CAPITOLO I: NEL NOME DEL SIGNORE! INCOMINCIA LA VITA DEI FRATI MINORI –
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
giovedì 10 novembre 2022
La Regola bollata (1223) di San Francesco d'Assisi
CAPITOLO I: NEL NOME DEL SIGNORE! INCOMINCIA LA VITA DEI FRATI MINORI –
Papa Benedetto XVI e il CONCILIO
Benedetto XVI scrive:
“Il Concilio ebbe potere positivo”
(per la purificazione finale)
25 ottobre 2022
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Quando scrive papa Ratzinger, l’errore più comune è quello di leggere superficialmente. Questo si è puntualmente verificato anche con la lettera inviata il 7 ottobre dal vero pontefice all’Università Francescana di Steubenville, negli Stati Uniti, dove un simposio internazionale si sta occupando della sua ecclesiologia.
La missiva è stata interpretata come un apprezzamento di papa Benedetto al Concilio in senso modernista, cosa che ha dato guazza a quell’ala tradizional sedevacantista che lo detesta senza VOLER capire nulla della Magna Quaestio.
Bisognerebbe dedicare un altro volume, ancor più ponderoso di “Codice Ratzinger" (Byoblu ed. 2022) allo studio del cosiddetto “Proto-Codice Ratzinger”, ovvero il linguaggio e la politica con cui il grande teologo tedesco è riuscito a “sopravvivere” come Prefetto della Fede e poi come papa attivo della Chiesa fino al 2013.
Tutto quello che è stato visto negli ultimi decenni come un suo avallo del Concilio in senso modernista, va completamente rovesciato. Un esempio plastico di tale indispensabile processo di comprensione, è rappresentato dall’adozione, del neo-papa Benedetto XVI, nel 2005, della mitria vescovile sullo stemma pontificio, rimuovendo la tradizionale tiara.
Il gesto tranquillizzò i nemici modernisti che lo accolsero per quello di un papa che si proponeva in qualità di vescovo primus inter pares, andando a ridimensionare il tradizionale assolutismo del pontefice, ma irritò moltissimo i tradizionalisti, che vi colsero una concessione al modernismo. Si sarebbe dovuto aspettare il 2021, anno in cui, su Libero, abbiamo compreso che la Declaratio era un annuncio di sede impedita per comprendere la geniale lungimiranza del provvedimento del Santo Padre.
In vista di un possibile, necessario piano di emergenza antiusurpazione – l’autoesilio in sede impedita - per cui lo stesso card. Ratzinger aveva già predisposto nel 1983 la dicotomia munus/ministerium nel Diritto canonico, e Giovanni Paolo II aveva fatto costruire il “fortilizio” in cui si sarebbe potuto auto-rinchiudere il papa impedito (il monastero Mater Ecclesiae) QUI, l’innocua mitria vescovile, di basso profilo, avrebbe consentito al papa impedito di mantenere inalterato il proprio stemma senza dover obbligatoriamente rinunciare a un’ingombrante ed eloquente tiara, la “corona” simbolo della sovranità del papa. In tal modo, ha potuto mantenere l'insegna simbolo del suo “diritto dinastico” papale senza svelare prima del tempo la sede impedita. E così avvenne, come abbiamo visto QUI
Così, per comprendere la recentissima lettera all’università di Staubenville, dobbiamo ricordare come fin dal 1957 Ratzinger avesse studiato – e amato – il teologo romano Ticonio, per il quale la chiesa ha un corpo bipartito QUI: c’è la Chiesa di Cristo e, al suo interno, mascherata, la chiesa del diavolo. La seconda sarebbe finalmente emersa alla luce grazie a una grande discessio, cioè un ritiro della vera chiesa che avrebbe concesso a quella diabolica una parentesi di governo per manifestarsi.
E così è andata: il papa si è ritirato in sede impedita, lasciando a un antipapa platealmente apostata campo libero e tutto l’agio di dimostrarsi per quello che è, fino alla sua combustione escatologica finale, che avverrà con l’ufficializzazione della sede impedita.
Da qui si comprende la famosa “ermeneutica della continuità” di Ratzinger, mai compresa né dall’estrema sinistra modernista, né dall’ala ipertradizionalista-sedevacantista. Il Concilio non è stato un elemento di discontinuità fra una chiesa del prima e una del dopo, (come credono da fronti diversi gli uni e gli altri) ma UNA FASE NECESSARIA, l’inizio di una pur brutta infezione che avrebbe prodotto un ascesso il quale, scoppiando, avrebbe finalmente purificato la Chiesa.
Da qui la “gratitudine” che papa Ratzinger nutre verso il Concilio, costantemente travisata. Ecco perché nel 2012, alle soglie del ritiro in sede impedita, si espresse così: “Il grande Concilio Ecumenico era inaugurato; eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa, una nuova Pentecoste…. Anche oggi siamo felici, portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile. In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania. E che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato”.
Allora: come potrebbe mai essere un fan del Concilio in senso “modernista” un teologo che si esprime con tali meste considerazioni?
Fatta questa lunga, fondamentale premessa, veniamo alla recente lettera di Benedetto XVI, che dimostra come egli sia ancora di una straordinaria, profetica lucidità:
“Quando Papa Giovanni XXIII lo annunciò (il Concilio), con sorpresa di tutti, c’erano molti dubbi sul fatto che avrebbe avuto senso, anzi che sarebbe stato possibile, organizzare le intuizioni e le domande nell’insieme di una dichiarazione conciliare e dare così alla Chiesa una direzione per il suo ulteriore cammino. In realtà, un nuovo concilio si è rivelato non solo significativo, ma necessario”.
Attenzione: il Concilio si è rivelato necessario, col senno di poi. Come, ad esempio, per il Figliol prodigo fu necessario andarsene per il mondo e rovinarsi prima di tornare alla casa del Padre.
“Per la prima volta, la questione di una teologia delle religioni si era mostrata nella sua radicalità. Lo stesso vale per il rapporto tra la fede e il mondo della semplice ragione. Entrambi i temi non erano mai stati previsti in questo modo”.
Non ci si aspettava che un giorno la Chiesa si sarebbe dovuta confrontare con le altre religioni, né che si sarebbe dovuto rendere conto al razionalismo laico delle ragioni della fede.
“Questo spiega perché il Concilio Vaticano II all’inizio minacciava di turbare e scuotere la Chiesa più che di darle una nuova chiarezza per la sua missione”.
Queste nuove istanze sembravano mettere in difficoltà la Chiesa, ma invece l’avrebbero temprata nel fuoco della prova.
“Nel frattempo, la necessità di riformulare la questione della natura e della missione della Chiesa è diventata gradualmente evidente. In questo modo, anche il potere positivo del Concilio sta lentamente emergendo”.
In questo periodo si è visto ancor meglio quale sia il compito finale della Chiesa: si è separato il grano dal loglio, il che darà modo a una nuova Chiesa purificata di nascere e di illuminare il mondo. Da qui il potere positivo del Concilio, l’altra faccia della medaglia, oltre i disastri negativi e apparenti. Tornando alla metafora dell’infezione, c’è un potere negativo della malattia che produce sofferenza, ma anche un potere positivo, liberatorio, purificatorio che conduce all’espulsione dei batteri, alla separazione della parte necrotica e al risanamento completo. Un risanamento che consentirà alla Chiesa di dare le risposte più efficaci alla modernità. Un po' come quando il Padre gioisce per il ritorno del Figliol prodigo: con la sua esperienza del mondo e del peccato egli è più consapevole dell'altro figlio che è sempre rimasto a casa. Il processo è quasi arrivato a compimento: “Il prigioniero presto sarà liberato” come ha indicato il Papa nel riferimento al libro di Isaia QUI.
Ci sarebbe da indagare anche la più complessa questione sulla Civitas Dei di S. Agostino e l’invasione di Roma da parte di Visigoti, con relativo sacco. Il riferimento è, ovviamente, a quello che sta accadendo ora, con la chiesa diabolica ticoniana che ha preso il potere e messo a sacco la Chiesa cattolica e la sua dottrina. Ma quanto già analizzato basta e avanza.
Questo articolo è un contributo ben modesto rispetto alla profondità dello scritto del Papa, ma crediamo almeno di aver offerto, in linea di massima, la chiave di lettura corretta e non un’interpretazione.
Infatti, tutto l’impianto si fonda non sulla sabbia del complottismo e della suggestione, ma sulla granitica roccia di una realtà canonica incontestabile: papa Benedetto non ha mai abdicato perché per farlo doveva rinunciare al munus petrino, (l’investitura papale di origine divina) in modo formalmente corretto e simultaneo. E lui ha rinunciato in modo differito al ministerium (l’esercizio del potere) in un documento pieno di errori formali e giuridici senza ratificare nulla dopo l’ora prevista per l’entrata in vigore del provvedimento. Ed è lo stesso papa Benedetto a confermare, con il suo stile comunicativo logico – il Codice Ratzinger certificato da decine di specialisti QUI che non fu una rinuncia al papato, ma l’annuncio di un impedimento. E se non bastasse, l’altro giorno vi ha anche detto che la risposta per chi non crede è contenuta nel libro di Geremia dove si legge – guarda caso – “IO SONO IMPEDITO”.
mercoledì 9 novembre 2022
La Mia Parola è il Mio nutrimento
Siate benedetti! Camminate senza paura!
9 marzo 2013
“La Mia Parola è il Mio nutrimento”
In nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo.
“Ascoltate
questo Mistero”
“Questo Mistero non può essere
annunciato dalla Chiesa, chiusa per il Conclave riunitosi per eleggere il nuovo
Papa. E tuttavia, è la “Mia Chiesa” che ve lo annuncerà, ad ognuno e a voi
tutti, miei cari figli, insieme al Mio Papa Emerito. Voi siete i cristiani che
amano la Chiesa e il suo Papa Emerito, siete i messaggeri della Buona Novella:
di Gesù Cristo.
Ognuno di voi è un inviato di DIO
per portare la Sua Parola fino agli estremi confini della terra.
Siate benedetti!
Non demoralizzarti da sola, perché
Io ho messo in ognuno la Mia forza e la Mia volontà; e al Mio segnale, dovete
ascoltarMi.
E’ urgente mettere già tutto in
opera.
Nessuno può più opporsi allo
sguardo di DIO sulla terra … Perciò Io diffondo al presente i Miei ordini. Va’
e seguiMi. Non sai che voi, Miei diletti, siete proprio dietro di Me?
Nessuno fermerà più l’onda della
Mia Viva Parola.
“Io sono la Sorgente”. Camminate senza
paura! Te lo ripeto: Io sarò sempre davanti
a colui che onoro con la Mia Santa Parola.
Il vostro DIO ha parlato. Sono
tutti i miei Angeli protettori che vi aprono le porte, davanti a voi; ed essi
ricevono lo stesso ordine di colui che porta la Mia Parola: Se voi
tacete, parleranno le pietre!
La Mia Parola è ben misurata;
quando Io la dono, è altrettanto fluida come la Mia Acqua. Dunque sarà sempre
davanti a te.
Le porte si apriranno, perché è il
Signore che ti manda: se no, perché Mi sentiresti? Non temere nulla, i tempi
sono qui; ed Io sono il Padrone del tempo … altrimenti,
tutto sarebbe ancora nascosto!
E’ adesso che tutto si compie.
La Mia Chiesa siete voi tutti “dietro
al Mio Papa Emerito”, al quale oggi Io parlo.
Tutto ciò che tu ricevi, è
accettato da ogni angelo che vi segue, per togliere la pietra più piccola che
si trova sul vostro cammino e che può essere un ostacolo per i Miei diletti.
Va’, figlia Mia scelta, vai a
portare il Regno di DIO, che hai nel tuo cuore.
Colui che si interpone a questo,
sappia che niente può sbarrare la via al Signore.
Sì, tu darai questo Messaggio, che
sarà la prima apertura di questo nuovo cammino:
“ la Protezione di DIO”.
Io imprimo il Mio Sigillo sulla Mia
parola Vera, che aprirà la porta alla VERITA’ Suprema.
Gesù Cristo,
Padrone delle Armate di DIO
Nostro Padre.
Ricevuto da JNSR il 9 marzo 2013
LAUDETUR
JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR
CUM MARIA!
SEMPER
LAUDENTUR!
SANTO ROSARIO - Montfort
ROSA VENTIDUESIMA
La meditazione dei misteri ci rende conformi a Gesù
[65] Precipua cura dell'anima cristiana è di tendere alla perfeziono:
Fatevi, dunque, imitatori di Dio quali figli carissimi (Ef 5,1), ci dice il
grande Apostolo.
E' un obbligo, questo, contenuto nell'eterno decreto della nostra
predestinazione, essendo l'unico mezzo ordinato per giungere alla gloria
eterna.
San Gregorio Nisseno dice graziosamente che noi siamo dei pittori:
l'anima nostra è la tela preparata su cui passano i pennelli; le virtù sono i
colori che servono per dar risalto alla bellezza dell'originale da riprodurre:
Gesù Cristo, immagine viva e rappresentazione perfetta dell'eterno Padre.
Come, dunque, un pittore per eseguire il ritratto dal vero si pone davanti
all'originale e ad ogni pennellata lo osserva, così il cristiano deve sempre
tenere presente la vita e le virtù di Gesù Cristo per dire, pensare e fare
soltanto ciò che è conforme ad esse.
[66] Per aiutarci nell'importante opera della nostra predestinazione,
la Vergine santa ordinò a san Domenico di esporre ai devoti del Rosario i
sacri misteri della vita di Gesù Cristo non soltanto perché adorino e
glorifichino Nostro Signore, ma soprattutto perché regolino la loro vita
sulle opere e virtù di Lui. Come i bambini, infatti, imitano i loro genitori
osservandoli e conversando con loro e ne imparano il modo di esprimersi
ascoltandoli parlare; come un apprendista impara l'arte guardando lavorare
il maestro, così i fedeli confratelli del Rosario, meditando devotamente le
virtù di Gesù Cristo nei quindici misteri della sua vita, diventano
somiglianti al divino Maestro con l'aiuto della sua grazia e per
l'intercessione della Vergine santa.
[67] Se Mosè ordinò al popolo ebreo da parte di Dio stesso di non
dimenticare mai i benefici di cui l'aveva colmato, con maggior ragione il
Figlio di Dio può comandarci di imprimere nel nostro cuore e di avere
costantemente davanti agli occhi i misteri della sua vita, passione e gloria,
poiché questi sono altrettanti benefici dei quali ci favorì e con i quali ci
mostrò l'eccesso del suo amore per la nostra salvezza.
“Voi tutti che passate per la via - ci dice - considerate e osservate se
ci sono dolori simili ai dolori ch'io ho sofferto per amor vostro.
Ricordatevi della mia povertà e del mio annientamento, pensate
all'assenzio e al fiele che presi per voi nella mia passione” (Cfr. Lam 1,12;
3,19). Queste parole e molte altre che si potrebbero ricordare, convincono
abbastanza dell'obbligo che abbiamo di non contentarci di recitare
vocalmente il Rosario in onore di Cristo Gesù e della Vergine santa, ma di
recitarlo meditandone i sacri misteri.
AVE MARIA!
Perché tantissimi bambini devono morire di fame, mentre altri sono soffocati dall'abbondanza?
Una meditazione sul “Corpus Domini”
Perché c’è tanta fame nel mondo? Perché tantissimi bambini devono morire di fame, mentre altri sono soffocati dall'abbondanza? Perché il povero Lazzaro deve continuare ad aspettarsi invano le briciole del ricco gaudente, senza poter varcare la soglia della sua casa? Certamente non perché la terra non sia in grado di produrre pane per tutti.
Nei paesi dell’Occidente si offrono indennizzi per la distruzione dei frutti della terra, allo scopo di sostenere il livello dei prezzi, mentre altrove c’è chi patisce la fame.
La mente umana sembra più abile nell'escogitare sempre nuovi mezzi di distruzione, invece che nuove strade per la vita. E’ più ingegnosa nel far arrivare in ogni angolo del mondo le armi per la guerra, piuttosto che portarvi il pane. Perché accade tutto questo? Perché le nostre anime sono malnutrite, i nostri cuori sono accecati e induriti.
Il mondo è nel disordine perché il nostro cuore è nel disordine, perché gli manca l’amore, perciò non sa indicare alla ragione le vie della giustizia.
Riflettendo su tutto questo, comprendiamo le parole con cui Gesù obietta a Satana, che lo invita a trasformare le pietre in pane: «Non di solo pane vivrà l’uomo/ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Perché ci sia pane per tutti, deve prima essere nutrito il cuore dell’uomo. Perché ci sia giustizia tra gli uomini, deve prima germogliare la giustizia nei cuori, ma essa non si sviluppa senza Dio e senza il nutrimento vitale della sua parola. Questa Parola si è fatta carne, è divenuta persona umana, affinché noi potessimo accoglierla e farla nostro nutrimento. Poiché l’uomo è troppo piccolo, incapace di raggiungere Dio, Dio stesso si è fatto piccolo per noi, così che possiamo ricevere amore dal suo amore e il mondo diventi il suo regno.
Questo significa la festa del Corpus Domini. Il Signore che si è fatto carne, il Signore che è diventato pane, noi lo portiamo per le vie delle nostre città e dei nostri paesi.
Lo immergiamo nella quotidianità della nostra vita, le nostre strade diventano le sue strade. Egli non deve restare rinchiuso nei tabernacoli discosto da noi, ma in mezzo a noi, nella vita d’ogni giorno. Deve camminare dove noi camminiamo, deve vivere dove noi viviamo. Il nostro mondo, le nostre esistenze devono diventare il suo tempio.
Il Corpus Domini ci fa capire cosa significa fare la comunione: ospitarlo, riceverlo con tutto il nostro essere. Non si può mangiare il corpo del Signore come un qualsiasi pezzo di pane. Occorre aprirsi a lui con tutta la propria vita, con tutto il cuore: «Ecco, io sto alla porta e busso – dice il Signore nell'Apocalisse – Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò in lui, cenerò con lui e lui con me» (3,20).
Il Corpus Domini vuole rendere percepibile questo bussare del Signore anche alla nostra sordità interiore.
Egli bussa forte alla porta della nostra vita d’ogni giorno e dice aprimi!/fammi entrare/comincia a vivere di me! Questo non può valere soltanto un attimo, come di sfuggita, durante la santa messa, e poi di nuovo come prima. E’ un’esperienza che attraversa tutti i i tempi e tutti i luoghi. Aprimi! – dice il Signore – Come io mi sono aperto per te. Aprimi il mondo, perché io possa entrarvi, e possa così rischiarare le vostre menti intorpidite, vincere la durezza dei vostri cuori. Fammi entrare! Io per te mi sono lasciato squarciare il cuore. Il Signore dice questo a ciascuno di noi, lo dice alla nostra comunità nel suo insieme: fatemi entrare nella vostra vita, nel vostro mondo. Vivete di me, per essere veramente vivi. Ma vivere significa anche e sempre: donare ad altri.
Il Corpus Domini è un invito rivolto a noi dal Signore, ma è anche un grido che noi indirizziamo a lui. Tutta la festa è una grande preghiera:facci dono di Te! Dà a noi il vero pane! Arriviamo così a comprendere meglio il “Padre nostro”, la preghiera per eccellenza. La quarta invocazione, quella per il pane, funge come da collegamento fra le tre invocazioni che riguardano il regno di Dio e le ultime tre che riguardano le nostre necessità.
Che cosa chiediamo? Naturalmente il pane per oggi. E’ la preghiera dei discepoli, che non hanno capitali da parte, ma vivono della quotidiana bontà del Signore: perciò si mantengono in dialogo costante con lui, volgono a lui il loro sguardo, confidano soltanto in lui. E’ la preghiera di chi non vuole accumulare ricchezze, di chi non cerca una sicurezza mondana, ma si accontenta del necessario per avere tempo da dedicare alle cose veramente importanti. E’ la preghiera dei semplici, degli umili, di coloro che amano e vivono la povertà nello Spirito Santo.
Ma nella domanda del pane c’è un’altra profondità. Il termine greco epiousios, che noi traduciamo con “quotidiano”, non compare da nessun’altra parte, ma è tipico ed esclusivo del “Padre nostro”. Per quanto gli esperti discutano ancora sul suo significato, molto probabilmente vuole anche dire: dacci il pane di domani, cioè il pane del mondo a venire. In realtà, soltanto l’eucaristia può essere la risposta a ciò che questa misteriosa parola, epiousios, vuole indicare: il pane del mondo futuro, che già oggi ci è dato, affinchè già oggi il mondo futuro abbia inizio in mezzo a noi. Alla luce di questa invocazione, la preghiera perché venga il regno di Dio e perché la terra diventi come il cielo assume grande concretezza: con l’eucaristia il cielo viene sulla terra, il domani di Dio si compie già oggi e introduce nel mondo di oggi il mondo di domani.
Ma qui è come sintetizzata anche la richiesta di essere liberati da tutti i mali, dai nostri debiti, dal pericolo della tentazione: dammi questo pane, perché il mio cuore si mantenga vigile, perché possa resistere al male, perché sappia distinguere il bene e il male, perché impari a perdonare e sia forte nella tentazione. Soltanto allora il nostro mondo comincerà a essere veramente umano: se il mondo futuro diventa già in qualche misura l’oggi, se il mondo comincia già oggi a diventare divino.
Con la richiesta del pane andiamo incontro al domani di Dio, alla trasformazione del mondo. Nell'eucaristia ci viene incontro il domani di Dio , il suo Regno già oggi comincia tra di noi.
E non dimentichiamo, infine, che tutte le invocazioni del “Padre nostro” sono espresse col “noi”: nessuno può dire: “Padre mio” se non Cristo, il Figlio. Perciò noi, se davvero vogliamo pregare nel modo giusto, dobbiamo farlo con gli altri e per gli altri, uscendo da noi stessi, aprendoci. Tutto questo è significato da quel “camminare insieme col Signore” che è, per così dire, il segno distintivo della festa del Corpus Domini.
Dopo che Gesù ebbe terminato il suo discorso eucaristico nella sinagoga di Cafarnao, molti discepoli lo abbandonarono: era qualcosa di troppo impegnativo, di troppo misterioso. Le loro attese erano più che altro rivolte ad una liberazione politica, tutto il resto sapeva ben poco di concretezza. Non è forse così anche oggi? Quante persone, nel corso degli ultimi cent’anni, se ne sono andate perché a loro avviso Gesù non era abbastanza “pratico”. Quello che poi da parte loro sono riusciti a realizzare è sotto gli occhi di tutti. E se il Signore oggi ci domandasse: «Volete andarvene anche voi?». In questa festa del Corpus Domini, insieme con Simon Pietro, noi con tutto il cuore vogliamo rispondergli: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,67s).
Da: In cammino verso Gesù Cristo – Ed San Paolo 2004