venerdì 26 novembre 2021

San LEONARDO DA PORTO MAURIZIO (oggi IMPERIA)

SAN LEONARDO da Porto Maurizio 

di Dario Busolini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005) 


LEONARDO da Porto Maurizio, santo. - Nacque a Porto Maurizio (ora Imperia) il 20 dic. 1676, figlio di Domenico Casanova e Anna Maria Benza, che gli diedero il nome di Paolo Girolamo e lo avviarono alla vita religiosa mandandolo, appena dodicenne, a Roma presso uno zio paterno, perché potesse studiare nel Collegio romano dei gesuiti. Qui L. frequentò l'oratorio del Caravita e quello dei filippini alla chiesa Nuova, ma trovò più congeniale alla sua vocazione l'austerità francescana della cosiddetta Riformella, un ramo dei frati minori riformati fondato nel 1662 da Bonaventura da Barcellona.

Entrato nel noviziato di questi frati (chiamati anche "francescani scalzati") nel convento di Ponticelli Sabino il 2 ott. 1697 ed emessi i voti solenni un anno dopo, compì gli studi teologici in quello romano di S. Bonaventura al Palatino, casa principale della Riformella. Ordinato sacerdote il 23 sett. 1702, avrebbe voluto essere destinato alle missioni in Cina, ma alcuni gravi disturbi gastrici indussero i suoi superiori a trattenerlo in Italia e a rimandarlo, nel 1704, a Porto Maurizio, nel convento dei francescani osservanti, nella speranza che il clima nativo potesse giovargli. Ristabilitosi dopo quattro anni, dal 1708 fino alla morte divenne uno dei più noti e apprezzati predicatori italiani.

Dal 1709 al 1730 scelse il convento toscano di Monte alle Croci, presso San Miniato, affidato alla Riformella grazie alle pressioni di Cosimo III de' Medici, come centro delle sue missioni itineranti, cui affiancò la cura per i ritiri di S. Francesco al Palco in Prato e S. Maria dell'Incontro presso Firenze, luoghi destinati da lui a offrire periodi di vita contemplativa a tutti i religiosi impegnati nell'apostolato. Di questi ritiri fu superiore per nove anni, e ne redasse anche le costituzioni.


Fu chiamato a Roma da Clemente XII, nel 1730, e da allora iniziò i viaggi per le missioni popolari in varie parti dello Stato pontificio, del Granducato di Toscana, della Repubblica di Genova e del Regno di Napoli, come attesta il dettagliato Diario delle missioni redatto, a partire dal 1730, dal suo segretario Diego da Firenze (l'elenco delle località toccate è in Bibliotheca sanctorum, coll. 1211 s.). Le missioni popolari predicate da L. furono 343, svolte nell'arco di 44 anni, insieme con un numero imprecisato di predicazioni temporalmente più brevi.



Per lui una missione popolare necessitava di un'attenta e lunga preparazione di preghiera e studio, doveva durare almeno 15 giorni nelle campagne e 18 nelle città, preceduti da alcuni giorni per organizzare una sorta di servizio d'ordine che assegnasse i posti nelle chiese e designare dei "pacieri" incaricati di invitare alle prediche persone note per pubbliche inimicizie, seguiti poi da almeno un'altra settimana da dedicare interamente e personalmente all'ascolto delle confessioni, reputate la parte più importante della missione stessa. L'arte oratoria di L., che in parte si rifà all'esempio di Paolo Segneri, celebrata dai contemporanei e capace di richiamare migliaia di persone, aveva un carattere insieme teatrale e pratico.

Egli sapeva conquistare l'uditorio con toni drammatici e coinvolgenti, ammonendo i fedeli sul loro destino dopo la morte, sui danni del peccato e degli scandali per poi illustrare paternamente i benefici della confessione, del comportamento onesto e della buona educazione dei figli, come pure del dovere di pagare un giusto compenso agli operai e di rispettare il riposo festivo e l'obbligo dell'istruzione religiosa. Più volte denunciò il pericolo della massoneria.[!!!] Gli effetti di queste prediche erano straordinari e spesso accompagnati da prodigi e manifestazioni di massa. Alle esortazioni e alle confessioni, comunque, L. aggiungeva la diffusione di alcune popolari devozioni per consolidare tra la gente il risultato delle sue missioni: la recita quotidiana di alcune semplici preghiere e del Rosario, la devozione al Nome di Gesù, la Pietà Eucaristica, la Comunione frequente, l'iscrizione alle confraternite, l'istruzione religiosa di base e, soprattutto, il pio esercizio della Via Crucis, che trasformò la devozione alla Passione di Cristo praticata solo nelle chiese francescane in preghiera comune a tutto il mondo cattolico, specie nel tempo quaresimale.

In effetti, egli ottenne il permesso di erigere la Via Crucis anche nelle chiese non francescane solo dopo ventidue anni di insistenze sui benefici effetti di questa devozione. L. eresse in Italia almeno 572 Viae Crucis, la più famosa delle quali fu a Roma, nel Colosseo, per il giubileo del 1750 e tuttora praticata. Non riuscì invece ad assistere alla proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, di cui fu sempre convinto assertore, e che avvenne nel 1854.

Dal 1736 al 1737, per ordine di Clemente XII, L. accettò la nomina a superiore del convento di S. Bonaventura al Palatino e di quelli da esso dipendenti. Resosi però conto che tale carica preludeva all'elezione al provincialato, chiese e ottenne dal pontefice la dispensa dall'elettorato attivo e passivo e il permesso di dedicarsi interamente alla predicazione e, attraverso lettere, all'organizzazione dei ritiri romani e toscani della Riformella. 

Il nuovo papa, Benedetto XIV, eletto nel 1740, stimava profondamente L. e avrebbe desiderato mantenerlo a Roma; tuttavia, non volle contrastare la sua volontà e le tante richieste di missioni popolari - tra cui fu molto impegnativa quella in Corsica dal maggio al novembre 1744 - che riceveva da ogni parte. Attese così l'occasione fornita dalla preparazione e dallo svolgimento dell'anno santo 1750, per affidargli cinque missioni popolari e due tridui a Roma, nel 1749, e le confessioni dei pellegrini, nel 1750. Terminato il giubileo, L., sebbene ormai indebolito, volle riprendere le missioni popolari, e ne compì ancora quattro a Lucca e tre a Bologna. Qui, dopo l'erezione dell'ultima Via Crucis nella chiesa di Pianoro, le sue condizioni di salute peggiorarono.

Alla notizia, Benedetto XIV lo richiamò a Roma, dove L. giunse a fatica, per morire la tarda sera del 25 nov. 1751, nel convento di S. Bonaventura al Palatino. Benedetto XIV ne ordinò la sepoltura nella cappella di S. Francesco di quello stesso convento.

Pio VI beatificò L. il 19 marzo 1796, Pio IX lo canonizzò il 29 giugno 1867 e Pio XI, il 17 marzo 1923, lo nominò patrono dei missionari nei paesi cattolici. Le sue spoglie sono ora custodite sotto l'altare maggiore di S. Bonaventura al Palatino, e nel convento sono conservati un ritratto anonimo e vari reperti. A Imperia è attivo dal 1961 un Centro di studi leonardiani.

Opere: L. pubblicò alcuni libri che considerava utili sussidi alle sue missioni, e lasciò manoscritti gli appunti delle prediche e degli esercizi spirituali, insieme con le lettere e le riflessioni spirituali sul raggiungimento della perfezione cristiana, riunite nei "Proponimenti", materiale che affidò in punto di morte a Diego da Firenze. I lavori editi da lui sono: la Dilucidazione delle indulgenze concesse dai sommi pontefici a tutte le Via Crucis erette dai frati minori (Lucca 1715); il Manuale sacro, ovvero Raccolta di varie devozioni proprie di una religiosa che aspira alla perfezione (Roma 1734); il Discorso mistico-morale, il Direttorio della confessione generaleIl tesoro nascosto, ovvero Pregi ed eccellenze della S. Messa, tutti stampati a Roma nel 1737; la Via sacra spianata e illuminata (una spiegazione della Via Crucis, Roma-Lucca 1748) e una serie di opuscoli devozionali. Il notevole corpus di manoscritti fu edito postumo nella Collezione completa delle opere (Roma 1853-54, trad. francese Paris-Tournai 1858-60), e nelle Opere complete (Venezia 1868-69), da integrare con il volume curato da Giuseppe da Roma, Soavità di spirito di s. L. manifestata in 86 sue lettere, Roma 1872, e tre volumi a cura di B. Innocenti: Prediche e lettere inedite, Quaracchi 1915; Operette e lettere inedite, Arezzo 1925; e Prediche delle missioni con l'aggiunta di necrologie, lettere e documenti inediti, ibid. 1929.

Nei processi canonici, Alfonso Maria de' Liguori, Giovanni Battista De Rossi, l'arcivescovo di Firenze F.G. Incontri e quello di Ravenna F. Guiccioli e numerosi altri testimoni vollero sottolineare quanto L. fosse zelante e irruente nelle prediche e delicato, sapiente e arguto nella direzione spirituale individuale.


AMDG et DVM

SAN SILVESTRO Guzzolini, Abate


 

San Silvestro Guzzolini Abate e fondatore

26 novembre

Osimo, Ancona, 1177 - Fabriano, Ancona, 26 novembre 1267

Nato nel 1177 da nobile famiglia di Osimo, nelle Marche, Silvestro Guzzolini divenne prete dopo aver studiato Diritto a Bologna e Teologia a Padova. Canonico della cattedrale osimana, a 50 anni si ritirò in una grotta presso Frasassi. Arrivarono parecchi compagni e adottò la regola di san Benedetto. Nacquero così i Benedettini Silvestrini. Nel 1231 Silvestro fondò il monastero di Montefano (Fabriano). Prima di morire, nel 1267, ne fondò altri 11 con 119 monaci. Fu adorno di singolarissimo privilegio, unico nell’agiografia cristiana, la Comunione ricevuta per le mani Venerande della Vergine Santissima: "O figlio Silvestro, vuoi ricevere il Corpo di mio Figlio, il Signore Gesù Cristo, che vergine ho concepito, vergine ho dato alla luce e sempre vergine rimasi anche dopo il mirabile parto?". Papa Leone XIII il 29 agosto 1890 ne decreta la canonizzazione equipollente.

Etimologia: Silvestro = abitatore delle selve, uomo dei boschi, selvaggio, dal latino

Martirologio Romano: Presso Fabriano nelle Marche, san Silvestro Gozzolini, abate, che, presa coscienza della grande vanità del mondo davanti al sepolcro aperto di un amico da poco defunto, si ritirò in un eremo e, dopo aver cambiato varie sedi per meglio isolarsi dagli uomini, fondò infine in un luogo appartato presso Montefano la Congregazione dei Silvestrini sotto la regola di san Benedetto.


Giovane nobile
Nel 1200 Sivestro aveva 23 anni circa (San Francesco ne aveva solo 18/19). Egli è nato ad Osimo, una cittadina sulle colline marchigiane, non lontano dal mare Adriatico. Era un giovane elegante, nobile di casato e di sentimenti. Ghislerio, suo padre, era un perito in diritto civile, e sognava un avvenire di gloria umana per suo figlio. Per questo, terminati gli studi ad Osimo, lo mandò a studiare a Bologna e poi a Padova. Solo i figli di papà potevano permettersi tanto, a quei tempi.
Il giovane Silvestro obbedì, ma in seguito, avendo sete dell'acqua della Sapienza di Dio, volle frequentare i corsi di teologia per lo studio della Sacra Scrittura. E nel colloquio intimo con il suo Signore Egli maturò, sempre più, la vocazione allo stato religioso.
Terminati gli studi, tornò a casa e confidò ai suoi il desiderio di consacrarsi a Dio. Ma trovò l'ostacolo insormontabile di suo padre, che, per lunghi 10 anni segregò suo figlio e non gli rivolse più la parola.




Nella comunità dei Canonici
Alla fine Silvestro, forse appoggiato anche dalla sua mamma, Bianca, la spuntò ed entrò nella Comunità religiosa dei Canonici nella Chiesa di Osimo. Ebbe anche un beneficio dal Vescovo per poter vivere, dato che suo padre lo aveva diseredato. Il giovane canonico ardeva di zelo per il Signore. Egli trovava la sua forza nella preghiera, fatta col cuore, e nella meditazione della Parola di Dio. Predicava con fede ed era radicale nell'osservanza del Santo Vangelo. Per questo era amabile e caro a Dio e al popolo.
Un giorno dovette riprendere il suo Vescovo, che non conduceva una vita proprio esemplare. Il Vescovo non digerì bene la cosa, e Silvestro si ritrovò solo, come quando si trovò prigioniero nella sua casa natale. Ma non si scoraggiò. S'infiammò ancora di più nell'amore di Gesù Cristo. E fu allora che gli nacque in petto il desiderio di lasciare proprio tutto e starsene solo con Dio.

Durante un funerale...
La spinta a fare questo passo ardito l'ebbe un giorno quando, durante un funerale di un nobile, volle guardare dentro la fossa comune. Là dentro vide in faccia lo sfacelo della morte… Silvestro inorridì e poi rifletté: «Quello che lui era io sono, e quello che egli è io sarò». Nel cuore gli risuonavano anche le parole di Gesù: «Chi vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16, 24)».


In una grotta, solo con Dio

Silvestro decise di abbandonare tutto e di ritirarsi in solitudine. Si confidò con Andrea, suo amico, che con il suo cavallo lo accompagnò verso i monti. Poi Silvestro proseguì da solo e fece esperienza eremitica in diverse grotte. Ma, più volte, in visione, Egli vide il luogo, che Dio stesso gli indicava. Allora s'inoltrò fino alla Gola della Rossa, e arrivò a ad una grotta, detta di «Grottafucile». E disse: «Qui sarà il mio riposo, qui abiterò (Sal 131, 14)». Là l'Uomo di Dio iniziò una vita eremitica di stretta osservanza: preghiera, digiuno e penitenza. A volte si cibava di sole erbe crude. Lo Spirito del Signore gli infiammava sempre più il cuore di divino Amore e lo ricolmava anche dei suoi doni carismatici.
Silvestro ormai non viveva più secondo la carne e il mondo. Egli era come rinato, era diventato una 'creatura nuova'. E viveva finalmente appagato dentro l'anima e felice nel compiere la Santa Volontà di Dio. Per tre anni si fermò, solo con il suo Dio, in questo luogo santo. Là «Egli aspirava quotidianamente, con tutto il pensiero e il desiderio, alla dolcezza delle cose del cielo». Venne come trasformato, e non solo dentro l'anima. Egli ormai sembrava un Mosè redivivo sul monte santo di Dio. La bellezza della sua anima rifulgeva anche sul suo volto angelico.

Monaco benedettino
Un giorno l'Uomo di Dio venne scoperto da alcuni uomini del signore di Castelletta. Da allora la gente, incominciò ad andare a lui per chiedere preghiera e consiglio spirituale. Egli tutti ascoltava e incoraggiava nella via di Dio, come è scritto: «Contemplata, aliis tradere». E cioè: quello che il monaco ottiene dalla Sapienza nella contemplazione delle cose di Dio lo annuncia, per edificazione, ai fratelli.


E c'era anche chi chiedeva, con insistenza, di rimanere in quel luogo di pace per condividere quella magnifica esperienza di vita spirituale. Frate Silvestro dovette ormai decidersi e organizzare una Comunità religiosa. Ma con quale regola, e con quale abito? Pregò molto per questo e, mentre pregava, vennero a lui alcuni Santi dal cielo. Uno dopo l'altro, gentilmente lo invitavano ad accettare la loro Regola e il loro abito. Ma Egli chinava il capo e rimaneva in silenzio.

Allora gli si presentò un venerando Vecchio, attorniato da alcuni monaci, che lo esortò, con insistenza, ad accettare la sua Regola e il suo abito. Era San Benedetto. Silvestro esultò nel suo spirito, e pieno di gioia, rispose: «Ti ringrazio, reverendo Padre, io indegno tuo servo, perché sei venuto a visitarmi proprio quando avevo il cuore in ansia. Farò come Tu mi suggerisci». Poi il Santo Eremita andò da un monaco della zona, di nome Pietro e a da lui fu rivestito dell'abito monastico. Infine, avendo acquistato un libro della Regola monastica, Egli fondò il primo piccolo Eremo, con vita cenobitica, in quel luogo santificato dalla sua presenza, e lo dedicò alla Beata Vergine Maria, che Lui amava chiamare «Regina di Misericordia».


Il Venerabile Andrea, suo biografo, ci ha voluto tramandare anche i lineamenti caratteristici del nostro Santo: «Era di aspetto gradevole, casto di corpo, affabile nel colloquio, conosciuto per la prudenza e la temperanza, ardente di amore, sollecito nella pazienza, saldo nell' umiltà e nella stabilità. In breve, fioriva davanti al Signore con ogni genere di virtù».



Sul Monte Fano


A Grottafucile si stava bene insieme, nell'amore fraterno, nelle veglie di preghiera, nei digiuni e penitenze. Ma San Silvestro risentiva dentro la nostalgia per la vita eremitica, e perciò, salutati i fratelli, s'incamminò solo, tra i monti, e si diresse verso Fabriano. Salì fin sul monte Fano e si fermò su un piccolo ripiano, vicino al una sorgente. E' la fonte Vembrici. Il posto era incantevole. Là il Santo volle costruirsi una capanna, addossata al monte. Ed era felice con Dio. Tutto immerso nella natura lussureggiante e nella preghiera, fatta col cuore, passava il tempo nella pace della pura contemplazione delle cose di Dio.

Ma ecco che alcune persone, un giorno, Lo scoprirono mentre, seduto accanto alla sorgente, si stava sfamando con un pane d'orzo. Gli faceva compagnia un lupo. Il Santo spiegò loro il fatto, anche perché si erano impauriti: « Da quando mi trovo in questo posto solitario il lupo sorveglia la mia celletta, come custode fedelissimo. In ogni momento mi obbedisce: evita ciò che gli viene proibito e fa puntualmente quanto gli viene comandato». E, all'ordine del Santo, il lupo si allontanò subito docilmente.
«Infatti, prosegue il suo biografo, dal momento che la sua anima era perfettamente soggetta al Creatore, non trascurando nessun comandamento divino, sembrava che avesse ottenuto l'antico dominio, concesso al primo uomo, sopra tutte le creature irragionevoli». Questo è, indubbiamente, un chiaro segno che l'Uomo di Dio aveva raggiunto la grazia dell'innocenza originale.




L'eremo di San Silvestro


Il Santo Uomo »spandeva profumo di umiltà e mansuetudine (Ef 4,2)» e la fama di Lui si era ormai divulgata in tutta la valle dell'Esino ed oltre. Alcuni cittadini di Fabriano, dopo aver toccato con mano il fascino delle sue virtù, decisero di donargli il ripiano intorno alla sorgente di fonte Vembrici, dove lui dimorava nella pace.

E la gente accorreva, sempre più numerosa, da frate Silvestro per chiedere preghiere, benedizione e consigli spirituali. Incominciarono anche a fiorire le vocazioni alla vita monastica e allora Egli decise di costruire anche là un Eremo, dopo quello di Santa Maria in Grotta «Fucile». L'Oratorio lo volle dedicare a San Benedetto.
E l'acqua della sorgente che, da oltre sette secoli, continua a scorrere ancora oggi dall' Oratorio, è un vero segno profetico, secondo come è scritto: «Sgorgheranno da Lui fiumi d'acqua viva (Gv 7,38 )».


Il Venerabile biografo, quasi con stupore, ci tiene a ricalcare ancora, e per noi del terzo millennio, i lineamenti del nostro Santo per tramandarceli intatti: «Egli era di aspetto angelico, pieno di fede, risplendente di sapienza, benevolo nell'ospitalità, generoso nell'aiuto materiale, attento alla predicazione, sollecito nel guardare i fratelli, assiduo nella santa meditazione, pietoso visitatore degli infermi, consolatore degli afflitti». E più avanti: «Egli non accarezzava i vizi dei sudditi…, era paziente con i persecutori, misericordioso con i poveri e i deboli. Nel suo atteggiamento non avresti potuto trovare traccia di arroganza, di superbia o di vanagloria». Certo ormai, assieme a San Paolo Egli poteva, in tutta verità, ripetere: »Non sono più io che vivo, ma è Cristo, che vive in me (Gal 2,20 )». E non c'è male anche per chi vuole seguire sul serio le sue orme. Sono le stesse orme di Gesù Cristo e di San Benedetto.


L'Eremo era piccolo, povero, disadorno e lontano dall'abitato. Era proprio come lo voleva il Santo Abate. Era un chiaro ritorno alla vita monastica originale, come ai tempi di San Benedetto. Era una riforma alla vita benedettina. Frate Silvestro non amava le grandi costruzioni, ma voleva l'essenziale per i suoi monaci in uno spirito di povertà e semplicità evangelica, che è caratteristica propria dei silvestrini, fin dal loro nascere.


La giornata del monaco
I monaci, poveri e gioiosi, indossavano una veste ruvida e non conoscevano la varietà di cibo. Si alzavano anche di notte per lodare e benedire il Signore. Più volte al giorno si ritrovavano nel piccolo Oratorio per cantare Salmi e Cantici al Signore e per ascoltare e meditare le divine letture.


«Durante il giorno c'era chi si occupava delle sacre letture, chi era immerso nelle preghiera, c'era chi piangeva i propri peccati e chi gioiva nelle lodi di Dio. Questo vegliava, quello digiunava e quasi ci si contendeva l'un l'altro gli impegni di pietà. Di notte si alzavano per lodare il Creatore. Di sera, al mattino e a mezzogiorno narravano e annunziavano la sua lode e mettevano la massima cura nel culto divino». San Silvestro seguiva con amore i suoi figli spirituali, dando loro testimonianza, nella crescita armoniosa della perfezione cristiana.


I suoi primi discepoli


«Un figlio saggio è gloria del padre (Pro 10,1; 15,20)», perciò San Silvestro si compiaceva dei suoi figli spirituali, che vivevano nella stretta osservanza benedettina nei dodici Eremi, che egli volle costruire per loro. Il suo primo discepolo è il Beato Filippo da Recanati e, dopo di lui, vennero altri, prima nel piccolo Eremo di Santa Maria a Grottafucile, poi nell'Eremo sul Monte Fano, e infine, negli altri Eremi.


Tra i suoi discepoli due spiccheranno per fama di santità e prodigi: Il Beato Giovanni dal Bastone, che sarà poi il Padre Confessore della Comunità. La sua tomba è a Fabriano nella Chiesa di san Benedetto e viene festeggiato il 24 marzo. E poi il Beato Ugo Degli Atti, che veniva da Serra San Quirico. Egli era giovane e ardeva di amore e di zelo per il Signore. Anche la su apredicazione era avvalorata da prodigi e, un giorno, fece sorgere, all'istante, acqua fresca per alcuni operai assetati. Da quella sorgente scorre ancora acqua a Sassoferrato dove riposa il suo corpo. Viene festeggiato con grande solennità il 26 luglio.


Un altro monaco, che spiccava in santità e prodigi è il Beato Simone, frate analfabeta, cieco ad un occhio e questuante. L'agiografo racconta che, una volta, San Silvestro, leggendo la Bibbia, s'imbatté in un passo difficile del profeta Geremia. E, non riuscendo a capirlo come desiderava, nella sua umiltà, decise di ricorrere proprio a fra Simone, che stava nel monastero di Ripalta. A fra Simone sembrò quasi che il Santo Fondatore si prendesse gioco di lui e gli disse: «Ma siete voi sacerdoti che dovete insegnare le cose sante e istruire gli altri, non io, che sono mezzo cieco e illetterato!». Il santo gli rispose: «Fra Simone, figlio mio, ti ho chiesto questo non per prendermi gioco di te, ma perché illumini il mio intelletto circa il detto passo della Scrittura». Allora, ammirando la grande umiltà del suo Abate, fra Simone nascose il volto tra le mani, pregò e poi dette la risposta di sapienza nello Spirito Santo.


Un giorno fra Simone, che andava di paese in paese per la questua, lodava e benediceva il Signore, tutto spensierato e felice di contemplare la creazione ed ammirarne l'armonia. Si era a primavera e, passando egli per un viottolo di campagna, scorse un ciliegio in fiore… A tale spettacolo si mise in ginocchio, e con gli occhi rivolti al cielo, pregò con ardore il Signore. Poi, mentre si alzava in piedi, per riprendere il cammino, il ciliegio, tutto carico dei suoi fiori bianchi, abbassò fino a terra, per riverenza, i rami fioriti, fino a toccare i piedi del santo monaco. Egli arrossì, nella sua umiltà, … e sperava proprio di essere solo, invece erano molti quelli che ammirarono un tale fatto straordinario, senza che lui se ne accorgesse, e ne parlarono a tutti. E' proprio vero che quando l'uomo è in armonia con Dio, la natura si rasserena e gioisce perché egli è stato eletto dal Creatore per 'soggiogare e dominare' la terra (Gen 1,28).


Il brutto guastafeste


Il demonio era furibondo! E tentava senza pietà l'uno o l'altro dei poveri monaci nelle distrazioni durante la preghiera, nella gola a refettorio, nella castità nel letto, nell'ozio. Ma ne riusciva sempre scornato. E, una notte, arrabbiato com'era, incominciò a dar colpi alla porta dell'Eremo, svegliando tutti. Smise solo quando arrivò il Santo, che lo rimproverò aspramente: «Vergognati, perverso spirito, tu che ti innalzavi fino alle stelle (Is 14,13)! Stanco dell'impeto dei tuoi assalti, capisci una buona volta che nell'ultimo giorno rimarrai pienamente sconfitto e privato del Sommo Bene. Ti inganni molto e ti illudi, giacché il genere di armi di cui ti riprometti vittoria, contribuisce alla nostra corona. Ritirati subito, impudente, e affrettati a recarti nel luogo dei tuoi tormenti».

Il maligno si allontanò, facendo un fracasso indiavolato giù per i dirupi del monte, che sembrò scuotersi dalle fondamenta e andare in rovina e distruzione. Un altro giorno i fratelli volevano portare all'interno dell'Oratorio un masso che servisse da pietra dell'Altare. Accorsero tutti per smuoverlo e vennero anche degli operai per aiutare, ma tutto fu vano perché il diavolo vi si era seduto sopra. Intervene il Santo e appena tracciò un segno di croce, il sasso divenne leggero.

La Regina della Misericordia


Il demonio volle riaffacciarsi per fargliela pagare a quel sant'uomo. E una notte, verso le ore 2,00, mentre il Santo, come sempre, scendeva verso l'Oratorio per la preghiera notturna, il maligno lo fece inciampare ed Egli precipitò con il capo all'ingiù. Era proprio mal ridotto, perdeva sangue e si sentiva morire. Chiamò aiuto, ma nessuno Lo sentì per la violenza del vento e per la pioggia a dirotto. Allora San Silvestro, 'rivolgendosi alla Regina della Misericordia, la Beata Vergine Maria, a cui si era completamente affidato, con insistenti grida interiori, La pregava di non permettere che fosse privato così all'improvviso della vita corporale''. All'improvviso Ella gli si presentò e gli praticò delle salutari unzioni, e le ferite si rimarginarono all'istante. Poi prese il suo corpicciolo tra le sue braccia materne e in un attimo lo trasportò nella sua cella, guarito.


Un privilegio tutto speciale


Silvestro, crescendo sempre più nella devozione alla Vergine Santissima, si accendeva sempre più intensamente nell'amore vero di Lei. Ed Ella, tutta Misericordiosa, lo volle arricchire di un dono tutto speciale. Una notte, mentre Egli si trovava solo a pregare, in un'estasi improvvisa, si trovò spiritualmente dentro la grotta di Betlemme dove la gloriosa Vergine diede alla luce il Salvatore del mondo. Subito dopo si trovò in una chiesa, davanti all'altare. E mentre là pregava con il cuore, alla destra dell'altare apparve la Regina della Misericordia, il cui splendore superava quello del sole. Ella, con volto lieto e con parole suadenti, gli disse: «O figlio Silvestro, vuoi ricevere il Corpo del mio Figlio, il Signore Gesù Cristo, che Io Vergine concepii, Vergine diedi alla luce, rimanendo sempre Vergine dopo il mirabile parto?». Il Santo fu colto da immenso stupore e, con grande trepidazione, rispose: «Il mio cuore è pronto, o Signora, il mio cuore è pronto. Si compia la tua volontà in me, benché indegno». Allora Ella, con le verginali sue mani, gli diede la santissima Comunione. In forza di Essa, la sua intelligenza fu illuminata da tanta luce che da allora in poi non incontrò più nulla di difficile o di oscuro nelle divine Scritture.


«O uomo felice al quale è sollecita ad andare incontro la Madre del Salvatore! Ella, che altra volta, lo aveva soccorso, ferito nel corpo, ora lo arricchisce di doni abbondanti». E Silvestro, pieno dello Spirito di Dio, cominciò a predire il futuro e a rifulgere, ancor più, di strepitosi miracoli.

Operatore di miracoli
Il Santo Uomo, ormai ripieno della sapienza di Dio, veniva chiamato spessissimo nella chiesa del Beato Venanzio martire, a Fabriano, a esporre al popolo la Parola di Dio. 

E, un giorno, passando vicino al cimitero, notò che un tale stava scavando la fossa per un certo Diotisalvi, ammalato molto gravemente e, secondo il giudizio dei medici, senza più alcuna speranza di guarigione. Il Santo disse a quelli che erano con lui: «Ecco in verità un morto che prepara la tomba ad un vivo!». Il malato guarì e l'altro morì e venne sepolto nella tomba che si era scavato.


Un altro giorno gli portarono all'Eremo un cieco nato ed Egli, implorata la divina clemenza, fece un segno di croce verso la sua faccia. La divina Misericordia fece al cieco il dono di una vista chiara, e guari all'istante. E la stessa cosa avvenne anche ad una donna di Fabriano. 

Nella città di Cagli liberò una donna posseduta dal demonio. Un'altra volta, mentre si era a mensa, fece, come sempre, il segno della croce sul recipiente d'acqua, che divenne ottimo vino. Lo stesso cosa fece anche per gli operai che stavano scavando una cisterna nell'Eremo di Santa Maria di «Grottafucile». Ad Osimo guarì, con un segno di croce, un fratello di nome Filippo da Varano. Egli era così mal ridotto da acerbi dolori che aveva le ginocchia tutte rattrappite. Guarì anche il figlio di una donna di Gualdo, che aveva alla faccia una malattia incurabile. A Fabriano domò un brutto incendio. 

Lo stesso fece a Serra San Quirico con un semplice segno di croce. E nella stessa città, mentre stava predicando la Parola di Dio, uno zoppo dalla nascita, trascinandosi per terra con le ginocchia e con le mani, arrivò fino alla presenza del Santo. Egli chinò lo sguardo sullo zoppo, e subito il suo cuore fu pervaso da un senso di viva pietà. Si volse tutto alla preghiera dinanzi al Volto della gloria e al cospetto del Signore della maestà. Poi, udito da tutti, disse allo zoppo: «Alzati, figlio; alzati, figlio!». E lo zoppo si alzò in piedi a lode e gloria del Creatore e, tutto contento, se ne tornò a casa sua.


San Silvestro operò innumerevoli guarigioni in vita e anche dopo la sua morte gloriosa.


Gli angeli lo portarono in cielo
Intorno ai novant'anni San Silvestro si mise a letto con febbre ardente. Esortò i suoi discepoli a perseverare nella vita santa e nelle osservanze monastiche. Ricevuti gli ultimi sacramenti, raccomandò il suo spirito al Signore, e concluse in pace la sua vita, piena di giorni e di opere sante. Era il 26 novembre del 1267.
Fra Giovanni, che viveva nella solitudine sul monte, vide la sua anima bella mentre veniva trasportata festosamente in cielo dagli Angeli, in mezzo ad un meraviglioso chiarore. E fra Giacomo, mentre andava a riposare, dopo una giornata di fatica in un possedimento proprio di fronte al Monastero, sentì chiamarsi per tre volte per nome. Uscì, era ormai notte: vide tutto il sacro Eremo e il monte risplendenti di luci, come di fiaccole accese. In fretta salì verso di esso e trovò che il Santo era volato nella Gloria dei cieli.


Fra Bonaparte, che si trovava nel monastero di Iesi, alla stessa ora, nel sonno, vide una scala, che da Monte Fano arrivava fino a toccare il cielo: su di essa c'erano schiere di angeli che portavano l'anima di San Silvestro in Paradiso.
Venne il chirurgo, maestro Andrea, e aprì il suo corpo per prelevarne le viscere, per il fatto dell'imbalsamazione. La casa si riempì di tanto intenso profumo. Sulla sacra tomba poi avvennero ancora guarigioni e liberazioni straordinarie per intercessione del grande Santo Anacoreta.


Oggi le sacre sue ossa sono custodite in un'urna preziosa nella chiesa a Lui dedicata nel Monastero sul Monte Fano, e c'è chi, ancora oggi, pregando il Santo con fede sincera, beneficia ancora del salutare profumo della sua grande santità.
E noi, suoi monaci, ogni giorno, Lo preghiamo con un'antica melodia in canto gregoriano:
«O Amatissimo Padre, Silvestro Anacoreta,
vieni in soccorso dei tuoi figli, moltiplica il loro numero,
difendili dai nemici infernali, e fa che il loro grido, per i tuoi santi meriti, venga ascoltato dall'Altissimo».


E oggi, all'inizio del terzo millennio, questo canto antico risuona nelle chiese monastiche silvestrine quì a Roma, a Fabriano, a Bassano Romano, a Giulianova, a Matelica, e poi nello Sri Lanka, in India, negli Stati Uniti d'America, in Australia e ultimamente anche nelle Filippine dove si stà costruendo un nuovo Monastero Silvestrino.


Autore: 
Don Armando M. Loffredi o.s.b. silv.


Fonte:
Monaci Benedettini Silvestrini



AMDG et DVM



giovedì 25 novembre 2021

7. Verso Ain Karim

 7

Verso Ain Karim

 

“Maria corse con fretta a la montagna”

Dante, Purg. 18, 100

 

Qualche settimana dopo la visita dell’arcangelo Gabriele, con il permesso dello sposo Giuseppe, la Vergine Maria si prepara e lascia Nazareth per recarsi in Giudea, ad Ain Karìm, dove abita la cugina Elisabetta.


Dall’angelo ha saputo che 1’anziana parente, già da tutti detta sterile, ora attende un bimbo, e mancano solo poche settimane, una dozzina circa. Maria, che è tutta incendio d’amore per Dio, non ritarda, ma dà la precedenza a questo soccorso umano.


A quei tempi si viaggiava a piedi, sul cammello o a schiena d’asino. Non sappiamo come e con chi percorse i 180 km circa, non era un viaggio facile, durava quattro, cinque giorni, e generalmente si faceva in carovana.

Intanto in casa di Elisabetta si accelerano i preparativi per la nascita del bimbo. Il sacerdote Zaccaria, muto e meditabondo, si dibatte tra fede e speranza, mentre la sposa assapora già pur nella naturale preoccupazione del parto le gioie della maternità. 

Si conosce come il bimbo sarà chiamato, ma nessuno sa la grande visita, o meglio le grandi visite che questa casa benedetta sta per ricevere. Maria, cantando nel suo Cuore al suo Signore, si avvicina alla meta.

La Vergine, appena giunse al paesello di montagna Ain Karim, a sei km a sud di Gerusalemme si portò premurosamente alla casa di Zaccaria. 

Elisabetta Le andò incontro festante. Maria “entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta” (Lc 1, 40) con il consueto e santo augurio di pace (shalòm!). 

A quel saluto mariano successero fenomeni meravigliosi che l’evangelista così ci descrive: “Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo.

Elisabetta fu piena di Spirito santo ed esclamò a gran voce: Benedetta Tu fra le donne! e benedetto il frutto del Tuo grembo! A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata Colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore (Lc 1, 41-45)”.

Sono versi in cui risuona la melodia di tutte le grandezze che Dio opera per mezzo di Maria.


 


Lo Spirito Santo L’ha riempita di sé e quel grembo di fanciulla ha potuto concepire il Figlio di Dio. Non solo. Ma ora lo stesso Spirito attraverso Maria sua Sposa pre-santifica colui che è chiamato dal Signore a compiere la particolare missione di Precursore dell’Agnello di Dio.

Gesù nel seno di Maria esultò, e da quel trono verginale fissò il piccolo    Giovanni nel seno della Madre Elisabetta e si fece conoscere rivelandosi qual era: il Figlio di Dio.

E Giovanni pronunziò il suo primo discorso di annunciatore del Verbo. Sussultò e sobbalzò così fortemente di amore e gioia che Elisabetta si sentì   scossa e come colpita anch’essa dalla luce della Divinità del Figlio di Maria; e riconobbe in quella fanciulla la Madre del Messia. Piena di spirito profetico, tutta amore e gratitudine, glorificò Maria e il frutto benedetto del suo seno:

“Alzò la voce con un gran grido” dice il testo greco. 

Disse: “BENEDETTA TU FRA LE DONNE E BENEDETTO È IL FRUTTO DEL TUO SENO!”. aggiunse, nello splendore de1l’umiltà e della gioia, lodi e lodi a Maria: 

“A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? Beata Colei che ha creduto al compimento delle cose che Le sono state dette dal Signore!”.

Maria Santissima non nega l’altissimo mistero di Nazareth e, inabissandosi ancor più nell’umiltà, sfogo alle fiamme d’amore che la consumavano.

È questa la sua seconda grande gioia. E canta:

“L’anima mia magnifica il Signore

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.  

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente

E Santo è il suo nome:

di generazione in generazione la sua misericordia

si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio,

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, 

ha rovesciato i potenti dai troni,

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati, 

ha rimandato i ricchi a mani vuote. 

Ha soccorso Israele, suo servo,

ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri,

ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre” (Lc 1, 46-55).


È questo il Magnificat di Maria, il più santo e degno di tutti i Cantici per la dignità e santità  di Colei che l'ha fatto e per i grandi misteri che vi sono compresi, come anche per i miracoli che Dio ha operato per mezzo di esso.


Dice il Montfort: “È il più grande sacrificio di lode rivolto a Dio, nella legge della grazia. Tra tutti i cantici, il Magnificat è il più umile, il più riconoscente, è anche il più sublime e il più elevato. Racchiude misteri così grandi e così profondi che neppure gli angeli li conoscono tutti. . .”, e Papa Giovanni Paolo II aggiunge:


“Nelle parole del Magnificat si manifesta tutto il cuore della nostra Madre. Sono, oggi, il suo testamento spirituale. Ognuno ...deve guardare la vita ... con gli occhi di Maria”. Perciò è un cantico tutto divino che esalta la grandezza di Dio, la sua fedeltà alle promesse e l’infinità del suo amore, e nello stesso tempo dandoci il senso della pochezza della creatura, scopre il nostro inserimento nel piano di Dio, grazie al1’amore operante e trasformante di Lui”.


È bello sapere che la Vergine iniziò l’umile servizio presso la santa cugina cantando le misericordie di Dio. Servizio beato il suo, che nasceva dalla letizia di un cuore pieno di Dio e produceva letizia.

San Luca ci dice che “Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua” (1,56). Tre mesi di grazia, di luce, di benedizione. Per Giovanni, Zaccaria ed Elisabetta. 

Il nascituro ricevette tutte le grazie che gli erano necessarie per essere un degno precursore del Messia.

La casa di Zaccaria visse i suoi giorni più belli; lo stesso Zaccaria sembrò trasformarsi per la fede, la speranza e l’amore che Maria accese ancor più nel suo cuore di padre anziano. Soprattutto Elisabetta, nei suoi dolori e paure, fu confortata e sorretta dalla dolce presenza e potente preghiera di Maria.

La Vergine aveva perfezionato ogni preparativo per il felice evento, e ormai tutto era pronto.




Così il bimbo nacque bello e forte, e per Zaccaria fu il giorno più felice della sua vita, come anche lo fu per Elisabetta ricolma delle gioie della maternità.

Quando poi circoncisero il bambino gli posero quel nome  <<Giovanni>> (che significa: pieno di grazia, pio, misericordioso) e il vecchio sacerdote Zaccaria riacquistando la loquela, tutto ispirato, cantò la bontà luminosa di Dio e la missione del figlio, insieme alla divina bontà di Maria, piena di grazia; e prostrato adorò il Messia nella beata Maria. 

In Lei di ora in ora cresceva il dolore. Pur nella pace di quella casa la Vergine pensando al prossimo incontro con lo sposo Giuseppe, sentiva sempre più viva una spina nel cuore.


AMDG et DVM

Cerca di riflettere...


 

Cerca di riflettere

con sincerità di coscienza

affettuosamente e

con calma – almeno una volta al giorno –

queste cinque cose:

·      quanto breve è la nostra vita

·      quanto scivoloso il cammino

·      quanto incerta la morte

·      quanto grande il premio dei buoni

·      quanto terribile il castigo dei  malvagi

(San Bonaventura)


AMDG et DVM