martedì 30 luglio 2024

PROPRIO COSI'



Benedetto XVI: il celibato è nella natura del prete

Abbiamo letto la parte di Benedetto XVI nel libro Des profondeurs de nos coeurs scritto col cardinale Sarah. Parte dalle Scritture per dimostrare la necessità del celibato sacerdotale e arriva alla Nuova Alleanza. Il celibato ha a che fare con il dogma, perché si pone al cuore dell’interpretazione delle Scritture. «L’astinenza sessuale era funzionale, si è trasformata da se stessa in un’astinenza ontologica».
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ECCLESIA 16_01_2020English Español

Dopo aver letto il contributo offerto da Benedetto XVI nel libro Des profondeurs de nos coeurs, si può comprendere perché la Sala Stampa vaticana abbia fatto di tutto per minimizzarne il contenuto e soprattutto per spostare l’attenzione sulla questione ridicola se il Papa emerito sia o non il coautore; che un autore che scrive la metà di un libro, che condivide e firma l’introduzione e la conclusione non debba poi esserne considerato il coautore è una delle ultime follie di chi da tempo ha perso il senso della realtà. Lasciamo ad altri queste questioni di lana caprina, montate ad arte proprio per evitare di parlare del contenuto, punto di riferimento luminoso in questa lunga notte della Chiesa.

Occorre avere un po’ di pazienza e seguire Ratzinger nella sua argomentazione che può sembrare, in un primo momento, girare attorno al problema, ma che invece ne identifica la radice. Quella radice avvelenata che egli ritiene essere all’origine della crisi della liturgia, del sacerdozio e del celibato. Tre in uno. E la denuncia di Ratzinger fa scuotere le colonne su cui si è edificata la falsa chiesa, ritornando su quanto aveva già affermato nella premessa al primo volume della sua trilogia su Gesù di Nazareth e cioè che la vera interpretazione della Bibbia richiede non solo un approccio storico-critico, ma anche ed essenzialmente un approccio teologico, recuperando così i quattro sensi della Scrittura che sono stati al cuore dell’interpretazione dei Padri e della Chiesa intera. Almeno fino a quando non si è deciso di ritenere che l’approccio teologico fosse in contrasto con quello scientifico, l’unico ritenuto capace di restituire il senso vero del testo.

Lasciamo la parola a Benedetto XVI: «Alla base della grave situazione nella quale si trova oggi il sacerdozio, c’è un difetto metodologico nella recezione della Sacra Scrittura come Parola di Dio. L’abbandono dell’interpretazione cristologica dell’Antico Testamento ha portato numerosi esegeti contemporanei ad una carente teologia del culto. Non hanno compreso che Gesù, lungi dall’abolire il culto e l’adorazione dovute a Dio, le ha assunte e portate a compimento nell’atto d’amore del suo sacrificio». Gesù non è venuto ad abolire, ma a portare a compimento (cfr. Mt 5, 17): il nuovo culto in spirito e verità (cfr. Gv 4, 23) non comporta perciò l’abolizione del sacrificio e del rito, né del Tempio, ma la loro piena realizzazione nella persona di Gesù Cristo, nella sua preghiera, nella sua offerta.

Il sacerdozio, i sacramenti, la celebrazione dell’Eucaristia non sono un indebito ritorno alla mentalità veterotestamentaria, ma solo la forma nuova che perpetua l’unico sacerdozio e l’unico sacrificio, quello del Signore. Il senso del celibato si colloca nell’unione a questo sacrificio del Signore Gesù, della sua intera Persona, che oltrepassa l’alleanza del Sinai, «al centro della quale egli si pone ad un tempo come sacrificatore e come vittima». Nell’Ultima Cena, il Signore trasforma l’atto crudele della sua condanna a morte, in un sacrificio volontario gradito a Dio: «È in questo modo che Gesù compie il fondamentale rinnovamento del culto che rimarrà per sempre valido e vincolante». Il sacerdozio levitico cessa e Gesù diviene il Sommo ed eterno sacerdote ed il nuovo tempio nel quale è dato «un nuovo spazio di adorazione di Dio». Richiamando la lettera ai Corinti di san Clemente Romano, Benedetto XVI fa notare che si instaura così un parallelo tra il sacerdozio del Sinai e quello della Chiesa: «episkopos indica il Sommo Sacerdote, presbyteros il sacerdote, diakonos il levita». Fin dall’inizio della Chiesa, abbiamo perciò una lettura cristologica dell’Antico Testamento, che non dev’essere intesa come un artificio letterario, ma come l’espressione «di una logica interna del testo»; una lettura che si è concretizzata in persone in carne ed ossa.

Il sacrificio della Nuova Alleanza accoglie pienamente la critica dei profeti al culto veterotestamentario, non abolendo il culto e il sacerdozio, ma unendo in sé amore e culto, liberando lo spirito che dà vita, dalla lettera dell’Antica Alleanza (cfr. 2 Cor 3, 6). «Lutero, che si fondava su di una lettura completamente diversa dell’Antico Testamento, non era nelle condizioni di fare questo passaggio»; per questa ragione finì per «contrapporre radicalmente gli uffici ministeriali neotestamentari al sacerdozio in quanto tale». La ragione profonda dell’opposizione luterana tra sacerdozio ordinato e sacerdozio battesimale, che ha portato ad eliminare il primo, si trova dunque in una interpretazione insufficiente dell’Antico Testamento.

Ora, questa interpretazione manchevole si è nuovamente imposta nei nostri tempi. Questa inquadratura che il Papa emerito ci offre costituisce lo sfondo imprescindibile per poter capire la grande crisi della liturgia e del sacerdozio che ci sta travolgendo dai tempi del Vaticano II, crisi che è nata e si è diffusa per il fatto che un approccio cristologico e pneumatologico all’Antico e al Nuovo Testamento «era divenuto incomprensibile». Come per Lutero. «Il decreto del concilio sul ministero e la vita dei sacerdoti praticamente non affronta questa questione. Pertanto, nel periodo che ne è seguito, essa ci ha assorbito con un’urgenza senza precedenti, e si è tramutata in una crisi del sacerdozio che continua fino ad oggi nella Chiesa».

Il celibato sta per essere risucchiato da questa crisi. Per questo, Benedetto XVI vuole mostrare che il celibato costituisce quella trasformazione interna che porta a compimento le prescrizioni dell’Alleanza del Sinai riguardo al sacerdozio. Il Papa emerito fa notare che i sacerdoti dell’Antica Alleanza erano tenuti all’astinenza sessuale quando dovevano «esercitare il culto ed erano dunque in contatto con il mistero divino. La relazione tra l’astinenza sessuale ed il culto divino era assolutamente chiara nella coscienza comune d’Israele». Ora, la compatibilità tra sacerdozio e matrimonio era possibile per il fatto che il sacerdozio era esercitato solo in alcuni periodi determinati. Ma i sacerdoti della Nuova Alleanza sono continuamente in contatto con il mistero divino; «questo esige da parte loro l’esclusività riguardo a Dio. Ed esclude di conseguenza gli altri legami che, come il matrimonio, abbracciano tutta la vita».

Non si tratta di un’interpretazione arbitraria: già Sant’Ambrogio, nel De Officiis ministrorum, riprendeva l’astinenza richiesta nell’Antica Alleanza, «tempo della prefigurazione», per indicare che molto più è richiesto dai ministri della Nuova. Papa Siricio, a sua volta, nella fondamentale Decretale Directa, nella quale la continenza del clero viene dichiarata «legge indissolubile», spiegava che i sacerdoti dell’Antico Testamento erano tenuti alla continenza solo temporanea, perché il loro servizio era temporaneo e per assicurarsi una discendenza, visto che il sacerdozio era ereditario; ed aggiunge: «Il Signore Gesù attestò formalmente nel Vangelo che non era venuto per abolire la Legge, ma per darvi compimento». Per questa ragione «tutti noi, presbiteri e diaconi, siamo vincolati dal giorno della nostra ordinazione, a mettere i nostri cuori e i nostri corpi al servizio della sobrietà e della purezza».

Dunque, anche per quanto riguarda l’astinenza sessuale, nel passaggio dall’Antica alla Nuova Alleanza è avvenuta la trasformazione che abbiamo visto in precedenza: «L’astinenza sessuale che era funzionale si è trasformata da se stessa in un’astinenza ontologica. E così, la sua motivazione ed il suo significato sono stati cambiati dall’interno ed in profondità». È qui che si radica, come già apparso nelle anticipazioni, l’affermazione dell’estraneità del celibato ad ogni disprezzo della corporeità e del matrimonio. Il senso del sacerdozio della Nuova Alleanza riposa su questa trasformazione dall’interno di ciò che era stato istituito nell’Antica; e così anche la continenza richiesta ai sacerdoti della Chiesa è un mutamento che non abolisce ma compie, porta a pienezza quella che era vissuta nell’Antica Alleanza. Questo era stato compreso chiaramente già nei primi secoli della Chiesa, quando si era stabilito che «gli uomini sposati non potevano ricevere il sacramento dell’Ordine se non si erano impegnati ad osservare l’astinenza sessuale». È interessante che il Papa emerito qui rimandi, nella nota 7, al libro di Stefan Heid sul celibato, che dimostra con abbondanti riferimenti che l’accettazione della continenza perpetua era condizione indispensabile per l’ordinazione di diaconi, presbiteri e vescovi, sia in Oriente che in Occidente.

Il Papa emerito chiude il proprio saggio con la meditazione di tre testi dell’Antico Testamento, che sono divenuti spirito che dà vita nel sacerdozio cattolico. Accenniamo rapidamente ai primi due.


Il primo riguarda i versetti 5 e 6 del Salmo 16, un riferimento su cui Ratzinger si era soffermato altre volte: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, la mia eredità è magnifica». Questi versetti, nel rito della tonsura antecedente alla riforma liturgica, indicavano l’ingresso nello stato clericale. Mentre tutte le tribù d’Israele avevano la propria porzione di eredità, ossia una parte della terra promessa, solo i leviti non ricevevano questa eredità, precisamente perché la loro parte di eredità era il Signore stesso, al quale si dedicavano nel culto. «Questa figura veterotestamentaria si realizza nei sacerdoti della Chiesa in modo nuovo e più profondo [...]. I sacerdoti, per il fatto che sono radicalmente consacrati a Dio, rinunciano al matrimonio ed alla famiglia. La Chiesa ha inteso la parola “clero” in questo senso».

Il secondo insieme di testi sono tratti dal libro del Deuteronomio 10, 8 e 18, 5-8, nei quali si indica la missione essenziale della tribù di Levi, ossia «stare alla presenza del Signore, servirlo e benedire il suo nome», espressione ripresa nel testo latino della Preghiera eucaristica II: «astare coram te e tibi ministrare». Benedetto XVI ripropone una tematica essenziale del suo pontificato, ossia «la celebrazione degna della liturgia e dei sacramenti, adempiuta con una partecipazione interiore». Egli esorta a ricomprendere in profondità il rito che si celebra e celebrarlo «in modo giusto, l’ars celebrandi», senza permettere che la familiarità che si ha con il mistero di Dio diventi abitudine, perché «così si indebolisce il timore reverenziale [...] Contro questa assuefazione ad una realtà straordinaria, contro l’indifferenza del cuore noi dobbiamo lottare senza tregua».

Benedetto XVI, con il proprio stile, si riaggancia così alla grande tradizione dei primi secoli della Chiesa. Il parallelo tra la sua posizione e quella di papa Siricio non deve sfuggire: per entrambi la piena continenza del sacerdote è naturale trasformazione interna di quella veterotestamentaria; e per tale ragione scritturistica, essa non è derogabile. Siricio la definì inequivocabilmente «legge indissolubile», mentre Benedetto XVI la riconosce come «astinenza ontologica».

Riconoscere questa verità richiede la disponibilità ad accostare la Rivelazione con la luce della fede, dentro la grande tradizione della Chiesa, che permette di penetrare le Scritture nel loro senso più profondo, più vero, come Parola di Dio e non come mera parola di uomini. Ratzinger riesce ancora una volta a ribaltare la prospettiva. Adesso la palla passa nel campo di Francesco, ma con la posta in gioco aumentata: il celibato ha a che fare – eccome – con il dogma, perché si pone al cuore dell’interpretazione delle Scritture. È bene tenerne conto.

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