martedì 30 luglio 2024

PROPRIO COSI'



Benedetto XVI: il celibato è nella natura del prete

Abbiamo letto la parte di Benedetto XVI nel libro Des profondeurs de nos coeurs scritto col cardinale Sarah. Parte dalle Scritture per dimostrare la necessità del celibato sacerdotale e arriva alla Nuova Alleanza. Il celibato ha a che fare con il dogma, perché si pone al cuore dell’interpretazione delle Scritture. «L’astinenza sessuale era funzionale, si è trasformata da se stessa in un’astinenza ontologica».
- CHI GUIDA IL RULLO COMPRESSORE CONTRO BENEDETTO E SARAHdi Riccardo Cascioli
- IL GRAN PASTICCIO DI DON GEORG, di Riccardo Cascioli
- OBBEDIENZA E VERITÀ, QUEL CHE IGNORANO I CORTIGIANIdi Luisella Scrosati   

ECCLESIA 16_01_2020English Español

Dopo aver letto il contributo offerto da Benedetto XVI nel libro Des profondeurs de nos coeurs, si può comprendere perché la Sala Stampa vaticana abbia fatto di tutto per minimizzarne il contenuto e soprattutto per spostare l’attenzione sulla questione ridicola se il Papa emerito sia o non il coautore; che un autore che scrive la metà di un libro, che condivide e firma l’introduzione e la conclusione non debba poi esserne considerato il coautore è una delle ultime follie di chi da tempo ha perso il senso della realtà. Lasciamo ad altri queste questioni di lana caprina, montate ad arte proprio per evitare di parlare del contenuto, punto di riferimento luminoso in questa lunga notte della Chiesa.

Occorre avere un po’ di pazienza e seguire Ratzinger nella sua argomentazione che può sembrare, in un primo momento, girare attorno al problema, ma che invece ne identifica la radice. Quella radice avvelenata che egli ritiene essere all’origine della crisi della liturgia, del sacerdozio e del celibato. Tre in uno. E la denuncia di Ratzinger fa scuotere le colonne su cui si è edificata la falsa chiesa, ritornando su quanto aveva già affermato nella premessa al primo volume della sua trilogia su Gesù di Nazareth e cioè che la vera interpretazione della Bibbia richiede non solo un approccio storico-critico, ma anche ed essenzialmente un approccio teologico, recuperando così i quattro sensi della Scrittura che sono stati al cuore dell’interpretazione dei Padri e della Chiesa intera. Almeno fino a quando non si è deciso di ritenere che l’approccio teologico fosse in contrasto con quello scientifico, l’unico ritenuto capace di restituire il senso vero del testo.

Lasciamo la parola a Benedetto XVI: «Alla base della grave situazione nella quale si trova oggi il sacerdozio, c’è un difetto metodologico nella recezione della Sacra Scrittura come Parola di Dio. L’abbandono dell’interpretazione cristologica dell’Antico Testamento ha portato numerosi esegeti contemporanei ad una carente teologia del culto. Non hanno compreso che Gesù, lungi dall’abolire il culto e l’adorazione dovute a Dio, le ha assunte e portate a compimento nell’atto d’amore del suo sacrificio». Gesù non è venuto ad abolire, ma a portare a compimento (cfr. Mt 5, 17): il nuovo culto in spirito e verità (cfr. Gv 4, 23) non comporta perciò l’abolizione del sacrificio e del rito, né del Tempio, ma la loro piena realizzazione nella persona di Gesù Cristo, nella sua preghiera, nella sua offerta.

Il sacerdozio, i sacramenti, la celebrazione dell’Eucaristia non sono un indebito ritorno alla mentalità veterotestamentaria, ma solo la forma nuova che perpetua l’unico sacerdozio e l’unico sacrificio, quello del Signore. Il senso del celibato si colloca nell’unione a questo sacrificio del Signore Gesù, della sua intera Persona, che oltrepassa l’alleanza del Sinai, «al centro della quale egli si pone ad un tempo come sacrificatore e come vittima». Nell’Ultima Cena, il Signore trasforma l’atto crudele della sua condanna a morte, in un sacrificio volontario gradito a Dio: «È in questo modo che Gesù compie il fondamentale rinnovamento del culto che rimarrà per sempre valido e vincolante». Il sacerdozio levitico cessa e Gesù diviene il Sommo ed eterno sacerdote ed il nuovo tempio nel quale è dato «un nuovo spazio di adorazione di Dio». Richiamando la lettera ai Corinti di san Clemente Romano, Benedetto XVI fa notare che si instaura così un parallelo tra il sacerdozio del Sinai e quello della Chiesa: «episkopos indica il Sommo Sacerdote, presbyteros il sacerdote, diakonos il levita». Fin dall’inizio della Chiesa, abbiamo perciò una lettura cristologica dell’Antico Testamento, che non dev’essere intesa come un artificio letterario, ma come l’espressione «di una logica interna del testo»; una lettura che si è concretizzata in persone in carne ed ossa.

Il sacrificio della Nuova Alleanza accoglie pienamente la critica dei profeti al culto veterotestamentario, non abolendo il culto e il sacerdozio, ma unendo in sé amore e culto, liberando lo spirito che dà vita, dalla lettera dell’Antica Alleanza (cfr. 2 Cor 3, 6). «Lutero, che si fondava su di una lettura completamente diversa dell’Antico Testamento, non era nelle condizioni di fare questo passaggio»; per questa ragione finì per «contrapporre radicalmente gli uffici ministeriali neotestamentari al sacerdozio in quanto tale». La ragione profonda dell’opposizione luterana tra sacerdozio ordinato e sacerdozio battesimale, che ha portato ad eliminare il primo, si trova dunque in una interpretazione insufficiente dell’Antico Testamento.

Ora, questa interpretazione manchevole si è nuovamente imposta nei nostri tempi. Questa inquadratura che il Papa emerito ci offre costituisce lo sfondo imprescindibile per poter capire la grande crisi della liturgia e del sacerdozio che ci sta travolgendo dai tempi del Vaticano II, crisi che è nata e si è diffusa per il fatto che un approccio cristologico e pneumatologico all’Antico e al Nuovo Testamento «era divenuto incomprensibile». Come per Lutero. «Il decreto del concilio sul ministero e la vita dei sacerdoti praticamente non affronta questa questione. Pertanto, nel periodo che ne è seguito, essa ci ha assorbito con un’urgenza senza precedenti, e si è tramutata in una crisi del sacerdozio che continua fino ad oggi nella Chiesa».

Il celibato sta per essere risucchiato da questa crisi. Per questo, Benedetto XVI vuole mostrare che il celibato costituisce quella trasformazione interna che porta a compimento le prescrizioni dell’Alleanza del Sinai riguardo al sacerdozio. Il Papa emerito fa notare che i sacerdoti dell’Antica Alleanza erano tenuti all’astinenza sessuale quando dovevano «esercitare il culto ed erano dunque in contatto con il mistero divino. La relazione tra l’astinenza sessuale ed il culto divino era assolutamente chiara nella coscienza comune d’Israele». Ora, la compatibilità tra sacerdozio e matrimonio era possibile per il fatto che il sacerdozio era esercitato solo in alcuni periodi determinati. Ma i sacerdoti della Nuova Alleanza sono continuamente in contatto con il mistero divino; «questo esige da parte loro l’esclusività riguardo a Dio. Ed esclude di conseguenza gli altri legami che, come il matrimonio, abbracciano tutta la vita».

Non si tratta di un’interpretazione arbitraria: già Sant’Ambrogio, nel De Officiis ministrorum, riprendeva l’astinenza richiesta nell’Antica Alleanza, «tempo della prefigurazione», per indicare che molto più è richiesto dai ministri della Nuova. Papa Siricio, a sua volta, nella fondamentale Decretale Directa, nella quale la continenza del clero viene dichiarata «legge indissolubile», spiegava che i sacerdoti dell’Antico Testamento erano tenuti alla continenza solo temporanea, perché il loro servizio era temporaneo e per assicurarsi una discendenza, visto che il sacerdozio era ereditario; ed aggiunge: «Il Signore Gesù attestò formalmente nel Vangelo che non era venuto per abolire la Legge, ma per darvi compimento». Per questa ragione «tutti noi, presbiteri e diaconi, siamo vincolati dal giorno della nostra ordinazione, a mettere i nostri cuori e i nostri corpi al servizio della sobrietà e della purezza».

Dunque, anche per quanto riguarda l’astinenza sessuale, nel passaggio dall’Antica alla Nuova Alleanza è avvenuta la trasformazione che abbiamo visto in precedenza: «L’astinenza sessuale che era funzionale si è trasformata da se stessa in un’astinenza ontologica. E così, la sua motivazione ed il suo significato sono stati cambiati dall’interno ed in profondità». È qui che si radica, come già apparso nelle anticipazioni, l’affermazione dell’estraneità del celibato ad ogni disprezzo della corporeità e del matrimonio. Il senso del sacerdozio della Nuova Alleanza riposa su questa trasformazione dall’interno di ciò che era stato istituito nell’Antica; e così anche la continenza richiesta ai sacerdoti della Chiesa è un mutamento che non abolisce ma compie, porta a pienezza quella che era vissuta nell’Antica Alleanza. Questo era stato compreso chiaramente già nei primi secoli della Chiesa, quando si era stabilito che «gli uomini sposati non potevano ricevere il sacramento dell’Ordine se non si erano impegnati ad osservare l’astinenza sessuale». È interessante che il Papa emerito qui rimandi, nella nota 7, al libro di Stefan Heid sul celibato, che dimostra con abbondanti riferimenti che l’accettazione della continenza perpetua era condizione indispensabile per l’ordinazione di diaconi, presbiteri e vescovi, sia in Oriente che in Occidente.

Il Papa emerito chiude il proprio saggio con la meditazione di tre testi dell’Antico Testamento, che sono divenuti spirito che dà vita nel sacerdozio cattolico. Accenniamo rapidamente ai primi due.


Il primo riguarda i versetti 5 e 6 del Salmo 16, un riferimento su cui Ratzinger si era soffermato altre volte: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, la mia eredità è magnifica». Questi versetti, nel rito della tonsura antecedente alla riforma liturgica, indicavano l’ingresso nello stato clericale. Mentre tutte le tribù d’Israele avevano la propria porzione di eredità, ossia una parte della terra promessa, solo i leviti non ricevevano questa eredità, precisamente perché la loro parte di eredità era il Signore stesso, al quale si dedicavano nel culto. «Questa figura veterotestamentaria si realizza nei sacerdoti della Chiesa in modo nuovo e più profondo [...]. I sacerdoti, per il fatto che sono radicalmente consacrati a Dio, rinunciano al matrimonio ed alla famiglia. La Chiesa ha inteso la parola “clero” in questo senso».

Il secondo insieme di testi sono tratti dal libro del Deuteronomio 10, 8 e 18, 5-8, nei quali si indica la missione essenziale della tribù di Levi, ossia «stare alla presenza del Signore, servirlo e benedire il suo nome», espressione ripresa nel testo latino della Preghiera eucaristica II: «astare coram te e tibi ministrare». Benedetto XVI ripropone una tematica essenziale del suo pontificato, ossia «la celebrazione degna della liturgia e dei sacramenti, adempiuta con una partecipazione interiore». Egli esorta a ricomprendere in profondità il rito che si celebra e celebrarlo «in modo giusto, l’ars celebrandi», senza permettere che la familiarità che si ha con il mistero di Dio diventi abitudine, perché «così si indebolisce il timore reverenziale [...] Contro questa assuefazione ad una realtà straordinaria, contro l’indifferenza del cuore noi dobbiamo lottare senza tregua».

Benedetto XVI, con il proprio stile, si riaggancia così alla grande tradizione dei primi secoli della Chiesa. Il parallelo tra la sua posizione e quella di papa Siricio non deve sfuggire: per entrambi la piena continenza del sacerdote è naturale trasformazione interna di quella veterotestamentaria; e per tale ragione scritturistica, essa non è derogabile. Siricio la definì inequivocabilmente «legge indissolubile», mentre Benedetto XVI la riconosce come «astinenza ontologica».

Riconoscere questa verità richiede la disponibilità ad accostare la Rivelazione con la luce della fede, dentro la grande tradizione della Chiesa, che permette di penetrare le Scritture nel loro senso più profondo, più vero, come Parola di Dio e non come mera parola di uomini. Ratzinger riesce ancora una volta a ribaltare la prospettiva. Adesso la palla passa nel campo di Francesco, ma con la posta in gioco aumentata: il celibato ha a che fare – eccome – con il dogma, perché si pone al cuore dell’interpretazione delle Scritture. È bene tenerne conto.

lunedì 29 luglio 2024

LA VERGINE DI AKITA...


N.Signora di AKITA

La Vergine di Akita chiama i suoi figli alla conversione

Nel 1973 la Madonna si manifestò in Giappone ad Agnese Sasagawa, novizia delle Serve dell'Eucaristia, comunicandole il bisogno che l'umanità faccia penitenza. "Le sole armi che vi restano sono il Rosario e il Segno lasciato da Mio Figlio", disse la Madre Celeste nelle apparizioni di Akita (riconosciute dal vescovo), lasciando un severo monito per gli impenitenti e insieme una salda speranza per chi si converte, in perfetta continuità con il messaggio del 1917 ai tre pastorelli.

ECCLESIA 02_06_2019


Il messaggio che veicola, con l'urgente richiamo alla conversione e alla penitenza, è del tutto simile a quello di Fatima. E insieme ai fatti a cui si accompagna mostra l'intimo legame con diverse altre apparizioni mariane della nostra epoca, già riconosciute dalla Chiesa o ancora no, da Civitavecchia a Medjugorje. Parliamo delle apparizioni di Nostra Signora di Akita, che è il titolo con cui la Chiesa venera la Vergine a seguito delle visioni avute tra il luglio e l'ottobre del 1973 dalla giapponese Agnese Katsuko Sasagawa, allora quarantaduenne novizia nell'ordine delle Serve dell'Eucaristia.

https://lanuovabq.it/storage/imgs/originals/suor-agnese-sasagawa-medium.jpgIl preludio alla mariofania di Akita, teatro degli eventi soprannaturali, lo si era avuto il 12 giugno dello stesso anno, quando Agnese aveva visto dei raggi di luce provenire dal Tabernacolo della cappella del suo convento. Il fenomeno si era ripetuto nei due giorni seguenti e poi ancora, con una luce ancora più intensa, il 24 giugno, data in cui quell'anno cadeva il Corpus Domini. Il 28 giugno Agnese ricevette una ferita a forma di croce nel palmo della mano sinistra, da cui fuoriuscì molto sangue, e il giorno dopo, festa del Sacro Cuore di Gesù, vide degli angeli intorno all'altare nell'atto di cantare il Sanctus.

Tempo un'altra settimana e avvenne la prima manifestazione mariana di Akita. Il 6 luglio 1973 la buona Agnese, che soffriva di sordità, vide apparire, verso le tre del mattino, una donna: "Non temere, sono colei che sta presso di te e ti custodisce. Seguimi". La novizia pensava si trattasse della sorella morta qualche tempo prima, ornata della grazia del Battesimo. In realtà, quella creatura, apparsale in forma femminile, era il suo angelo custode, che le si manifesterà per sei anni consecutivi e che in quella prima occasione le disse ancora: "Non avere paura, ma prega per i tuoi peccati e non solo, anche in riparazione per tutti gli uomini. Il mondo attuale ferisce il Santissimo Cuore di Gesù con la sua ingratitudine e i suoi oltraggi. La ferita alla mano della Santissima Vergine Maria è molto più profonda della tua".

https://lanuovabq.it/storage/imgs/originals/virgin-of-akita-medium.jpgPrima di scomparire, l'angelo la condusse in cappella, dove Agnese, dopo aver sostato ad adorare il Santissimo Sacramento, si avvicinò alla statua di legno della Madonna, da cui sentì improvvisamente provenire una voce bellissima, celestiale. Che tra l'altro le disse: "Figlia mia, novizia mia, tu sei stata molto coerente nella fede che hai mostrato. L'orecchio malato è per te qualcosa di molto doloroso, ma ti verrà guarito. Sii paziente. Sacrificati ed espia per i peccati del mondo. Tu sei per me una figlia indispensabile. Fa' tuoi i propositi delle Serve del Santissimo Sacramento, prega per il Papa, i vescovi e la Chiesa". Quello stesso giorno, alcune suore videro fuoriuscire del sangue dalla mano destra della statua della Vergine, sgorgante da una ferita a forma di croce, uguale ma più profonda rispetto a quella di Agnese.

https://lanuovabq.it/storage/imgs/originals/signora-di-tutti-i-popoli-medium.jpgUn fatto non da poco è che il prodigioso simulacro ligneo del Giappone è stato realizzato basandosi sull'immagine della Signora di tutti i Popoli, ossia l'effigie della Vergine apparsa ad Amsterdam all'umile veggente Ida Peerdeman (1905-1996): in quelle apparizioni, riconosciute ufficialmente dal vescovo locale il 31 maggio 2002, Maria Santissima aveva chiesto all'umanità di ritornare alla Croce e di essere onorata con il titolo di "Corredentrice, Mediatrice e Avvocata" domandando la proclamazione di uno specifico dogma al riguardo e profetizzando che esso sarà combattutissimo, "l'ultimo e più grande", a seguito del quale la Chiesa e il mondo intero avranno straordinarie grazie dal Cielo (una nuova, potentissima, effusione dello Spirito Santo) e un lungo periodo di pace.

Tra i molti messaggi ricevuti dalla veggente olandese, uno in particolare, del 14 febbraio 1950, riguardava la lontana terra nipponica: "Il Giappone si convertirà".

Tornando ad Akita, il 3 agosto avvenne la seconda apparizione, in cui la Madonna annunciò che "il Padre Celeste si sta preparando a infliggere un grande castigo su tutta l'umanità. Con Mio Figlio sono intervenuta tante volte per placare l'ira del Padre. Ho impedito l'arrivo di calamità offrendogli le sofferenze del Figlio sulla Croce, il Suo prezioso sangue e le anime dilette che Lo consolano formando una schiera di anime vittime".

Il 13 ottobre (a 56 anni di distanza dal miracolo del sole a Fatima) avvenne la terza e ultima apparizione, nella quale la Beata Vergine diede dei tremendi dettagli sul castigo che si sarebbe abbattuto sull'umanità, facendo capire comunque che esso dipende dalla libertà degli uomini, i quali, con la loro conversione, possono evitarlo. "[...] Come ti ho detto, se gli uomini non si pentiranno e non miglioreranno se stessi, il Padre infliggerà un terribile castigo su tutta l'umanità. Sarà un castigo più grande del Diluvio, tale come non se ne è mai visto prima. Il fuoco cadrà dal cielo e spazzerà via una grande parte dell'umanità, i buoni come i cattivi, senza risparmiare né preti né fedeli. I sopravvissuti si troveranno così afflitti che invidieranno i morti. Le sole armi che vi restano sono il Rosario e il Segno lasciato da Mio Figlio. Recitate ogni giorno la preghiera del Rosario. Con il Rosario pregate per il Papa, i vescovi e i preti".

Come già nei messaggi ai tre pastorelli, la Vergine insiste quindi sulla recita del Rosario come arma decisiva per vincere il proprio combattimento spirituale e cooperare al disegno di salvezza. Il messaggio del 13 ottobre proseguiva soffermandosi sulla battaglia tra Bene e Male interna alla Chiesa nonché sulla dannazione eterna per chi muore impenitente. "L'opera del diavolo si insinuerà anche nella Chiesa in una maniera tale che si vedranno cardinali opporsi ad altri cardinali, e vescovi contro vescovi. I sacerdoti che mi venerano saranno disprezzati e ostacolati dai loro confratelli [...], chiese e altari saccheggiati. La Chiesa sarà piena di coloro che accettano compromessi e il demonio spingerà molti sacerdoti e anime consacrate a lasciare il servizio del Signore. Il demonio sarà implacabile specialmente contro le anime consacrate a Dio. Il pensiero della perdita di tante anime è la causa della mia tristezza. Se i peccati aumenteranno in numero e gravità, non ci sarà perdono per loro [...]. Prega molto la preghiera del Rosario. Solo io posso ancora salvarvi dalle calamità che si approssimano. Coloro che avranno fiducia in me saranno salvati".

https://lanuovabq.it/storage/imgs/originals/vergine-di-akita-in-lacrime-2-medium.jpgI segni celesti continuarono. Il 13 ottobre 1974, un anno dopo il terzo e ultimo messaggio della Vergine, suor Agnese guarì improvvisamente dalla sua sordità, beneficiando per sei mesi del miracolo: la promessa della Madonna, con il recupero definitivo dell'udito, si realizzerà nel maggio 1982, per la domenica di Pentecoste. La suora giapponese riferì inoltre che, dal 4 gennaio 1975 al 15 settembre 1981, assistette a 101 lacrimazioni della statua lignea di Maria, protagonista pure di essudazioni profumate. Di questi fenomeni, in modo simile a quanto avverrà negli anni Novanta a Civitavecchia, furono testimoni centinaia di persone e pure una troupe televisiva giapponese poté filmare la statua mentre piangeva. Le analisi condotte dal Dipartimento di biochimica dell'Università di Akita e - attraverso il dottor Kaoru Sagisaka, un non cristiano - dalla Facoltà di medicina legale hanno confermato che il sangue e le lacrime erano effettivamente di natura umana.

Nell'aprile 1984, il vescovo di Niigata, John Shojiro Ito, riconobbe ufficialmente le apparizioni come degne di fede: "Dopo le indagini condotte fino al giorno presente, non si può negare il carattere soprannaturale di una serie di eventi inspiegabili della statua della Vergine onorata ad Akita. Di conseguenza autorizzo che in tutta la diocesi affidata a me si veneri la Santa Madre di Akita". Pur senza emettere un documento ufficiale, nel 1988, anche l'allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, definì attendibili i fatti avvenuti ad Akita. E, dieci anni dopo, Howard Q. Dee, ex ambasciatore delle Filippine presso la Santa Sede, dichiarò in pubblico che Ratzinger gli aveva detto che il messaggio di Akita è "essenzialmente lo stesso" di quello di Fatima.

Anche ad Akita, accanto al monito per coloro che rifiutano fino all'ultimo respiro terreno la Misericordia di Dio, la Vergine, come una mamma che cerca continuamente di condurre i propri figli alla beatitudine eterna, rivela tutta la potenza della sua intercessione presso la Santissima Trinità e, in mezzo a un'oscurità che sembra ineluttabile, lascia parole di speranza, in cui sembra di risentire l'eco della promessa consegnata a Lucia, Giacinta e Francesco: "Infine il Mio Cuore Immacolato trionferà".

AVE MARIA PURISSIMA!

LA CHIESA NON E' LUOGO DI CONTAGIO

 CHIESA

D'Ercole, un'altra vittima della misericordia

Monsignor Giovanni D'Ercole ha annunciato ieri le dimissioni da vescovo di Ascoli Piceno e si ritirerà per un periodo imprecisato in un monastero in Africa. Decisione "difficile e sofferta", presa per amore della Chiesa dopo aver subito forti pressioni dalla Santa Sede. La sua colpa? Aver difeso la libertà della Chiesa durante il lockdown.

Monsignor Giovanni D'Ercole
https://vimeo.com/412273826?signup=true

«Una scelta difficile, sofferta ma profondamente libera ispirata al servizio della Chiesa»; e poi il ritiro in un monastero per accompagnare «il cammino della Chiesa in modo più intenso, con la preghiera». Le parole con cui monsignor Giovanni D’Ercole ha annunciato .. le sue dimissioni da vescovo di Ascoli Piceno rimandano immediatamente a quelle con cui Benedetto XVI quasi otto anni fa annunciò la rinuncia all’esercizio del pontificato. Non per niente, nella lettera ai fedeli della sua diocesi monsignor D’Ercole richiama un passaggio di quel discorso di Benedetto XVI, papa per cui monsignor D’Ercole non nasconde un grande affetto: «Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi».

Le dimissioni di D’Ercole hanno suscitato un notevole clamore, perché egli è un volto molto conosciuto al grande pubblico, avendo per 24 anni condotto programmi religiosi in Rai, fino al 5 gennaio 2019. Religioso orionino, dopo l’ordinazione sacerdotale (1974) era stato otto anni in missione in Costa d’Avorio (dove tornerà ora per il periodo da passare in monastero) e poi a fine anni ’80 vice-direttore della Sala Stampa vaticana. In Rai aveva iniziato la collaborazione nel programma “Prossimo tuo”, ma poi è stato l’ideatore e il conduttore dal 2002 del programma “Sulla via di Damasco”, che lo ha reso familiare a milioni di italiani che il sabato mattina lo seguivano su Rai2.

Ma non è solo per la sua notorietà che molti organi di stampa hanno parlato di dimissioni-choc; esse infatti cadono in un periodo di grande confusione e divisione nella Chiesa e appaiono senza un motivo evidente: non ci sono problemi di salute, non si vocifera di scandali. Inoltre mancherebbero appena due anni all’età (75 anni) in cui i vescovi vanno “in pensione”, salvo proroghe concesse dal Papa. Quindi "perché?", si chiedono in tanti.
La scelta sarà anche stata libera, ma ciò non vuol dire che questa libertà non sia stata esercitata di fronte a circostanze molto pesanti. Quali?

Chi ha potuto sentirlo prima dell’annuncio ufficiale racconta di un D’Ercole molto sofferente nell’anima, una decisione «difficile e sofferta», ha detto lui. Che cosa è accaduto, dunque? Da fonti attendibili, la Bussola Quotidiana ha appreso che in realtà sono state fatte molte pressioni su monsignor D’Ercole perché si dimettesse: la richiesta è partita da Santa Marta e riferita attraverso la Congregazione dei vescovi. E per evitare bracci di ferro che avrebbero creato ancora più tensioni nella Chiesa, monsignor D’Ercole ha “liberamente” scelto di obbedire e farsi da parte. Non per niente nella lettera di commiato dalla diocesi ha ripreso le parole di Benedetto XVI citate all’inizio: «Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi».  

Del resto proprio l’amore per la Chiesa deve averlo portato in rotta di collisione con Roma. Anche se non è dato sapere con certezza i motivi della richiesta di dimissioni, si può facilmente intuire che D’Ercole abbia pagato a caro prezzo la difesa pubblica della libertà della Chiesa davanti a un potere politico che aveva proibito le messe e a un potere ecclesiale che aveva ben volentieri acconsentito, o addirittura preceduto. Tutti ricordano infatti il video con cui lo scorso aprile monsignor D’Ercole si ribellò al prolungamento del divieto di messe, accusando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte di aver “fregato” i vescovi e di aver instaurato una dittatura.

«La Chiesa non è luogo di contagi», ripeté più volte con una fermezza che non deve essere piaciuta neanche ai vertici della CEI, così proni al governo nell’accettare la catalogazione delle chiese tra i luoghi a maggior rischio. «Bisogna che il diritto al culto ce lo diate, sennò ce lo prendiamo – proseguiva D’Ercole riferendo di una popolazione “stanca” e psicologicamente provata – e se ce lo prendiamo è solo un nostro diritto». E rivendicava inoltre la Chiesa come «uno spazio di libertà e uno spazio di speranza».

Parole forti, parole dure che gli sono da subito costate molti problemi: aveva attaccato il governo proprio mentre il Papa lo difendeva anche rimettendo in riga la presidenza CEI, che aveva mostrato qualche segno di insofferenza. La forza delle espressioni di monsignor D’Ercole e la sua libertà metteva anche in risalto la pusillanimità dei vertici dell’episcopato italiano, che avevano svenduto la libertà della Chiesa sancita anche dal Concordato pur di avere la benevolenza del governo.

Ed è una curiosa coincidenza che l’ufficialità delle dimissioni arrivi proprio mentre si fanno più forti le voci di un nuovo possibile stop alle messe, causa aumento dei contagi. Difficile respingere la sensazione che si usi sempre il vecchio metodo “colpirne uno per educarne cento”: con le dimissioni dell’unico vescovo che abbia alzato la voce a difesa della libertà della Chiesa, Conte e il suo comitato tecnico scientifico avranno ancor più la strada spianata per qualsiasi decisione vogliano prendere.

È un’altra brutta pagina per la Chiesa italiana, parzialmente riscattata dal gesto di un vescovo che per amore della Chiesa, di fronte a questa situazione drammatica, sceglie e indica la preghiera come l’azione più importante ed efficace che un cristiano, tanto più un pastore, possa fare. Perché non si dimentichi che il vero capo della Chiesa è Cristo, ed è a Lui che dobbiamo rivolgerci perché eviti che nel mare in tempesta la barca si rovesci.

Riccardo Cascioli

AMDG et D.V.MARIAE