La Trinità di Andrej Rublëv.
Quello della Trinità è un dogma della Chiesa Cattolica nonché la dottrina fondamentale di tutte le più diffuse chiese cristiane (ortodossa, luterana, calvinista, anglicana), secondo la quale Dio è contemporaneamente uno e trino. In altre parole, Dio è uno solo ma si divide in tre persone: il Padre, trascendente e creatore del cielo e della terra; il Figlio, ossia Cristo, generato dal Padre prima di tutti i secoli e fattosi uomo; lo Spirito Santo, donato alla Chiesa e agli Apostoli con la resurrezione di Cristo: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. La Trinità di Andrej Rublëv.
Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi» (Giovanni, 14, 16-17). Ognuna delle tre Persone della Trinità è totalmente Dio. Il concetto di Trinità appare molto presto, già nei Vangeli, dove leggiamo: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Matteo, 28, 19).
Iconografia della Trinità
Se già è difficile affermare che Dio è «una sustanzia in tre persone», come scrisse Dante, ossia “uno e trino”, giacché la natura divina non è comprensibile alla mente umana e va oltre la conoscenza scientifica, ancor più complesso è rappresentare tale Mistero.
Nella prima arte cristiana si fece ricorso a simboli codificati: la mano che esce dal cielo per il Padre, l’agnello per il Figlio, la colomba per lo Spirito Santo. A partire dall’Alto Medioevo vennero elaborate anche rappresentazioni geometrico-astratte, come tre cerchi concentrici, tre cerchi intrecciati, il triangolo, il cosiddetto Scutum Fidei, quest’ultimo adottato anche in araldica.
La più antica rappresentazione della Trinità in “tre persone” risale al XII secolo e fa riferimento a un passo dell’Antico Testamento: «Poi il Signore apparve a lui [Abramo] alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo» (Genesi 18, 1-3).
Le tre figure veterotestamentarie sono comunemente rappresentate come angeli, tuttavia esse sono considerate come una manifestazione della Trinità. Già Sant’Agostino, all’inizio del V secolo, osservò che Abramo tres vidit et unum adoravit: vide tre e adorò uno. Nell’arte cristiana in Russia, per esempio, i tre angeli della Genesi sono esplicitamente usati per raffigurare la Trinità stessa. Essi sono spesso raffigurati attorno a una tavola imbandita, prefigurazione dell’altare su cui si celebra il mistero eucaristico.
La raffigurazione della Trinità
Dall’immagine dei tre angeli venne ricavata una seconda, particolare, raffigurazione della Trinità, nella quale Cristo viene proposto per tre volte, in tre figure identiche ma distinte e affiancate. Questa soluzione, non diffusissima, è rinascimentale.
La più comune raffigurazione della Trinità, quella che oggi facilmente riconosciamo, risale al XII secolo e si basa su una frase di Gesù che leggiamo nei Vangeli: «D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio» (Matteo 26, 64). È in questo periodo che comincia ad affermarsi una nuova, specifica iconografia di Dio Padre, mostrato come un vecchio dalla lunga barba bianca. In tali immagini della Trinità, il Padre viene rappresentato con il Figlio alla sua destra ed entrambi sono seduti sul medesimo trono. Tra di loro è la colomba dello Spirito Santo.
Una variante iconografica, nota come Trono di grazia, è quella di Dio Padre che, accompagnato dallo Spirito Santo, sorregge la croce con Cristo appeso. In Italia è conosciuta soprattutto grazie al bellissimo affresco di Masaccio, realizzato nella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze.
L’icona di Rublëv
La più famosa rappresentazione della Trinità, nella storia dell’arte, è costituita da una bellissima icona russa quattrocentesca, realizzata da Andrej Rublëv (1360 ca.-1430 ca.), celebrato pittore, iconografo e miniaturista. Di questo artista, così tanto apprezzato in Russia, in verità conosciamo pochissimo, avendo di lui notizie solo frammentarie. Era monaco e lavorò in numerose cattedrali russe, che decorò con icone e affreschi. È anche venerato come santo dalla Chiesa ortodossa russa.
La sua più celebre icona, quella con l’Ospitalità di Abramo, identificata però con la Trinità, fu realizzata probabilmente attorno al 1422. Essa è oggi definita, per la sua bellezza e importanza, l’Icona delle icone.
Questo capolavoro venne dipinto (anzi “scritto”, perché correttamente si usa dire che le icone vengono scritte, non dipinte) in occasione della canonizzazione del fondatore del Monastero della Trinità di San Sergio, dove Rublëv viveva.
Le tre Persone e i molti simboli
Le tre Persone della Trinità vengono mostrate in forma angelica, sono dotate di aureola e siedono attorno a un tavolo, su cui è posata una coppa. Hanno tutte espressioni dolcissime e compiono gesti aggraziati. La loro posizione è tale da iscriverle all’interno di una ideale circonferenza, simbolo di perfezione divina. All’interno di tale circonferenza ideale è possibile scorgere anche un ideale triangolo inscritto, altro simbolo trinitario, i cui lati lambiscono la figura centrale.
Le tre persone sono identiche fra di loro ma anche distinte, grazie soprattutto alle vesti, che presentano colori differenti e ci consentirebbero di identificarle: infatti, il rosso, simbolo di sacrificio e di umanità, ci fa riconoscere Gesù al centro, mentre il verde, simbolo del rinnovamento della vita, è il colore dello Spirito Santo, a destra. Il blu, simbolo della vita eterna, identifica Dio Padre a sinistra, coperto da un manto rosa-oro simbolo di regalità. Di ciò sono convinti molti autorevoli storici dell’arte, esperti di icone, che osservano che tale posizione corrisponde anche all’ordine rigoroso del Credo: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Dio Padre, unico fra i tre, leva la mano come per dare un ordine, giacché tutto procede da Lui, e indica la coppa al centro del tavolo, la quale è sicuramente il calice eucaristico, simbolo del sacrificio di Cristo ma anche di salvezza per l’umanità. Le altre due Persone hanno invece l’atteggiamento di chi accetta e la figura al centro, Cristo appunto, sembra a sua volta benedire la coppa.
La seconda coppa
L’immagine di una seconda coppa, molto più grande, è formata dai profili interni dei due angeli ai lati, come a dire che il sacrificio del Figlio è comunque condiviso dall’Amore trinitario.
Il fondo oro simboleggia la luce divina in cui le tre Persone sono immerse. L’albero alle spalle di Cristo potrebbe alludere al legno della Croce, nuovo albero della vita. L’edificio in alto a sinistra potrebbe simboleggiare il Tempio di Gerusalemme oppure la Chiesa, che è la Casa del Padre. La finestrella rettangolare aperta sulla faccia anteriore del tavolo permette di identificarlo con un altare: si tratta, infatti, della “finestra della confessione”, cioè di quell’apertura presente su molti altari medioevali che permetteva di guardare le spoglie del martire custodite sotto di esso o al suo interno.
La prospettiva inversa
La scena non è prospetticamente concepita, giacché non racconta un episodio avvenuto sulla terra ma rimanda a una dimensione puramente spirituale. Anzi, la prospettiva utilizzata è deliberatamente sbagliata (si parla di prospettiva inversa) giacché nel mondo artistico delle icone non è lo spettatore a entrare idealmente nel quadro ma al contrario è l’immagine sacra a invadere il nostro mondo materiale. Le icone sono infatti ideali finestre che mettono in comunicazione la realtà materiale in cui viviamo con la dimensione puramente spirituale del divino, il quale, da tale apertura, “entra” a partecipare della nostra vita.
Si noterà, infatti, che le linee dei troni laterali e delle relative pedane non convergono verso un punto di fuga posto all’orizzonte della scena ma, al contrario, tendono a un punto che si trova in basso, dalla parte dell’osservatore. Inoltre, la figura centrale, pur essendo posta dietro il tavolo e dunque in secondo piano, ha le medesime dimensioni delle altre due.
Un modello indiscusso
L’Icona della Trinità di Rublëv, icona delle icone, è stata adottata come indiscusso modello per le generazioni successive di iconografi. Riprodotta in migliaia di esemplari, praticamente identici, è ancora oggi proposta alla venerazione dei fedeli.
Non dobbiamo mai dimenticare che nel mondo artistico delle icone ha poco senso parlare di originali, varianti e copie: solo l’immagine in sé conta, giacché essa «è espressione di Bellezza e la Bellezza è Dio. Gli iconografi considerano le icone sacre come il genere più alto dell’arte in generale, così come la Bibbia costituisce il massimo genere letterario.
Ecco perché la tradizione vuole che gli iconografi non mettano mai la propria firma sulle proprie opere, in quanto le icone non appartengono ad essi ma solamente a Lui» (E.Morisco, iconografo contemporaneo). Ciò valeva in età bizantina, continuò a valere nei secoli successivi, vale ancora oggi. Dipingere le icone (anzi, “scrivere” le icone) non è solo un mestiere, non è solo un’arte, è prima di tutto un atto di fede, una forma di inesausta preghiera.