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mercoledì 9 novembre 2022

Perché tantissimi bambini devono morire di fame, mentre altri sono soffocati dall'abbondanza?


 Una meditazione sul “Corpus Domini” 


Perché c’è tanta fame nel mondo? Perché tantissimi bambini devono morire di fame, mentre altri sono soffocati dall'abbondanza? Perché il povero Lazzaro deve continuare ad aspettarsi invano le briciole del ricco gaudente, senza poter varcare la soglia della sua casa? Certamente non perché la terra non sia in grado di produrre pane per tutti. 
Nei paesi dell’Occidente si offrono indennizzi per la distruzione dei frutti della terra, allo scopo di sostenere il livello dei prezzi, mentre altrove c’è chi patisce la fame. 

La mente umana sembra più abile nell'escogitare sempre nuovi mezzi di distruzione, invece che nuove strade per la vita. E’ più ingegnosa nel far arrivare in ogni angolo del mondo le armi per la guerra, piuttosto che portarvi il pane. Perché accade tutto questo? Perché le nostre anime sono malnutrite, i nostri cuori sono accecati e induriti. 

Il mondo è nel disordine perché il nostro cuore è nel disordine, perché gli manca l’amore, perciò non sa indicare alla ragione le vie della giustizia. 

Riflettendo su tutto questo, comprendiamo le parole con cui Gesù obietta a Satana, che lo invita a trasformare le pietre in pane: «Non di solo pane vivrà l’uomo/ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Perché ci sia pane per tutti, deve prima essere nutrito il cuore dell’uomo. Perché ci sia giustizia tra gli uomini, deve prima germogliare la giustizia nei cuori, ma essa non si sviluppa senza Dio e senza il nutrimento vitale della sua parola. Questa Parola si è fatta carne, è divenuta persona umana, affinché noi potessimo accoglierla e farla nostro nutrimento. Poiché l’uomo è troppo piccolo, incapace di raggiungere Dio, Dio stesso si è fatto piccolo per noi, così che possiamo ricevere amore dal suo amore e il mondo diventi il suo regno. 

Questo significa la festa del Corpus Domini. Il Signore che si è fatto carne, il Signore che è diventato pane, noi lo portiamo per le vie delle nostre città e dei nostri paesi. 

Lo immergiamo nella quotidianità della nostra vita, le nostre strade diventano le sue strade. Egli non deve restare rinchiuso nei tabernacoli discosto da noi, ma in mezzo a noi, nella vita d’ogni giorno. Deve camminare dove noi camminiamo, deve vivere dove noi viviamo. Il nostro mondo, le nostre esistenze devono diventare il suo tempio. 

Il Corpus Domini ci fa capire cosa significa fare la comunione: ospitarlo, riceverlo con tutto il nostro essere. Non si può mangiare il corpo del Signore come un qualsiasi pezzo di pane. Occorre aprirsi a lui con tutta la propria vita, con tutto il cuore: «Ecco, io sto alla porta e busso – dice il Signore nell'Apocalisse – Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò in lui, cenerò con lui e lui con me» (3,20). 

Il Corpus Domini vuole rendere percepibile questo bussare del Signore anche alla nostra sordità interiore. 
Egli bussa forte alla porta della nostra vita d’ogni giorno e dice aprimi!/fammi entrare/comincia a vivere di me! Questo non può valere soltanto un attimo, come di sfuggita, durante la santa messa, e poi di nuovo come prima. E’ un’esperienza che attraversa tutti i i tempi e tutti i luoghi. Aprimi! – dice il Signore – Come io mi sono aperto per te. Aprimi il mondo, perché io possa entrarvi, e possa così rischiarare le vostre menti intorpidite, vincere la durezza dei vostri cuori. Fammi entrare! Io per te mi sono lasciato squarciare il cuore. Il Signore dice questo a ciascuno di noi, lo dice alla nostra comunità nel suo insieme: fatemi entrare nella vostra vita, nel vostro mondo. Vivete di me, per essere veramente vivi. Ma vivere significa anche e sempre: donare ad altri. 

Il Corpus Domini è un invito rivolto a noi dal Signore, ma è anche un grido che noi indirizziamo a lui. Tutta la festa è una grande preghiera:facci dono di Te! Dà a noi il vero pane! Arriviamo così a comprendere meglio il “Padre nostro”, la preghiera per eccellenza. La quarta invocazione, quella per il pane, funge come da collegamento fra le tre invocazioni che riguardano il regno di Dio e le ultime tre che riguardano le nostre necessità. 
Che cosa chiediamo? Naturalmente il pane per oggi. E’ la preghiera dei discepoli, che non hanno capitali da parte, ma vivono della quotidiana bontà del Signore: perciò si mantengono in dialogo costante con lui, volgono a lui il loro sguardo, confidano soltanto in lui. E’ la preghiera di chi non vuole accumulare ricchezze, di chi non cerca una sicurezza mondana, ma si accontenta del necessario per avere tempo da dedicare alle cose veramente importanti. E’ la preghiera dei semplici, degli umili, di coloro che amano e vivono la povertà nello Spirito Santo. 

Ma nella domanda del pane c’è un’altra profondità. Il termine greco epiousios, che noi traduciamo con “quotidiano”, non compare da nessun’altra parte, ma è tipico ed esclusivo del “Padre nostro”. Per quanto gli esperti discutano ancora sul suo significato, molto probabilmente vuole anche dire: dacci il pane di domani, cioè il pane del mondo a venire. In realtà, soltanto l’eucaristia può essere la risposta a ciò che questa misteriosa parola, epiousios, vuole indicare: il pane del mondo futuro, che già oggi ci è dato, affinchè già oggi il mondo futuro abbia inizio in mezzo a noi. Alla luce di questa invocazione, la preghiera perché venga il regno di Dio e perché la terra diventi come il cielo assume grande concretezza: con l’eucaristia il cielo viene sulla terra, il domani di Dio si compie già oggi e introduce nel mondo di oggi il mondo di domani. 

Ma qui è come sintetizzata anche la richiesta di essere liberati da tutti i mali, dai nostri debiti, dal pericolo della tentazione: dammi questo pane, perché il mio cuore si mantenga vigile, perché possa resistere al male, perché sappia distinguere il bene e il male, perché impari a perdonare e sia forte nella tentazione. Soltanto allora il nostro mondo comincerà a essere veramente umano: se il mondo futuro diventa già in qualche misura l’oggi, se il mondo comincia già oggi a diventare divino.  

Con la richiesta del pane andiamo incontro al domani di Dio, alla trasformazione del mondo. Nell'eucaristia ci viene incontro il domani di Dio , il suo Regno già oggi comincia tra di noi. 
E non dimentichiamo, infine, che tutte le invocazioni del “Padre nostro” sono espresse col “noi”: nessuno può dire: “Padre mio” se non Cristo, il Figlio. Perciò noi, se davvero vogliamo pregare nel modo giusto, dobbiamo farlo con gli altri e per gli altri, uscendo da noi stessi, aprendoci. Tutto questo è significato da quel “camminare insieme col Signore” che è, per così dire, il segno distintivo della festa del Corpus Domini. 

Dopo che Gesù ebbe terminato il suo discorso eucaristico nella sinagoga di Cafarnao, molti discepoli lo abbandonarono: era qualcosa di troppo impegnativo, di troppo misterioso. Le loro attese erano più che altro rivolte ad una liberazione politica, tutto il resto sapeva ben poco di concretezza. Non è forse così anche oggi? Quante persone, nel corso degli ultimi cent’anni, se ne sono andate perché a loro avviso Gesù non era abbastanza “pratico”. Quello che poi da parte loro sono riusciti a realizzare è sotto gli occhi di tutti. E se il Signore oggi ci domandasse: «Volete andarvene anche voi?». In questa festa del Corpus Domini, insieme con Simon Pietro, noi con tutto il cuore vogliamo rispondergli: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,67s). 


Da: In cammino verso Gesù Cristo – Ed San Paolo 2004
AVE MARIA PURISSIMA!

sabato 22 giugno 2019

SIGNORE, DA CHI ANDREMO?

L’Eucaristia resta “segno di contraddizione” e non può non esserlo, perché un Dio che si fa carne e sacrifica se stesso per la vita del mondo pone in crisi la sapienza degli uomini

OMELIA DI 
SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI



Sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano
Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Giovedì, 7 giugno 2007


Cari fratelli e sorelle!

Poco fa abbiamo cantato nella Sequenza: “Dogma datur christianis, / quod in carnem transit panis, / et vinum in sanguinem – È certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”.

Quest’oggi riaffermiamo con trasporto la nostra fede nell’Eucaristia, il Mistero che costituisce il cuore della Chiesa. Nella recente Esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis ho ricordato che il Mistero eucaristico “è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo” (n. 1). Pertanto quella del Corpus Domini è una festa singolare e costituisce un importante appuntamento di fede e di lode per ogni comunità cristiana. È festa che ha avuto origine in un determinato contesto storico e culturale: è nata con lo scopo ben preciso di riaffermare apertamente la fede del Popolo di Dio in Gesù Cristo vivo e realmente presente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia. È festa istituita per adorare, lodare e ringraziare pubblicamente il Signore, che “nel Sacramento eucaristico continua ad amarci ‘fino alla fine’, fino al dono del suo corpo e del suo sangue” (Sacramentum caritatis, 1).


La Celebrazione eucaristica di questa sera ci riconduce al clima spirituale del Giovedì Santo, il giorno in cui Cristo, alla vigilia della sua Passione, istituì nel Cenacolo la santissima Eucaristia. Il Corpus Domini costituisce così una ripresa del mistero del Giovedì Santo, quasi in obbedienza all’invito di Gesù di “proclamare sui tetti” ciò che Egli ci ha trasmesso nel segreto (cfr Mt 10,27). Il dono dell’Eucaristia, gli Apostoli lo ricevettero dal Signore nell’intimità dell’Ultima Cena, ma era destinato a tutti, al mondo intero. Ecco perché va proclamato ed esposto apertamente, perché ognuno possa incontrare “Gesù che passa” come avveniva per le strade della Galilea, della Samaria e della Giudea; perché ognuno, ricevendolo, possa essere sanato e rinnovato dalla forza del suo amore. Questa, cari amici, è la perpetua e vivente eredità che Gesù ci ha lasciato nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Eredità che domanda di essere costantemente ripensata, rivissuta, affinché, come ebbe a dire il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Insegnamenti, V [1967], p. 779).

Sempre nell’Esortazione post-sinodale, commentando l’esclamazione del sacerdote dopo la consacrazione: “Mistero della fede!”, osservavo: con queste parole egli “proclama il mistero celebrato e manifesta il suo stupore di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore Gesù, una realtà che supera ogni comprensione umana” (n. 6). Proprio perché si tratta di una realtà misteriosa che oltrepassa la nostra comprensione, non dobbiamo meravigliarci se anche oggi molti fanno fatica ad accettare la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Non può essere altrimenti. Fu così fin dal giorno in cui, nella sinagoga di Cafarnao, Gesù dichiarò apertamente di essere venuto per darci in cibo la sua carne e il suo sangue (cfr Gv 6,26-58). Il linguaggio apparve “duro” e molti si tirarono indietro.

Allora come adesso, l’Eucaristia resta “segno di contraddizione” e non può non esserlo, perché un Dio che si fa carne e sacrifica se stesso per la vita del mondo pone in crisi la sapienza degli uomini. Ma con umile fiducia, la Chiesa fa propria la fede di Pietro e degli altri Apostoli, e con loro proclama: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Rinnoviamo pure noi questa sera la professione di fede nel Cristo vivo e presente nell’Eucaristia. Sì, “è certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”.

La Sequenza, nel suo punto culminante, ci ha fatto cantare: “Ecce panis angelorum, / factus cibus viatorum: / vere panis filiorum - Ecco il pane degli angeli, / pane dei pellegrini, / vero pane dei figli”. L’Eucaristia è il cibo riservato a coloro che nel Battesimo sono stati liberati dalla schiavitù e sono diventati figli; è il cibo che li sostiene nel lungo cammino dell’esodo attraverso il deserto dell’umana esistenza. Come la manna per il popolo d’Israele, così per ogni generazione cristiana l’Eucaristia è l’indispensabile nutrimento che la sostiene mentre attraversa il deserto di questo mondo, inaridito da sistemi ideologici ed economici che non promuovono la vita, ma piuttosto la mortificano; un mondo dove domina la logica del potere e dell’avere piuttosto che quella del servizio e dell’amore; un mondo dove non di rado trionfa la cultura della violenza e della morte. Ma Gesù ci viene incontro e ci infonde sicurezza: Egli stesso è “il pane della vita” (Gv 6,35.48). Ce lo ha ripetuto nelle parole del Canto al Vangelo: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (cfr Gv 6,51).

Nel brano evangelico poc’anzi proclamato san Luca, narrandoci il miracolo della moltiplicazione dei cinque pani e due pesci con cui Gesù sfamò la folla “in una zona deserta”, conclude dicendo: “Tutti ne mangiarono e si saziarono” (cfr Lc 9,11b–17). Vorrei in primo luogo sottolineare questo “tutti”. È infatti desiderio del Signore che ogni essere umano si nutra dell’Eucaristia, perché l’Eucaristia è per tutti. Se nel Giovedì Santo viene posto in evidenza lo stretto rapporto che esiste tra l’Ultima Cena e il mistero della morte di Gesù in croce, quest’oggi, festa del Corpus Domini, con la processione e l’adorazione corale dell’Eucaristia si richiama l’attenzione sul fatto che Cristo si è immolato per l’intera umanità. Il suo passaggio fra le case e per le strade della nostra Città sarà per coloro che vi abitano un’offerta di gioia, di vita immortale, di pace e di amore.

Nel brano evangelico, un secondo elemento salta all’occhio: il miracolo compiuto dal Signore contiene un esplicito invito ad offrire ciascuno il proprio contributo. I cinque pani e i due pesci stanno ad indicare il nostro apporto, povero ma necessario, che Egli trasforma in dono di amore per tutti. “Cristo ancora oggi - ho scritto nella citata Esortazione post-sinodale - continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona” (n. 88). L’Eucaristia è dunque una chiamata alla santità e al dono di sé ai fratelli, perchè “la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo” (ibid.).

Questo invito, il nostro Redentore lo rivolge in particolare a noi, cari fratelli e sorelle di Roma, raccolti in questa storica Piazza intorno all’Eucaristia: vi saluto tutti con affetto. Il mio saluto è innanzitutto per il Cardinale Vicario e i Vescovi Ausiliari, per gli altri venerati Fratelli Cardinali e Vescovi, come pure per i numerosi presbiteri e diaconi, i religiosi e le religiose, e i tanti fedeli laici. Al termine della Celebrazione eucaristica ci uniremo in processione, quasi a portare idealmente il Signore Gesù per tutte le vie e i quartieri di Roma. Lo immergeremo, per così dire, nella quotidianità della nostra vita, perché Egli cammini dove noi camminiamo, perché Egli viva dove noi viviamo. Sappiamo infatti, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella Lettera ai Corinzi, che in ogni Eucaristia, anche in quella di stasera, noi “annunziamo la morte del Signore finché egli venga” (cfr 1 Cor 11,26). Noi camminiamo sulle strade del mondo sapendo di aver Lui al fianco, sorretti dalla speranza di poterlo un giorno vedere a viso svelato nell’incontro definitivo.

Intanto già ora noi ascoltiamo la sua voce che ripete, come leggiamo nel Libro dell’Apocalisse: “Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). La festa del Corpus Domini vuole rendere percepibile, nonostante la durezza del nostro udito interiore, questo bussare del Signore. Gesù bussa alla porta del nostro cuore e ci chiede di entrare non soltanto per lo spazio di un giorno, ma per sempre. Lo accogliamo con gioia elevando a Lui la corale invocazione della Liturgia: “Buon Pastore, vero pane, / o Gesù, pietà di noi (…) Tu che tutto sai e puoi, / che ci nutri sulla terra, / conduci i tuoi fratelli / alla tavola del cielo / nella gioia dei tuoi santi”. Amen!



TANTUM ERGO SACRAMENTUM 

VENEREMUR CERNUI

sabato 8 giugno 2019

Omelia Santa Messa Corpus Domini,

Eucaristia – Adorazione – Comunione



Benedetto XVI, Omelia Santa Messa Corpus Domini
Basilica di San Giovanni in Laterano, 26 maggio 2005


Nella festa del Corpus Domini, la Chiesa rivive il mistero del Giovedì Santo alla luce della Risurrezione. Anche il Giovedì Santo conosce una sua processione eucaristica, con cui la Chiesa ripete l’esodo di Gesù dal Cenacolo al monte degli Ulivi. 

In Israele, si celebrava la notte di Pasqua in casa, nell’intimità della famiglia; si faceva così memoria della prima Pasqua, in Egitto -della notte in cui il sangue dell’agnello pasquale, asperso sull’architrave e sugli stipiti delle case, proteggeva contro lo sterminatore. 

Gesù, in quella notte, esce e si consegna nelle mani del traditore, dello sterminatore e, proprio così, vince la notte, vince le tenebre del male. Solo così, il dono dell’Eucaristia, istituita nel Cenacolo, trova il suo compimento: Gesù dà realmente il suo corpo ed il suo sangue. Attraversando la soglia della morte, diventa Pane vivo, vera manna, nutrimento inesauribile per tutti i secoli. La carne diventa pane di vita.


Nella processione del Giovedì Santo, la Chiesa accompagna Gesù al monte degli Ulivi: è vivo desiderio della Chiesa orante vigilare con Gesù, non lasciarlo solo nella notte del mondo, nella notte del tradimento, nella notte dell’indifferenza di tanti. 

Nella festa del Corpus Domini, riprendiamo questa processione, ma nella gioia della Risurrezione. Il Signore è risorto e ci precede. Nei racconti della Risurrezione vi è un tratto comune ed essenziale; gli angeli dicono: il Signore "vi precede in Galilea; là lo vedrete" (Mt 28,7). 
Considerando ciò più da vicino, possiamo dire che questo "precedere" di Gesù implica una duplice direzione. La prima è -come abbiamo sentito -la Galilea. In Israele, la Galilea era considerata come la porta verso il mondo dei pagani. Ed in realtà proprio in Galilea, sul monte, i discepoli vedono Gesù, il Signore, che dice loro: "Andate.. e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28, 19). 
L’altra direzione del precedere, da parte del Risorto, appare nel Vangelo di San Giovanni, dalle parole di Gesù a Maddalena: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre.." (Gv 20, 17). Gesù ci precede presso il Padre, sale all’altezza di Dio e ci invita a seguirlo. 
Queste due direzioni del cammino del Risorto non si contraddicono, ma indicano insieme la via della sequela di Cristo. La vera meta del nostro cammino è la comunione con Dio -Dio stesso è la casa dalle molte dimore (cfr Gv 14, 2s). Ma possiamo salire a questa dimora soltanto andando "verso la Galilea" -andando sulle strade del mondo, portando il Vangelo a tutte le nazioni, portando il dono del suo amore agli uomini di tutti i tempi. Perciò il cammino degli apostoli si è esteso fino ai "confini della terra" (cfr Atti 1, 6s); così San Pietro e San Paolo sono andati fino a Roma, città che era allora il centro del mondo conosciuto, vera "caput mundi".


La processione del Giovedì Santo accompagna Gesù nella sua solitudine, verso la "via crucis". La processione del Corpus Domini, invece, risponde in modo simbolico al mandato del Risorto: vi precedo in Galilea. Andate fino ai confini del mondo, portate il Vangelo al mondo. 

Certo, l’Eucaristia, per la fede, è un mistero di intimità. Il Signore ha istituito il Sacramento nel Cenacolo, circondato dalla sua nuova famiglia, dai dodici apostoli, prefigurazione ed anticipazione della Chiesa di tutti i tempi. 
Perciò, nella liturgia della Chiesa antica, la distribuzione della santa comunione era introdotta dalle parole: Sancta sanctis -il dono santo è destinato a coloro che sono resi santi. In questo modo, si rispondeva all’ammonimento rivolto da San Paolo ai Corinzi: "Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice.." (1 Cor 11, 28). 
Tuttavia, da questa intimità, che è dono personalissimo del Signore, la forza del sacramento dell’Eucaristia va oltre le mura delle nostre Chiese. 

In questo Sacramento, il Signore è sempre in cammino verso il mondo. Questo aspetto universale della presenza eucaristica appare nella processione della nostra festa. Noi portiamo Cristo, presente nella figura del pane, sulle strade della nostra città. 
Noi affidiamo queste strade, queste case - la nostra vita quotidiana - alla sua bontà. 
Le nostre strade siano strade di Gesù! 
Le nostre case siano case per lui e con lui! 
La nostra vita di ogni giorno sia penetrata dalla sua presenza. 

Con questo gesto, mettiamo sotto i suoi occhi le sofferenze degli ammalati, la solitudine di giovani e anziani, le tentazioni, le paure -tutta la nostra vita. La processione vuole essere una grande e pubblica benedizione per questa nostra città: Cristo è, in persona, la benedizione divina per il mondo -il raggio della sua benedizione si estenda su tutti noi!


Nella processione del Corpus Domini, accompagniamo il Risorto nel suo cammino verso il mondo intero -come abbiamo detto. E, proprio facendo questo, rispondiamo anche al suo mandato: "Prendete e mangiate... Bevetene tutti" (Mt 26, 26s). Non si può "mangiare" il Risorto, presente nella figura del pane, come un semplice pezzo di pane. Mangiare questo pane è comunicare, è entrare nella comunione con la persona del Signore vivo. 
   Questa comunione, questo atto del "mangiare", è realmente un incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare dalla vita di Colui che è il Signore, di Colui che è il mio Creatore e Redentore. Scopo di questa comunione è l’assimilazione della mia vita alla sua, la mia trasformazione e conformazione a Colui che è Amore vivo. 
   Perciò questa comunione implica l’adorazione, implica la volontà di seguire Cristo, di seguire Colui che ci precede. Adorazione e processione fanno perciò parte di un unico gesto di comunione; rispondono al suo mandato: "Prendete e mangiate".


La nostra processione finisce davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore, nell’incontro con la Madonna, chiamata dal caro Papa Giovanni Paolo II "Donna eucaristica". Davvero Maria, la Madre del Signore, ci insegna che cosa sia entrare in comunione con Cristo: Maria ha offerto la propria carne, il proprio sangue a Gesù ed è divenuta tenda viva del Verbo, lasciandosi penetrare nel corpo e nello spirito dalla sua presenza. 
Preghiamo Lei, nostra santa Madre, perché ci aiuti ad aprire, sempre più, tutto il nostro essere alla presenza di Cristo; perché ci aiuti a seguirlo fedelmente, giorno per giorno, sulle strade della nostra vita. Amen!

AMDG et DVM

venerdì 12 aprile 2019

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI - MAGISTRALE OMELIA -

Benedetto XVI: L’Eucaristia è il Sacramento del Dio che non ci lascia soli nel cammino, ma si pone al nostro fianco e ci indica la direzione. In effetti, non basta andare avanti, bisogna vedere verso dove si va! Non basta il “progresso”, se non ci sono dei criteri di riferimento. Anzi, se si corre fuori strada, si rischia di finire in un precipizio, o comunque di allontanarsi più rapidamente dalla meta. Dio ci ha creati liberi, ma non ci ha lasciati soli: si è fatto Lui stesso “via” ed è venuto a camminare insieme con noi, perché la nostra libertà abbia anche il criterio per discernere la strada giusta e percorrerla

SANTA MESSA E PROCESSIONE EUCARISTICA ALLA BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE NELLA SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI


Sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì, 22 maggio 2008

Cari fratelli e sorelle!

Dopo il tempo forte dell’anno liturgico, che incentrandosi sulla Pasqua si distende nell’arco di tre mesi – prima i quaranta giorni della Quaresima, poi i cinquanta giorni del Tempo pasquale –, la liturgia ci fa celebrare tre feste che hanno invece un carattere “sintetico”: la Santissima Trinità, quindi il Corpus Domini, e infine il Sacro Cuore di Gesù. Qual è il significato proprio della solennità odierna, del Corpo e Sangue di Cristo? 

Ce lo dice la celebrazione stessa che stiamo compiendo, nello svolgimento dei suoi gesti fondamentali: prima di tutto ci siamo radunati intorno all’altare del Signore, per stare insieme alla sua presenza; in secondo luogo ci sarà la processione, cioè il camminare con il Signore; e infine l’inginocchiarsi davanti al Signore, l’adorazione, che inizia già nella Messa e accompagna tutta la processione, ma culmina nel momento finale della benedizione eucaristica, quando tutti ci prostreremo davanti a Colui che si è chinato fino a noi e ha dato la vita per noi. Soffermiamoci brevemente su questi tre atteggiamenti, perché siano veramente espressione della nostra fede e della nostra vita.


Il primo atto, dunque, è quello di radunarsi alla presenza del Signore. E’ ciò che anticamente si chiamava “statio”. Immaginiamo per un momento che in tutta Roma non vi sia che quest’unico altare, e che tutti i cristiani della città siano invitati a radunarsi qui, per celebrare il Salvatore morto e risorto. Questo ci dà l’idea di che cosa sia stata alle origini, a Roma e in tante altre città dove giungeva il messaggio evangelico, la celebrazione eucaristica: in ogni Chiesa particolare vi era un solo Vescovo e intorno a Lui, intorno all’Eucaristia da lui celebrata, si costituiva la Comunità, unica perché uno era il Calice benedetto e uno il Pane spezzato, come abbiamo ascoltato dalle parole dell’apostolo Paolo nella seconda Lettura (cfr 1 Cor 10,16-17). Viene alla mente quell’altra celebre espressione paolina: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). “Tutti voi siete uno”! In queste parole si sente la verità e la forza della rivoluzione cristiana, la rivoluzione più profonda della storia umana, che si sperimenta proprio intorno all’Eucaristia: qui si radunano alla presenza del Signore persone diverse per età, sesso, condizione sociale, idee politiche. 

L’Eucaristia non può mai essere un fatto privato, riservato a persone che si sono scelte per affinità o amicizia. L’Eucaristia è un culto pubblico, che non ha nulla di esoterico, di esclusivo. Anche qui, stasera, non abbiamo scelto noi con chi incontrarci, siamo venuti e ci troviamo gli uni accanto agli altri, accomunati dalla fede e chiamati a diventare un unico corpo condividendo l’unico Pane che è Cristo. Siamo uniti al di là delle nostre differenze di nazionalità, di professione, di ceto sociale, di idee politiche: ci apriamo gli uni agli altri per diventare una cosa sola a partire da Lui. Questa fin dagli inizi è stata una caratteristica del cristianesimo realizzata visibilmente intorno all’Eucaristia, e occorre sempre vigilare perché le ricorrenti tentazioni di particolarismo, seppure in buona fede, non vadano di fatto in senso opposto. Pertanto, il Corpus Domini ci ricorda anzitutto questo: che essere cristiani vuol dire radunarsi da ogni parte per stare alla presenza dell’unico Signore e diventare in Lui una sola cosa.


Il secondo aspetto costitutivo è il camminare con il Signore. E’ la realtà manifestata dalla processione, che vivremo insieme dopo la Santa Messa, quasi come un suo naturale prolungamento, muovendoci dietro Colui che è la Via, il Cammino. Con il dono di Se stesso nell’Eucaristia, il Signore Gesù ci libera dalle nostre “paralisi”, ci fa rialzare e ci fa “pro-cedere”, ci fa fare cioè un passo avanti, e poi un altro passo, e così ci mette in cammino, con la forza di questo Pane della vita. Come accadde al profeta Elia, che si era rifugiato nel deserto per paura dei suoi nemici, e aveva deciso di lasciarsi morire (cfr 1 Re 19,1-4). Ma Dio lo svegliò dal sonno e gli fece trovare lì accanto una focaccia appena cotta: “Alzati e mangia – gli disse – perché troppo lungo per te è il cammino” (1 Re 19, 5.7). 
La processione del Corpus Domini ci insegna che l’Eucaristia ci vuole liberare da ogni abbattimento e sconforto, ci vuole far rialzare, perché possiamo riprendere il cammino con la forza che Dio ci dà mediante Gesù Cristo

E’ l’esperienza del popolo d’Israele nell’esodo dall’Egitto, la lunga peregrinazione attraverso il deserto, di cui ci ha parlato la prima Lettura. Un’esperienza che per Israele è costitutiva, ma risulta esemplare per tutta l’umanità. Infatti l’espressione “l’uomo non vive soltanto di pane, ma … di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3) è un’affermazione universale, che si riferisce ad ogni uomo in quanto uomo. Ognuno può trovare la propria strada, se incontra Colui che è Parola e Pane di vita e si lascia guidare dalla sua amichevole presenza. Senza il Dio-con-noi, il Dio vicino, come possiamo sostenere il pellegrinaggio dell’esistenza, sia singolarmente che in quanto società e famiglia dei popoli? 

L’Eucaristia è il Sacramento del Dio che non ci lascia soli nel cammino, ma si pone al nostro fianco e ci indica la direzione. In effetti, non basta andare avanti, bisogna vedere verso dove si va! Non basta il “progresso”, se non ci sono dei criteri di riferimento. Anzi, se si corre fuori strada, si rischia di finire in un precipizio, o comunque di allontanarsi più rapidamente dalla meta. Dio ci ha creati liberi, ma non ci ha lasciati soli: si è fatto Lui stesso “via” ed è venuto a camminare insieme con noi, perché la nostra libertà abbia anche il criterio per discernere la strada giusta e percorrerla.

E a questo punto non si può non pensare all’inizio del “decalogo”, i dieci comandamenti, dove sta scritto: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me” (Es 20,2-3). Troviamo qui il senso del terzo elemento costitutivo del Corpus Domini: inginocchiarsi in adorazione di fronte al Signore. Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. 

Inginocchiarsi davanti all’Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16). Ci prostriamo dinanzi a un Dio che per primo si è chinato verso l’uomo, come Buon Samaritano, per soccorrerlo e ridargli vita, e si è inginocchiato davanti a noi per lavare i nostri piedi sporchi. 

Adorare il Corpo di Cristo vuol dire credere che lì, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza. L’adorazione è preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non ci schiaccia, ma ci libera e ci trasforma.

Ecco perché radunarci, camminare, adorare ci riempie di gioia. Facendo nostro l’atteggiamento adorante di Maria, che in questo mese di maggio ricordiamo particolarmente, preghiamo per noi e per tutti; preghiamo per ogni persona che vive in questa città, perché possa conoscere Te, o Padre, e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo. E così avere la vita in abbondanza. Amen.

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AMDG et DVM

domenica 18 novembre 2018

EGLI BUSSA FORTE




Una meditazione sul “Corpus Domini” 

Perché c’è tanta fame nel mondo? Perché tantissimi bambini devono morire di fame, mentre altri sono soffocati dall'abbondanza? Perché il povero Lazzaro deve continuare ad aspettarsi invano le briciole del ricco gaudente, senza poter varcare la soglia della sua casa? Certamente non perché la terra non sia in grado di produrre pane per tutti. 

Nei paesi dell’Occidente si offrono indennizzi per la distruzione dei frutti della terra, allo scopo di sostenere il livello dei prezzi, mentre altrove c’è chi patisce la fame. 

La mente umana sembra più abile nell'escogitare sempre nuovi mezzi di distruzione, invece che nuove strade per la vita. E’ più ingegnosa nel far arrivare in ogni angolo del mondo le armi per la guerra, piuttosto che portarvi il pane. Perché accade tutto questo? Perché le nostre anime sono malnutrite, i nostri cuori sono accecati e induriti. 

Il mondo è nel disordine perché il nostro cuore è nel disordine, perché gli manca l’amore, perciò non sa indicare alla ragione le vie della giustizia. 

Riflettendo su tutto questo, comprendiamo le parole con cui Gesù obietta a Satana, che lo invita a trasformare le pietre in pane: «Non di solo pane vivrà l’uomo/ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Perché ci sia pane per tutti, deve prima essere nutrito il cuore dell’uomo. Perché ci sia giustizia tra gli uomini, deve prima germogliare la giustizia nei cuori, ma essa non si sviluppa senza Dio e senza il nutrimento vitale della sua parola. Questa Parola si è fatta carne, è divenuta persona umana, affinché noi potessimo accoglierla e farla nostro nutrimento. Poiché l’uomo è troppo piccolo, incapace di raggiungere Dio, Dio stesso si è fatto piccolo per noi, così che possiamo ricevere amore dal suo amore e il mondo diventi il suo regno. 

Questo significa la festa del Corpus Domini. Il Signore che si è fatto carne, il Signore che è diventato pane, noi lo portiamo per le vie delle nostre città e dei nostri paesi. 

Lo immergiamo nella quotidianità della nostra vita, le nostre strade diventano le sue strade. Egli non deve restare rinchiuso nei tabernacoli discosto da noi, ma in mezzo a noi, nella vita d’ogni giorno. Deve camminare dove noi camminiamo, deve vivere dove noi viviamo. Il nostro mondo, le nostre esistenze devono diventare il suo tempio. 

Il Corpus Domini ci fa capire cosa significa fare la comunione: ospitarlo, riceverlo con tutto il nostro essere. Non si può mangiare il corpo del Signore come un qualsiasi pezzo di pane. Occorre aprirsi a lui con tutta la propria vita, con tutto il cuore: «Ecco, io sto alla porta e busso – dice il Signore nell'Apocalisse – Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò in lui, cenerò con lui e lui con me» (3,20). 

Il Corpus Domini vuole rendere percepibile questo bussare del Signore anche alla nostra sordità interiore. 



Egli bussa forte alla porta della nostra vita d’ogni giorno e dice aprimi!/fammi entrare/comincia a vivere di me! Questo non può valere soltanto un attimo, come di sfuggita, durante la santa messa, e poi di nuovo come prima. E’ un’esperienza che attraversa tutti i i tempi e tutti i luoghi. Aprimi! – dice il Signore – Come io mi sono aperto per te. Aprimi il mondo, perché io possa entrarvi, e possa così rischiarare le vostre menti intorpidite, vincere la durezza dei vostri cuori. Fammi entrare! Io per te mi sono lasciato squarciare il cuore. Il Signore dice questo a ciascuno di noi, lo dice alla nostra comunità nel suo insieme: fatemi entrare nella vostra vita, nel vostro mondo. Vivete di me, per essere veramente vivi. Ma vivere significa anche e sempre: donare ad altri. 



Il Corpus Domini è un invito rivolto a noi dal Signore, ma è anche un grido che noi indirizziamo a lui. Tutta la festa è una grande preghiera: facci dono di Te! Dà a noi il vero pane! Arriviamo così a comprendere meglio il “Padre nostro”, la preghiera per eccellenza. La quarta invocazione, quella per il pane, funge come da collegamento fra le tre invocazioni che riguardano il regno di Dio e le ultime tre che riguardano le nostre necessità. 

Che cosa chiediamo? Naturalmente il pane per oggi. E’ la preghiera dei discepoli, che non hanno capitali da parte, ma vivono della quotidiana bontà del Signore: perciò si mantengono in dialogo costante con lui, volgono a lui il loro sguardo, confidano soltanto in lui. E’ la preghiera di chi non vuole accumulare ricchezze, di chi non cerca una sicurezza mondana, ma si accontenta del necessario per avere tempo da dedicare alle cose veramente importanti. E’ la preghiera dei semplici, degli umili, di coloro che amano e vivono la povertà nello Spirito Santo. 

Ma nella domanda del pane c’è un’altra profondità. Il termine greco epiousios, che noi traduciamo con “quotidiano”, non compare da nessun’altra parte, ma è tipico ed esclusivo del “Padre nostro”. Per quanto gli esperti discutano ancora sul suo significato, molto probabilmente vuole anche dire: dacci il pane di domani, cioè il pane del mondo a venire. In realtà, soltanto l’eucaristia può essere la risposta a ciò che questa misteriosa parola, epiousios, vuole indicare: il pane del mondo futuro, che già oggi ci è dato, affinchè già oggi il mondo futuro abbia inizio in mezzo a noi. Alla luce di questa invocazione, la preghiera perché venga il regno di Dio e perché la terra diventi come il cielo assume grande concretezza: con l’eucaristia il cielo viene sulla terra, il domani di Dio si compie già oggi e introduce nel mondo di oggi il mondo di domani.
 
Ma qui è come sintetizzata anche la richiesta di essere liberati da tutti i mali, dai nostri debiti, dal pericolo della tentazione: dammi questo pane, perché il mio cuore si mantenga vigile, perché possa resistere al male, perché sappia distinguere il bene e il male, perché impari a perdonare e sia forte nella tentazione. Soltanto allora il nostro mondo comincerà a essere veramente umano: se il mondo futuro diventa già in qualche misura l’oggi, se il mondo comincia già oggi a diventare divino. 

Con la richiesta del pane andiamo incontro al domani di Dio, alla trasformazione del mondo. Nell'eucaristia ci viene incontro il domani di Dio , il suo Regno già oggi comincia tra di noi. 

E non dimentichiamo, infine, che tutte le invocazioni del “Padre nostro” sono espresse col “noi”: nessuno può dire: “Padre mio” se non Cristo, il Figlio. Perciò noi, se davvero vogliamo pregare nel modo giusto, dobbiamo farlo con gli altri e per gli altri, uscendo da noi stessi, aprendoci. Tutto questo è significato da quel “camminare insieme col Signore” che è, per così dire, il segno distintivo della festa del Corpus Domini. 

Dopo che Gesù ebbe terminato il suo discorso eucaristico nella sinagoga di Cafarnao, molti discepoli lo abbandonarono: era qualcosa di troppo impegnativo, di troppo misterioso. Le loro attese erano più che altro rivolte ad una liberazione politica, tutto il resto sapeva ben poco di concretezza. Non è forse così anche oggi? Quante persone, nel corso degli ultimi cent’anni, se ne sono andate perché a loro avviso Gesù non era abbastanza “pratico”. Quello che poi da parte loro sono riusciti a realizzare è sotto gli occhi di tutti. E se il Signore oggi ci domandasse: «Volete andarvene anche voi?». In questa festa del Corpus Domini, insieme con Simon Pietro, noi con tutto il cuore vogliamo rispondergli: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,67s). 


Da: In cammino verso Gesù Cristo – Ed San Paolo 2004


AMDG et DVM

lunedì 23 maggio 2016

CORPUS DOMINI

"TANTUM VALET 
CELEBRATIO MISSAE,
QUANTUM VALET 
MORS CHRISTI IN CRUCE"
S. G. Crisostomo, Apud Discipul. Serm. 48.


UNA LETTERA E UN SERMONE 
-che per molteplici motivi- SONO DOLOROSAMENTE MOLTO POCO CONOSCIUTI DAI  CRISTIANI DI OGGI. 

Lettura 1
Dalla prima Lettera dell'Apostolo san Paolo ai Corinti.
1 Cor 11:20-22

20 Quando vi radunate insieme, non è più la cena del Signore che voi celebrate.
21 Perché ognuno comincia a mangiare la cena che s'è portata. Così che uno patisce la fame e l'altro si ubbriaca.
22 Ma non avete delle case per mangiare e bere? o volete fare un disprezzo alla Chiesa di Dio, e un affronto a quelli che non hanno nulla? Che vi dirò? Vi loderò? In questo non vi lodo.



V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Lettura 2
1 Cor 11:23-26

23 Infatti io ho appreso dal Signore, e ve l'ho anche trasmesso, che il Signore Gesù, la notte che fu tradito, prese del pane,
24 E, dopo aver fatto il ringraziamento, lo spezzò e disse; Prendete e mangiate; questo è il mio corpo, che sarà immolato per voi; fate questo in memoria di me.
25 Similmente, dopo d'aver cenato, prese anche il calice, dicendo; Questo calice è la nuova alleanza fatta col mio sangue; fate questo, tutte le volte che lo berrete, in memoria di me.
26 Perché tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, finché egli venga.



V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Lettura 3
1 Cor 11:27-32

27 Perciò chiunque mangerà questo pane o berrà il calice del Signore indegnamente, si rende colpevole del corpo e del sangue del Signore. 
28 Perciò ciascuno esamini se stesso; e poi mangi di questo pane e beva di questo calice. 
29 Perché chi ne mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, perché non distingue il corpo del Signore. 
30 Ecco perché tra voi sono molti gli infermi e i deboli, e numerosi i morti. 
31 Or se giudicassimo noi stessi, non saremmo certo giudicati. 
32 Ma per noi il giudizio del Signore è un monito, per non essere condannati insieme con questo mondo.


V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio
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Lettura 4
Sermone di san Tommaso d'Aquino
Opuscolo 57

Gl'immensi benefizi della generosità divina concessi al popolo cristiano, gli conferiscono una dignità inestimabile. Giacché non c'è né ci fu mai «nazione tanto grande da avere gli dei così a sé vicini, com'è vicino a noi il nostro Dio» (Deut. 4,7) Infatti l'unigenito Figlio di Dio, volendo farci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura per fare, fattosi egli uomo, gli uomini dei. E di più, quanto egli prese di nostro, tutto lo diede per la nostra salvezza. Infatti egli offrì a Dio Padre per la nostra riconciliazione il suo corpo vittima sull'altare della croce, e sparse il suo sangue in prezzo insieme e lavacro; affinché, riscattati da miseranda schiavitù, fossimo mondati da tutti i nostri peccati. E perché di tanto benefizio rimanesse in noi continua memoria, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue in bevanda da prendersi sotto le specie del pane e del vino.


V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Lettura 5

O prezioso e ammirabile convito, salutare e pieno di ogni soavità! Infatti che ci può essere di più prezioso di questo convito? nel quale non le carni dei vitelli e dei capretti, come una volta sotto la legge, ma ci si offre a mangiare Cristo, vero Dio. Che più mirabile di questo sacramento? Poiché in esso il pane e il vino si mutano sostanzialmente nel corpo e nel sangue di Cristo; e così che Cristo, Dio e uomo perfetto, si contiene sotto l'apparenza di un po' di pane e di un po' di vino. Egli dunque viene mangiato dai fedeli, ma per nulla lacerato; che anzi, spezzate le specie sacramentali, persevera intero sotto qualsivoglia divisa particella. Gli accidenti poi sussistono in esso senza il loro soggetto, affinché la fede abbia ad esercitarsi allorché si riceve invisibilmente questo corpo, visibile in sé, ma nascosto sotto una specie estranea; e affinché i sensi siano preservati da errore giudicando essi dagli accidenti apparenti.


V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Lettura 6

Nessun sacramento poi è più salutare di questo, mercé del quale si cancellano i peccati, si accrescono le virtù, e l'anima s'impingua abbondantemente di tutti i carismi spirituali. Si offre nella Chiesa per i vivi e per i morti, affinché giovi a tutti esso che fu istituito per la salvezza di tutti. Nessuno infine può esprimere la soavità di questo Sacramento, per cui la dolcezza spirituale si gusta nella sua sorgente medesima, e si celebra la memoria di quell'eccesso di carità che Cristo ci mostrò nella sua passione. Così, affinché la immensità di questa carità s'imprimesse ognor più profondamente nei cuori dei fedeli, egli, nell'ultima cena, quando celebrata la Pasqua coi suoi discepoli stava per passare da questo mondo al Padre, istituì questo Sacramento come memoriale perenne della sua passione, compimento delle antiche figure, il massimo dei miracoli da lui operati; lasciandolo come singolare sollievo ai discepoli contristati della sua assenza.



V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

La Santa Messa è l'ottimo e il bellissimo della Santa Chiesa:
"Quid enim bonum ejus est et 
quid pulchrum ejus, 
nisi frumentum electorum
et vinum germinans virgines?"
Zacch. 9, 17