domenica 24 ottobre 2021

Hans Urs von Balthasar e lo "spirito di Assisi"

 

1/ Lo splendore della pace di san Francesco, di Joseph Ratzinger

Riprendiamo dal sito della rivista 30Giorni un articolo dell’allora cardinale Joseph Ratzinger pubblicato sul numero 01 - 2002. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (8/2/2015)

Quando, giovedì 24 gennaio, sotto un cielo gravido di pioggia, si è mosso il treno che doveva condurre ad Assisi i rappresentanti di un gran numero di Chiese cristiane e comunità ecclesiali assieme ai rappresentanti di molte religioni mondiali per testimoniare e pregare per la pace, questo treno mi è apparso come un simbolo del nostro pellegrinaggio nella storia. Non siamo, infatti, forse tutti passeggeri di uno stesso treno?

Il fatto che il treno abbia scelto come sua destinazione la pace e la giustizia, la riconciliazione dei popoli e delle religioni non è forse una grande ambizione e, al contempo, uno splendido segnale di speranza? Ovunque, passando nelle stazioni, è accorsa una gran folla per salutare i pellegrini della pace. Nelle strade di Assisi e nella grande tenda, il luogo della testimonianza comune, siamo stati nuovamente circondati dall’entusiasmo e dalla gioia piena di gratitudine, in particolare di un numeroso drappello di giovani.

Il saluto della gente era diretto principalmente all’uomo anziano vestito di bianco che stava sul treno. Uomini e donne, che nella vita quotidiana troppo spesso si fronteggiano l’un l’altro con ostilità e sembrano divisi da barriere insormontabili, salutavano il Papa, che, con la forza della sua personalità, la profondità della sua fede, la passione che ne deriva per la pace e la riconciliazione, ha come tirato fuori l’impossibile dal carisma del suo ufficio: convocare insieme in un pellegrinaggio per la pace rappresentanti della cristianità divisa e rappresentanti di diverse religioni.

Ma l’applauso, rivolto innanzitutto al Papa, esprimeva anche un consenso spontaneo per tutti coloro che con lui cercano la pace e la giustizia, ed era un segnale del desiderio profondo di pace che provano gli individui di fronte alle devastazioni che ci circondano provocate dall’odio e dalla violenza. Anche se talvolta l’odio appare invincibile e si moltiplica senza sosta nella spirale della violenza, qui, per un momento, si è percepita la presenza della forza di Dio, della forza della pace. Mi vengono alla mente le parole del salmo: «Con il mio Dio scavalcherò le mura» (Sal 18, 30). Dio non ci mette gli uni contro gli altri, bensì Egli che è Uno, che è il Padre di tutti, ci ha aiutato, almeno per un momento, a scavalcare le mura che ci separano, facendoci riconoscere che Egli è la pace e che non possiamo essere vicini a Dio se siamo lontani dalla pace.

Nel suo discorso il Papa ha citato un altro caposaldo della Bibbia, la frase della Lettera agli Efesini: «Cristo è la nostra pace. Egli ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia» (Ef 2, 14). Pace e giustizia sono nel Nuovo Testamento nomi di Cristo (per «Cristo, nostra giustizia» vedere ad esempio 1Cor 1, 30).

Come cristiani non dobbiamo nascondere questa nostra convinzione: da parte del Papa e del Patriarca ecumenico la confessione di Cristo nostra pace è stata chiara e solenne. Ma proprio per questa ragione c’è qualcosa che ci unisce oltre le frontiere: il pellegrinaggio per la pace e la giustizia. Le parole che un cristiano deve dire a colui che si mette in cammino verso tali mete sono le stesse usate dal Signore nella risposta allo scriba che aveva riconosciuto nel duplice comandamento che esorta ad amare Dio e il prossimo la sintesi del messaggio veterotestamentario: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12, 34).

Per una giusta comprensione dell’evento di Assisi, mi sembra importante considerare che non si è trattato di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia. Infatti, là dove manca la giustizia, dove agli individui viene negato il loro diritto, l’assenza di guerra può essere solo un velo dietro al quale si nascondono ingiustizia e oppressione

Con la loro testimonianza per la pace, con il loro impegno per la pace nella giustizia, i rappresentanti delle religioni hanno intrapreso, nel limite delle loro possibilità, un cammino che deve essere per tutti un cammino di purificazione.

Ciò vale anche per noi cristiani. Siamo giunti veramente a Cristo solo se siamo arrivati alla sua pace e alla sua giustizia. Assisi, la città di san Francesco, può essere la migliore interprete di questo pensiero. Anche prima della sua conversione Francesco era cristiano, così come lo erano i suoi concittadini. E anche il vittorioso esercito di Perugia che lo gettò in carcere prigioniero e sconfitto era formato da cristiani. Fu solo allora, sconfitto, prigioniero, sofferente, che cominciò a pensare al cristianesimo in modo nuovo. E solo dopo questa esperienza gli è stato possibile udire e capire la voce del Crocifisso che gli parlò nella piccola chiesa in rovina di San Damiano la quale, perciò, divenne l’immagine stessa della Chiesa della sua epoca, profondamente guasta e in decadenza.

Solo allora vide come la nudità del Crocifisso, la sua povertà e la sua umiliazione estreme fossero in contrasto con il lusso e la violenza che prima gli apparivano normali. E solo allora conobbe veramente Cristo e capì anche che le crociate non erano la via giusta per difendere i diritti dei cristiani in Terra Santa, bensì bisognava prendere alla lettera il messaggio dell’imitazione del Crocifisso. 

Da quest’uomo, da Francesco, che ha risposto pienamente alla chiamata di Cristo crocifisso, emana ancora oggi lo splendore di una pace che convinse il sultano e può abbattere veramente le mura. Se noi come cristiani intraprendiamo il cammino verso la pace sull’esempio di san Francesco, non dobbiamo temere di perdere la nostra identità: è proprio allora che la troviamo. E se altri si uniscono a noi nella ricerca della pace e della giustizia, né loro né noi dobbiamo temere che la verità possa venir calpestata da belle frasi fatte. No, se noi ci dirigiamo seriamente verso la pace allora siamo sulla via giusta perché siamo sulla via del Dio della pace (Rm 15, 32) il cui volto si è fatto visibile a noi cristiani per la fede in Cristo. 

2/ Hans Urs von Balthasar e lo "spirito di Assisi", di Pietro Messa

Riprendiamo un articolo di padre Pietro Messa pubblicato in Communio. Rivista Internazionale di Teologia e Cultura 203-204 (settembre-dicembre 2005), pp. 207-219. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (8/2/2015)

1. Un incontro controverso

Uno dei punti più controversi del pontificato di Giovanni Paolo II è il cosiddetto "spirito di Assisi", ossia quel movimento che ha avuto inizio dalla storica giornata ecumenica e interreligiosa di pellegrinaggio, preghiera e digiuno per la pace svoltasi nella città di san Francesco il 27 ottobre 1986[1]Si può dire che è come lo spartiacque dei giudizi sul suo pontificato: a causa di quel gesto egli è stato un grande o una rovina per la Chiesa. Quell'incontro fu voluto da Giovanni Paolo II, nonostante le obbiezioni e osservazioni critiche anche di alcuni esponenti della Curia romana; un ruolo importante nella realizzazione dell'evento ebbe il cardinale Roger Etchegaray, ma anche Marcello Zago, definito dal cardinale J. Tomko, al momento del suo funerale nel 2001, «uno dei maggiori artefici dell’incontro interreligioso di Assisi (27 ottobre 1986)»[2].

Dopo l'incontro, distorcendone i contenuti, qualcuno vide realizzato un tradimento, per non dire un'apostasia, della fede cristiana[3]mentre altri vi videro finalmente la realizzazione di un ONU delle religioni[4]. Così l’evento di Assisi 1986 fu commentato criticamente dalle riviste tradizionaliste; una di queste, Chiesa viva,«interpretò l’evento come un segno inconfutabile dell’espansione del modernismo e del protestantesimo nella Chiesa di Roma», mentre «il terremoto che nel settembre 1997 fece crollare la volta della Basilica superiore di san Francesco fu letto come un segno dell’ira divina per la profanazione di quegli antichi luoghi di fede»[5]. La sera stessa del 27 ottobre, mentre i partecipanti lasciavano la piazza inferiore della Basilica di San Francesco, presso la Porta San Pietro di Assisi vi erano simpatizzanti di gruppi tradizionalisti che distribuivano a coloro che attendevano i pullman volantini contrari a quell'incontro appena conclusosi. Le critiche vennero anche da altre chiese cristiane; così ancora nel settembre 1992, mentre ero in visita al Monastero ortodosso di San Saba nel deserto di Giuda in Israele, un monaco, sapendo che venivamo da Assisi, ci chiese della notizia di buddisti che avevano pregato in una chiesa collocando sull'altare la statua di Buddha: la notizia che il 27 ottobre 1986 alcuni buddisti sistemarono sull'altare della Chiesa di San Pietro in Assisi una reliquia di Buddha non rimase senza effetti[6]! C'è chi, accusando Giovanni Paolo II di aver tollerato «l'introduzione della statua di Budda presso l'altare della Chiesa di San Pietro (in Assisi) per essere venerata», legge l'attentato del 13 maggio 1981 come un atto della misericordia di Dio che voleva evitare tali apostasie alla Chiesa Cattolica[7].

Le obbiezioni a tale incontro vennero anche da persone di rilievo del cattolicesimo; solo per fare un esempio, fin dal suo svolgimento, Divo Barsotti, persona di spicco del cattolicesimo italiano del XX secolo, espresse direttamente a Giovanni Paolo II mediante lettere le sue riserve[8].

Altri proclamando un relativismo religioso per cui una fede vale l'altra, credettero di essere in linea con ciò che volle Giovanni Paolo II, almeno fino a quando con la dichiarazione Dominus Iesusriaffermò mediante la Congregazione della dottrina delle fede presieduta dal cardinal Joseph Ratzinger l'unicità della salvezza in Gesù Cristo[9].

Alcuni videro in tale dichiarazione se non proprio una smentita, certamente un passo indietro rispetto a ciò che fu vissuto in Assisi nel 1986.

Certamente le conseguenze di tale incontro non furono innocue, tanto che nel discorso alla Curia romana in occasione del Natale 1986 Giovanni Paolo II non fece altro che dare le motivazioni teologiche dell'incontro assisano dell'ottobre precedente.

Tuttavia Giovanni Paolo II non fu un ingenuo, e neppure coloro che organizzarono tale incontro. Basta leggere, ad esempio, gli articoli che L'Osservatore Romano ha dedicato alla preparazione di tale appuntamento, come quello di Angelo Scola, futuro cardinale patriarca di Venezia, in cui mise in rilievo che ad Assisi i rappresentanti delle diverse religioni erano assieme per pregare e che mai avrebbero pregato assieme, essendo di fedi diverse[10]. Così anche il discorso che il Papa stesso fece all'introduzione della celebrazione eucaristica con le claustrali nella cappella della Casa Sacro Cuore in Perugia mostra una chiarezza di identità che non dà adito a fraintendimenti[11].

In fondo le preoccupazioni che sottostavano ad alcune critiche, così come anche le semplici perplessità erano condivise dallo stesso Giovanni Paolo II come risulta dalla enciclica Redemptoris missio del 1990, ma anche dalle sue vere intenzioni che certamente non furono quelle sincretiste o del venir meno della missione evangelizzatrice.

2. L'intervento di Hans Urs von Balthasar

Per uscire da un certo equivoco creatosi attorno allo "spirito di Assisi" un aiuto importante è offerto, sia per autorevolezza che per la sua posizione, da Hans Urs von Balthasar in un suo scritto di commento a quella giornata[12]. Infatti a distanza di pochi giorni dall'incontro di Assisi e davanti alle diverse reazioni sia intra ecclesiali, che esterne, egli intervenne con un suo contributo dell'otto novembre 1986 dal titolo lapidario «Io e Assisi»[13]. L'autorevolezza di tale intervento rende plausibile una sua lettura evidenziandone gli aspetti fondamentali.

Innanzitutto egli riconosce la grandezza di quell'incontro:

Il mondo sente che in Assisi qualcosa di unico è avvenuto. Per la prima volta, in risposta al geniale suggerimento del nostro Santo Padre, si sono riuniti tutti gli uomini di preghiera. S'è trattato di qualcosa di tanto più grande di un gesto umanitario; ed hanno torto tutti coloro che hanno voluto limitarlo ad un piano puramente umano: sia quelli che hanno rimproverato il Papa di "massoneria", come quelli che lo hanno esaltato per aver fatto di tutte le religioni un'unica.

Secondo il noto teologo di Basilea, quindi, quello avvenuto ad Assisi il 27 ottobre 1986 è «qualcosa di unico» nato dal «geniale suggerimento» di Giovanni Paolo II di invitare tutti gli uomini di preghiera a «qualcosa di tanto più grande di un gesto umanitario»; e ciò sempre secondo il noto teologo, «il mondo [lo] sente», in una sorta di sensum fidei che sa intuire le cose grandi.

Tuttavia Balthasar deve prendere atto che non tutti hanno avuto la genialità del Papa; infatti limitandosi «ad un piano puramente umano» alcuni – come il vescovo Marcel Lefebvre – hanno accusato il Papa di aver tradito l'ortodossia della fede cristiana a favore di un irenismo, mentre altri con una lettura sincretista hanno visto nel gesto
pontificio un «aver fatto di tutte le religioni un'unica»
. Probabilmente le perplessità e accuse dei primi erano motivate più che dalle intenzioni di Giovanni Paolo II – fraintese per non dire distorte dai secondi – proprio dalla lettura sincretista di quell'incontro, facilitata anche dalla prospettiva con cui fu presentata dai mass-media.

Nel 1988 si consuma lo scisma di Lefebvre e un motivo addotto a tale scelta, non l’ultimo, sono le scelte di Giovanni Paolo II definito «un Papa che ad Assisi confonde tutte le religioni»[14]. Infatti «l’incontro di preghiera per la pace di Assisi del 1986, come quello del gennaio 2002, rappresenta agli occhi dell’ultraconservatorismo cattolico un momento di grave perdita di identità della Chiesa, che si sarebbe “inquinata” e avrebbe tradito la sua missione di difesa e insegnamento della verità»[15]Si accusa il Papa di aver svenduto i valori cristiani abbassando il cristianesimo alla stregua delle altre religioni: «L’incontro di Assisi del 1986 costituisce il punto di riferimento negativo cui riferirsi per dimostrare lo stato di pericolo in cui verserebbe il cattolicesimo. “Il Dio di Assisi non è il Dio della Bibbia”, si afferma per marcare la “apostasia” della chiesa di Roma»[16]. Tutti gli avvenimenti vengono interpretati con questa chiave di lettura e non meraviglia che dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 si denuncia, assieme alla perversità della fede islamica, anche la decadenza morale dell’Occidente causata dal pacifismo postconciliare esaltante l’attività pacificatrice dell’ONU (stupisce ritrovare in tale giudizio una certa assonanza – naturalmente con le dovute differenze – con il pensiero espresso in alcuni suoi interventi da Oriana Fallaci[17]). L’evento di Assisi 1986, come detto sopra, fu commentato criticamente dalle riviste tradizionaliste, e divenne un pretesto per lo scisma del 1988, anche se riferendosi a Lefebvre, Balthasar scriverà: «Quando egli si riferisce ad Assisi parlandone come di cosa "abominevole" e facendone il pretesto per il distacco da Roma, cade ancora una volta nel ridicolo»[18].

Davanti a tali giudizi riguardo all'incontro del 27 ottobre 1986 Balthasar continua chiedendosi: «Come è possibile dire tali stoltezze di un uomo tanto certo del suo esser cristiano?». E tale certezza della fede del Papa, che scaturisce da una identità precisa e senza sbavature tanto che in certi momenti fu letta da alcuni come una sorta di integralismo, è espressa anche dalla celebrazione eucaristica che lo stesso Giovanni Paolo II celebrò la mattina di quello stesso giorno, prima di recarsi ad Assisi, nella cappella della Casa Sacro Cuore vicino a Perugia, assieme ad un gruppo di claustrali. Infatti introducendo la messa il Papa parlò di «luce della verità» irraggiata dal cuore della Chiesa ed invitò le claustrali presenti ad offrire al Signore il loro rinnovato proposito di dedicarsi generosamente alla preghiera e all'ascesi monastica: temi che saranno tanto cari al suo successore, Benedetto XVI.

Secondo Balthasar proprio la chiara identità cristiana di Giovanni Paolo II testimonia la veridicità dell'incontro di Assisi:

Proprio da questa certezza muove anzi una strada sicura all'evento d'Assisi. Per il cristiano che crede è, infatti, un'eresia non riconoscere che Cristo sia morto per tutti gli uomini. Non sono tutti, a qualsiasi religione o visione del mondo appartengano, toccati dalla Grazia di Dio, qualora essi non la respingano volontariamente?

Leggendo queste affermazioni di Balthasar non si può non pensare alla dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la dottrina della fede che porta la firma dell'allora prefetto, cardinal Joseph Ratzinger, e che davanti alle critiche che suscitò la sua pubblicazione il Papa stesso la difese il primo ottobre dell'anno giubilare del 2002 – al termine di una celebrazione dal tono missionario in cui furono canonizzati tra altri i martiri della Cina – affermando che la Dominus Iesus è stata da lui voluta e "approvata in forma speciale". Vari hanno visto una contraddizione tra l'evento di Assisi e tale dichiarazione, mentre Balthasar già nel 1986 riteneva che proprio la certezza dell'esser cristiano di Giovanni Paolo II – che verrà espresso solennemente nella dichiarazione Dominus Jesus nell'anno 2000 – è «una strada sicura all'evento d'Assisi».

Ancor più profondamente. Tutti coloro che hanno pregato in Assisi non sono forse consapevoli di non essere l'assoluto e, dunque, che una Potenza superiore, che nessun uomo può chiamare con un nome adeguato, è sopra di loro? Una Potenza alla quale sono in un qualche modo debitori e alla quale si rivolgono in preghiera, potendo guardare verso l'Alto nella speranza e nell'offerta. Che lo voglia o meno, l'uomo è un "animal religiosum", un "senso religioso" lo costituisce nel suo più profondo essere persino anche quando rifiuta tutte le religioni storiche come qualcosa di non adeguato, come qualcosa di estraneo agli uomini.

Quindi, per Balthasar, non è nella fede che va cercato l'elemento unificatore di Assisi, ma nel "senso religioso" che «costituisce [l'uomo] nel suo più profondo essere». In questa affermazione non si può non notare una profonda sintonia con ciò che può essere considerato uno dei punti cardini del pensiero di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione[19].

Continuando Balthasar afferma, riferendosi sempre al "senso religioso" dell'uomo:

Non si può mai sopprimere la nostalgia di preghiera che sgorga dalla sua anima, nostalgia di adorazione e di contemplazione. Di questo non vi è, forse, prova migliore del fatto che i vari accaniti tentativi dell'ateismo ideologico di sradicare dai cuori questo senso religioso si sono trasformati in pioggia benefica che ha fatto spuntare dal terreno sempre nuovi germogli religiosi.

Si deve ricordare che nel 1986 non era ancora caduto il muro di Berlino e che nell'Est d'Europa continuava a dominare l'ateismo ideologico che cercava di sradicare dai cuori questo senso religioso di cui parla Balthasar. Intervenendo in preparazione alla giornata del 27 ottobre, Philippe Delhaye, allora segretario generale della Commissione Teologica Internazionale, ricordava che «per una buona parte del xix secolo, la religione è stata presentata come una malattia infantile dell'umanità. E lo è ancora agli occhi di certi ateismi ufficiali e politici»[20]. Tale ateismo si appellava alla pace per ritrovare l'unità con i cattolici[21], ma secondo Balthasar la grandezza di Giovanni Paolo II sta nell'aver coniugato il tema della pace proprio con il "senso religioso" rifiutato da tale ateismo ideologico; se quest'ultimo voleva cercare la collaborazione dei cattolici trovando una possibile unità sul tema della pace prescindendo dalla domanda religiosa dell'uomo, il Papa vuole trovare la pace facendo appello proprio al "senso religioso" che accomuna tutti gli uomini.

Egli vuole «sottolineare il legame tra questa rivalutazione dell'homo religiosus e le speranze riposte nell'homo pacificus»[22]. Un cambiamento di prospettiva non da poco! Sembra contraddittorio, ma proprio tale affermazione che la motivazione dell'incontro per la pace di Assisi è unicamente religiosa diede a tale raduno una significato politico non indifferente; tuttavia si deve riconoscere che tale risonanza politica non fu pienamente colta.

Balthasar continua:

Assisi non ha in alcun modo mostrato che le religioni sono un'unica religione ma ha chiarito con la massima evidenza che ve ne sono di molto diverse, ed ha anche voluto tener conto di questo con la massima meticolosità immaginabile. Tutti coloro che insieme hanno pregato l'hanno esattamente compreso. Nessuno ha inteso l'iniziativa come un atto propagandistico d'una determinata Chiesa.

Balthasar, contrariamente a coloro che hanno letto – chi applaudendo e chi condannando – l'incontro di Assisi come una riunione sincretista, parla di una «massima evidenza» e di «massima meticolosità immaginabile» con cui l'incontro di Assisi ha mostrato che le religioni non sono un'unica religione. Infatti, ad esempio, nei giorni precedenti a L'Osservatore Romano è stato affidato il compito di illustrare il significato di tale avvenimento, con i suoi segni e simboli[23]; come già ricordato sopra, nientemeno che Angelo Scola ha spiegato che ad Assisi si sarebbero incontrati uomini di diverse religioni non per pregare insieme, ma per stare insieme a pregare[24].

Infatti mai hanno pregato insieme, ma ciascun gruppo religioso ha pregato in luoghi distinti; gli organizzatori con una «massima evidenza» e «massima meticolosità immaginabile» hanno cercato di esprimere ciò soprattutto nel terzo momento della giornata del 27 ottobre, ossia quando tutti i rappresentanti delle religioni si sono riuniti nella piazza inferiore della Basilica di San Francesco.

La preoccupazione del sincretismo era forte come mostra una serie di riflessioni preparatorie che su L'Osservatore Romano hanno richiamato il senso autentico di tale incontro. Così Delhaye scrisse che è stato «preparato fin nei dettagli questo incontro mondiale. Si trattava, da un lato di far emergere una fraternità e contemporaneamente una comunione senza remore e, dall'altro, di evitare le insidie del sincretismo e dell'indifferenza soprattutto agli occhi del grande pubblico, così male informato»[25].

A questo proposito scrive alcune settimane dopo il 27 ottobre 1986 monsignor Marcello Zago, uno dei principali organizzatori di quella giornata:

The third major feature took place at the square in front of the lower basilica of St. Francis. Its payout and ritual were filled with meaning. I led each delegation in turn to the prayer podium set apart from the large platform on which the Pope's invited guests sat in a semicircle. This logistic separation was deliberately chosen so that every hint of syncretism was excluded. We were together to pray, each according to his own tradition. Beyond these necessary distinctions, however, a profound sense of respect and communion rigned among all who were present[26].

Ci fu realmente tale attenzione di porre una distinzione tra l'assemblea e le singole rappresentanze nel momento in cui queste innalzarono le loro preghiere. Ma a questo proposito c'è da osservare che forse il segno non fu così efficace come avevano pensato gli organizzatori, tanto che il rischio di una lettura sincretista non fu pienamente evitata e tale momento non si ripeté successivamente, ne nel 1993, e neppure nel 2002.

In fondo le stesse parole di Zago scritte successivamente possono dare adito a una lettura distorta: «The square was not a theater where one watched a performance but rather a shrine in which one was present as a participant»[27]Ugualmente altri momenti della giornata in un certo senso sfuggirono di mano agli organizzatori come quando i rappresentanti di alcune religioni – alcune delle quali hanno una visione inclusivista di tutte le religioni[28] – andarono a svolgere il loro momento di preghiera in una chiesa[29].

Che la preoccupazione del sincretismo fosse grande è constatato dallo stesso Marcello Zago quando afferma:

The greatest difficulty and most notable opposition stem from the fear of syncretism, that is, mixing Christianity with other confessions, truth with error. Very great care against this was taken at Assisi, even in the external forms, and especialy during the third part of the Program – and these measures met with general satisfaction. I do think, however, that the theological vision of the concrete religions could help unravel the skein that appears completely entangled. We need to acknowledge what is specifically Christian and preserve it; but we also to acknowledge valid elements that we hold in common and share with others[30].

Balthasar sviluppa ulteriormente il suo discorso:

Ma a tutti coloro che insieme hanno pregato è giunta, forse per la prima volta, a consapevolezza la cosa detta in precedenza, ossia che esiste nell'uomo "un senso religioso unico", nonostante non esista "un'unica religione".

Ad Assisi non si è annunciata un'unica religione, ma che nell'uomo – contrariamente a quanto afferma molto ateismo ideologico – esiste «un senso religioso unico». Ecco il punto centrale per Balthasar e per Giovanni Paolo II, ma che non è stato recepito da tutti; a questo riguardo Ernesto Galli della Loggia un giorno ebbe a dire a proposito dello "spirito di Assisi" che non tutti hanno vissuto e continuato a vivere tale avvenimento con l'elevatezza teologica, spirituale e culturale di Giovanni Paolo II.

Un senso religioso che vuole e deve esprimersi necessariamente in una forma di preghiera, di riconoscimento della Potenza suprema, o della Bontà, sopra tutti noi. E che questa unità, che comprende tutte le singole religioni, del "senso religioso" è, ad un tempo, anche il luogo dell'incontro, dell'accordo di tutti nella medesima natura umana, la profondità del mare, alla quale le tempeste, le inimicizie e le guerre che avvengono alla superficie non scendono. In questa profondità domina, dunque, una pace che tutti unisce.

Per Balthasar il luogo dell'incontro non è, quindi, la religione ma il "senso religioso", quel luogo delle domande fondamentali dell'uomo, della ricerca umile della verità. L'affermazione di tale prospettiva era stata affidata ad Angelo Scola che prima dell'incontro del 27 ottobre scrisse:

Costoro infatti, proprio pregando per la pace, testimoniano che non si dà pace senza verità. La preghiera infatti è sempre, in ultima analisi, domanda di verità. Per questo ogni religione autentica approfondendo la propria identità si spalanca sempre più alla verità. Alla verità oggettiva, che non sarà intesa alla stregua di una sintesi ecclettica ed indifferenziata delle diverse identità religiose, ma sarà invece appassionatamente perseguita, riconosciuta ed accolta la dove Essa avrà voluto manifestarsi.

La pace quindi è un valore solo se lo si persegue, come ogni altro valore all'interno della domanda di verità, che per sua stessa natura è verità totale. Se la pace fosse svuotata del suo contenuto veritativo e ridotta a un'idea generica separata dall'esperienza di verità cui ognuno dovesse sacrificare la sua propria identità, diventerebbe una parola vuota e perciò sarebbe impossibile la strada della pace.

Da sempre infatti dai quattro angoli della terra gli uomini chiedono la pace e... fanno la guerra! Ciò su cui gli uomini sono divisi, profondamente divisi, non è la pace ma la verità.

Ma il desiderio di pace [...] può essere la grande strada su cui oggi Dio chiama tutti gli uomini alla verità, ineliminabile fondamento di una pace duratura.

[...]

Sarà di fatto un appello [...] a riconoscere che il progresso morale dell'umanità [...] esige un superamento delle ideologie. Esse infatti impediscono all'uomo di accogliere la verità data nella natura di ciascuno, e perciò in qualche modo embrionalmente sperimentabile da tutti, ma soprattutto rivelata da Colui che è venuto a portare la «pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14)[31].

Questa ricerca della verità è «il luogo dell'incontro, dell'accordo di tutti nella medesima natura umana» e dove scaturisce la pace. Similmente si espresse l'allora cardinal Joseph Ratzinger in un intervento di commento alla giornata di Assisi del 24 gennaio 2002, quando Giovanni Paolo II volle ritornare nella città di san Francesco dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle:

Per una giusta comprensione dell'evento di Assisi, mi sembra importante considerare che non si è trattato di un'autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l'espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia[32].

Il pellegrinaggio, la ricerca, l'uomo che cammina verso la verità è il luogo dell'incontro. In tutto ciò quello che è prospettato non è né un pensiero forte che si costruisce la verità degenerando nella ideologia chiusa al trascendente – come avveniva nel 1986 nei paesi dell'Est europeo ancora sotto l'egida comunista – e neppure un pensiero debole che rinuncia alla ricerca della verità scadendo nel sincretismo e relativismo, ma un pensiero umile nella ricerca della verità che rivelandosi all'uomo genera lo stupore di un incontro. Un pensiero umile che scardina la chiusura alla verità; chiusura che si può manifestare come pensiero forte delle ideologie, oppure pensiero debole del relativismo. Quindi centrale e punto di partenza non è la pace, ma il senso religioso; è da lì, a quelle profondità che si scopre la pace.

Rimarcando il tema della pace Balthasar sottolinea:

Se in Assisi s'è pregato espressamente per la pace del mondo – e quanto giustamente – lo si è fatto a partire dalla pace stessa che è venuta alla superficie dalla profondità.

Più di tutti si dovrebbero citare le parole: "Tutto quello che voi chiederete pregando, credete di averlo già ottenuto e vi avverrà" (Mc 11,24).

"Questa è la fiducia che abbiamo in Dio: se noi chiediamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci ascolta. E sapendo che ci ascolta in ciò che chiediamo, sappiamo pure che possediamo già quanto gli abbiamo chiesto" (1Gv 5,14-15),

Balthasar rimanda a Colui che è la risposta adeguata al "senso religioso" umano, ossia a Dio rivelato nel Vangelo, che dona all'uomo ciò che chiede con fede.

La conclusione si riallaccia a Maria pregata a Mejugorje come "Regina della pace": «Maria dice in Medjugorje qualcosa di diverso? Si deve vivere la pace quando la si implora, e poiché la si implora la si possiede». In questo modo la giornata di Assisi si ricollega al tema mariano tanto caro allo stesso Giovanni Paolo II.

Al termine della lettura dell'intervento di Balthasar possiamo affermare senza timore con Racca, che così conclude un suo intervento inerente il dialogo interreligioso nel magistero dopo il concilio Vaticano II: «La giornata di preghiera per la pace ad Assisi del 27 ottobre 1986 – e la serie di incontri da essa scaturita fino all'ultimo del 24 gennaio 2002 – rappresenta una tappa fondamentale e l'immagine più bella e significativa di questo cammino. Possiamo assumerla come via suggerita dallo Spirito, come segno di speranza per il futuro della Chiesa, delle religioni e del mondo»[33].

Quello che Balthasar ha offerto in questo suo intervento, non è soltanto una lettura in profondità di ciò che è avvenuto ad Assisi il 27 ottobre 1986, ma anche una visione unitaria del pontificato di Giovanni Paolo II; veramente, usando una sua espressione, ha saputo cogliere il tutto del pontificato di Giovanni Paolo II nel frammento nell'incontro di Assisi.

Note al testo

[1] Per un inquadramento generale cfr. C. Bonizzi, L’Icona di Assisi nel magistero di Giovanni Paolo II, Edizioni Porziuncola, Assisi 2002.

[2] Cfr. J. Tomko, L’Arcivescovo Marcello Zago è stato missionario in ogni momento, in L’Osservatore Romano,4 marzo 2001, 7.

[3] Cfr. la rassegna delle valutazioni negative dell'incontro di Assisi da parte di alcuni teologi in A. Mazur, L’insegnamento di Giovanni Paolo II sulle altre religioni, Editrice Pontificia Gregoriana, Roma 2004 (Tesi gregoriana serie teologia, 103), pp.131-134.

[4] Cfr. le osservazioni di S. Magister, Giovanni Paolo II e le religioni. Da Assisi alla "Dominus Iesus" (Tokyo, 18 giugno 2003), Internet (23.10.2005): http://www.chiesa.espressonline.it.

[5] N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre. Il tradizionalismo cattolico italiano e il Concilio Vaticano II, prefazione di Roberto Morozzo della Rocca, Roma 2003 (Religione e società. Storia della chiesa e dei movimenti cattolici, 44), 144.

[6] Cfr. S. Magister, Giovanni Paolo II e le religioni. Da Assisi alla "Dominus Iesus": «Ma insieme presero corpo anche le riserve critiche, su quello stesso evento. La giornata di Assisi non mancò di darvi alimento, in alcuni suoi gesti eccessivi. A buddisti, a induisti, ad animisti africani furono concesse per le loro preghiere alcune chiese della città, come fossero involucri neutri, privi d'irrinunciabile valenza cristiana. E sull'altare della locale chiesa di San Pietro i buddisti sistemarono una reliquia di Buddha».

[7] N. Di Carlo, Avvertimenti, in "Presenza divina". Pubblicazione mensile dell'Associazione "Opera Divina Provvidenza – ONLUS", s.l, s.d.

[8] «L’ho scritto al papa, due volte, che non vedevo di buon occhio l’incontro interreligioso di Assisi dell’ottobre 1986. Gli dissi: "Santità, io non ho la televisione in casa, non ho nemmeno la radio, ma il giorno dopo il convegno di Assisi su ‘Avvenire’ ho visto in prima pagina una fotografia che mostra i cattolici che venerano il Dalai Lama, come fanno con Vostra Santità". Si rischia di non fare più differenza: il Dalai Lama è come il papa per tanti credenti, e allora il popolo non può più avvertire le differenze né rendersi conto di quello che è specifico del cristianesimo». Cfr. Una comunità e il suo fondatore: don Divo Barsotti e la comunità dei Figli di Dio, attraverso le parole di don Divo tratte dai suoi diari inediti, qui pubblicati per la prima volta, a cura di A. Colzi, 2. ed., Settignano (FI) 2004.

[9] Al riguardo cfr. l'interessante articolo di A. Amato, Dialogo interreligioso e dialogo ecumenico. Puntualizzazioni alla luce della Dominus Iesus, in Rassegna di teologia 46 (2005), 165-183.

[10] A. Scola, Essere insieme per pregare per la pace, in L'Osservatore Romano, 11 ottobre 1986, p.1.4.

[11] Cfr. Giovanni Paolo II, Alle claustrali durante la Messa prima della partenza per Assisi, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX,2 (1986, luglio-dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1986, 1247-1248; P. Messa, Lo "spirito di Assisi": dall'identità eucaristica al dialogo interreligioso. Quell'Eucaristia celebrata da Giovanni Paolo II con le claustrali, che diede inizio alla storica giornata del 27 ottobre 1986, in Forma sororum. Rivista delle clarisse d'Italia 42 (2005) 210-216.

[12] Per una semplice e immediata, ma per questo non superficiale, introduzione al pensiero del noto teologo di Basilea cfr. A. Scola, Hans Urs von Balthasar: uno stile teologico (Già e non ancora, 218), Milano 1991.

[13] H. U. von Balthasar, Io e Assisi, in Id., La realtà e la gloriaArticoli e interviste. 1978-1988, Edit, Milano 1988, 95-96.

[14] N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre, 118n.

[15] N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre, 120.

[16] N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre, 121.

[17] O. Fallaci, Il Nemico che trattiamo da Amico, in Corriere della Sera sabato 16 luglio 2005, 1.8-9.

[18] H. U. von Balthasar, La sua verità su Lefebvre, in Id., La realtà e la gloria, 208.

[19] L. Giussani, Il senso religioso, Jaca Book, Milano 1981; Id., Il senso religioso. Volume primo del perCorso (Già e non ancora, 127), Jaca Book, Milano 1986. Al riguardo cfr. A. Scola, Un pensiero sorgivo. Sugli scritti di Luigi Giussani, Marietti, Genova 2004.

[20] Ph. Delhaye, Unità e molteplicità delle preghiere per la pace ad Assisi, in L'Osservatore Romano, 4 ottobre 1986, p. 1.

[21] Riguardo all'importanza del tema della pace come uno dei temi su cui si cercava una possibile convergenza tra cristianesimo e comunismo, cfr. D. Saresella, Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968), Morcelliana, Brescia 2005, (Storia, 6).

[22] Ph. Delhaye, Unità e molteplicità delle preghiere per la pace ad Assisi, 1.

[23] Circa l'importanza di ogni particolare di tale avvenimento cfr. P. Messa, Gesti e simboli nello spirito di Assisi, in Una Città per il dialogo. Bollettino di informazione dell’Associazione Centro Universitario Ecumenico “S.Martino” e del Centro Internazionale di Accoglienza della Gioventù Perugia, 75 (dicembre 2004), p. 21-23.

[24] A. Scola, Essere insieme per pregare per la pace, 1.4.

[25] Ph. Delhaye, Unità e molteplicità delle preghiere per la pace ad Assisi, 1. Continuando scrive: «Dallo svolgimento del programma appare che esso, al fine di prevenire forme di inopportuno sincretismo, ha voluto evitare errate interpretazioni [...] La volontà di evitare il sincretismo e l'indifferentismo ha comunque fatto programmare l'organizzazione dell'incontro di Assisi [...]».

[26] M. Zago, Day of Prayer for Peace. Assisi, 27 October 1986, in Seminarium. Commentarii pro seminariis, vocationibus ecclesiasticis, universitatibus 39 (1987), 57-67: 60.

[27] M. Zago, Day of Prayer for Peace. Assisi, 27 October 1986, 60.

[28] Cfr. ad esempio quanto nel successivo incontro del 24 gennaio 2002 affermò Didi Talwalkar rappresentante dell'Induismo: «Per me, che appartengo alla Swadhyaya parivar (famiglia), ispirata dal Rev. Pandurang Shastri Athawale, tale universale fratellanza viene in modo naturale perché egli ha inculcato in noi l'idea dell'accettazione di tutte le tradizioni religiose (sarva dharma sweekaar). Esse non si escludono a vicenda. Alla base della Swadhyaya c'è l'idea di un Dio che abita in tutti, e noi siamo figli dello stesso Dio. Approfondendo l'eredità classica dell'India, egli ha cercato di abbattere le barriere tra uomo e uomo e di liberare l'idea della religione dal dogmatismo, dall'isolamento e dalle costrizioni. [...] Il nostro dialogo, che celebra l'unità di diverse tradizioni religiose, non è arrivato un giorno prima. Da qui possiamo camminare verso una unità delle religioni del mondo perché si salvaguardi un futuro condiviso e benedetto da Dio». In Together for Peace. Assisi 24 January 2002. Preghiera per la pace nel mondo. Assisi, Piazza San Francesco, 24 gennaio 2002, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, Tipografia vaticana, Città del Vaticano 2005, 59-60.In un certo senso ciò smentisce quanto affermato da Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1986 durante l'udienza generale del mercoledì precedente il primo incontro di Assisi: «Noi rispettiamo questa preghiera, anche se non intendiamo fare nostre formule che esprimono altre visioni di fede. Né gli altri, del resto, vorrebbero far proprie le nostre preghiere»; Giovanni Paolo II, Udienza generale del 22 ottobre 1986, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX,2, 1146. In realtà, invece, ciò che ha detto il 24 gennaio 2002 Didi Talwalkar manifesta una visione sincretista che senza problemi «celebra l'unità di diverse tradizioni religiose» e quindi il far proprie le preghiere di altre religioni, cristiana compresa.

[29] M. Zago, Day of Prayer for Peace. Assisi, 27 October 1986, 59: «The example of the Christians who, despite the great variety of Churches and Communions, had decided to pray together in the same cathedral, induced others to do the same. The Buddhist, whose preference had been to pray in separate places according to their different traditions, came together instead in the church of San Pietro. The religions of India also, after a separate prayer had been offered by the Hindus, Zoroastrians and the Sikh, came together in the church of Santa Maria Maggiore». Marcello Zago legge positivamente questo fatto che, ad esempio, i Buddisti andarono insieme nella chiesa di San Pietro, vedendo in ciò l'esito della testimonianza data dai cristiani che hanno pregato assieme. Tuttavia ciò significa che i Buddisti, così come anche le religioni asiatiche non hanno rispettato i luoghi a loro affidati, ma sono andati tutti assieme in una chiesa. Ciò, soprattutto mediante i mass media – presenti in modo massiccio ad Assisi essendoci 800 giornalisti accreditati, contro i 500 del Concilio Vaticano II – ha avuto una grande risonanza e ha dato adito ad una visione sincretista del tutto, sia come accusa da parte dei tradizionalisti, che con soddisfazione da parte di altri.

[30] M. Zago, Day of Prayer for Peace. Assisi, 27 October 1986, 66.

[31] A. Scola, Essere insieme per pregare per la pace, 4. Tali concetti lo stesso Autore li ha ripresi ad Assisi nel 1996 durante il Convegno di studio nel decennale dello "spirito di Assisi": cfr. A. Scola, I principi del dialogo interreligioso nella teologia cattolica, in Le confessioni cristiane di fronte alla sfida del dialogo interreligioso. Atti del convegno nel decennale della Giornata mondiale di preghiera per la pace del 27 ottobre 1986(Assisi, 18-19 ottobre 1996), in Convivium Assisiense 5/ Supplemento (1997), 109-134.

[32] J. Ratzinger, Lo splendore della pace di Francesco, in 30Giorni nella Chiesa e nel mondo, 20/1 (2002), 14.

[33] D. Racca, Il dialogo interreligioso nel magistero dopo il concilio Vaticano II, in Rassegna di teologia 43 (2002), 537.

AMDG et DVM

VON BALTHASAR

VON BALTHASAR/ La chiamata di Dio? Un meraviglioso “sequestro di persona”…

Più di venticinque anni fa moriva Hans Urs von Balthasar (1905-1988), tra i massimi teologi del XX secolo. Innovò la teologia nel rispetto della tradizione. Lo ricorda l’allievo MASSIMO SERRETTI

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Hans Urs von Balthasar (Immagine d'archivio)

Tutta l’esistenza di un uomo che non fugge dalla chiamata di Dio e, ad un certo momento, nella sua libertà accompagnata e sostenuta dalla Grazia, acconsente e risponde ad essa, tutta quella esistenza è segnata, orientata e definita dalla vocazione e si precisa come risposta. Così, nell’estate del 1927, quando il promettente dottorando Hans Urs von Balthasar, partecipa ad un corso di esercizi spirituali, non lontano da Basilea (Whylen), nello Schwarzwald, avverte distintamente la chiamata che deciderà della sua persona, dei suoi talenti e della sua intera vita. 

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Così egli stesso la descrive: «Ancora oggi, dopo trent’anni, potrei ritrovare in uno sperduto sentiero della Foresta Nera, non lontano da Basilea, l’albero sotto il quale fui colpito come da un lampo improvviso … Ma non furono né la teologia né il sacerdozio quel che allora balenò davanti ai miei occhi. Era unicamente: “Tu sei chiamato, tu non servirai, c’è chi si servirà di te; tu non devi far progetti, non sei che una piccola tessera in un mosaico già da tempo preparato”. Io dovevo solo “abbandonare tutto e seguire”, senza fare piani, senza desideri né riflessioni; dovevo solo stare in attesa e osservare per che cosa sarei stato utilizzato» (testo originale integrale: Por qué me hice sacerdote, Salamanca 1959).

L’ingresso nella Compagnia di Gesù e quindi la formazione ignaziana determinarono il quadro della risposta a quel “sequestro di persona” che fu la sua chiamata. Quel che balza all’occhio di chi si appresta a conoscere la sua biografia (cfr. Elio Guerriero, Hans Urs von Balthasar, Milano 1991) e la sua bibliografia è la mole della sua produzione letteraria: più di cento sono i volumi e un migliaio i titoli delle sue pubblicazioni. Pochi autori nella storia dell’umanità vantano una fecondità letteraria così estesa. Ma a chi gli chiedeva delucidazioni riguardo alla sua produzione teologica e filosofica egli rispondeva che un sacerdote, quando scrive, è solo perché non ha niente di meglio da fare. E quando iniziarono a uscire i primi volumi (il primo è del 1961) della sua grande trilogia (EsteticaDrammatica e Logica, cui seguì Epilogo, 1987, un anno prima della sua dipartita) e qualcuno gli chiedeva se pensava di riuscire a condurre a termine un’opera così monumentale, egli rispondeva che la sua più grande preoccupazione non era quella di completare la sua opera, quanto quella di conchiudere l’edizione dell’opera di Adrienne von Speyr da lui curata. L’autoironia che traspare dalla prima risposta e il disinteresse, nel senso della gratuità che bada all’altro più che a sé, che si rivela nella seconda, manifestano lo spirito col quale il p. Balthasar svolgeva il suo lavoro come uno che è «preso a servizio». 

Papa Benedetto, legato a lui da «sincera amicizia», come egli stesso ebbe a testimoniare, lo ricordava «come un uomo di fede, un sacerdote che nell’obbedienza e nel nascondimento non ha mai ricercato l’affermazione personale, ma in pieno spirito ignaziano ha sempre desiderato la maggior gloria di Dio» (Messaggio del 6 ottobre 2005). È in virtù di questo legame amicale operativo, nella collaborazione a imprese comuni come la rivista internazionale “Communio”, che il beato Giovanni Paolo II incaricò l’allora cardinal Ratzinger di presiedere alle esequie di von Balthasar il primo luglio del 1988 nella Cattedrale di Lucerna. Ed è sufficiente leggere il testo dell’omelia funebre, per intendere la qualità della conoscenza reciproca e del legame che li univa. Entrambi splendono nel firmamento del Novecento cattolico come due stelle di prima grandezza, nella diversità delle sensibilità intellettuali e delle vocazioni ecclesiali.

Nella conferenza pubblica tenuta dal p. Balthasar, poche settimane prima della sua morte, a Madrid (10 maggio 1988) egli riassume in cinque pagine (in a nutschell com’egli stesso afferma) la sua opera e presenta il mistero dell’Incarnazione e quello della SS. Trinità come i due contenuti della Rivelazione irriducibili ad una ragione che intenda rimanere nei limiti di se stessa. In questa stessa occasione egli preconizza una specie di fine del pensiero filosofico, in quanto naturalmente aperto al Mistero, proprio a partire dal rifiuto previo del Mistero stesso. Dall’altra sponda già Friedrich Nietzsche aveva messo in guardia dal fatto che la conoscenza e la verità erano le ultime trappole tese dal cristianesimo ed aveva conseguentemente richiamato alla necessità di sorpassarle qualora si fosse voluto sorpassare, cioè far fuori il cristianesimo stesso.

Se, a venticinque anni dalla morte di Hans Urs von Balthasar, ci interroghiamo oggi sulla vitalità e sul futuro della sua opera, non possiamo non tornare a riprendere l’interrogativo che egli stesso si pose nella premessa del suo ultimo libro (Epilogo, Milano 1994). In ordine compositivo si tratta dell’ultima pagina del libro. L’introduzione infatti si scrive sempre per ultima. «Se da queste ultime mie parole scritte si possa trarre qualcosa di utile alla moderna didattica e catechetica per l’umanità che oggi incontriamo, ho molti dubbi. Bisogna prendere l’uomo là dove sta, si va dicendo. “In America un ragazzo di sedici anni ha passato in media quindicimila ore, dunque quasi due anni interi, davanti alla televisione». … Un missionario della giungla ha un compito relativamente facile: si trova davanti un’anima naturaliter christiana, per quanto primitiva. (…) Ma qual è l’aggancio con un’anima technica vacua? Io non lo so. … Questo volumetto [epilogo dell’intera opera] non intende essere di più che una bottiglia gettata nell’acqua del mare, sarebbe un miracolo se toccasse terra da qualche parte e trovasse qualcuno. Ma queste cose a volte succedono» (96).

AMDG et DVM

La vera pietà è utile a tutto

 IL SENTIMENTO DELLA PIETA''.

COME LE CREATURE PRIVE Dl RAGIONE

SEMBRAVANO AFFEZIONARSI A LUI



1134 1. La vera pietà, che, come dice l'Apostolo, è utile a tutto aveva riempito il cuore di

Francesco, compenetrandolo così intimamente da sembrare che dominasse totalmente la

personalità di quell'uomo di Dio.

La pietà lo elevava a Dio per mezzo della devozione, lo trasformava in Cristo per

mezzo della compassione, lo faceva ripiegare verso il prossimo per mezzo della

condiscendenza e, riconciliandolo con tutte le creature, lo riportava allo stato di innocenza

primitiva.

Per essa sentiva grandissima attrazione verso le creature, ma in modo particolare

verso le anime, redente dal sangue prezioso di Cristo Gesù; e, quando le vedeva inquinate

dalle brutture del peccato, le compiangeva con una commiserazione così tenera che ogni

giorno, le partoriva, come una madre, in Cristo.


1135 E la ragione principale per cui venerava i ministri della parola di Dio era questa: che essi

fanno rivivere la discendenza del loro fratello morto, cioè fanno rivivere il figlio di Cristo, che è

stato crocifisso per i peccatori, quando li convertono, facendosi loro guida con pia

sollecitudine e con sollecita pietà.

Affermava che questo ufficio della pietà è più gradito di ogni sacrificio al Padre delle

misericordie, soprattutto se viene adempiuto con zelo dettato da carità perfetta, per cui ci si

affatica in esso più con l'esempio che con la parola, più con le lacrime della preghiera che con

la loquacità dei discorsi.


1136 2. E pertanto--diceva--è da compiangere, perché privo di pietà vera, sia il predicatore

che, nella sua predicazione, ricerca non la salvezza delle anime, ma la propria gloria; sia il

predicatore che con la malvagità della vita distrugge quanto ha edificato con la verità della

dottrina .

Diceva che a costoro è preferibile uno semplice e privo di lingua, ma capace di

spingere gli altri al bene col suo buon esempio.


1137 Aveva un suo modo di spiegare l'espressione biblica: Anche la sterile ha partorito molti

figli. “ La sterile, diceva, è il frate poverello, che non ha nella Chiesa l'ufficio di generare figli.

Costui, nel giorno del giudizio, partorirà molti figli, nel senso che in quel giorno il Giudice

ascriverà a sua gloria quelli che egli ora converte con le sue preghiere nascoste. Colei che ha

molti figli diventerà infeconda, nel senso che il predicatore vanitoso e loquace, il quale ora si

rallegra di avere molti figli, come se li avesse generato per propria virtù, allora conoscerà che,

in costoro, lui non ha niente di suo ”.


1138 3. Cercava la salvezza delle anime con pietà appassionata, con zelo e fervida gelosia e,

perciò, diceva che si sentiva riempire di profumi dolcissimi e, per così dire, cospargere di

unguento prezioso, quando veniva a sapere che i suoi frati sparsi per il mondo, col profumo

soave della loro santità, inducevano molti a tornare sulla retta via.

All'udire simili notizie, esultava nello spirito e ricolmava di invidiabilissime

benedizioni quei frati che, con la parola e con le opere, trascinavano i peccatori all'amore di

Cristo.


1139 Per la stessa ragione, quelli che violavano la santa Religione con opere malvagie,

incorrevano nella sua condanna e nella sua tremenda maledizione: “ Da te, o Signore

santissimo, e da tutta la celeste curia e da me pure, tuo piccolino, siano maledetti coloro che,

con il loro cattivo esempio, sconvolgono e distruggono quanto, per mezzo dei santi frati di

quest'Ordine, hai edificato e non cessi di edificare ”.

Spesso, pensando allo scandalo che veniva dato ai piccoli, provava una tristezza

immensa, al punto da ritenere che ne sarebbe morto di dolore, se la bontà divina non l'avesse

sorretto con il suo conforto.


1140 Una volta, turbato per i cattivi esempi, con grande ansietà di spirito, pregava per i suoi

figli il Padre misericordioso; ma si ebbe dal Signore questa risposta: “ Perché ti turbi, tu,

povero omuncolo? Forse che io ti ho costituito pastore della mia Religione, senza farti sapere

che il responsabile principale sono io? Ho scelto te, uomo semplice, proprio per questo:

perché le opere che io compirò siano attribuite non a capacità umane, ma alla grazia celeste.

Io ho chiamato, io conserverò e io pascerò e, al posto di quelli che si perdono, altri ne farò

crescere. E se non ne nasceranno, li farò nascere io; e per quanto gravi possono essere le

procelle da cui questa Religione poverella sarà sbattuta, essa, col mio sostegno sarà sempre

salva ”.


1141 4. Il vizio della detrazione, nemico radicale della pietà e della grazia, lo aveva in orrore

come il morso del serpente e come la più dannosa pestilenza. Affermava che Dio

pietosissimo l'ha in abominio, perché il detrattore si pasce col sangue delle anime, dopo

averle uccise con la spada della lingua.

Sentendo, una volta, un frate che denigrava un altro nella buona fama, si rivolse al suo

vicario e gli disse: “ Su, su, indaga ben bene e, se trovi che il frate accusato è innocente,

infliggi al frate accusatore un castigo durissimo, che lo faccia segnare a dito da tutti ”.

Qualche volta giudicava che si doveva spogliare dell'abito chi aveva spogliato il

proprio fratello della sua buona fama e non voleva che costui elevasse gli occhi a Dio, se

prima non aveva procurato con ogni mezzo di restituire quanto aveva sottratto.

“ La cattiveria dei detrattori--diceva--è tanto maggiore di quella dei ladri, quanto

maggiore è la forza con cui la legge di Cristo, che trova il suo compimento nell''' amore ci

obbliga a bramare la salvezza delle anime più di quella dei corpi ”.


1142 5. Si chinava, con meravigliosa tenerezza e compassione, verso chiunque fosse afflitto da

qualche sofferenza fisica e quando notava in qualcuno indigenza o necessità nella dolce pietà

del cuore, la considerava come una sofferenza di Cristo stesso.

Aveva innato il sentimento della clemenza, che, la pietà di Cristo, infusa dall'alto,

moltiplicava.

Sentiva sciogliersi il cuore alla presenza dei poveri e dei malati, e quando non poteva

offrire l'aiuto, offriva il suo affetto.

Un giorno, un frate rispose piuttosto duramente ad un povero, che chiedeva

l'elemosina in maniera importuna Udendo ciò, il pietoso amatore dei poveri comandò al frate

di prostrarsi nudo ai piedi del povero, di dichiararsi colpevole, di chiedergli in carità che

pregasse per lui e lo perdonasse.

Il frate così fece, e il Padre commentò con dolcezza: “ Fratello, quando vedi un povero,

ti vien messo davanti lo specchio del Signore e della sua Madre povera. Così pure negli

infermi, sappi vedere le infermità di cui Gesù si è rivestito ”.

In tutti i poveri, egli, a sua volta povero e cristianissimo, vedeva l'immagine di Cristo.

Perciò, quando li incontrava, dava loro generosamente tutto quanto avevano donato a lui,

fosse pure il necessario per vivere; anzi era convinto che doveva restituirlo a loro, come se

fosse loro proprietà .


1143 Una volta, mentre ritornava da Siena, incontrò un povero. Si dava il caso che Francesco,

a causa della malattia, avesse indosso sopra l'abito un mantello. Mirando con occhi

misericordiosi la miseria di quell'uomo, disse al compagno: “ Bisogna che restituiamo il

mantello a questo povero: perché è suo. Difatti noi lo abbiamo ricevuto in prestito, fino a

quando ci sarebbe capitato di trovare qualcuno più povero di noi ”.

Il compagno, però, considerando lo stato in cui il padre pietoso si trovava, oppose un

netto rifiuto: egli non aveva il diritto di dimenticare se stesso, per provvedere all'altro. Ma il

Santo: “ Ritengo che il Grande Elemosiniere mi accuserà di furto, se non darò quel che porto

indosso a chi è più bisognoso ”.


1144 Qualunque cosa gli dessero per alleviare le necessità del corpo, chiedeva sempre ai

donatori il permesso di poterla dar via lecitamente, se incontrava uno più bisognoso di lui.

Insomma non la perdonava proprio a nulla: mantelli, tonache, libri e perfino i

paramenti dell'altare, tutto elargiva agli indigenti, appena lo poteva, per adempiere ai

compiti della pietà.

Spesso, quando per la strada incontrava qualche povero con un carico sulle spalle,

glielo toglieva e lo portava sulle sue spalle vacillanti.


1145 6. Considerando che tutte le cose hanno un'origine comune, si sentiva ricolmo di pietà

ancora maggiore e chiamava le creature per quanto piccole col nome di fratello o sorella:

sapeva bene che tutte provenivano, come lui, da un unico Principio.

Tuttavia abbracciava con maggior effusione e dolcezza quelle che portano in sé una

somiglianza naturale con la pietosa mansuetudine di Cristo o che la raffigurano secondo il

significato loro attribuito dalla Scrittura.

Spesso riscattò gli agnelli che venivano condotti al macello, in memoria di

quell'Agnello mitissimo, che volle essere condotto alla morte per redimere i peccatori.


1146 Una notte, mentre il servo di Dio era ospite presso il monastero di San Verecondo, nella

diocesi di Gubbio, una pecorella partorì un agnellino. C'era là una scrofa ferocissima, che, con

un morso rabbioso, uccise la creaturina innocente.

Udito il fatto, il padre pietoso fu preso da profondissima compassione e, pensando

all'Agnello senza macchia, si lamentava davanti a tutti per la morte dell'agnellino.

“ Ohimè, fratello agnellino, -- diceva -- animale innocente, che rappresenti Cristo agli

uomini, maledetta sia quell'empia che ti ha ucciso. E nessuno, uomo o bestia, possa mangiare

la sua carne! ”.

Cosa meravigliosa: la porca malefica immediatamente si ammalò e, dopo avere

scontato con tre giorni di sofferenza la sua colpa, subì finalmente l'esecuzione vendicatrice .

Fu gettata nel fossato del monastero e là rimase per molto tempo, divenendo secca

come un'asse. Nessun animale, per quanto affamato, si cibò della sua carne. Riflettano, a

questo punto, le persone crudeli: con quali pene esse saranno colpite alla fine, se è stata

colpita con una morte così orrenda la ferocia di una bestia? I fedeli devoti, a loro volta,

sappiano valutare quanto potente e ammirevole, quanto dolce e generosa fosse la pietà del

servo di Dio, se anche i bruti, a loro modo, le rendevano omaggio.


1147 7. Un giorno, trovandosi in cammino nei pressi di Siena, incontrò un grande gregge di

pecore al pascolo. Secondo il suo solito, le salutò benevolmente, e quelle, smettendo di

brucare, corsero tutte insieme da lui, sollevando il muso e fissandolo con gli occhi alzati. Gli

fecero tanta festa che i frati e i pastori ne rimasero stupefatti, vedendo gli agnelli e perfino gli

arieti saltellargli intorno in modo così meraviglioso.


1148 In un'altra circostanza, a Santa Maria della Porziuncola, portarono in dono all'uomo di

Dio, una pecora, che egli accettò con gratitudine, perché amava l'innocenza e la semplicità

che, per sua natura, la pecora dimostra. L'uomo di Dio ammoniva la pecorella a lodare Dio e

a non infastidire assolutamente i {rati. La pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell'uomo

di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti con grande cura. Quando sentiva i frati

cantare in coro, entrava anche lei in chiesa e, senza bisogno di maestro, piegava le ginocchia,

emettendo teneri belati davanti all'altare della Vergine, Madre dell'Agnello, come se fosse

impaziente di salutarla.

Durante la celebrazione della Messa, al momento delI'elevazione, si curvava con le

ginocchia piegate, quasi volesse, quell'animale devoto, rimproverare agli uomini poco devoti

la loro irriverenza e volesse incitare i devoti alla reverenza verso il Sacramento.


1149 Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla

sua devozione a Cristo, amatissimo agnello. Nel partire, lo affidò a una nobile matrona,

madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua. E l'agnello, quasi

ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito, non si staccava mai dalla compagnia della

signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne ritornava.

Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, I'agnello saltava su e la colpiva con i suoi

cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi alla chiesa.

Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell'agnello, discepolo di Francesco e

ormai diventato maestro di devozione.


1150 8. Un'altra volta, a Greccio, offrirono all'uomo di Dio un leprotto vivo. Fu lasciato libero,

in terra, perché scappasse dove voleva. Ma quello, sentendosi chiamare dal padre buono, gli

corse vicino e gli saltò in grembo. Il Santo, colmandolo di carezze, lo compassionava, come

una madre mostrandogli il suo affetto e la sua pietà.

Finalmente lo ammonì con dolcezza a non lasciarsi prendere un'altra volta e gli diede

il permesso di andarsene liberamente. Ma, benché lo avesse messo più volte in terra, perché

partisse, il leprotto ritornava sempre in grembo al Padre, come se con un senso nascosto

percepisse la pietà del suo cuore.

Alla fine, il Padre lo fece portare in un luogo solitario e sicuro.


1151 Un fatto simile avvenne nell'isola del lago di Perugia. Era stato catturato e donato

all'uomo di Dio un coniglio. Mentre era fuggito da tutti gli altri, il coniglio si affidò con

familiarità e sicurezza nelle mani del Santo e andò a posarsi sul suo grembo.

1152 Mentre faceva la traversata del lago di Rieti, per raggiungere l'eremo di Greccio, un

pescatore, per devozione, gli offrì un uccello acquatico. Egli lo prese volentieri e tenendolo

sulle mani spalancate, lo invitò a partire. Ma, siccome l'uccello non voleva andarsene, il

Santo, levando gli occhi al cielo, si immerse in una lunga preghiera.

Dopo molto tempo, ritornando in se stesso, come da un altro mondo, ripetutamente

con dolcezza comandò all'uccelletto che se ne andasse, a lode di Dio. E quello, allora, ricevuto

il permesso e la benedizione, esprimendo con i movimenti del corpo la sua gioia, volò via.


1153 Sempre mentre attraversava quel lago, gli fu offerto un grosso pesce, ancora vivo:

chiamandolo, secondo la sua abitudine, col nome di fratello, lo rimise in acqua, accanto alla

barca. Ma il pesce si mise a giocare nell'acqua, davanti all'uomo di Dio, e, quasi adescato dal

suo amore, per nessuna ragione si allontanò dalla barca, prima di averne ricevuto il permesso

e la benedizione.


1154 9. In un'altra circostanza, mentre attraversava con un altro frate le paludi di Venezia,

trovò una grandissima moltitudine di uccelli, che se ne stavano sui rami a cantare.

Come li vide, disse al compagno: “ I fratelli uccelli stanno lodando il loro Creatore;

perciò andiamo in mezzo a loro a recitare insieme le lodi del Signore e le ore canoniche”.

Andarono in mezzo a loro e gli uccelli non si mossero. Poi, siccome per il gran garrire,

non potevano sentirsi l'un l'altro nel recitare le ore, il Santo si rivolse agli uccelli e disse: “

Fratelli uccelli, smettete di cantare, fino a quando avremo finito di recitare le lodi prescritte ”.

Quelli tacquero immediatamente e se ne stettero zitti, fin al momento in cui, recitate a

bell'agio le ore e terminate debitamente le lodi, il Santo diede la licenza di cantare.

Appena l'uomo di Dio ebbe accordato il permesso, ripresero a cantare, secondo il loro

costume.


1155 A Santa Maria della Porziuncola, c'era una cicala, sopra un fico, vicino alla cella

dell'uomo di Dio, e continuava a cantare, e lo stimolava col suo canto a lodare il Signore,

giacché egli aveva imparato ad ammirare la magnificenza del Creatore anche nelle piccole

cose. Un giorno il servo del Signore chiamò la cicala che, quasi istruita dal cielo, volò sopra la

sua mano, e le disse: “ Canta, sorella mia cicala, e loda col tuo giubilo Iddio creatore ”.

Essa, obbedendo senza indugio, incominciò a cantare e non smise, finché, per ordine

del Padre, volò di nuovo al suo posto.

Rimase là per otto giorni, e ogni giorno, obbedendo ai suoi ordini, andava da lui,

cantava e ripartiva.

Alla fine l'uomo di Dio disse ai compagni: “ Licenziamo ormai la nostra sorella cicala,

perché, in questi otto giorni, ci ha stimolato abbastanza a lodare Dio e ci ha rallegrato

abbastanza con il suo canto ”.

E subito, avuto da lui il permesso, la cicala si ritirò e non comparve più in quel luogo,

come se non osasse assolutamente trasgredire l'ordine ricevuto.

1156 10. Quando era a Siena, ammalato, un nobiluomo gli fece portare un fagiano vivo, che

aveva preso allora.

Appena ebbe visto e udito l'uomo santo, il fagiano si sentì legato a lui con amicizia

così profonda, che non riusciva in nessuna maniera a vivere da lui separato. Lo portarono

ripetutamente nella vigna, fuori del luoghicciolo dei frati, perché se ne andasse a suo

piacimento; ma sempre, con rapido volo tornava dal Padre, come se da sempre fosse stato

allevato da lui personalmente.

In seguito, lo regalarono ad un uomo che aveva l'abitudine di visitare per devozione il

servo di Dio. Ma il fagiano, addolorato per la lontananza dal padre pietoso, si rifiutava

assolutamente di mangiare. Dovettero, perciò, riportarlo dal servo di Dio: appena lo scorse, il

fagiano, esibendosi in manifestazioni di allegria, si mise subito a mangiare avidamente.


1157 Quando il padre pietoso arrivò all'eremo della Verna, per celebrarvi la quaresima in

onore dell'arcangelo Michele, uccelli di varia specie incominciarono a tesser voli intorno alla

sua celluzza, con sonori concenti e gesti di letizia, quasi volessero mostrare la loro gioia per il

suo arrivo e invitarlo e lusingarlo a rimanere.

A questo spettacolo, il Santo disse al compagno: “ Vedo, fratello, che è volere di Dio

che noi ci tratteniamo un po' di tempo qui: tanto i nostri fratelli uccelletti sono contenti per la

nostra presenza ”.


1158 Durante il suo soggiorno lassù, un falco, che proprio lì aveva il suo nido, gli si legò con

patto di intensa amicizia Durante la notte, anticipava sempre col suono del suo canto, l'ora in

cui il Santo aveva l'abitudine di alzarsi per l'ufficio divino.

Ciò riusciva assai gradito al servo di Dio, perché quel gran darsi da fare del falco là

intorno, scacciava da lui ogni torpore ed ogni pigrizia.

Quando, però, il servo di Cristo sentiva più del solito il peso della malattia, il falcone

lo risparmiava e non suonava la sveglia così a puntino: quasi ammaestrato da Dio, faceva

squillare la campanella della sua voce solo sul far dell'alba.

Sembra proprio che l'esultanza esibita dagli uccelli di così varia specie e il canto del

falcone fossero un presagio divino. Difatti proprio in quel luogo e in quel tempo il cantore e

adoratore di Dio, librandosi sulle ali della contemplazione, avrebbe raggiunto le altezze

supreme della contemplazione per l'apparizione del Serafino.


1159 11. Gli abitanti di Greccio, quando egli dimorava in quell'eremo, venivano vessati da

molteplici malanni: branchi di lupi rapaci divoravano non soltanto gli animali, ma anche

delle persone; la grandine regolarmente ogni anno devastava campi e vigne.

A quella gente così sfortunata l'araldo del santo Vangelo disse, perciò, durante una

predica: “ A onore lode di Dio onnipotente, mi faccio garante davanti a voi che tutti questi

flagelli scompariranno, se mi presterete fede e se avrete compassione di voi stessi, cioè se,

dopo una confessione sincera, vi metterete a fare degni frutti di penitenza ”. “ Però vi predíco

anche questo: se sarete ingrati verso i benefici di Dio e ritornerete al vomito, il flagello si

rinnoverà, si raddoppierà la pena e infierirà su di voi un'ira più terribile ”.

Alla sua esortazione, gli abitanti fecero penitenza--e da allora cessarono le stragi, si

dispersero i pericoli, lupi e grandine non fecero più danni. Anzi, fatto ancor più notevole, se

capitava che la grandine cadesse sui campi confinanti, come si avvicinava al loro territorio là

si arrestava oppure deviava in altra direzione. Osservò la grandine, osservarono i lupi la

convenzione fatta col servo di Dio né più osarono violare le leggi della pietà, infierendo

contro uomini che alla pietà si erano convertiti, ma solo fino a quando costoro restarono

fedeli ai patti promessi e non trasgredirono, da empi, le piissime leggi di Dio.


1160 Dobbiamo, dunque, considerare con pio affetto la pietà di quest'uomo beato, che fu così

meravigliosamente soave e potente da domare gli animali feroci, addomesticare quelli

selvatici, ammaestrare quelli mansueti, indurre all'obbedienza i bruti, divenuti ribelli

all'uomo dal tempo della prima caduta.

Questa è veramente la pietà che, stringendo in un solo patto d'amore tutte le creature,

è utile a tutto, avendo la promessa della vita presente e della futura.


AMDG et DVM

sabato 23 ottobre 2021

LA VERITA' E' IN CAMMINO

 Don Luigi Borello, cuneese, morì a Varazze, a 77 anni, nel suo laboratorio della colonia elioterapica, il  22 febbraio 2001

Pagine  inedite di storia di un prete scienziato

con "giallo"  e cortina di silenzio alla sua morte

A poche ore dal decesso lo studio del sacerdote fu "sigillato" e l'intera documentazione "secretata".  Era tra i consulenti della N.A.S.A. Nel 1995 l' annuncio alla comunità scientifica della conclusione dei suoi studi relativi alla "cronovisione"

Savona - Trucioli Savonesi ospita un interessante documento storico scritto da un illustre studioso locale, Gianni Gigliotti, che nel suo blog ha realizzato un servizio-scoop sulla figura di don Luigi Borello. Un'eccezionale ricostruzione, ricca di dati, citazioni, testimonianze, con il pregio della chiarezza.

Don Borello aveva avuto i natali a Pezzolo Valle Uzzone (Cuneo) il 25 dicembre 1924. Ordinato sacerdote il 27 luglio 1950.  Quattro anni dopo decise di lasciare Alba e trasferirsi a Varazze. Era apprezzato per il suo particolare impegno pastorale, ma soprapputto professore di fisica e membro emerito  di Accademie scientifiche internazionali.Tra i promotori della Fondazione  Cesare Colangeli e a riconoscimento di un impegno di oltre 40 anni di studi approfonditi era stato chiamato tra i consulenti della N.A.S.A (massimo ente spaziale statunitense costituito nel 1958).

 Nel 1964 don Borello fu designato direttore della Colonia albese elioterapica di Varazze e qui ha creato il suo straordinario laboratorio. E da Varazze, il 6 luglio 1995, diede l'annuncio della conclusione degli studi relativi alla "cronovisione". La notizia fece il giro dei media in tutto il mondo. Fu lo stesso don Borello a coniare la parola-scoperta "cronovisione". Ovvero la possibilità, con adeguata strumentazione, di poter vedere ed ascoltare ciò che le particelle di materia inanimate hanno immagazzinnato, memorizzato, cosi come succede per i neuroni del nostro cervello. Di fatto, dalla formazione della materia, all'origine della vita, alla base fisica del pensiero. 

Perchè, subito dopo la morte, è calata una cortina impenetrabile di silenzio sull'operato del prete-scienziato? Chi ha imposto il "top secret" e "sigillato" documenti, laboratorio, materiale, il frutto di una vita di studi e ricerche?  Chi ha interesse e per quale ragione, a coprire con una pietra tombale la figura, l'opera di don Luigi Borello?  Per quale fine (inconfessabile)?

 

                                                                            A cura di Gianni Gigliotti