sabato 17 maggio 2014

Domenica 18 Maggio 2014, V Domenica di Pasqua - Anno A


di Maria Valtorta



Domenica 18 Maggio 2014, V Domenica di Pasqua - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 14,1-12.
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.
Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; 
quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. 
E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». 
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». 
Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 
Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? 
Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. 
Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. 
In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. 
Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 9 Capitolo 600 pagina 471. 

18 Vi è qualche minuto di assoluto silenzio. Gesù sta a capo chino, carezzando macchinalmente i capelli biondi di Giovanni.
Poi si scuote. Alza la testa, gira lo sguardo, ha un sorriso che conforta i discepoli. Dice: «Lasciamo la tavola. E sediamo tutti ben vicini, come tanti figli intorno al padre». 
Prendono i letti-sedili che erano dietro la tavola (quelli di Gesù, Giovanni, Giacomo, Pietro, Simone, Andrea ed il cugino Giacomo) e li portano dall’altro lato. 
Gesù prende posto sul suo, sempre fra Giacomo e Giovanni. Ma, quando vede che Andrea sta per sedersi al posto lasciato dall’Iscariota, grida: «No, là no». Un grido impulsivo, che la sua somma prudenza non riesce a impedire. Poi modifica dicendo così: «Non occorre tanto spazio. Stando seduti, si può stare su questi soli. Bastano. Vi voglio molto vicini». 
Ora, rispetto alla tavola, sono messi così: [Disegno]
ossia sono in questa forma a U con Gesù al centro e avendo di fronte la tavola, spoglia di vivande ormai, e il posto di Giuda. 
Giacomo di Zebedeo chiama Pietro: «Siediti qui. Io mi siedo su questo sgabelletto, ai piedi di Gesù». 
«Che Dio ti benedica, Giacomo! Ne avevo tanta voglia!», dice Pietro e si serra al suo Maestro, che è così fra la stretta di Giovanni e Pietro, avendo ai piedi Giacomo. 
Gesù sorride: 
«Vedo che comincia ad operare la parola detta prima. I buoni fratelli si amano. Anche Io ti dico, Giacomo: “Che Dio ti benedica”. Anche questo tuo atto non sarà dimenticato dall’Eterno e lo troverai lassù. 
19Tutto Io posso di quanto Io chiedo. Voi lo avete visto. È bastato un mio desiderio perché il Padre concedesse al Figlio di darsi in Cibo all’uomo. Con quanto è accaduto adesso è stato glorificato il Figlio dell’uomo, perché è testimonianza di potere il miracolo che non è che possibile agli amici di Dio. Più è grande il miracolo e più è sicura e profonda questa divina amicizia. Questo è un miracolo che, per la sua forma, durata e natura, per gli estremi di esso ed i limiti che tocca, più forte non ce ne può essere. Io ve lo dico: tanto è potente, soprannaturale, inconcepibile all’uomo superbo, che ben pochi lo comprenderanno come va compreso, e molti lo negheranno. Che dirò allora? Condanna per loro? No. Dirò: pietà! 
Ma più grande è il miracolo, più grande è la gloria che all’autore dello stesso viene. È Dio stesso che dice: “Ecco, questo mio diletto ciò che ha voluto ha avuto, ed Io l’ho concesso perché egli ha grande grazia agli occhi miei”. E qui dice; “Ha una grazia senza limiti così come è infinito il miracolo da Lui compiuto”. Parimenti alla gloria che si riversa sull’autore del miracolo da parte di Dio è la gloria che da esso autore si riversa sul Padre. Perché ogni gloria soprannaturale, essendo veniente da Dio, alla sua sorgente ritorna. E la gloria di Dio, per quanto già infinita, sempre più si aumenta e sfavilla per la gloria dei suoi santi. Onde Io dico: come è stato glorificato il Figlio dell’uomo da Dio, così Dio è stato glorificato dal Figlio dell’uomo. Io ho glorificato Dio in Me stesso. A sua volta, Dio glorificherà il suo Figlio in Lui. Ben presto lo glorificherà. 
20Esulta, Tu che torni alla tua Sede, o Essenza spirituale della Seconda Persona! Esulta, o Carne che torni ad ascendere dopo tanto esilio nel fango! E non già il Paradiso d’Adamo, ma l’eccelso Paradiso del Padre sta per esserti dato a dimora. Ché, se è stato detto che per lo stupore di un comando di Dio, dato per bocca di un uomo, si arrestò il sole, che non avverrà negli astri quando vedranno il prodigio della Carne dell’Uomo ascendere e sedersi alla destra del Padre nella sua Perfezione di materia glorificata? 
Figliolini miei, per poco ancora Io resto con voi. E voi, dopo, mi cercherete come gli orfani cercano il morto genitore. E piangendo andrete parlando di Lui e picchierete invano al muto sepolcro, e poi ancora picchierete alle porte azzurre dei Cieli, con l’anima vostra lanciata in supplice ricerca d’amore, dicendo: “Dove il nostro Gesù? Lo vogliamo. Senza Lui non è più luce nel mondo, non letizia, né amore. O ce lo rendete, oppure lasciateci entrare. Noi vogliamo essere dove Egli è”. Ma non potete per ora venire dove Io vado. L’ho detto anche ai giudei: “Poi mi cercherete, ma dove Io vado voi non potete venire”. Lo dico anche a voi. 
21Pensate alla Madre... Neppure Lei potrà venire dove Io vado. Eppure Io ho lasciato il Padre per venire a Lei e farmi Gesù nel suo seno senza macchia. Eppure dall’Inviolata Io sono venuto, nell’estasi luminosa del mio Natale. E del suo amore, divenuto latte, mi sono nutrito. Io sono fatto di purità e di amore perché Maria mi ha nutrito della sua verginità fecondata dall’Amore perfetto che vive in Cielo. Eppure per Lei Io sono cresciuto, costandole fatiche e lacrime... Eppure Io le chiedo un eroismo quale mai fu compito, e rispetto al quale quello di Giuditta e Giaele sono eroismi di povere femmine contrastanti colla rivale presso la fonte del paese. Eppure nessuno pari a Lei è nell’amarmi. E, ciononostante, Io la lascio e vado dove Lei non verrà che fra molto tempo. Per Lei non è il comando che do a voi: “Santificatevi anno per anno, mese per mese, giorno per giorno, ora per ora, per potere venire a Me quando sarà la vostra ora”. In Lei è ogni grazia e santità. È la creatura che ha tutto avuto e che tutto ha dato. Nulla vi è da aggiungere o da levare. È la santissima testimonianza di ciò che può Iddio. 
22Ma per essere certo che in voi sia capacità di potermi raggiungere e di dimenticare il dolore del lutto della separazione dal vostro Gesù, Io vi do un comandamento nuovo. Ed è che vi amiate gli uni con gli altri. Così come Io ho amato voi, ugualmente voi amatevi l’uno con l’altro. Da questo si conoscerà che siete miei discepoli. Quando un padre ha molti figli, da che si conosce che tali sono? Non tanto per l’aspetto fisico - perché vi sono uomini che sono in tutto simili ad un altro uomo, col quale non vi è nessun rapporto di sangue e neppure di nazione - quanto per il comune amore alla famiglia, al padre loro, e fra loro. Ed anche morto il padre non si disgrega la buona famiglia, perché il sangue è uno ed è sempre quello avuto dal seme del padre, e annoda legami che neppure la morte scioglie, perché più forte della morte è l’amore. Ora, se voi vi amerete anche dopo che Io vi avrò lasciati, tutti riconosceranno che voi siete miei figli, e perciò miei discepoli, e fra voi fratelli avendo avuto un unico padre». 
23«Signore Gesù, ma dove vai?», chiede Pietro. 
«Vado dove tu per ora non mi puoi seguire. Ma più tardi mi seguirai». 
«E perché non adesso? Ti ho seguito sempre da quando Tu mi hai detto: “Seguimi”. Ho tutto lasciato senza rimpianto... Ora, andartene senza il tuo povero Simone, lasciandomi privo di Te, mio Tutto, dopo che per Te ho lasciato il mio poco bene di prima, non è giusto né bello da parte tua. Vai alla morte? Sta bene. Ma io pure vengo. Andremo insieme nell’altro mondo. Ma prima ti avrò difeso. Io sono pronto a dare la vita per Te». 
«Tu darai la tua vita per Me? Ora? Ora no. In verità - oh! che in verità te lo dico - non avrà ancora cantato il gallo che tu mi avrai rinnegato tre volte. Ora è ancora la prima vigilia. Poi verrà la seconda... e poi la terza. Prima che scocchi il gallicinio, tu avrai per tre volte rinnegato il tuo Signore». 
«Impossibile, Maestro! Credo a tutto ciò che dici. Ma non a questo. Sono sicuro di me». 
«Ora, per ora sei sicuro. Ma perché ora hai ancora Me. Hai con te Iddio. Fra poco l’incarnato Iddio sarà preso e non l’avrete più. E Satana, dopo avervi già appesantiti - la tua stessa sicurezza è una astuzia di Satana, zavorra per appesantirti - vi spaurirà. Vi insinuerà: “Dio non è. Io sono”. E siccome, per quanto ottusi dallo spavento, ancora ragionerete, voi capirete che quando è Satana il padrone dell’ora è morto il Bene ed è operante il Male, abbattuto lo spirito e trionfante l’umano. Allora resterete come guerrieri senza duce, inseguiti dal nemico, e nello sbigottimento dei vinti curverete le schiene al vincitore, e per non essere uccisi rinnegherete il caduto eroe. 
24Ma, ve ne prego. Il vostro cuore non si turbi. Credete in Dio. E credete anche in Me. Contro tutte le apparenze, credete in Me. Creda nella mia misericordia e in quella del Padre tanto colui che resta come colui che fugge. Tanto colui che tace come colui che aprirà la bocca per dire: “Io non lo conosco”. Ugualmente credete nel mio perdono. E credete che, quali che siano in futuro le vostre azioni, nel Bene e nella mia Dottrina, nella mia Chiesa perciò, esse vi daranno un uguale posto in Cielo. 
Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se così non fosse, Io ve lo avrei detto. Perché Io vado avanti. A preparare un posto per voi. Non fanno forse così i buoni padri quando devono portare altrove la loro piccola prole? Vanno avanti, preparano la casa, le suppellettili, le provviste. E poi tornano a prendere le loro creature più care. Così fanno per amore. Perché ai piccoli nulla manchi, e non provino disagio nel nuovo paese. Ugualmente così Io faccio. E per lo stesso motivo. Ora vado. E quando avrò preparato ad ognuno il posto nella Gerusalemme celeste, verrò di nuovo, vi prenderò con Me perché siate con Me dove Io sono, dove non ci sarà più né morte, né lutti, né lacrime, né grida, né fame, né dolore, né tenebre, né arsione, ma solo luce, pace, beatitudine e canto. 
Oh! canto dei Cieli altissimi quando i dodici eletti saranno sui troni coi dodici patriarchi delle tribù d’Israele, e nell’ardenza del fuoco dell’amore spirituale canteranno, eretti sul mare della beatitudine, il cantico eterno che avrà ad arpeggio l’eterno alleluia dell’esercito angelico... 
25Io voglio che dove Io sarò voi siate. E voi sapete dove Io vado e ne conoscete la via». 
«Ma Signore! Noi non sappiamo nulla. Tu non ci dici dove vai. Come possiamo noi sapere la via da prendere per venire verso Te e abbreviare l’attesa?», chiede Tommaso. 
«Io sono la Via, la Verità, la Vita. Me lo avete sentito dire e spiegare più volte, ed in verità alcuni, che neppure sapevano esservi un Dio, si sono incamminati avanti, per la mia via, e sono già avanti di voi. Oh! dove sei tu, pecora spersa di Dio che Io ho ricondotta all’ovile? E dove tu, risorta d’anima?». 
«Chi? Di chi parli? Di Maria di Lazzaro? È di là, con tua Madre. La vuoi? O vuoi Giovanna? Certo è nel suo palazzo. Ma, se vuoi, te l’andiamo a chiamare...». 
«No. Non loro... Penso a quella che sarà disvelata solo in Cielo... e a Fotinai... Esse mi hanno trovato. E non hanno più lasciato la mia via. Ad una ho indicato il Padre come Dio vero e lo spirito come levita in questa individuale adorazione. All’altra, che neppur sapeva di avere uno spirito, ho detto: “Il mio nome è Salvatore, salvo chi ha buona volontà di salvarsi. Io sono Colui che cerca i perduti, che dà la Vita, la Verità e la Purezza. Chi mi cerca mi trova”. E ambedue hanno trovato Iddio... Vi benedico, deboli Eve divenute più forti di Giuditta... Vengo, dove voi siete vengo... Voi mi consolate... Siate benedette!...». 
26«Mostraci il Padre, Signore, e saremo pari a queste», dice Filippo. 
«Da tanto tempo Io sono con voi, e tu, Filippo, non mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me vede il Padre mio. Come puoi dunque dire: “Mostraci il Padre”? Non riesci a credere che Io sono nel Padre e il Padre è in Me? Le parole che Io vi dico non le dico da Me. Ma il Padre che dimora in Me compie ogni mia opera. E voi non credete che Io sono nel Padre e Lui è in Me? Che devo dire per farvi credere? Ma se non credete alle parole, credete almeno alle opere. 
Io vi dico, e ve lo dico con verità: chi crede in Me farà le opere che Io faccio, e ancor di maggiori ne farà, perché Io vado al Padre. E tutto quanto domanderete al Padre in mio nome Io lo farò, perché il Padre sia glorificato nel suo Figlio. E farò quanto mi domanderete in nome del mio Nome. Il mio Nome è noto, per quello che realmente è, a Me solo, al Padre che mi ha generato e allo Spirito che dal nostro amore procede. E per quel Nome tutto è possibile. Chi pensa al mio Nome con amore mi ama e ottiene. 
Ma non basta amare Me, occorre osservare i miei comandamenti per avere il vero amore. Sono le opere quelle che testificano dei sentimenti. E per questo amore Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore che resti per sempre con voi, Uno su cui Satana e il mondo non può infierire, lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere e non può colpire, perché non lo vede e non lo conosce. 
Lo deriderà. Ma Egli è tanto eccelso che lo scherno non lo potrà ferire, mentre, pietosissimo sopra ogni misura, sarà sempre con chi lo ama, anche se povero e debole. Voi lo conoscerete, perché già dimora con voi e presto sarà in voi. 
27Io non vi lascerò orfani. Già ve l’ho detto: “Ritornerò a voi”. Ma, prima che sia l’ora di venirvi a prendere per andare nel mio Regno, Io verrò. A voi verrò. Fra poco il mondo non mi vedrà più. Ma voi mi vedete e mi vedrete. Perché Io vivo e voi vivete. Perché Io vivrò e voi pure vivrete. In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me ed Io in voi. Perché chi accoglie i miei precetti e li osserva, quello è colui che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio e possederà Iddio, perché Dio è carità e chi ama ha in sé Dio. Ed Io lo amerò, perché in lui vedrò Iddio, e mi manifesterò a lui facendomi conoscere nei segreti del mio amore, della mia sapienza, della mia Divinità incarnata. Saranno i miei ritorni fra i figli dell’uomo, che Io amo nonostante siano deboli e anche nemici. Ma costoro saranno solo deboli. Ed Io li fortificherò; dirò loro: “Sorgi!”, dirò: “Vieni fuori!”, dirò: “Seguimi”, dirò: “Odi”, dirò: “Scrivi”... e voi siete fra questi». 
«Perché, Signore, Tu ti manifesti a noi e non al mondo?», chiede Giuda Taddeo. 
«Perché mi amate e osservate le mie parole. Chi così farà, sarà amato dal Padre e Noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui, in lui. Mentre chi non mi ama non osserva le mie parole e fa secondo la carne e il mondo. Ora sappiate che ciò che Io vi ho detto non è parola di Gesù Nazareno ma parola del Padre, perché Io sono il Verbo del Padre che mi ha mandato. Io vi ho detto queste cose parlando così, con voi, perché voglio Io stesso prepararvi al possesso completo della Verità e Sapienza. Ma ancora non potete capire né ricordare. Però, quando verrà a voi il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio Nome, allora voi potrete capire, ed Egli tutto vi insegnerà, e vi ricorderà quanto Io vi ho detto. 
28Io vi lascio la mia pace. Io vi do la mia pace. Ve la do non come la dà il mondo. E neppure come fino ad ora ve l’ho data: saluto benedetto del Benedetto ai benedetti. Più profonda è la pace che ora vi do. In questo addio. Io vi comunico Me stesso, il mio Spirito di pace, così come vi ho comunicato il mio Corpo e il mio Sangue, perché in voi resti una forza nella imminente battaglia. Satana e il mondo sferrano guerra al vostro Gesù. È la loro ora. Abbiate in voi la Pace, il mio Spirito che è spirito di pace, perché Io sono il Re della pace. Abbiatela per non essere troppo derelitti. Chi soffre con la pace di Dio in sé soffre, ma non bestemmia e dispera. 
Non piangete. Avete pure sentito che ho detto: “Vado al Padre e poi tornerò”. Se mi amaste sopra la carne, vi rallegrereste, perché Io vado dal Padre dopo tanto esilio... Vado da Colui che è maggiore di Me e che mi ama. Io ve l’ho detto ora, prima che ciò si compia, così come vi ho detto tutte le sofferenze del Redentore prima di andare ad esse, affinché, quando tutto si compia, voi crediate sempre più in Me. Non turbatevi così! Non sgomentatevi. Il vostro cuore ha bisogno di equilibrio... 
29Poco più ho da parlarvi... e ancora tanto ho da dire! Giunto al termine di questa mia evangelizzazione, mi pare di non avere ancora nulla detto e che tanto, tanto, tanto ancora resti da fare. Il vostro stato aumenta questa mia sensazione. E che dirò allora? Che Io ho mancato al mio ufficio? O che voi siete così duri di cuore che a nulla esso è valso? Dubiterò? No. Mi affido a Dio, e a Lui affido voi, miei diletti. Egli compirà l’opera del suo Verbo. Non sono come un padre che muore e non ha altra luce che l’umana. Io spero in Dio. E pure sentendo in Me urgere tutti i consigli di cui vi vedo bisognosi e sentendo fuggire il tempo, vado tranquillo alla mia sorte. So che sui semi caduti in voi sta per scendere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il sole del Paraclito, ed essi diverranno albero potente. Sta per venire il principe di questo mondo, colui col quale Io non ho nulla a che fare. E, se non fosse per fine di redenzione, non avrebbe potuto nulla su Me. Ma ciò avviene affinché il mondo conosca che Io amo il Padre e lo amo fino alla ubbidienza di morte, e perciò faccio ciò che mi ha ordinato. 
30È l’ora di andare. Alzatevi. E udite le ultime parole. 
Io sono la vera Vite. Il Padre ne è il Coltivatore. Ogni tralcio che non porta frutto Egli lo recide e quello che porta frutto lo pota perché ne porti più ancora. Voi siete già purificati per la mia parola. Rimanete in Me ed Io in voi per continuare ad essere tali. Il tralcio staccato dalla vite non può fare frutto. Così voi se non rimanete in Me. Io sono la Vite e voi i tralci. Colui che resta unito a Me porta abbondanti frutti. Ma se uno si stacca diviene ramo secco e viene buttato nel fuoco e là brucia. Perché, senza l’unione con Me, voi nulla potete fare. Rimanete dunque in Me e le mie parole restino in voi, poi domandate quanto volete e vi sarà fatto. Il Padre mio sarà sempre più glorificato quanto più voi porterete frutto e sarete miei discepoli. 
31Come il Padre mi ha amato, così Io con voi. Rimanete nel mio amore che salva. Amandomi sarete ubbidienti, e l’ubbidienza aumenta il reciproco amore. Non dite che Io mi ripeto. So la vostra debolezza. E voglio che vi salviate. Io vi dico queste cose perché la gioia che vi ho voluto dare sia in voi e sia completa. Amatevi, amatevi! Questo è il mio comandamento nuovo. Amatevi scambievolmente più di quanto ognuno ami se stesso. Non vi è maggior amore di quello di colui che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici ed Io do la vita per voi. Fate ciò che Io vi insegno e comando. 
Non vi chiamo più servi. Perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone, mentre voi sapete ciò che Io faccio. Tutto di Me sapete. Vi ho manifestato non solo Me stesso, ma anche il Padre ed il Paraclito e tutto quanto ho sentito da Dio. 
Non siete stati voi che vi siete scelti. Ma Io vi ho scelti e vi ho eletti, perché andiate fra i popoli, e facciate frutto in voi e nei cuori degli evangelizzati, e il vostro frutto rimanga e il Padre vi dia tutto ciò che gli chiederete in mio Nome. 
32Non dite: “E allora, se Tu ci hai scelti, perché hai scelto un traditore? Se tutto Tu sai, perché hai fatto questo?”. Non chiedetevi neppure chi è costui. Non è un uomo. È Satana. L’ho detto all’amico fedele e l’ho lasciato dire dal figlio diletto. È Satana. Se Satana non si fosse incarnato, l’eterno scimmiottatore di Dio, in una carne mortale, questo posseduto non avrebbe potuto sfuggire al mio potere di Gesù. Ho detto: “posseduto”. No. È molto di più: è un annullato in Satana». 
«Perché, Tu che hai cacciato i demoni, non lo hai liberato?», chiede Giacomo d’Alfeo. 
«Lo chiedi per amore di te, temendo essere tu quello? Non lo temere». 
«Io, allora?». 
«Io?». 
«Io?». 
«Tacete. Non dico quel nome. Uso misericordia e voi fate ugualmente». 
«Ma perché non lo hai vinto? Non potevi?». 
«Potevo. Ma, per impedire a Satana di incarnarsi per uccidermi, avrei dovuto sterminare la razza dell’uomo avanti la Redenzione. Che avrei allora redento?». 
«Dimmelo, Signore, dimmelo!». Pietro è scivolato in ginocchio e scuote freneticamente Gesù come fosse in preda a delirio. «Sono io? Sono io? Mi esamino? Non mi pare. Ma Tu... Tu hai detto che ti rinnegherò... Ed io tremo... Oh! che orrore essere io!…». 
«No, Simone di Giona. Non tu». 
«Perché mi hai levato il mio nome di “Pietra”? Sono dunque tornato Simone? Lo vedi? Tu lo dici!... Sono io! Ma come ho potuto? Ditelo... ditelo voi... Quando è che ho potuto divenire traditore?… Simone?… Giovanni?… Ma parlate!…». 
«Pietro, Pietro, Pietro! Ti chiamo Simone perché penso al primo incontro, quando eri Simone. E penso come sei sempre stato leale dal primo momento. Non sei tu. Lo dico Io: Verità». 
«Chi, allora?». 
«Ma è Giuda di Keriot! Non lo hai ancora capito?», urla il Taddeo che non riesce più a contenersi. 
«Perché non me lo hai detto prima? Perché?», urla anche Pietro. 
«Silenzio. È Satana. Non ha altro nome. Dove vai, Pietro?». 
«A cercarlo» . 
«Posa subito quel mantello e quell’arma. O ti devo scacciare e maledire?». 
«No, no! Oh! Signor mio! Ma io... ma io... Sono forse malato di delirio, io? Oh! Oh!». Pietro piange, gettato per terra ai piedi di Gesù. 
33«Io vi do comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l’odio, in voi sia solo l’amore. Per tutti. Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e rendere loro male per male. Altrimenti il Padre odierà voi. Prima di voi fui odiato e tradito Io. Eppure, voi lo vedete, Io non odio. Il mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi Io presi da mezzo al mondo. E per questo siete odiati. 
Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure. Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi. Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perché non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero colpevoli. Ma ora il loro peccato è senza scusa. Hanno visto le mie opere, udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre. Perché Io e il Padre siamo una sola Unità con l’Amore. Ma era scritto: “Mi odiasti senza ragione”. Però, quando sarà venuto il Consolatore, lo Spirito di verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi pure mi testimonierete, perché dal principio foste con Me. 
Questo vi dico perché, quando sarà l’ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a Dio con ciò. Non hanno conosciuto né il Padre né Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così ampie prima di ora, queste cose, perché eravate come bambini pur mo’ nati. Ma ora la madre vi lascia. Io vado. Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate. 
34Nessuno più mi chiede: “Dove vai?”. La tristezza vi fa muti. Eppure è bene anche per voi che Io me ne vada. Altrimenti non verrà il Consolatore. Io ve lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso la sapienza e la parola, le opere e l’eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo peccato deicida e di giustizia sulla mia santità. E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi, nemici di Dio, e nei credenti. Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere. Ma il giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto. Di più non posso dirvi, perché ancora non potete intendere. Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perché non parlerà di Se stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di Dio e vi annunzierà il futuro. Prenderà ciò che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà.
Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete. 
35Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro. Udite una parabola. L’ultima del vostro Maestro. 
Quando una donna ha concepito e giunge all’ora del parto, è in grande afflizione perché soffre e geme. Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la tristezza si muta in gioia, perché un uomo è venuto al mondo. 
Così voi. Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia. Una gioia che il mondo mai conoscerà. Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi. Una gioia così piena che vi offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne. Solo vi pascerete di rivedermi, dimenticando ogni altra cosa. Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e vi sarà dato dal Padre perché abbiate sempre più gioia. Domandate, domandate. E riceverete. Viene l’ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perché sarete stati fedeli nella prova e tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perché vi avrà dato forza nella prova. E quanto a voi mancherà Io ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: “Padre, lo vedi. Essi mi hanno amato credendo che Io venni da Te”. Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre, e pregherò per voi». 
36«Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da Dio!». 
«Adesso credete? All’ultima ora? È tre anni che vi parlo! Ma già in voi opera il Pane che è Dio e il Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione. Voi diverrete dèi se sarete perseveranti nel mio amore e nel mio possesso. Non come lo disse Satana ad Adamo ed Eva, ma come Io ve lo dico. È il vero frutto dell’albero del Bene e della Vita. Il Male è vinto in chi se ne pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà “dio” nel Regno di Dio. Voi sarete dèi se permarrete in Me. Eppure ecco... pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue, poiché sta venendo l’ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete solo... Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare! Tutto vi ho detto... Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate fede. Io ho vinto il mondo». 
37Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre. Giovanni la riporta integralmente. 
Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente. Per ultimo cantano un inno. 
38Gesù li benedice. Poi ordina: «Mettiamoci i mantelli, ora. E andiamo. Andrea, di’ al capo di casa di lasciare tutto così, per mio volere. Domani... vi farà piacere rivedere questo luogo». Gesù lo guarda. Pare benedire le pareti, i mobili, tutto. Poi si ammantella e si avvia, seguito dai discepoli. 
Al suo fianco è Giovanni, al quale si appoggia. «Non saluti la Madre?», gli chiede il figlio di Zebedeo. 
«No. È tutto già fatto. Fate, anzi, piano». 
Simone, che ha acceso una torcia alla lumiera, illumina l’ampio corridoio che va alla porta. Pietro apre cauto il portone ed escono tutti nella via e poi, facendo giocare un ordigno, chiudono dal di fuori. E si pongono in cammino. 
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

venerdì 16 maggio 2014

Festa di San Giovanni Nepomuceno, martire del sigillo sacramentale.


S. Giovanni Nepomuceno è il martire del sigillo sacramentale.
Nacque nel 1330 a Napomuk, in Boemia. Cominciò gli studi ecclesiastici nella città di Praga e fu consacrato sacerdote dall’arcivescovo di quella città.

Appena ordinato, si diede con zelo alla sacra predicazione, e il re Venceslao lo volle come predicatore di corte. Non passò molto tempo che l’arcivescovo, per dargli un premio volle eleggerlo canonico della cattedrale e l’imperatore lo propose alla sede vescovile di Leitometitz. 

Spaventato il buon canonico di tanti onori e responsabilità, riuscì a persuadere il sovrano a ritirare la sua proposta. La moglie di Venceslao, la piissima Giovanna di Baviera, conosciutolo, lo elesse per suo confessore e direttore di spirito. La buona regina passava ore intere dinanzi al Santissimo Sacramento, fuggiva anche l’ombra del peccato ed era a tutti esempio di grande virtù. Però il re, corrotto, sospettava che Giovanna gli fosse infedele e la tormentava spesso per conoscere ciò che esisteva solo nella sua mente. 

Riuscendo naturalmente infruttuose tutte le sue investigazioni, e non essendo ancora convinto dell’innocenza della consorte, deliberò di interrogare il suo confessore e farsi rivelare da lui, o per amore o per forza, quanto la regina gli diceva in confessionale. Chiamato a sé Giovanni, lo interrogò in belle maniere e con promesse di onori gli intimò di parlare. Il Santo rabbrividì alla proposta e rispose con coraggio che in quella richiesta non poteva assolutamente obbedirlo.  

Dopo essere stato minacciato della prigionia, e anche di peggio, fu richiamato dopo qualche giorno a svelare quanto gli era stato ordinato. Ma Giovanni si mostrò inflessibile sia quella volta che una terza, quando il re lo invitò a un pranzo. 

All’ennesimo fermo rifiuto il re ordinò ai suoi sgherri di gettarlo nel fiume Moldava che passa per Praga. Di notte, perché non vi fosse il pericolo di una sommossa del popolo. Giovanni venne condotto sul ponte della città e, tra il sesto e il settimo pilastro (dove ancora una croce ricorda il delitto), venne gettato nella corrente. Era l’anno 1383.

Il mattino seguente però sulle sponde del fiume galleggiava un cadavere circondato da una luce misteriosa. Fu tratta alla riva e si riconobbe Giovanni. Tutta la città fu sottosopra appena chiarito il mistero e conosciuto l’autore del misfatto. Con una processione, il corpo fu portato alla vicina chiesa di S. Croce, mentre ogni persona, piangente, accorreva a baciargli i piedi e a raccomandarsi alla sua intercessione. 
AMDG et BVM

Giusto per ...aggiornarsi e riflettere


Nantes, tutti i liceali maschi a scuola con la gonna per parità tra i sessi. E’ polemica

http://qn.quotidiano.net/curiosita/2014/05/14/1065430- maschi-gonna-scuola.shtml Nantes, tutti i liceali maschi a scuola con la gonna per parità tra i sessi. E’ polemica L’iniziativa, lanciata dai liceali e approvata dal provveditorato agli studi, sta però scatenando l’ira di movimenti anti-nozze gay, di cattolici e della destra. Nantes, 14 magggio 2014 – La parità su tutto, così gli studenti maschi si presenteranno in gonna al liceo in nome … Continue reading 

Sudan: cristiana condanna a morte. La donna, 27 anni, è incinta di otto mesi. Sarà impiccata

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2014/05/15/sudan-cristiana -condanna-a-morte_0a73e671-2b8c-4211-a64d-de16e3faca05.html Sudan: cristiana condanna a morte La donna, 27 anni, è incinta di otto mesi. Sarà impiccata Un tribunale sudanese ha condannato a morte per impiccagione una donna cristiana con l’accusa di apostasia. Mariam Yehya Ibrahim, 27 anni è incinta di otto mesi. Il padre della donna è musulmano e la madre è cristiana. Il giudice le ha inflitto … Continue reading 

SERENATA ALLA MADONNA



SERENATA ALLA MADONNA



Quanto sei bella Mamma,
quanto sei bella Mamma mia Divina,
ti ride ‘ntorno el cielo e ti incorona,
la terra tutta  ‘ntorno te se ‘nchina,
quanto sei bella Mamma (2 v.) mia Divina;
c’èl sole che te serve c’èl sole che te serve da cintura,
come tappeto ai piedi come tappeto ai piedi stà la luna;
sei tanto bella più di ogni creatura  c’èl sole che te serve
c’èl sole che te serve da cintura, te vojo tanto bene e m’hai ‘ncantato,
c’iavevo in petto er core  c’iavevo in petto er core e l’ho perduto.
Dimmelo Tu o Mamma se l'hai rubato, Ti voglio tanto bene, Ti voglio tanto bene e m'hai incantato.

         Tu c’hai la primavera Tu c’hai la primavera nel sorriso,
l’aria che T’accarezza  l’aria che T’accarezza  se  ‘nprofuma  T’enfiora e bacia
insieme er Paradiso. Tu c’hai la primavera Tu c’hai la primavera nel sorriso.
(finale:)  Te vojo tanto bene e m’hai  ‘ncantato.





Magnificat Anima Mea Dominum



giovedì 15 maggio 2014

Magnificat



Il Magnificat di Maria e di tutta la Chiesa

Ecco il discorso pronunziato dal Santo Padre Benedetto XVI nell’Udienza generale di Mercoledì 15 Febbraio 2006, riportandone una significativa sintesi, suddivisa in paragrafi:






Cantico della Beata Vergine


1. Siamo giunti ormai all'approdo finale del lungo itinerario cominciato proprio cinque anni fa, nella primavera del 2001, dal mio amato Predecessore, l'indimenticabile Papa Giovanni Paolo II. Il grande Papa aveva voluto percorrere nelle sue catechesi l'intera sequenza dei Salmi e dei Cantici che costituiscono il tessuto orante fondamentale della Liturgia delle Lodi dei Vespri. Pervenuti ormai alla fine di questo pellegrinaggio testuale, simile a un viaggio nel giardino fiorito della lode, dell'invocazione, della preghiera e della contemplazione, lasciamo ora spazio a quel Cantico che idealmente suggella ogni celebrazione dei Vespri, il Magnificat (Lc 1, 46-55).
È un canto che rivela in filigrana la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano "poveri" non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell'umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell'orgoglio, aperto all'irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat, che abbiamo sentito adesso dalla Cappella Sistina, è, infatti, marcato da questa "umiltà", in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.

2. Il primo movimento del cantico mariano (cfr Lc 1, 46-50) è una sorta di voce solista che si leva verso il cielo per raggiungere il Signore. Sentiamo proprio la voce della Madonna che parla così del suo Salvatore, che ha fatto grandi cose nella sua anima e nel suo corpo. Si noti, infatti, il risuonare costante della prima persona: "L'anima mia... il mio spirito... mio salvatore... mi chiameranno beata... grandi cose ha fatto in me...". L'anima della preghiera è, quindi, la celebrazione della grazia divina che ha fatto irruzione nel cuore e nell'esistenza di Maria, rendendola la Madre del Signore.
L'intima struttura del suo canto orante è, allora, la lode, il ringraziamento, la gioia riconoscente. Ma questa testimonianza personale non è solitaria e intimistica, puramente individualistica, perché la Vergine Madre è consapevole di avere una missione da compiere per l'umanità e la sua vicenda si inserisce all'interno della storia della salvezza. E così può dire: "Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono" (v. 50). La Madonna con questa lode del Signore dà voce a tutte le creature redente che nel suo "Fiat", e così nella figura di Gesù nato dalla Vergine, trovano la misericordia di Dio.

3. È a questo punto che si svolge il secondo movimento poetico e spirituale del Magnificat (cfr vv. 51-55). Esso ha una tonalità più corale, quasi che alla voce di Maria si associ quella dell'intera comunità dei fedeli che celebrano le scelte sorprendenti di Dio. Nell'originale greco del Vangelo di Luca abbiamo sette verbi all'aoristo, che indicano altrettante azioni che il Signore compie in modo permanente nella storia: "Ha spiegato la potenza... ha disperso i superbi... ha rovesciato i potenti... ha innalzato gli umili... ha ricolmato di beni gli affamati... ha rimandato i ricchi... ha soccorso Israele".
In questo settenario di opere divine è evidente lo "stile" a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare "i superbi, i potenti e i ricchi". Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: "Coloro che lo temono", fedeli alla sua parola; "gli umili, gli affamati, Israele suo servo", ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono "poveri", puri e semplici di cuore. È quel "piccolo gregge" che è invitato a non temere perché al Padre è piaciuto dare ad esso il suo regno (cfr Lc 12, 32). E così questo canto ci invita ad associarci a questo piccolo gregge, ad essere realmente membri del Popolo di Dio nella purezza e nella semplicità del cuore, nell'amore di Dio.

4. Raccogliamo, allora, l'invito che nel suo commento al testo del Magnificat ci rivolge sant'Ambrogio, dice il grande Dottore della Chiesa: "Sia in ciascuno l'anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio... L'anima di Maria magnifica il Signore, e il suo spirito esulta in Dio, perché, consacrata con l'anima e con lo spirito al Padre e al Figlio, essa adora con devoto affetto un solo Dio, dal quale tutto proviene, e un solo Signore, in virtù del quale esistono tutte le cose" (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 2, 26-27: SAEMO, XI, Milano-Roma 1978, p. 169).



In questo meraviglioso commento del Magnificat di sant'Ambrogio mi tocca sempre particolarmente la parola sorprendente: "Se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio". Così il santo Dottore, interpretando le parole della Madonna stessa, ci invita a far sì che nella nostra anima e nella nostra vita il Signore trovi una dimora. Non dobbiamo solo portarlo nel cuore, ma dobbiamo portarlo al mondo, cosicché anche noi possiamo generare Cristo per i nostri tempi. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a magnificarlo con lo spirito e l'anima di Maria e a portare di nuovo Cristo al nostro mondo.

AMDG et BVM

Lettera ad un amico: «Figli miei, siate devoti di Maria, ama raccomandare: so quello che dico! Siate devoti di Maria!»


Carissimo Amico,

«Sono le leggi del Vangelo e i comandi di Cristo che conducono alla gioia e alla felicità: questa è la verità proclamata da san Filippo Neri ai giovani che incontrava nel suo quotidiano lavoro apostolico. Era, il suo, un annuncio dettato dall’intima esperienza di Dio fatta soprattutto nell’orazione» (S. Giovanni Paolo II, il 7 ottobre 1994, in occasione del quarto centenario della morte del santo). Pochi uomini hanno lasciato nella città di Roma un’impronta così forte, profonda e duratura come san Filippo Neri, questo “pazzo di dio”. Eppure non ha mai occupato posti importanti nella Chiesa. Ma la luce notevole che si è irradiata dalla sua persona si può percepire ancora oggi.

Filippo nasce a Firenze, in Toscana, il 21 luglio 1515, secondo di una famiglia con quattro figli. Suo padre, Francesco, è notaio. Sua madre, Lucrezia, muore quando egli ha cinque anni. Viene ben presto sostituita al focolare domestico da Alessandra, seconda moglie di Francesco, che circonda il bambino di una tenerezza particolare. Firenze è allora quella capitale delle arti e dei banchieri la cui fama si fa sentire anche lontano. Ancora molto giovane, Filippo, già notato per il suo carattere allegro e docile, frequenta i padri domenicani del convento di San Marco. Vi riceve una duplice influenza: quella della bellezza artistica, grazie ai dipinti realizzati sui muri dal Beato Fra Angelico; e quella di Savonarola, quel domenicano che, con la sua predicazione, ha sollevato la città circa trent’anni prima. Filippo ne deriva un ardente amore di Gesù e la chiamata alla conversione, ma, lungi dal condividere l’esaltazione di Savonarola, manifesterà equilibrio e mitezza.


Dopo il “sacco” (saccheggio) di Roma da parte dei lanzichenecchi imperiali, nel 1527, seguito da quello di Firenze, nel 1530, Filippo viene inviato presso un ricco parente che ha fatto fortuna nell’ambito tessile. Vi inizia una vita piena di calcoli di redditività sul commercio dei tessuti e delle lane, in cui conta solo il guadagno; ben presto, il giovane, turbato, si chiede come si possa in modo lecito ammassare tanto denaro quando i poveri sono così numerosi. Decide di lasciare il suo generoso benefattore per andare a condurre a Roma una vita più evangelica. Là, viene accolto da un compatriota fiorentino, direttore delle dogane, diventa precettore dei due figli del suo ospite e conduce una vita molto ascetica, nutrendosi di olive, pane e acqua. Roma si risolleva con fatica dalle devastazioni del terribile saccheggio del 1527. È considerata una città malfamata; eppure ospita correnti spirituali che lasciano presagire una rinascita della vita religiosa. Filippo approfitta della vicinanza dell’Università pontificia di Roma, “La Sapienza”, per studiare la filosofia e la teologia, non secondo un programma sistematico ma approfondendo le materie più utili per aiutare le persone che si rivolgeranno a lui.



L’ardore infuocato della carità

Il giovane si reca spesso di notte alla catacomba di San Sebastiano per pregare. Lì, durante la veglia di Pentecoste del 1544, lo Spirito Santo gli dona una grazia eccezionale: prova un ardore infuocato di carità nel suo cuore e vede una fiamma a forma di globo passargli attraverso le labbra; sente che questa fiamma gli arriva fino al cuore e lo fa vibrare molto intensamente. Questa grazia avrà una ripercussione su tutta la sua vita, poiché il suo cuore è stato come dilatato dall’amore divino. In occasione di una visita medica per una normale bronchite, il medico avrà lo stupore di constatare che delle costole sono state rotte dalla dilatazione fisica del cuore. In seguito, il Signore gratificherà spesso Filippo con estasi e doni soprannaturali.

Filippo attinge nelle sue lunghe ore di preghiera un intenso amore del prossimo che lo porta a visitare gli ospedali e ad acquisire una solida competenza d’infermiere. A quell’epoca, si tratta di un ministero quasi eroico, visto lo stato degli istituti di cura per i poveri; tuttavia, il giovane comprende rapidamente che i malati hanno soprattutto bisogno di sentirsi amati. Egli si occupa anche dei pellegrini poveri e infermi che arrivano a Roma, per i quali, insieme al suo confessore, Persiano Rosa, apre una casa di accoglienza. Ben presto, vi riceve anche dei convalescenti, che, non appena il loro stato inizia a migliorare, vengono cacciati dagli ospedali per far posto ad altri e si trovano spesso sulla strada, con gravi pericoli di ricadute. Questa attività si sviluppa a tal punto che, nel 1548, egli fonda la “Confraternita della Trinità dei Pellegrini”.



L’ora di fare il bene
Filippo Neri incontra spesso sant’Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni, soprattutto san Francesco Saverio; prende in considerazione persino, per un momento, di unirsi a loro. Grazie alla sua influenza, viene introdotta a Roma la devozione eucaristica detta delle “Quaranta Ore”, tempo di adorazione in riparazione degli scandali occasionati dalle feste del carnevale. Egli prende parte all’organizzazione dei gruppi di adoratori, ed esorta coloro che hanno terminato il loro tempo di orazione dicendo: «Andate, l’ora della vostra preghiera è finita, ma non quella di fare il bene.»
Convinto dal suo confessore, nonostante la resistenza della sua umiltà, a ricevere il sacerdozio, Filippo viene ordinato il 23 maggio 1551, all’età di 35 anni. Consapevole della sua indegnità, ritarda la celebrazione della sua prima Messa, ma, a poco a poco, arriva a concepire il Santo Sacrificio come una felicità divina e l’atto più sublime che possa compiere un uomo. Tuttavia, poiché le sue estasi e levitazioni diventano sempre più frequenti, evita di celebrare in pubblico. D’altra parte, l’amministrazione del sacramento della Penitenza rende il suo ministero presso le anime molto più fecondo. A partire dal 1551, si stabilisce presso la comunità sacerdotale di San Girolamo della Carità. Dall’alba a mezzogiorno, sente le confessioni nella chiesa; poi celebra la santa Messa, riceve e confessa nuovamente, nella sua camera. Sa mettere a loro agio i suoi penitenti e far sentire loro subito la sua benevolenza e la sua carità sacerdotale, parlando a ognuno da parte del Signore e consigliando la comunione frequente. Ci riparte da lui sollevati e riconfortati; il numero dei suoi fedeli cresce senza sosta. Ma la sua influenza gli attira persecuzioni e calunnie; lo invadono allora uno sgomento profondo e una vivissima sofferenza, al pensiero che i suoi detrattori impediscono il compiersi del bene. «O Gesù, dice nella sua preghiera, non ho cessato di chiederti la virtù della pazienza, perché non me la concedi? Perché permetti che mi si presentino tante occasioni di preoccupazione, di collera, d’impazienza?» La sua richiesta è giustificata, perché, come sottolineava santa Teresa d’Avila in una celebre poesia: «La pazienza ottiene tutto.»
Filippo Neri riunisce dei giovani in cenacolo. Possiede l’arte di spiegare le cose difficili, ma sa anche far partecipare i suoi ascoltatori alla conversazione. Il suo umorismo, talvolta audace, gli attira la stima di molti giovani curiosi, presto trascinati nel solco della sua fede ardente. Un giorno, uno studente gli espone i suoi sogni e le sue ambizioni, e il santo si accontenta di rispondere con una domanda, sempre la stessa: «E poi?» Il giovane finisce con il rendersi conto della vanità dei suoi progetti quando li si pesa con il peso dell’eternità.

Nel suo messaggio per la quaresima 2012, papa Benedetto XVI ha scritto: «Desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli… nelle comunità veramente mature nella fede, ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo.»



Riuniti nel Suo Nome
Durante le riunioni organizzate per i giovani, ci si intrattiene sulle Sacre Scritture, soprattutto sul Vangelo secondo san Giovanni, ma anche sugli autori spirituali come Giovanni Cassiano, santa Gertrude, ecc. Ciascuno può esprimere liberamente il proprio pensiero sul passo che è stato letto, sotto il controllo di Filippo; quest’ultimo è persuaso che lo Spirito Santo operi grandemente in queste riunioni, perché dove saranno due o tre riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro, ha promesso Gesù (Mt 18, 20). A poco a poco, questi giovani si formano alla vita spirituale, garanzia di entusiasmo e di rinnovamento dei cuori. È la nascita dell’“Oratorio”. Questo termine designa dapprima il locale in cui ci si riunisce per pregare, poi il gruppo di coloro che lo frequentano, denominati “Oratoriani”. 

Le riunioni comportano due sedute, una di preghiera e l’altra di riflessione in quattro ambiti: la storia della Chiesa, la vita dei santi, le questioni riguardanti la vita morale, infine l’orazione e le sue difficoltà. I giovani preparano essi stessi delle esposizioni orali; Filippo desidera che si parli di realtà concrete, illustrate da esperienze tratte dalla vita dei santi o dalla storia della Chiesa. Dopo le loro riunioni, egli trascina i suoi discepoli nella visita di una chiesa o di un ospedale; poi tutti si ritrovano all’aria aperta, per esempio sul colle Gianicolo; là, delle ricreazioni musicali diventano ben presto veri e propri concerti, grazie alla partecipazione di musicisti come Palestrina e dei membri della cappella pontificia. Questa musica di prima qualità attira, a sua volta, altre persone. Convinto che il bello conduca al bene, Filippo Neri fa entrare l’arte nel suo progetto educativo, promuovendo iniziative capaci di condurre al vero e al bello.


Tra le personalità che si confidano con Filippo, si conta Giovanni Battista Salviati, lontano cugino della regina Caterina de Medici. Quest’ultimo si converte e passa dal grande fasto all’estrema umiltà; il santo deve intervenire per dissuaderlo dal ricercare troppe umiliazioni.


Nel 1557, entra ancora giovane all’Oratorio Cesare Baronio. Discernendo la tempra della sua anima, Filippo lo sottopone a una serie di prove che sviluppano in lui pazienza e umiltà. Poi, con un intento apologetico nei confronti della storiografia protestante, lo orienta verso lo studio della storia della Chiesa, dove eccellerà, in particolare con gli Annales Ecclesiastici, opera monumentale che diventerà una delle basi della scienza moderna della storia della Chiesa. In seguito verrà nominato cardinale.


Gabriele Tana, giovane affetto da tubercolosi, si rivolta contro questa malattia. Trascorre un periodo di deserto spirituale con visioni diaboliche ed è tentato dalla disperazione. Filippo riporta la pace nella sua anima: il giovane ritrova la serenità e, al momento di morire, manifesta una grande gioia. Filippo Neri è spesso chiamato al letto dei morenti. L’effetto della sua presenza è impressionante, spesso accompagnato da guarigioni miracolose. Con i suoi discepoli, visita assiduamente i malati, e invia i suoi giovani a mendicare per i poveri alla porta delle chiese, il che è particolarmente difficile per i gentiluomini vestiti all’ultima moda.



Raccoglimento e allegria
A partire dal 1559, Filippo inaugura i pellegrinaggi alle sette basiliche maggiori di Roma, in spirito di penitenza. L’atmosfera è improntata al raccoglimento e all’allegria spirituale. All’inizio, partecipano a questo pellegrinaggio una trentina di giovani, ma, in seguito, saranno centinaia se non migliaia. La vigilia, si comincia con il visitare San Pietro; l’indomani, ci si ritrova a San Paolo, poi alla catacomba di San Sebastiano, a San Giovanni in Laterano, alla Santa Croce in Gerusalemme, a San Lorenzo fuori le mura, per finire a Santa Maria Maggiore. In quello stesso periodo, si risvegliano i dibattiti riguardo alla memoria di Savonarola e alcuni vogliono far condannare le sue opere; Filippo contribuisce a far abbandonare questo progetto, ma la sua presa di posizione ha attirato l’attenzione su di lui e l’ha reso sospetto agli occhi di coloro che non apprezzano Savonarola. Il Cardinale Vicario (vale a dire il vicario del Papa per la diocesi di Roma) interviene e, temendo che le grandi processioni dell’Oratorio degenerino in sommosse, intima a Filippo il divieto di organizzare riunioni e quello di confessare, per quindici giorni. Il santo si sottomette e dissuade i suoi fedeli dal protestare contro le decisioni dell’autorità ecclesiastica: «Per me, gli ordini dei miei superiori sono sempre passati davanti a tutto il resto, e mi è dolce essere obbediente.» Essendo venuto improvvisamente a morire il Cardinale-Vicario, tutte le sanzioni vengono tolte.

Avviene che la Chiesa, nella persona dei suoi ministri, faccia soffrire i suoi figli. In simili circostanze, i santi sanno rimanerle fedeli. La fede ricorda loro che tra «Gesù Cristo, nostro Signore, che è lo Sposo, e la Chiesa, che è la sua Sposa, c’è un unico Spirito che ci governa e ci guida per la salvezza delle nostre anime, e che è attraverso lo stesso Spirito e lo stesso Signore che donò i dieci comandamenti che è guidata e governata la nostra santa Madre Chiesa» (Esercizi di sant’Ignazio, 365).


Una delegazioni di fiorentini, suoi compatrioti, chiede a Filippo Neri di assumere la cura della chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, sulle rive del Tevere; vi si stabilisce una comunità dell’Oratorio. A quell’epoca s’instaura la vita comunitaria dei preti dell’Oratorio. Sommerso da coloro che si rivolgono a lui, il fondatore ha, in effetti, invitato alcuni dei suoi discepoli di più vecchia data a ricevere anch’essi gli Ordini per consacrarsi ai fedeli dell’Oratorio. Non dà loro una Regola: essa è sostituita dalla sua direzione spirituale, arricchita da alcune prescrizioni di semplice buon senso, che riflettono una profonda conoscenza del cuore umano.

Un gusto criticato
DI QUI nel 1567, sotto papa san Pio V, un sordo complotto è sul punto di condurre alla soppressione dell’Oratorio. San Carlo Borromeo, allora arcivescovo di Milano, riesce a salvare questa fondazione. Essendo venuti due domenicani, su ordine del Papa, ad ascoltare i sermoni di Filippo, ne sono talmente soddisfatti ed edificati che, dopo la fine della loro missione, continuano a venire ad ascoltarli. Sette anni dopo, un giovane, escluso dall’Oratorio a causa della sua cattiva condotta, lancia una campagna di calunnie. Si critica il gusto del fondatore per lo spettacolo pubblico e le facezie, due strumenti per l’apostolato che egli utilizza volentieri. Filippo ne è addolorato; le persecuzioni di cui è oggetto lo affliggono sempre profondamente. Dopo la morte di san Pio V, il nuovo Papa, Gregorio XIII, affida all’Oratorio una piccola chiesa fatiscente dedicata a Maria, Santa Maria in Vallicella. Ben presto, si fa sentire la necessità di ricostruire interamente la chiesa. L’architetto è spaventato dal progetto: «Come si potrà fare una chiesa così grande?» Ma scavando nel luogo indicato dal santo, si trova un muro solido, già pronto per servire da fondamenta.
Nel 1575, l’Oratorio è ufficialmente eretto dal Papa, e, nel 1577, il fondatore viene eletto alla carica di primo Preposto generale. Affluiscono i postulanti. Filippo non desidera veder l’Oratorio sciamare fuori Roma. Eppure si fanno delle fondazioni di Oratori indipendenti a San Severino, Milano, Padova, ecc., che prendono per modello la casa romana, ma senza esserle sottomesse. Nel 1586, tuttavia, l’assemblea plenaria degli Oratoriani si pronuncia a favore di una fondazione a Napoli. In seguito, questa fondazione evolverà verso una vita religiosa più regolata, contrariamente all’Oratorio di Roma che manterrà lo stile informale voluto dal fondatore.
Nel marzo 1583, Paolo Massimo, figlio di nobile famiglia, quattordicenne, si ammala gravemente; Filippo lo va a trovare tutti i giorni. Al momento dell’agonia, l’adolescente lo fa chiamare. Arrivato dopo la sua morte, il santo lo stringe sul suo petto, si mette in preghiera e lo chiama due volte per nome. Il ragazzo apre gli occhi: Filippo gli chiede se vuole vivere o se preferisce morire. Il ragazzo risponde chiaramente che preferisce morire: «Va! gli dice Filippo, sii benedetto e prega per me», e Paolo muore. Ancora oggi, ogni anno, il 16 marzo, viene celebrato l’avvenimento al palazzo Massimo, vicino a piazza Navona. Questa risurrezione e alcune guarigioni straordinarie sono rapidamente conosciute nella città; esse contribuiscono alla reputazione di santità di Filippo Neri, che inventa ogni sorta di eccentricità per cercare di disilludere la gente. È felicissimo quando si dice di lui: «Vedete quel vecchio pazzo!» Prescrive inoltre ai suoi compagni e penitenti di compiere di tanto in tanto delle azioni umilianti, per preservarli dall’orgoglio. Nel 1590, resiste a Gregorio XIV, da poco eletto Papa, che desidera elevarlo al cardinalato.

Filippo Neri attribuisce una grande importanza ai sacramenti. «I confessori, dice, devono far penetrare nei loro penitenti qualche cosa della tenerezza dell’amore di Dio... Sforzatevi sempre di portare i peccatori a Cristo con la vostra amabilità e il vostro amore... Sforzatevi di far loro comprendere questo amore di Dio, l’unico capace di compiere realmente grandi cose.» L’amore di Cristo è il fondamento dell’apostolato del santo, caratterizzato dall’affabilità e dalla dolcezza: egli accoglie amabilmente tutti coloro che si presentano, sa ascoltarli, rallegrarsi con coloro che sono nella gioia, affliggersi con coloro che piangono. Una religiosa affetta da depressione si dichiara perduta. Filippo le assicura: «Ti dico che tu sei destinata al paradiso e te lo proverò. Dimmi dunque per chi è morto Cristo. – Per i peccatori. – Esatto. E tu chi sei? – Una peccatrice. – Allora il paradiso è per te poiché tu sei pentita dei tuoi peccati.» Per lui, l’umiltà si accompagna sempre all’amore: «Prima di tutto, bisogna essere umili», ripete spesso ai suoi discepoli. Egli sa che, nella vita spirituale, «si scende quando ci si innalza (con l’orgoglio) e si sale con l’umiltà» (Regola di san Benedetto, cap. 7). Filippo mira alla santificazione di tutti: «Le persone che vivono nel mondo, afferma, devono sforzarsi di arrivare alla santità nella loro propria casa. La vita di corte, la professione, il lavoro non sono ostacoli per chi vuole servire Dio».

«So quello che dico!»
Poiché la sua salute va sempre più deteriorandosi, Filippo Neri dà le dimissioni, nel dicembre 1593, dal suo incarico di Preposto generale, e l’assemblea plenaria dell’Oratorio elegge a succedergli Baronio. Ma il santo continua a ricevere nella sua camera e scende di tanto in tanto in chiesa per sentire la confessione di tre o quattro povere donne anziane. Quando le sue forze glielo permettono, si reca a far visita ad amici nel dolore, o ad ammalati, a cui porta un piccolo dono. Nella primavera del 1594, gli appare la Santa Vergine nella sua camera. Egli dichiara ai medici: «Non ho più bisogno di voi. La Madonna mi ha guarito», il che si rivela esatto. Filippo ha sempre avuto una devozione profonda per la Santa Vergine: «Figli miei, siate devoti di Maria, ama raccomandare: so quello che dico! Siate devoti di Maria!»

Un anno dopo, il 12 maggio 1595, ha un grave malessere e perde conoscenza. In presenza della santa Eucaristia portata da padre Baronio, si rianima d’improvviso e dice: «Ecco il mio Dio! Datemelo in fretta!» Il mattino del 26 maggio, festa del Santissimo Sacramento, molto presto, chiede che si facciano venire coloro che vogliono confessarsi a lui. Nella giornata, il medico gli dice: «Non vi ho mai visto così in buona salute!» La notte seguente, lo coglie un nuovo malessere e tutti i suoi confratelli accorrono al suo capezzale. Padre Baronio fa la raccomandazione dell’anima a Dio e chiede la benedizione del moribondo. Filippo alza la mano e resta qualche istante in questa posizione, con gli occhi rivolti verso il cielo; poi, abbassata la mano e chiusi gli occhi, spira tranquillamente come qualcuno che si addormenta.

Gregorio XV l’ha canonizzato il 12 marzo 1622. Il suo corpo, esposto in una bara di vetro, è conservato nella “sua chiesa” Santa Maria in Vallicella. Alla morte del santo, si contavano sette Oratori in Italia. Oggi esiste una federazione di circa ottanta comunità dette “Congregazione dell’Oratorio”, che contano circa cinquecento religiosi suddivisi in diciannove paesi.
Questo santo della gioia è vissuto in un’epoca difficile della storia della Chiesa (rilassatezza morale di molti membri del clero, Riforma protestante e sconvolgimenti politici), ma ci insegna che la Chiesa, fondata su Pietro (cf. Mt 16, 18), non cessa mai di essere custode delle promesse della vita eterna.
Dom Antoine Marie osb

mercoledì 14 maggio 2014

...improvvisamente e inaspettatamente



<<6.III.2014: ...Nessun essere umano creda mai di avere abbastanza forza di volontà per resistere alle pressioni esercitate su di lui dallo spirito del male. Quando vi convincerete di questo, cadrete improvvisamente e inaspettatamente. Dovete rimanere all’erta ogni giorno e ogni minuto, perché non sapete mai quando il maligno è al lavoro. Egli è molto astuto e molto attento. Molti non hanno idea di come agisce Satana, ma una cosa è certa: egli non vi porterà altro che miseria e dolore. Dovete quindi recitare ogni giorno la preghiera a San Michele. 

"San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia; contro le insidie e la malvagità  del demonio sii nostro aiuto. Te lo chiediamo supplici, che Dio lo comandi; e tu, o Principe della Milizia Celeste, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell’inferno Satana e tutti gli altri spiriti maligni che si aggirano per il mondo cercando la perdizione delle anime. Amen." 

Satana e tutti i demoni che vagano sulla Terra, in questo periodo stanno lavorando molto intensamente per portarvi via da Me – più che in qualunque altro periodo da quando sono vissuto sulla Terra. Dovete volgere lo sguardo a Me e ascoltare Me, cosicché Io possa continuare a proteggervi.
Il vostro Gesù>>

Racconto



Racconto della Sig.ra Cleonice


La signora Cleonice – figlia spirituale di Padre Pio raccontava: – “Durante l’ultima guerra mio nipote fu fatto prigioniero. Non ricevemmo notizie per un anno. Tutti lo credevano morto. I genitori impazzivano dal dolore. Un giorno la madre si butto ai piedi di Padre Pio che stava in confessionale – ditemi se mio figlio è vivo. Io non mi tolgo dai vostri piedi se non me lo dite. – Padre Pio si commosse e con le lacrime che gli rigavano il volto disse – “Alzati e vai tranquilla”. Alcuni giorni dopo, il mio cuore, non potendo sopportare il pianto accorato dei genitori, mi decisi di chiedere al Padre un miracolo, piena di fede gli dissi: – “Padre io scrivo una lettera a mio nipote Giovannino, con il solo nome, non sapendo dove indirizzarla. Voi e il vostro Angelo Custode portatela dove egli si trova. Padre Pio non rispose, scrissi la lettera e la poggiai, la sera, prima di andare a letto, sul comodino. La mattina dopo con mia grande sorpresa, stupore e quasi paura, vidi che la lettera non c’era più. Andai commossa a ringraziare il Padre che mi disse – “Ringrazia la Vergine”. Dopo una quindicina di giorni in famiglia si piangeva di gioia, si ringraziava Dio e Padre Pio: era arrivata la lettera di risposta alla mia missiva da colui che si riteneva morto.

I Fioretti di San Francesco


CAPITOLO 17 da' I FIORETTI

Come uno fanciullo fraticino, orando santo Francesco di notte, vide Cristo e la Vergine Maria e molti altri santi parlare con lui.

Uno fanciullo molto puro e innocente fu ricevuto nell'Ordine, vivendo santo Francesco; e stava in uno luogo piccolo, nel quale i frati per necessità dormivano in campoletti. Venne santo Francesco una volta al detto luogo; e la sera, detta Compieta, s'andò a dormire per potersi levare la notte ad orare, quando gli altri frati dormissono, come egli era usato di fare. Il detto fanciullo si puose in cuore di spiare sollecitamente le vie di santo Francesco, per potere conoscere la sua santità e spezialmente di potere sapere quello che facea la notte quando si levava. E acciò che 'l sonno non lo ingannasse, sì si puose quello fanciullo a dormire allato a santo Francesco e legò la corda sua con quella di santo Francesco, per sentirlo quando egli si levasse: e di questo santo Francesco non sentì niente. Ma la notte in sul primo sonno, quando tutti gli altri frati dormivano, si levò e trovò la corda sua così legata e sciolsela pianamente, perché il fanciullo non si sentisse, e andossene santo Francesco solo nella selva ch'era presso al luogo, ed entra in una celluzza che v'era e puosesi in orazione.

E dopo alcuno spazio si desta il fanciullo e trovando la corda isciolta e santo Francesco levato, levossi su egli e andò cercando di lui; e trovando aperto l'uscio donde s'andava nella selva, pensò che santo Francesco fusse ito là, ed entra nella selva. E giungendo presso al luogo dove santo Francesco orava, cominciò a udire un grande favellare; e appressandosi più, per vedere e per intendere quello ch'egli udiva, gli venne veduta una luce mirabile la quale attorniava santo Francesco, e in essa vide Cristo e la Vergine Maria e santo Giovanni Battista e l'Evangelista e grandissima moltitudine d'Angeli, li quali parlavano con santo Francesco. Vedendo questo il fanciullo e udendo, cadde in terra tramortito. Poi, compiuto il misterio di quella santa apparizione e tornando santo Francesco al luogo, trovò il detto fanciullo, col piè, giacere nella via come morto, e per compassione sì lo levò e arrecollosi in braccia e portollo come fa il buono pastore alle sue pecorelle.

E poi sapendo da lui com'egli avea veduta la detta visione, sì gli comandò che non lo dicesse mai a persona, cioè mentre che egli fosse vivo. Il fanciullo poi, crescendo in grazia di Dio e divozione di santo Francesco, fu uno valente uomo in nello Ordine, ed esso dopo la morte di santo Francesco, rivelò alli frati la detta visione.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

AMDG et BVM

Luciano Pranzetti e la sua lettera aperta a...



Lettera al Cardinale Walter Kasper
di Luciano Pranzetti


Eminenza rev. ma
il Cardinale
Walter Kasper
00120  Città del Vaticano 


Eminenza rev.ma:

                                 assistiamo sgomenti, da tempo, a talune sue personali, trancianti affermazioni con cui, capovolgendo e tradendo la Parola di Cristo, lei si accinge, in qualità di “teologo” scelto da pF per il prossimo Sinodo straordinario – ottobre 2014 – ad immettere una nuova dottrina sul tema del divorzio e, nella fattispecie, sul tema dei cristiani divorziati/risposati e il Sacramento dell’Eucaristìa. Un Sinodo che, per tale tematica, si rende illegittimo  perché intende esaminare una dottrina già conclamata e definita come dogma. Ma tant’è!
    
Ora, prima di dare corso alle nostre obiezioni, allo scopo di fugare sospetti di nostra alterigia, o  supponenza o illegittimità ad obiettare, facciamo presente il nostro dovere, nonché il diritto, a norma del canone 212 CJC § 3 secondo cui i fedeli laici “in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli” come, infatti, decideremo di diffondere questa nostra lettera aperta, alle testate cattoliche  e alla stampa laica. 
Non si creda, tuttavia, che sia facile per noi dire a nostro “padre” che cosa pensiamo di lui. Ma ci fa forza l’esortazione di Gesù che ci sollecita a  predicare la Verità, e non la nostra parola ma la sua Parola, – perché di questo si tratta – al mondo, dai tetti e dalla stampa. “La verità vi farà liberi” (Gv. 8, 32).
    
Leggiamo, infatti, delle sue dichiarazioni che si configurano quali palesi -  perché  osiamo pensare  che lei non può non conoscere l’opposto di quanto la dottrina e la Tradizione insegnano - consapevoli  eresie quando, coram populo, con linguaggio circeteristico, si permette di dire: “Non posso pensare ad una situazione in cui un essere umano è caduto in un buco senza via d’uscita. Spesso egli non può tornare al primo matrimonio. Se questo è possibile, ci dovrebbe essere una riconciliazione con la moglie o con il marito, <ma spesso questo non è possibile>” 
Ed allora, avvitandosi in una serie di domande retoriche pro domo sua, a cui fa seguire risposte già pronte e funzionali al piano predisposto, lei continua non solo ipotizzando, ma dandola per certa, l’assoluzione e l’ammissione ai sacramenti. 
    
Ma lei diluisce, non so quanto involontariamente, preso com’è dal concetto di misericordia, la riflessione sul sacramento della Penitenza quando si domanda, sapendo bene che quello che chiede è in contrasto ...

domenica 11 maggio 2014

les dix commandements


Io sono il Signore Dio Tuo:

bulletNon avrai altro Dio fuori di me
bulletNon nominare il nome di Dio invano
bulletRicordati di santificare le feste
Onora il Padre e la Madre
Non uccidere
Non commettere atti impuri
Non rubare
Non dire falsa testimonianza
Non desiderare la donna d'altri

Non desiderare la roba d'altri


AMDG et BVM