Benedetto XVI scrive:
“Il Concilio ebbe potere positivo”
(per la purificazione finale)
25 ottobre 2022
Quando scrive papa Ratzinger, l’errore più comune è quello di leggere superficialmente. Questo si è puntualmente verificato anche con la lettera inviata il 7 ottobre dal vero pontefice all’Università Francescana di Steubenville, negli Stati Uniti, dove un simposio internazionale si sta occupando della sua ecclesiologia.
La missiva è stata interpretata come un apprezzamento di papa Benedetto al Concilio in senso modernista, cosa che ha dato guazza a quell’ala tradizional sedevacantista che lo detesta senza VOLER capire nulla della Magna Quaestio.
Bisognerebbe dedicare un altro volume, ancor più ponderoso di “Codice Ratzinger" (Byoblu ed. 2022) allo studio del cosiddetto “Proto-Codice Ratzinger”, ovvero il linguaggio e la politica con cui il grande teologo tedesco è riuscito a “sopravvivere” come Prefetto della Fede e poi come papa attivo della Chiesa fino al 2013.
Tutto quello che è stato visto negli ultimi decenni come un suo avallo del Concilio in senso modernista, va completamente rovesciato. Un esempio plastico di tale indispensabile processo di comprensione, è rappresentato dall’adozione, del neo-papa Benedetto XVI, nel 2005, della mitria vescovile sullo stemma pontificio, rimuovendo la tradizionale tiara.
Il gesto tranquillizzò i nemici modernisti che lo accolsero per quello di un papa che si proponeva in qualità di vescovo primus inter pares, andando a ridimensionare il tradizionale assolutismo del pontefice, ma irritò moltissimo i tradizionalisti, che vi colsero una concessione al modernismo. Si sarebbe dovuto aspettare il 2021, anno in cui, su Libero, abbiamo compreso che la Declaratio era un annuncio di sede impedita per comprendere la geniale lungimiranza del provvedimento del Santo Padre.
In vista di un possibile, necessario piano di emergenza antiusurpazione – l’autoesilio in sede impedita - per cui lo stesso card. Ratzinger aveva già predisposto nel 1983 la dicotomia munus/ministerium nel Diritto canonico, e Giovanni Paolo II aveva fatto costruire il “fortilizio” in cui si sarebbe potuto auto-rinchiudere il papa impedito (il monastero Mater Ecclesiae) QUI, l’innocua mitria vescovile, di basso profilo, avrebbe consentito al papa impedito di mantenere inalterato il proprio stemma senza dover obbligatoriamente rinunciare a un’ingombrante ed eloquente tiara, la “corona” simbolo della sovranità del papa. In tal modo, ha potuto mantenere l'insegna simbolo del suo “diritto dinastico” papale senza svelare prima del tempo la sede impedita. E così avvenne, come abbiamo visto QUI
Così, per comprendere la recentissima lettera all’università di Staubenville, dobbiamo ricordare come fin dal 1957 Ratzinger avesse studiato – e amato – il teologo romano Ticonio, per il quale la chiesa ha un corpo bipartito QUI: c’è la Chiesa di Cristo e, al suo interno, mascherata, la chiesa del diavolo. La seconda sarebbe finalmente emersa alla luce grazie a una grande discessio, cioè un ritiro della vera chiesa che avrebbe concesso a quella diabolica una parentesi di governo per manifestarsi.
E così è andata: il papa si è ritirato in sede impedita, lasciando a un antipapa platealmente apostata campo libero e tutto l’agio di dimostrarsi per quello che è, fino alla sua combustione escatologica finale, che avverrà con l’ufficializzazione della sede impedita.
Da qui si comprende la famosa “ermeneutica della continuità” di Ratzinger, mai compresa né dall’estrema sinistra modernista, né dall’ala ipertradizionalista-sedevacantista. Il Concilio non è stato un elemento di discontinuità fra una chiesa del prima e una del dopo, (come credono da fronti diversi gli uni e gli altri) ma UNA FASE NECESSARIA, l’inizio di una pur brutta infezione che avrebbe prodotto un ascesso il quale, scoppiando, avrebbe finalmente purificato la Chiesa.
Da qui la “gratitudine” che papa Ratzinger nutre verso il Concilio, costantemente travisata. Ecco perché nel 2012, alle soglie del ritiro in sede impedita, si espresse così: “Il grande Concilio Ecumenico era inaugurato; eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa, una nuova Pentecoste…. Anche oggi siamo felici, portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile. In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania. E che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato”.
Allora: come potrebbe mai essere un fan del Concilio in senso “modernista” un teologo che si esprime con tali meste considerazioni?
Fatta questa lunga, fondamentale premessa, veniamo alla recente lettera di Benedetto XVI, che dimostra come egli sia ancora di una straordinaria, profetica lucidità:
“Quando Papa Giovanni XXIII lo annunciò (il Concilio), con sorpresa di tutti, c’erano molti dubbi sul fatto che avrebbe avuto senso, anzi che sarebbe stato possibile, organizzare le intuizioni e le domande nell’insieme di una dichiarazione conciliare e dare così alla Chiesa una direzione per il suo ulteriore cammino. In realtà, un nuovo concilio si è rivelato non solo significativo, ma necessario”.
Attenzione: il Concilio si è rivelato necessario, col senno di poi. Come, ad esempio, per il Figliol prodigo fu necessario andarsene per il mondo e rovinarsi prima di tornare alla casa del Padre.
“Per la prima volta, la questione di una teologia delle religioni si era mostrata nella sua radicalità. Lo stesso vale per il rapporto tra la fede e il mondo della semplice ragione. Entrambi i temi non erano mai stati previsti in questo modo”.
Non ci si aspettava che un giorno la Chiesa si sarebbe dovuta confrontare con le altre religioni, né che si sarebbe dovuto rendere conto al razionalismo laico delle ragioni della fede.
“Questo spiega perché il Concilio Vaticano II all’inizio minacciava di turbare e scuotere la Chiesa più che di darle una nuova chiarezza per la sua missione”.
Queste nuove istanze sembravano mettere in difficoltà la Chiesa, ma invece l’avrebbero temprata nel fuoco della prova.
“Nel frattempo, la necessità di riformulare la questione della natura e della missione della Chiesa è diventata gradualmente evidente. In questo modo, anche il potere positivo del Concilio sta lentamente emergendo”.
In questo periodo si è visto ancor meglio quale sia il compito finale della Chiesa: si è separato il grano dal loglio, il che darà modo a una nuova Chiesa purificata di nascere e di illuminare il mondo. Da qui il potere positivo del Concilio, l’altra faccia della medaglia, oltre i disastri negativi e apparenti. Tornando alla metafora dell’infezione, c’è un potere negativo della malattia che produce sofferenza, ma anche un potere positivo, liberatorio, purificatorio che conduce all’espulsione dei batteri, alla separazione della parte necrotica e al risanamento completo. Un risanamento che consentirà alla Chiesa di dare le risposte più efficaci alla modernità. Un po' come quando il Padre gioisce per il ritorno del Figliol prodigo: con la sua esperienza del mondo e del peccato egli è più consapevole dell'altro figlio che è sempre rimasto a casa. Il processo è quasi arrivato a compimento: “Il prigioniero presto sarà liberato” come ha indicato il Papa nel riferimento al libro di Isaia QUI.
Ci sarebbe da indagare anche la più complessa questione sulla Civitas Dei di S. Agostino e l’invasione di Roma da parte di Visigoti, con relativo sacco. Il riferimento è, ovviamente, a quello che sta accadendo ora, con la chiesa diabolica ticoniana che ha preso il potere e messo a sacco la Chiesa cattolica e la sua dottrina. Ma quanto già analizzato basta e avanza.
Questo articolo è un contributo ben modesto rispetto alla profondità dello scritto del Papa, ma crediamo almeno di aver offerto, in linea di massima, la chiave di lettura corretta e non un’interpretazione.
Infatti, tutto l’impianto si fonda non sulla sabbia del complottismo e della suggestione, ma sulla granitica roccia di una realtà canonica incontestabile: papa Benedetto non ha mai abdicato perché per farlo doveva rinunciare al munus petrino, (l’investitura papale di origine divina) in modo formalmente corretto e simultaneo. E lui ha rinunciato in modo differito al ministerium (l’esercizio del potere) in un documento pieno di errori formali e giuridici senza ratificare nulla dopo l’ora prevista per l’entrata in vigore del provvedimento. Ed è lo stesso papa Benedetto a confermare, con il suo stile comunicativo logico – il Codice Ratzinger certificato da decine di specialisti QUI che non fu una rinuncia al papato, ma l’annuncio di un impedimento. E se non bastasse, l’altro giorno vi ha anche detto che la risposta per chi non crede è contenuta nel libro di Geremia dove si legge – guarda caso – “IO SONO IMPEDITO”.