente dicea S. Francesco di Sales nella sua Filotea (cap. 21): «Due sorte di persone debbono comunicarsi spesso: i perfetti per conservarsi nella perfezione, e gl'imperfetti per giungere alla perfezione». Ma per comunicarsi spesso, almeno è necessario avere un gran desiderio di farsi santo e crescere nell'amore verso Gesù Cristo. Disse un giorno il Signore a S. Metilde: «Quando dei comunicarti, desidera tutto quello amore che mai un cuore ha avuto verso di me, ed io riceverò un tale amore come tu vorresti che fosse» (Ap. Blos., in Conc. an. fidel. c. 6, n. 6).
Affetti e preghiere.
O Dio d'amore, o amante infinito, degno d'infinito amore, ditemi, ci è più che inventare per farvi amare da noi? Non vi è bastato di farvi uomo e soggettarvi a tante nostre miserie. Non vi è bastato il dare per noi tutto il sangue a forza di tormenti, e poi morire consumato da' dolori sovra d'un tronco destinato a' rei più scellerati. Vi siete ridotto in fine a mettervi sotto le specie di pane per farvi nostro cibo, e così unirvi tutto con ciascuno di noi. Ditemi, replico, ci è più che inventare per farvi amare? Ah miseri noi se in questa vita non vi amiamo! Quando saremo entrati nell'eternità, qual rimorso ci apporterà il non avervi amato!
Gesù mio, io non voglio morire senza amarvi, ed amarvi assai.
Troppo mi rincresce e mi dà pena l'avervi dati tanti disgusti; me ne pento e vorrei morirne di dolore.
Ora v'amo sopra ogni cosa, v'amo più di me stesso, e vi consagro tutti gli affetti miei. Voi che mi date già questo desiderio, datemi la forza di eseguirlo.
Gesù mio, Gesù mio, io non voglio da voi altro che voi. Or che mi avete tirato al vostro amore, io lascio tutto, rinunzio a tutto, ed a voi mi stringo; voi solo mi bastate.
O madre di Dio Maria, pregate Gesù per me, e fatemi santo. Aggiungete quest'altro a tanti prodigi da voi operati di mutare i peccatori in santi.

CAPITOLO I Quanto merita Gesù Cristo di esser amato da noi per l'amore che ci ha dimostrato nella sua Passione.

Catecismo para niños
CAPITOLO I

Quanto merita Gesù Cristo
di esser amato da noi per l'amore
che ci ha dimostrato nella sua Passione.



1. Tutta la santità e la perfezione di un'anima consiste nell'amare Gesù Cristo nostro Dio, nostro sommo bene e nostro Salvatore. Chi ama me, disse Gesù medesimo, sarà amato dall'eterno mio Padre: Ipse enim Pater amat vos, quia vos me amastis (Io. XVI, 27). «Alcuni, dice S. Francesco di Sales, mettono la perfezione nell'austerità della vita, altri nell'orazione, altri nella frequenza de' sagramenti, altri nelle limosine; ma s'ingannano: la perfezione sta nell'amar Dio di tutto cuore». Scrisse l'Apostolo: Super omnia... caritatem habete, quod est vinculum perfectionis (Coloss. III, 14). La carità è quella che unisce e conserva tutte le virtù che rendon l'uomo perfetto. Quindi dicea S. Agostino: Ama, et fac quod vis: ama Dio e fa quel che vuoi; perchè ad un'anima che ama Dio, lo stesso amore insegna a non fare mai cosa che gli dispiaccia, ed a far tutto ciò che gli gradisce.

2. Forse Iddio non si merita tutto il nostro amore? Egli ci ha amati sin dall'eternità: In caritate perpetua dilexi te (Ier. XXXI, 3). Uomo, dice il Signore, mira ch'io sono stato il primo ad amarti. Tu non vi eri ancora al mondo, il mondo neppur vi era, ed io già ti amavo. Da che sono Dio, io t'amo: da che ho amato me, ho amato ancora te. Ben dunque avea ragione quella santa verginella S. Agnese, allorchè l'erano proposti altri sposi di terra che le chiedeano il di lei amore, di risponder loro: Ab alio amatore praeventa sum. Andate, diceva, amatori di questo mondo, e lasciate di pretendere il mio amore; il mio Dio è stato il primo ad amarmi, egli mi ha amata sin dall'eternità; onde ha ragione ch'io gli doni tutti gli affetti miei, ed altri che lui non ami.

3. Vedendo Iddio che gli uomini si fan tirare da' benefici, volle, per mezzo de' suoi doni, cattivarli al suo amore. Disse per tanto: In funiculis Adam traham eos, in vinculis caritatis (Os. XI, 4): Voglio tirare gli uomini ad amarmi con quei lacci con cui gli uomini si fan tirare, cioè coi legami dell'amore. Tali appunto sono stati tutti i doni fatti da Dio all'uomo. Egli, dopo averlo dotato di anima colle potenze a sua immagine, di memoria, intelletto e volontà, e di corpo fornito de' sensi, ha creato per lui il cielo e la terra e tante altre cose, tutte per amore dell'uomo: i cieli, le stelle, i pianeti, i mari, i fiumi, i fonti, i monti, le pianure, i metalli, i frutti, e tante specie di bruti: tutte queste creature acciocchè servano all'uomo, e l'uomo l'ami per gratitudine di tanti doni. Caelum et terra, esclama S. Agostino, et omnia mihi dicunt ut amem te. Signor mio, dicea, quante cose io vedo nella terra e sovra della terra, tutte mi parlano e mi esortano ad amarvi, perchè tutte mi dicono che voi per amor mio l'avete fatte. L'abate Ranzè, fondatore della Trappa, quando dal suo romitaggio si fermava a guardare le colline, i fonti, gli uccelli, i fiori, i pianeti, i cieli, sentiva da ciascuna di queste creature infiammarsi ad amare Iddio che per amore di lui le avea create.
4. Similmente S. Maria Maddalena de' Pazzi, allorchè teneva in mano qualche bel fiore, sentivasi da quello accendere d'amore verso Dio, e dicea: «Dunque il mio Signore ha pensato sin dall'eternità a crear questo fiore per amor mio!» Onde quel fiore le diventava come uno strale d'amore che dolcemente la feriva e l'univa più a Dio. S. Teresa diceva all'incontro, che mirando alberi, fonti, ruscelli, marine o prati, diceva che tutte queste belle creature le ricordavano la sua ingratitudine in amar così poco il Creatore che le avea create per esser da lei amato. Narrasi di più a tal proposito, che un divoto solitario, camminando per la campagna, pareagli che l'erbette e i fiori che incontrava, gli rimproverassero la sua ingratitudine verso Dio, ond'egli col suo bastoncello gli andava percotendo, e loro dicea: «Tacete, tacete: voi mi chiamate ingrato, mi dite che Dio vi ha creati per amor mio e ch'io non l'amo; ma già v'ho inteso, tacete, tacete; non mi rimproverate più».
5. Ma non è stato contento Iddio di donarci tutte queste belle creature. Egli, per cattivarsi tutto il nostro amore, è giunto a donarci tutto se stesso. — L'Eterno Padre è giunto a darci il suo medesimo ed unico Figlio: Sic enim Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret (Io. III, 16). Vedendo l'Eterno Padre che noi eravamo tutti morti e privi della sua grazia per causa del peccato, che fece? per l'amore immenso, anzi, come scrive l'Apostolo, per lo troppo amore che ci portava, mandò il suo Figlio diletto a soddisfare per noi, e così renderci quella vita che il peccato ci avea tolta: Propter nimiam caritatem suam qua dilexit nos, et cum essemus mortui peccatis convivificavit nos in Christo (Eph. II, 4, 5). E donandoci il Figlio — non perdonando al Figlio per perdonare a noi — insieme col Figlio ci ha donato ogni bene, la sua grazia, il suo amore e il paradiso, poichè tutti questi beni son certamente minori del Figlio: Qui etiam proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum, quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. VIII, 32).
6. E così anche il Figlio, per l'amore che ci porta, tutto a noi si è dato: Dilexit me et tradidit semetipsum pro me (Gal. II, 20). Egli, per redimerci dalla morte eterna e per farci ricuperare la grazia divina e il paradiso perduto, si fece uomo e vestissi di carne come noi: Et Verbum caro factum est (Io. I, 14). Ed ecco un Dio esinanito: Semetipsum exinanivit formam servi accipiens... et habitu inventus ut homo. Ecco il Signore del mondo che si umilia sino a prender la forma di servo, e si sottomette a tutte le miserie che gli altri uomini patiscono.
7. Ma quel che più fa stupire è ch'egli ben poteva salvarci senza morire e senza patire; ma no, si elesse una vita afflitta e disprezzata, ed una morte amara ed ignominiosa, sino a morire su d'una croce, patibolo infame destinato agli scellerati: Humiliavit semetipsum, factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis (Phil. II, 8). — Ma perchè, potendo redimerci senza patire, volle eleggersi la morte e morte di croce? Per dimostrarci l'amore che ci portava: Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis (Eph. V, 2). Ci amò e, perchè ci amava, si diede in mano de' dolori, dell'ignominie e della morte più penosa che abbia patito alcun uomo sovra la terra.
8. Quindi ebbe a dire il grande amante di Gesù Cristo, S. Paolo: Caritas... Christi urget nos (II Cor. V, 14). E volle dire l'Apostolo che non tanto ciò che ha patito Gesù Cristo, quanto l'amore che ci ha dimostrato nel patire per noi, ci obbliga e quasi ci costringe ad amarlo. Udiamo quel che dice S. Francesco di Sales su del testo citato: «Sapendo noi che Gesù, vero Dio, ci ha amati sino a soffrire per noi la morte e morte di croce, non è questo un avere i nostri cuori sotto d'un torchio, e sentirlo stringere per forza, e spremerne l'amore per una violenza ch'è tanto più forte quanto è più amabile?» Indi soggiunge: «Ah, perchè non ci gettiamo dunque sovra di Gesù crocifisso, per morire sulla croce con colui che ha voluto morirvi per amore di noi? Io lo terrò, dovressimo dire, e non l'abbandonerò giammai; morirò con lui, ed abbrucerò nelle fiamme del suo amore. Uno stesso fuoco consumerà questo divin Creatore e la sua miserabile creatura. Il mio Gesù si dà tutto a me ed io mi do tutto a lui. Io viverò e morirò sul suo petto; nè la morte nè la vita mi separeranno mai da lui. O Amore eterno, l'anima mia vi cerca e vi elegge eternamente. Deh venite, Spirito Santo, ed infiammate i nostri cuori colla vostra dilezione. O amare o morire. Morire ad ogni altro amore, per vivere a quello di Gesù. O Salvatore dell'anime nostre, fate che cantiamo eternamente: Viva Gesù che amo; amo Gesù che vive ne' secoli de' secoli».
9. Era tanto l'amore che Gesù Cristo portava agli uomini, che gli facea desiderare l'ora della sua morte, per dimostrar loro l'affetto che per essi serbava; onde andava in sua vita dicendo: Baptismo... habeo baptizari, et quomodo coarctor usque dum perficiatur? (Luc. XII, 50). Io ho da essere battezzato col mio medesimo sangue, ed oh come mi sento stringere dal desiderio che presto venga l'ora della mia Passione, affinchè presto con ciò l'uomo conosca l'amore che gli porto! E perciò S. Giovanni, parlando di quella notte in cui Gesù diè principio alla sua Passione, scrive: Sciens Iesus quia venit hora eius ut transeat ex hoc mundo ad Patrem, cum dilexisset suos... in finem dilexit eos (Io. XIII, 1). Chiamava il Redentore quell'ora, ora sua — hora eius —, perchè il tempo della sua morte era il tempo da lui desiderato: mentre allora volea dare agli uomini l'ultima pruova del suo amore, morendo per essi in una croce, consumato da' dolori.
10. Ma chi mai ha potuto indurre un Dio a morir giustiziato su d'un patibolo, in mezzo a due scellerati, con tanta ignominia della sua divina maestà? Quis fecit hoc? dimanda S. Bernardo; e poi risponde: Fecit amor, dignitatis nescius. Ah che l'amore, quando si tratta di farsi conoscere, non va trovando quel che più conviene alla dignità dell'amante, ma quel che più conduce a manifestarsi all'amato. Ben dunque avea ragione S. Francesco di Paola, a vista del Crocifisso, di esclamare: O carità, o carità, o carità! E così tutti, mirando Gesù in croce, dovressimo, infiammati, esclamare: O amore, o amore, o amore!
11. Ah che se la fede non ce ne assicurasse, chi mai potrebbe arrivare a credere che un Dio onnipotente, felicissimo, e signore del tutto, abbia voluto amar tanto l'uomo, che sembra esser egli uscito fuori di sè per amore dell'uomo? Abbiam veduta la stessa Sapienza, cioè il Verbo Eterno, impazzito per lo troppo amore portato agli uomini! così parlava S. Lorenzo Giustiniani: Vidimus Sapientem prae nimietate amoris infatuatum! Lo stesso dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi un giorno in cui, stando in estasi, prese tra le mani un'immagine di legno del Crocifisso, e poi esclamava: «Sì, Gesù mio, che tu sei pazzo d'amore. Lo dico, e sempre lo dirò: Pazzo d'amore tu sei, Gesù mio». Ma no, dice S. Dionigi Areopagita (Lib. 4. de Div. Nom.), non è pazzia, ma è solito effetto dell'amore divino, il far uscire l'amante fuori di sè per darsi tutto all'oggetto amato: Extasim facit divinus amor.
12. Oh se gli uomini si fermassero a considerare, guardando Gesù crocifisso, l'affetto ch'egli ha portato a ciascuno di loro! «E di qual amore, dicea S. Francesco di Sales, non resteremmo noi accesi a vista delle fiamme che trovansi nel seno del Redentore! Ed oh, qual ventura poter esser bruciati da quello stesso fuoco di cui brucia il nostro Dio? E qual gioia essere a Dio uniti colle catene dell'amore?» S. Bonaventura chiamava le piaghe di Gesù Cristo piaghe che impiagano i cuori più insensati, e che infiammano l'anime più gelate: Vulnera dura corda vulnerantia et mentes congelatas inflammantia. Oh quante saette amorose escono da quelle piaghe, che feriscono i cuori più duri! Oh che fiamme escono dal cuore ardente di Gesù Cristo, che infiammano i cuori più freddi! Oh quante catene escono da quel costato ferito, che legano i cuori più indomiti!
13. Il Ven. Giovanni d'Avila, il quale era tanto innamorato di Gesù Cristo che in tutte le sue prediche non lasciava mai di parlare dell'amore che Gesù Cristo ci porta, egli in un suo trattato dell'amore che ha per gli uomini questo amantissimo Redentore, scrisse questi infocati sentimenti che, per essere troppo belli, ho voluto qui inserirli. Dice così:
14. «Voi, Redentore, amaste l'uomo in tal modo, che chi considera questo amore non può far di meno di amarvi, perchè il vostro amore fa violenza ai cuori, come lo dice l'Apostolo: Caritas... Christi urget nos. L'origine dell'amore di Gesù Cristo verso gli uomini è la sua carità verso Dio. Perciò disse nel giovedì della cena: Ut cognoscat mundus quia diligo Patrem, surgite, eamus. Ma dove? A morire per gli uomini nella croce.
15. «Non arriva alcun intelletto a comprendere quanto arda questo fuoco nel Cuore di Gesù Cristo. Siccome gli fu comandato che patisse una morte, gli fosse stato comandato che ne patisse mille, ben egli aveva amore per patirle tutte. E se ciò che gli fu imposto di patire per tutti gli uomini gli fosse stato imposto per la salute di un solo, così l'avrebbe fatto per ciascuno come lo fece per tutti. E siccome stette tre ore in croce, se fosse stato necessario starvi sino al giorno del giudizio, egli avea amore per eseguirlo. Sicchè Gesù Cristo molto più amò che non patì. — O amor divino, quanto fosti maggiore di quel che comparisti! Comparisti grande per di fuori, perchè tante piaghe e lividure ci predicano un grande amore, ma non dicono tutta la sua grandezza; ma fu più di dentro di quel che comparì di fuori. Ciò fu una scintilla che scaturì da quel gran pelago d'immenso amore.
«Questo è il maggior segno dell'amore, metter la vita per li suoi amici; ma non è segno che bastò a Gesù Cristo ad esprimere il suo amore.
16. «Questo amore è quello che fa uscire di sè le anime buone, e le fa restar attonite quando si dà loro a conoscere. Quindi nasce il sentirsi arder le viscere, il desiderare il martirio, il rallegrarsi nel patire, il godere nelle graticole roventi, il passeggiar sulle brace come fossero rose, l'anelare i tormenti, il gioire di quello che il mondo teme ed abbracciar quello che il mondo abborrisce. Dice S. Ambrogio che l'anima ch'è sposata con Gesù Cristo sulla croce, niuna cosa tiene per più gloriosa che portar seco le insegne del Crocifisso.
17. «Or come io vi pagherò, o amante mio, questo vostro amore? Egli è degno che il sangue si ricompensi con sangue. Veggami io con questo sangue tinto, e in questa croce inchiodato. O santa croce, ricevi me ancora in te. Slargati, corona, acciocchè possa io in te metter la mia testa. O chiodi, lasciate coteste mani innocenti del mio Signore, e trapassate il mio cuore di compassione e di amore. — Perciò, mio Gesù, dice San Paolo che voi moriste: per impadronirvi de' vivi e de' morti, non già coi castighi, ma coll'amore: In hoc... Christus mortuus est et resurrexit, ut et mortuorum et vivorum dominetur (Rom. XIV, 9).
18. «O ladro de' cuori, la forza del vostro amore ha spezzati anche i nostri cuori sì duri. Voi avete infiammato tutto il mondo del vostro amore. O sapientissimo Signore, inebbriate i nostri cuori con questo vino, abbruciateli con questo fuoco, feriteli con questa saetta del vostro amore. Questa vostra croce è già una balestra che i cuori ferisce. Sappia tutto il mondo che io ho il cuore ferito. O amor mio dolcissimo, che avete fatto? Voi siete venuto a curarmi, e mi avete ferito? Siete venuto per insegnarmi a vivere, e mi avete renduto come pazzo? O sapientissima pazzia, io non viva mai senza di voi. Signore, io quanto veggo nella croce, tutto m'invita ad amare: il legno, la figura, le ferite del vostro corpo, e sovra tutto l'amor vostro m'invita ad amarvi e a non dimenticarmi mai di voi».
19. Ma per giungere al perfetto amore di Gesù Cristo, bisogna prenderne i mezzi.
Ecco i mezzi che c'insegna S. Tommaso d'Aquino (Opusc. de Dilect. Dei, § 1).
Per 1º Aver una memoria continua de' divini benefici generali e particolari.
Per 2º Considerare l'infinita bontà di Dio, che sta sempre in atto di farci bene, e sempre ci ama, e cerca da noi il nostro amore.
Per 3º Evitar con diligenza ogni minima cosa di suo disgusto.
Per 4º Rinunziare a tutti i beni sensibili di questa terra: ricchezze, onori e piaceri di senso.
Aggiunge il P. Taulero essere un gran mezzo ancora per ottenere il perfetto amore a Gesù Cristo il meditare la sua santa Passione.
20. Chi può negare che la divozione alla Passione di Gesù Cristo è la divozione di tutte le divozioni la più utile, la più tenera, la più cara a Dio, quella che più consola i peccatori, quella che più infiamma l'anime amanti? E donde mai riceviamo noi tanti beni, se non dalla Passione di Gesù Cristo? Donde abbiamo noi la speranza del perdono, la fortezza contro le tentazioni, la confidenza di andare al paradiso? Donde tanti lumi di verità, tante chiamate amorose, tante spinte a mutar vita, tanti desideri di darci a Dio, se non dalla Passione di Gesù Cristo? Troppo dunque avea ragione l'Apostolo di chiamare scomunicato chi non ama Gesù Cristo: Si quis non amat Dominum nostrum Iesum Christum, sit anathema (I Cor. XVI, 22).
21. Dice S. Bonaventura che non vi è divozione più atta a santificare un'anima che la meditazione della Passione di Gesù Cristo; onde ci consiglia a meditare ogni giorno la Passione, se vogliamo avanzarci nell'amore divino: Si vis proficere, quotidie mediteris Domini Passionem; nihil enim in anima ita operatur universalem sanctimoniam, sicut meditatio Passionis Christi. E prima disse S. Agostino, come riferisce il Bustis, che vale più una lagrima sparsa per la memoria della Passione che il digiuno in pane continuato in ogni settimana: Magis meretur vel unam lacrimam emittere ob memoriam Passionis Christi quam si qualibet hebdomada in pane ieiunaret. Perciò i santi si son sempre occupati a considerare i dolori di Gesù Cristo. S. Francesco d'Assisi per tal mezzo diventò un serafino. Un giorno fu trovato da un galantuomo piangendo e gridando a gran voce; dimandato, perchè? «Piango, rispose, i dolori e le ignominie del mio Signore; e quello che più mi fa piangere è che gli uomini, per cui egli ha patito tanto, ne vivono scordati». E ciò dicendo raddoppiò le lagrime, sì che colui anch'esso si pose a piangere. Quando il santo udiva belare un agnello o vedeva altra cosa che gli rinnovava la memoria di Gesù appassionato, subito rinnovava le lagrime. Stando un'altra volta infermo, uno gli disse che si avesse fatto leggere qualche libro divoto: «Il libro mio, rispose, è Gesù crocifisso». E perciò non faceva altro che esortare i suoi frati a pensar sempre alla Passione di Gesù Cristo.
Scrive il Tiepoli: «Chi non s'innamora di Dio col mirare Gesù morto in croce, non s'innamora mai».
Affetti e preghiere.
O Verbo eterno, voi avete spesi trentatre anni di sudori e stenti, avete dato il sangue e la vita per salvare gli uomini, in somma niente avete risparmiato per farvi da essi amare; e come poi si ritrovano uomini che ciò sanno e non v'amano? Oh Dio, che tra questi sconoscenti uno son io. Vedo il torto che vi ho fatto; Gesù mio, abbiate pietà di me. Io vi offerisco questo ingrato mio cuore: ingrato, ma pentito. Sì, che mi pento sovra ogni male, caro mio Redentore, d'avervi disprezzato. Mi pento e vi amo con tutta l'anima mia.
Anima mia, ama un Dio legato come reo per te, un Dio flagellato come schiavo per te, Un Dio fatto re di scherno per te, un Dio finalmente morto in croce da ribaldo per te.
Sì, mio Salvatore, mio Dio, io v'amo, io v'amo. Deh ricordatemi sempre quanto avete patito per me, acciocch'io non mi scordi più di amarvi.
Funi che legaste Gesù, stringetemi con Gesù; spine che coronaste Gesù, feritemi d'amore verso Gesù; chiodi che trafiggeste Gesù, inchiodatemi alla croce di Gesù, acciocch'io viva e muoia unito con Gesù.
O sangue di Gesù, inebbriatemi di santo amore. O morte di Gesù, fatemi morire ad ogni affetto di terra. Piedi trafitti del mio Signore, a voi m'abbraccio, liberatemi dall'inferno da me meritato.
Gesù mio, nell'inferno non ti potrei più amare, ma io ti voglio sempre amare. Amato mio Salvatore, salvami, stringimi con te, e non permettere ch'io t'abbia più da perdere.
O rifugio de' peccatori, Maria, e madre del mio Salvatore, aiutate un peccatore che vuole amare Dio, ed a voi si raccomanda; soccorretemi per l'amore che portate a Gesù Cristo.

"AVE MARIA PURISSIMA!"