mercoledì 10 maggio 2023

SANTISSIMA TRINITA' -RUBLEV- Icona greco-ortodossa

Quello della Trinità è un dogma della Chiesa Cattolica nonché la dottrina fondamentale di tutte le più diffuse chiese cristiane (ortodossa, luterana, calvinista, anglicana), secondo la quale Dio è contemporaneamente uno e trino. In altre parole, Dio è uno solo ma si divide in tre persone: il Padre, trascendente e creatore del cielo e della terra; il Figlio, ossia Cristo, generato dal Padre prima di tutti i secoli e fattosi uomo; lo Spirito Santo, donato alla Chiesa e agli Apostoli con la resurrezione di Cristo: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. La Trinità di Andrej Rublëv.

Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi» (Giovanni, 14, 16-17). Ognuna delle tre Persone della Trinità è totalmente Dio. Il concetto di Trinità appare molto presto, già nei Vangeli, dove leggiamo: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Matteo, 28, 19).

Iconografia della Trinità

Se già è difficile affermare che Dio è «una sustanzia in tre persone», come scrisse Dante, ossia “uno e trino”, giacché la natura divina non è comprensibile alla mente umana e va oltre la conoscenza scientifica, ancor più complesso è rappresentare tale Mistero.

Nella prima arte cristiana si fece ricorso a simboli codificati: la mano che esce dal cielo per il Padre, l’agnello per il Figlio, la colomba per lo Spirito Santo. A partire dall’Alto Medioevo vennero elaborate anche rappresentazioni geometrico-astratte, come tre cerchi concentrici, tre cerchi intrecciati, il triangolo, il cosiddetto Scutum Fidei, quest’ultimo adottato anche in araldica.

Simbolo della Trinità in forma di tre anelli intrecciati.
Versione tradizionale in latino dello Scutum Fidei o «scudo della Trinità».

La più antica rappresentazione della Trinità in “tre persone” risale al XII secolo e fa riferimento a un passo dell’Antico Testamento«Poi il Signore apparve a lui [Abramo] alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo» (Genesi 18, 1-3).


Le tre figure veterotestamentarie sono comunemente rappresentate come angeli, tuttavia esse sono considerate come una manifestazione della Trinità. Già Sant’Agostino, all’inizio del V secolo, osservò che Abramo tres vidit et unum adoravit: vide tre e adorò uno. Nell’arte cristiana in Russia, per esempio, i tre angeli della Genesi sono esplicitamente usati per raffigurare la Trinità stessa. Essi sono spesso raffigurati attorno a una tavola imbandita, prefigurazione dell’altare su cui si celebra il mistero eucaristico.

La raffigurazione della Trinità

Dall’immagine dei tre angeli venne ricavata una seconda, particolare, raffigurazione della Trinità, nella quale Cristo viene proposto per tre volte, in tre figure identiche ma distinte e affiancate. Questa soluzione, non diffusissima, è rinascimentale.

La più comune raffigurazione della Trinità, quella che oggi facilmente riconosciamo, risale al XII secolo e si basa su una frase di Gesù che leggiamo nei Vangeli: «D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio» (Matteo 26, 64). È in questo periodo che comincia ad affermarsi una nuova, specifica iconografia di Dio Padre, mostrato come un vecchio dalla lunga barba bianca. In tali immagini della Trinità, il Padre viene rappresentato con il Figlio alla sua destra ed entrambi sono seduti sul medesimo trono. Tra di loro è la colomba dello Spirito Santo.

Guiard des Moulins, Bible historiale, XV secolo, Parigi, BNF.

Una variante iconografica, nota come Trono di grazia, è quella di Dio Padre che, accompagnato dallo Spirito Santo, sorregge la croce con Cristo appeso. In Italia è conosciuta soprattutto grazie al bellissimo affresco di Masaccio, realizzato nella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze.

L’icona di Rublëv

La più famosa rappresentazione della Trinità, nella storia dell’arte, è costituita da una bellissima icona russa quattrocentesca, realizzata da Andrej Rublëv (1360 ca.-1430 ca.), celebrato pittore, iconografo e miniaturista. Di questo artista, così tanto apprezzato in Russia, in verità conosciamo pochissimo, avendo di lui notizie solo frammentarie. Era monaco e lavorò in numerose cattedrali russe, che decorò con icone e affreschi. È anche venerato come santo dalla Chiesa ortodossa russa.

Andrej Rublëv in una icona moderna, rappresentato con la sua Icona della Trinità in mano.

La sua più celebre icona, quella con l’Ospitalità di Abramo, identificata però con la Trinità, fu realizzata probabilmente attorno al 1422. Essa è oggi definita, per la sua bellezza e importanza, l’Icona delle icone.

Questo capolavoro venne dipinto (anzi “scritto”, perché correttamente si usa dire che le icone vengono scritte, non dipinte) in occasione della canonizzazione del fondatore del Monastero della Trinità di San Sergio, dove Rublëv viveva.

Andrej Rublëv, Icona della Trinità, 1422 ca. Tempera su legno, 142 x 114 cm. Mosca, Galleria Tretiakov.

Le tre Persone e i molti simboli

Le tre Persone della Trinità vengono mostrate in forma angelica, sono dotate di aureola e siedono attorno a un tavolo, su cui è posata una coppa. Hanno tutte espressioni dolcissime e compiono gesti aggraziati. La loro posizione è tale da iscriverle all’interno di una ideale circonferenza, simbolo di perfezione divina. All’interno di tale circonferenza ideale è possibile scorgere anche un ideale triangolo inscritto, altro simbolo trinitario, i cui lati lambiscono la figura centrale.

Le tre persone sono identiche fra di loro ma anche distinte, grazie soprattutto alle vesti, che presentano colori differenti e ci consentirebbero di identificarle: infatti, il rosso, simbolo di sacrificio e di umanità, ci fa riconoscere Gesù al centro, mentre il verde, simbolo del rinnovamento della vita, è il colore dello Spirito Santo, a destra. Il blu, simbolo della vita eterna, identifica Dio Padre a sinistra, coperto da un manto rosa-oro simbolo di regalità. Di ciò sono convinti molti autorevoli storici dell’arte, esperti di icone, che osservano che tale posizione corrisponde anche all’ordine rigoroso del Credo: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Andrej Rublëv, Icona della Trinità, 1422 ca. Particolare.

Dio Padre, unico fra i tre, leva la mano come per dare un ordine, giacché tutto procede da Lui, e indica la coppa al centro del tavolo, la quale è sicuramente il calice eucaristico, simbolo del sacrificio di Cristo ma anche di salvezza per l’umanità. Le altre due Persone hanno invece l’atteggiamento di chi accetta e la figura al centro, Cristo appunto, sembra a sua volta benedire la coppa.

Andrej Rublëv, Icona della Trinità, 1422 ca. Particolare.

La seconda coppa

L’immagine di una seconda coppa, molto più grande, è formata dai profili interni dei due angeli ai lati, come a dire che il sacrificio del Figlio è comunque condiviso dall’Amore trinitario.

Il fondo oro simboleggia la luce divina in cui le tre Persone sono immerse. L’albero alle spalle di Cristo potrebbe alludere al legno della Croce, nuovo albero della vita. L’edificio in alto a sinistra potrebbe simboleggiare il Tempio di Gerusalemme oppure la Chiesa, che è la Casa del Padre. La finestrella rettangolare aperta sulla faccia anteriore del tavolo permette di identificarlo con un altare: si tratta, infatti, della “finestra della confessione”, cioè di quell’apertura presente su molti altari medioevali che permetteva di guardare le spoglie del martire custodite sotto di esso o al suo interno.

La prospettiva inversa

La scena non è prospetticamente concepita, giacché non racconta un episodio avvenuto sulla terra ma rimanda a una dimensione puramente spirituale. Anzi, la prospettiva utilizzata è deliberatamente sbagliata (si parla di prospettiva inversa) giacché nel mondo artistico delle icone non è lo spettatore a entrare idealmente nel quadro ma al contrario è l’immagine sacra a invadere il nostro mondo materiale. Le icone sono infatti ideali finestre che mettono in comunicazione la realtà materiale in cui viviamo con la dimensione puramente spirituale del divino, il quale, da tale apertura, “entra” a partecipare della nostra vita.

Si noterà, infatti, che le linee dei troni laterali e delle relative pedane non convergono verso un punto di fuga posto all’orizzonte della scena ma, al contrario, tendono a un punto che si trova in basso, dalla parte dell’osservatore. Inoltre, la figura centrale, pur essendo posta dietro il tavolo e dunque in secondo piano, ha le medesime dimensioni delle altre due.

Andrej Rublëv, l’Icona della Trinità nella Galleria Tretiakov di Mosca.

Un modello indiscusso

L’Icona della Trinità di Rublëv, icona delle icone, è stata adottata come indiscusso modello per le generazioni successive di iconografi. Riprodotta in migliaia di esemplari, praticamente identici, è ancora oggi proposta alla venerazione dei fedeli.

Non dobbiamo mai dimenticare che nel mondo artistico delle icone ha poco senso parlare di originali, varianti e copie: solo l’immagine in sé conta, giacché essa «è espressione di Bellezza e la Bellezza è Dio. Gli iconografi considerano le icone sacre come il genere più alto dell’arte in generale, così come la Bibbia costituisce il massimo genere letterario.

Ecco perché la tradizione vuole che gli iconografi non mettano mai la propria firma sulle proprie opere, in quanto le icone non appartengono ad essi ma solamente a Lui» (E.Morisco, iconografo contemporaneo). Ciò valeva in età bizantina, continuò a valere nei secoli successivi, vale ancora oggi. Dipingere le icone (anzi, “scrivere” le icone) non è solo un mestiere, non è solo un’arte, è prima di tutto un atto di fede, una forma di inesausta preghiera.

Una icona moderna che ripropone il modello dell’Icona della Trinità di Andrej Rublëv.
https://www.artesvelata.it/trinita-andrej-rublev/

AMDG et DVM
 

Il drago apocalittico dalle sette teste

 

Monaco di Baviera. La Donna dell’Apocalisse di Rubens

La “Sala Rubens” della Vecchia Pinacoteca (Alte Pinakothek) di Monaco di Baviera espone un quadro di Rubens dipinto negli anni 1623-25 dedicato alla Donna e il Drago, una delle visioni più famose di San Giovanni, narrata nel capitolo 12 della sua Apocalisse. 

La Donna e il Drago

Maria è la figura centrale di quel “segno grandioso” apparso in Cielo: “una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle”. 

Rubens la ritrae con il figlio in braccio e con il piede che schiaccia la testa di un serpente, riferimento a un altro testo biblico famoso (Genesi 3, 14-15) nel quale Dio dice al serpente che ha tentato Eva: “Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”

Il neonato che la donna sorregge in braccio è in procinto di essere “rapito verso Dio e verso il suo trono” perché è “destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro”. Nel quadro vediamo Dio Padre dall’alto dei cieli ritratto nel gesto di porgergli “lo scettro di ferro” tra il tripudio degli angeli che ne festeggiano l’arrivo consegnandogli la corona della gloria e la palma del martirio. 

Un angelo pone sulle spalle della Donna due ali piumate che le consentono di fuggire nel deserto, “dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni”.

Il drago apocalittico dalle sette teste

A questa scena descritta nella parte destra del suo quadro Rubens aggiunge una seconda scena, sempre tratta dal capitolo 12 dell’Apocalisse, che descrive la guerra tra gli angeli e il drago. 

“Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito”. 

Rubens dipinge un drago di colore scuro, con una lunga coda e sette teste eruttanti fuoco dalla bocca. Al posto delle corna e dei diademi le teste del drago hanno la cresta e i bargigli rossi del gallo, tradizionale simbolo della superbia, dell’orgoglio e della vanagloria. 

“Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli”.  

Rubens dipinge l’assalto che l’arcangelo Michele con i suoi angeli porta al drago a sette teste e ai suoi compagni. Il drago cade nel fuoco dell’inferno che brucia sulla superficie della terra. I suoi compagni sono gli angeli ribelli a Dio. Cadono anche loro nell’inferno avvinti ai serpenti, e acquistano i tipici connotati diabolici: il volto animalesco, le ali membranacee, le corna e la coda. 

L’arcangelo Michele è descritto come il generale celeste, vincitore nella lotta contro i poteri ostili a Dio. Al tempo della Controriforma l’arcangelo divenne il santo patrono della Chiesa cattolica militante e dei prìncipi cattolici, investiti del compito di difensori e protettori della Chiesa. 

Il profilo della città di Frisinga

La visione apocalittica si manifesta nel cielo che sovrasta una caratteristica città posta sul colle. Il profilo corrisponde alla città di Frisinga. Il quadro era stato commissionato a Rubens per essere collocato nella Cattedrale. Oggi sull’altar maggiore del duomo di Frisinga compare una copia del dipinto. L’originale è quello esposto nella raccolta d’arte della Pinacoteca di Monaco. 

AMDG et DVM

CATECHISMO!

 

CHE COS’È IL CATECHISMO

1. Catechismo è parola greca che significa: parlo dall’alto.

Oggi questa parola viene adoperata in tre sensi: a) insegnamento

a viva voce della religione (frequentare il «catechismo»); b) libro

che contiene le verità religiose in forma semplice e piana (comperare

un «catechismo»); c) le verità stesse contenute nel libro

o esposte nell’insegnamento («Il catechismo» ci insegna che...).


2. Il primo significato di insegnamento è più comune.

Si badi però che si tratta di un insegnamento speciale: non è

istruzione della sola mente, ma educazione di tutta la vita: non

mira solo a mettere in testa alcune nozioni, ma trasmette solide

convinzioni, così vive e forti da portare alle opere buone, all’esercizio

delle virtù.

Mi spiego. Ho due catechisti: il primo parla e spiega bene,

ma non fa migliori i fanciulli; il secondo è meno bravo, ma sa fare

così bene con l’esempio, con la convinzione che lo anima, con

le sue esortazioni, che alla sua scuola i fanciulli diventano più

buoni, si invogliano a frequentare la chiesa, pregano volentieri. Il

secondo vale molto di più del primo come catechista.

Ho due fanciulli: uno sa a memoria il testo e lo capisce ma la

sua vita non è quella insegnata dal testo. L’altro ricorda pochino,

ma si sforza di diventare migliore per mettere in pratica ciò che

ha studiato. Questi ha imparato il catechismo sul serio.


3. Chiesero a Michelangelo: «Come fate a produrre statue

così piene di vita?». Rispose: «Le statue sono già nel marmo. Tutto

sta a cavarle fuori».

I fanciulli sono, come il marmo, della materia grezza: se ne

può ricavare dei galantuomini, degli eroi, perfino dei santi: E questa

è l’opera del catechista.


4. Messo da parte il catechismo non saprete che mezzi adoperare

per fare buoni piccoli e grandi.

Tirerete in campo la «dignità umana»? I piccoli non capiscono

che cosa sia, i grandi se ne infischiano.

Metterete avanti «l’imperativo categorico»? Peggio che peggio.

È ben diverso, invece, se parlerete a piccoli e grandi di Dio

che tutto vede, che premia e castiga, che ha dato una legge santa

ed inviolabile, che offre i sacramenti per rafforzare la nostra volontà

buona, ma tanto debole ed incostante.

5. Lo so: parecchi hanno studiato il catechismo e ciononostante

sono diventati cattivi.

Ma il catechismo avrà almeno messo nel cuore il rimorso: il

rimorso non lascerà loro aver pace nel peccato e presto o tardi li

condurrà al bene.

6. Si dice che anche la filosofia e la scienza sono capaci di far

buoni e nobili gli uomini.

Ma non c’è neppure confronto col catechismo, che insegna

in breve la sapienza di tutte le biblioteche, risolve i problemi di

tutte le filosofie e soddisfa alle ricerche più penose e difficili dello

spirito umano.

Il catechismo spiega perché si soffre a questo mondo, come

bisogna impiegare la ricchezza, perché tutti devono lavorare. Ci

mette avanti Cristo per modello e ci dice: «Fate come lui! È vostro

fratello. Vi vuol bene, vi perdona, viene a vivere in voi!».

Il catechismo ci grida continuamente: «Sii buono, sii paziente,

sii puro, perdona, ama il Signore!». Insomma, non esiste al

mondo forza moralizzatrice più potente del catechismo.


AMDG et DVM

LETTERA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI

 


 A TUTTI I CHIERICI


SULLA RIVERENZA DEL CORPO DEL SIGNORE 

(DAGLI SCRITTI DI SAN FRANCESCO D'ASSISI)



[207] 1 "Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e all’ignoranza che certuni hanno riguar­do al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e ai santissimi nomi e alle sue parole scritte, che santificano il corpo.
                2 Sappiamo che non ci può essere il corpo se prima non è santificato dalla parola.
                3 Niente infatti possediamo e vediamo corporalmen­te in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il cor­po e il sangue, i nomi e le parole mediante le quali sia­mo stati creati e redenti «da morte a vita».

[208] Tutti coloro, poi, che amministrano così santi ministeri, considerino tra sé, soprattutto quelli che li amministrano senza discrezione, quanto siano miserandi i calici, i corporali e le tovaglie sulle quali si compie il sacrificio del corpo e del sangue del Signore nostro.
                5 E da molti viene lasciato in luoghi indecorosi, vie­ne trasportato senza nessun onore e ricevuto senza le do­vute disposizioni e amministrato agli altri senza discrezione.

[209] Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate, perché «l’uomo carnale non com­prende le cose di Dio».
                8 Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si conse­gna nelle nostre mani e noi l’abbiamo a nostra disposi­zione e ce ne comunichiamo ogni giorno? Ignoriamo forse che dobbiamo venire nelle sue mani?
                10 Orsù, di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza emendiamoci11 e ovunque troveremo il santissimo corpo del Signore nostro Gesù Cristo collo­cato e lasciato in modo illecito, sia rimosso di là e posto e custodito in un luogo prezioso.
                12 Ugualmente, ovunque siano trovati i nomi e le parole scritte del Signore in luoghi sconvenienti, siano raccolte e debbano essere collocate in luogo decoroso.
                13 E sappiamo che è nostro dovere osservare tutte queste norme, sopra ogni altra cosa, in forza dei precetti del Signore e delle costituzioni della Santa Madre Chiesa.
                14 E colui che non si diporterà in questo modo, sappia che dovrà rendere «ragione» al Signore nostro Gesù Cristo «nel giorno del giudizio».
                15 E coloro che faranno ricopiare questo scritto perché esso sia meglio osservato, sappiano che saranno benedetti dal Signore Iddio."

AMDG et DVM