Estratto dal testo di Jean-pierre Renouard, CM,
San Vincenzo de Paoli., Maestro di sapienza,
Iniziazione allo spirito vincenziano –
Edizioni Vincenziane 2012
VIVERE CON IMPEGNO
La donazione fatta a Dio è radicale. Mai Vincenzo è tornato indietro. Egli ha espressioni
invariabili circa l'offerta di sé e la perseveranza. "Diamoci risolutamente a Dio per essergli
fedeli tutta la nostra vita".1 Questo dono ha motivazioni elevate: la venuta del Regno nei nostri
cuori, l'annuncio del Vangelo, il servizio dei poveri, la fedeltà alla vocazione e la gioia di
appartenere al Cristo. Perseverare significa resistere fino alla fine impiegando i mezzi adeguati,
vale a dire i sacramenti ed una vita interiore nutrita dalla vita di preghiera. Non esiste
perfezione senza la perseveranza che conduce alla gloria finale. Quando Vincenzo esorta le
Dame della Carità a vivere questa attitudine, egli ha in mente tutto il bene di cui esse sono
promotrici e che andrebbe invece perduto in caso di abbandono da parte loro. Occorre tenere i
manici dell'aratro fino alla fine. Vale sia per i laici che per i consacrati.
Votarsi
Abbiamo già accennato alla forza della donazione di Vincenzo quando decide di consacrare
tutta la sua vita ai poveri. Certo, è il suo primo biografo che ci parla di quel momento. E
qualche volta si potrebbe ben dubitare di quanto scrive, poiché Abelly tende a sottolineare i lati
positivi di Vincenzo allo scopo di affrettare la sua beatificazione. Ma perché dubitare?
Crediamo a quanto ci dice chi lo ha conosciuto da vicino: alla fine di un periodo di tentazione
durato tre o quattro anni (è molto!), guidato dalla grazia, Vincenzo se ne libera prendendo la
decisione "irrevocabile e inviolabile di consacrare tutta la sua vita, per amore di Gesù Cristo,
al servizio dei poveri". Fatta questa scelta, cessano le tentazioni, egli ritrova la sua libertà
interiore e la sua anima si riempie di luce. Vorremmo saperne di più, ma pensiamo che da
questo punto abbia inizio il percorso decisivo della sua vita.
Si è scritto che il cambiamento è stato radicale.2 Se alcuni parlano di "conversione", io la
collocherei in questo preciso istante, lo ripeto, perché credo che egli abbia fatto le sue scelte
definitive nel 1611 quando è diventato curato di Clichy. È evidente che egli ha cercato il giusto
terreno per essere vicino ai più poveri del suo tempo. Per un po' ha avuto dei tentennamenti, ma
poi ha trovato i giusti riferimenti grazie agli avvenimenti di Folleville e Chàtillon rivelatori
della sua autentica missione. Vincenzo si è reso conto allora che la sua via era il servizio e la
missione. Gli restava da individuare le modalità concrete. Tutto fa pensare che lui stesso abbia
sperimentato la forza del dono totale, che chiederà in seguito anche ai suoi confratelli, con i
voti.
Ora, lo ritroviamo, dal 1627 o 1628, a fare i suoi voti. E così pure li pronunciano i suoi
Missionari. È lui stesso che segnala questo fatto e ne fornisce le motivazioni: "è piaciuto a Dio
di concedere alla Compagnia, fin dagli inizi, il desiderio di mettersi nello stato più perfetto,
senza entrare nello stato religioso; e proprio a questo scopo noi abbiamo fatto dei voti, per
unirci più intimamente a Nostro Signore e alla sua Chiesa; e il Superiore della Compagnia ai
suoi membri, ed i membri al loro superiore; e ciò fu a partire dal secondo o terzo anno".3 Si
noti il "noi". La storia dei voti nella Congregazione della Missione sarà lunga, ma è eloquente
ciò a cui mirano: perseverare per servire!
Per i Missionari e le Figlie della Carità, il dono è totale; per Vincenzo e i suoi confratelli vi è la
volontà di vivere poveri, casti, obbedienti per meglio donarsi ai poveri. È questa la finalità
ultima: non appartenere più a se stessi, ma donarsi completamente a Dio e al servizio delle sue
membra sofferenti. Ecco un punto fermo sul quale egli tornerà spesso: piacere così a Dio,
donarsi a lui, ed accentuare la fedeltà alla ricerca della perfezione.
Che spiritualità ne risulta! I tre voti di castità, povertà, obbedienza, favoriscono il dono di sé, lo
alimentano, lo stimolano e in qualche modo lo rendono più saldo. Per vivere il dono, bisogna
abbandonare tutto, non possedere niente, non lasciarsi possedere da niente, avere Dio come
eredità, rifiutare di fare la propria volontà per lasciare il primo posto a quella di Dio.
Da un punto di vista più evangelico, si può dire che i voti appaiono come un mezzo più forte per
partecipare allo Spirito di Gesù, che è amore, offerta, lode, "religione perfetta" verso il Padre e
Salvatore per gli uomini e il mondo. Il Missionario fa totale dono di sé a Dio e agli uomini per
liberare i suoi fratelli dalla schiavitù del piacere, della ricchezza e dell'orgoglio. Per essere un
liberatore efficace, egli apprende, tramite i voti, a rendere effettiva la propria liberazione.
Pertanto questi hanno una finalità missionaria. Ne sono la prova queste tre citazioni che
corrispondono alle tre promesse:
- Noi andiamo ovunque a predicare la castità ed a inculcarla al popolo. Quanto è dunque
importante che noi la possediamo grandemente! 4
- La vocazione dei missionari è uno stato di vita apostolica che consiste nel lasciar tutto come
gli apostoli, per seguire Gesù Cristo e diventare veri cristiani.
5
- Una volta impegnate risolutamente nella pratica di questa virtù, Figlie mie, sarete più
luminose del sole dei soli ... La virtù dell'obbedienza, apparendo in ciascuna di voi, farà dir
subito a chi vi vede che siete serve di Dio.
6
Un'unica finalità unisce questi voti, l'operare per la salvezza dei poveri da parte dei Missionari
ed il servizio corporale e spirituale da parte delle Suore. Ciascuno è un operaio di Dio e, a
questo titolo, è invitato a farsi il più possibile vicino a Gesù, Servo ed Evangelizzatore dei
poveri. E chi non vede che Gesù fu perfettamente casto, povero ed obbediente "fino alla morte
di Croce" (Fil 2, 8)?
Lo scopo della ricerca della perfezione è indicato da Vincenzo nella sua conferenza "sul fine
della Congregazione della Missione" del 6 dicembre 1658. Si tratta di rendersi graditi a Dio: "E
se al mattino siamo a sei gradi, nel pomeriggio dobbiamo giungere a sette, facendo le nostre
azioni il più perfettamente possibile"
7
. Tutto può esserci di aiuto: l'offerta mattutina, la
preghiera, gli atti d'amore compiuti come missionari e persone consacrate. Tutti e tutte devono
testimoniare ciò che sono nel loro intimo, al fine di aiutare i più svantaggiati e toccare i loro
cuori. Per riconciliare gli uomini con Dio, bisogna essere completamente suoi: "Quale
vantaggio avremo dall'aver compiuto meraviglie per gli altri se avremo lasciato
nell'abbandono la nostra anima?". Bella chiosa di Mt 16, 26! Questo oggi si chiama radicalismo evangelico. La persona consacrata sceglie liberamente di vivere una condizione dove
l'assoluto, la radicalità diventano la legge interiore della propria esistenza. Vincenzo afferma
ciò in maniera incisiva: il Cristo è l'unica aspirazione dei nostri cuori.
Donarsi
Certamente non tutti i membri della famiglia vincenziana sono chiamati a fare i voti. Il loro
impegno è piuttosto orientato al dono. Che cosa significa donarsi? L'espressione ritorna spesso
in san Vincenzo a sottolineare la volontà di vivere in stato di offerta, come essere "mangiati",
"divorati". Ci sono dei vincenziani che non si appartengono! Anche in questo campo rivedo dei
volti che testimoniano una vita completamente donata! Un vero e nobile attestato! Il Cristo è il
modello del dono. Egli è un dono perfetto e permanente. Alcune parole esprimono ciò che egli
fa per noi: Incarnazione, Redenzione, Eucaristia. Egli è ugualmente presenza, dono perpetuato
attraverso il suo Spirito Santo che abita in ogni cristiano dal momento del battesimo, come
sottolineava Vincenzo nel dicembre 1658:
La rugiada dello Spirito
“... è necessario rivestirsi dello Spirito di Gesù Cristo. O Salvatore, o fratelli, quant'è
importante rivestirsi dello Spirito di Gesù Cristo! Questo vuol dire che per perfezionarci e
soccorrere con frutto le popolazioni, per ben servire il clero, dobbiamo far di tutto per imitare
la perfezione di Gesù Cristo. Ma dire questo significa anche dire che da noi stessi non
possiamo nulla. Bisogna essere ricolmi e mossi dallo Spirito di Gesù Cristo. Per ben capire
ciò, bisogna sapere che il suo Spirito è diffuso in tutti i cristiani che vivono cristianamente. Le
loro azioni e le loro opere sono permeate dallo Spirito di Dio ed è grazie al suo Spirito che egli
ha suscitato la Compagnia, e voi lo vedete bene. Ed è secondo questo Spirito che essa deve
comportarsi. Essa di fatto ha amato sempre le massime cristiane e ha desiderato rivestirsi
dello Spirito del Vangelo, per vivere ed operare come Nostro Signore, affinché il suo Spirito
brilli in tutta la Compagnia ed in ciascun missionario, in tutte le sue opere in generale ed in
ognuna in particolare.” 8
È evidente che il vincenziano non esiste, se non si dona completamente a Dio! Questo dono può
assumere diverse forme che rappresentano il manifestarsi della grazia di Dio nei cuori. Si tratti
dei Gruppi di Volontariato Vincenziano, delle Conferenze, o dei membri dei vari rami della
Famiglia, tutti e tutte hanno deciso di seguire una regola, sia essa scritta o no, un documento
costitutivo, un cammino di vita. Desiderano servire e donarsi totalmente a Dio e alle persone
che hanno bisogno di aiuto. Il loro coinvolgimento non è semplicemente come quello di
membri di una organizzazione umanitaria, anche se ciò è rispettabile, ma li porta a vivere uno
spirito. Abbracciano una spiritualità e la vivono nel quotidiano.
Per esempio, i Gruppi di Volontariato Vincenziano sono fedeli a ritrovare le proprie radici nel
Vangelo durante le riunioni mensili di gruppo e seguono regolarmente il tema di riflessione
annuale. La Società di san Vincenzo de Paoli ha una commissione di spiritualità e trae
nutrimento in ogni incontro della Conferenza. Queste due principali organizzazioni di laici
hanno propri organi di stampa a supporto della vita e dell'azione associativa. Anche la gioventù
mariana vincenziana (GMV) o il MISEVI 9
vivono facendo genuino riferimento allo spirito e al
messaggio vincenziano. Il dono è costitutivo della loro vita.
E questo dono è anche reciprocità: non soltanto il vincenziano va verso i poveri, ma trova in
essi un premio in cambio, una perla preziosa: Dio viene verso di lui. Egli si dona interamente a
colui che serve. Da una offerta spesso materiale e qualche volta spirituale, il donatore riceve un
bene incommensurabile, Gesù Cristo stesso! È una verità del tutto evangelica che Cristo
s'identifica con il povero.
E questo scambio è duplice, in quanto si dice anche che i poveri ci evangelizzano, ci
trasmettono le loro qualità, le loro gioie, il loro vissuto spesso ricco e ricolmo di valori. E’
necessaria dunque una rilettura quando la loro vita incrocia la nostra e ci dà degli insegnamenti
che ci portano a migliorarci.
TESTIMONIARE INSIEME
La vita, l'apostolato o il servizio sono sempre i frutti migliori di un'azione comune. Il
vincenziano è fatto per una comunità, un gruppo, una conferenza. Le implicazioni sono
diverse, ma il fondamento è lo stesso: l'unione fa la forza! Senza di essa, il buon esito delle
opere è compromesso, ma al contrario, in virtù di essa, Dio e i poveri sono meglio serviti e
amati. È una logica confermata dall'esperienza dei santi e dei cristiani.
La vita in comunità
Vincenzo ha scommesso tutto sulla vita e l'apostolato in comunità. Sia nella sua Congregazione
che nella Compagnia delle Figlie della Carità, si deve vivere e lavorare insieme. Anche se ci
può essere, e a volte giustamente, qualche franco tiratore, non bisogna imitarlo. La loro
presenza per difetto postula il bene che la vita fraterna e la missione comunitaria procurano.
A partire dal momento della firma dell'atto costitutivo della Congregazione della Missione, il
17 aprile 1625, Vincenzo e i Gondi s'accordano perché non venga a mancare "qualche ecclesiastico di riconosciute dottrina, pietà e capacità... per dedicarsi completamente e unicamente
alla salvezza del povero popolo, andando di villaggio in villaggio".10 A questa fondazione
segue l'atto associativo dei primi Missionari: Vincenzo de Paoli, Francesco du Coudray,
Antonio Portail, Giovanni de la Salle.11 È pertanto chiaro che la comunità vincenziana esiste
fin dall'inizio per la Missione. E la storia lo prova. L’una infatti è mezzo necessario per l'altra.
La vita fraterna è inscindibile dall'attività missionaria. La presuppone e la sostiene. Senza di
essa, l'attività missionaria perde il suo significato e il suo vigore, vista la sua natura. Lo stesso si
può dire per le Figlie della Carità che prolungano in qualche modo l'intuizione di Chàtillon e si
richiamano, ampliandola, all'esperienza delle Confraternite della carità.
Vivere insieme, significa adottare deliberatamente i modi di essere di Dio. Egli è "trino" e
dentro di Lui vi è comunione, movimento, espansione, interscambio. Vincenzo vuole che i suoi
confratelli e consorelle vivano in stato trinitario, gli uni aperti agli altri, in comunione di intenti,
di servizio, di comprensione, di aiuto, vale a dire d'unione, di sostegno e di accettazione, anche
se ciò comporta sofferenza. La loro prima riflessione deve essere quella di pensare che vivendo
uniti, essi imitano Dio, vivono come Dio e con Lui. Inoltre, devono sempre ricordare che non
sono uniti per caso ma per scelta divina: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi"
12
.
Il Cristo è "la sorgente e il modello di ogni carità".13 È "la regola della Missione".14 E’ lo
scopo del servizio dei poveri. Tutto il significato spirituale della comunità si trova nella
persona di Cristo e del Cristo totale di cui i vincenziani consacrati sono elementi indispensabili.
Ecco perché è importante pregare insieme, celebrare le lodi divine in comunità e condividere il
tesoro spirituale, soprattutto quello che proviene dalla preghiera quotidiana, senza dimenticare
gli scambi sul Vangelo, la ripetizione dell'orazione e le revisioni di vita o di attività, sotto lo
sguardo di Cristo. Tutti sono riuniti in Gesù. Bisogna sempre ricordare il primo paragrafo del
primo capitolo delle Regole Comuni delle Suore: "Dio ha chiamato e riunito le Figlie della
Carità per onorare Nostro Signore Gesù Cristo".15
La vita in gruppo
Essa è evidentemente più flessibile della vita fraterna in comunità poiché riunisce dei laici che
hanno vocazione a vivere con altri sia in famiglia che nel mondo. Tuttavia è chiaro che si
manifesta un vivere ed un agire insieme che affonda le radici nella storia. Vincenzo organizza
la prima Carità facendo lavorare le prime dame impegnate a turno ed in maniera strutturata. La
loro associazione contiene in germe quella delle Figlie della Carità.
Queste donne della borghesia e della nobiltà si mettono insieme per organizzarsi; si danno una
struttura in base ai servizi che devono realizzare: priora o presidente, assistente, sottopriora o
vicepresidente, tesoriera. Siamo nel 1617 e Vincenzo annuncia nel regolamento della prima
confraternita: "Esse hanno deciso di riunirsi in un corpo che possa essere eretto in
confraternita... ".16
La loro scelta è semplice: esse hanno convenuto "di comune accordo" di assistere sia
spiritualmente che corporalmente le persone della loro città che soffrono. Duecento anni più
tardi Federico Ozanam e i suoi compagni creeranno la prima conferenza per dare vita ad una
vasta rete di solidarietà. Avviano insieme "la carità di prossimità".
In gruppo, in conferenza, fedeli a san Vincenzo, i laici si appoggiano gli uni agli altri, si
incoraggiano vicendevolmente, organizzano gli interventi, ne fanno una revisione, strutturano
e intensificano la propria azione. Anch'essi fanno l'esperienza dei benefìci prodotti da
un'azione concertata e piena di calore. Il Gruppo è veramente il luogo dell'identità e
dell'efficacia vincenziana. Ciascuno vi mette a disposizione i propri talenti e le proprie qualità
e beneficia di quelle degli altri.
La fraternità Vincenziana
Non è una parola vuota e riunisce, in vista della missione, uomini e donne diversi. Amarsi per
amare. Ci troviamo qui al centro del messaggio vincenziano sulla Comunità. Si deve vivere
tutto sul fondamento dell'amore. San Vincenzo desidera che i suoi figli si diano "testimonianze
di affetto".
Spiega:
Dobbiamo manifestare che veramente noi ci amiamo l'un l'altro di cuore. E ciò si ottiene
prevenendoci negli impegni, offrendoci cordialmente nel rendere servizi e nel fare piaceri. Per
esempio dire: "Come desidero dimostrarti che ti amo teneramente!"; e dopo averlo detto con
la bocca confermarlo con le azioni, servendo effettivamente ciascuno e facendosi veramente
tutto a tutti. Non basta avere la carità nel cuore e nelle parole; deve passare nelle opere. Solo
allora è perfetta e diventa feconda, perché genera l'amore nei cuori verso i quali si esercita.
Questa carità conquista tutti.
17
Come non sottolineale alcuni consigli trasmessi dalle Regole Comuni della Congregazione
della Missione e che sono altrettanto validi per tutti i vincenziani: fare agli altri il bene che
desideriamo per noi; non contraddire; trovare tutto buono in Cristo; sopportarsi reciprocamente
senza lamentarsi; piangere con coloro che piangono; gioire con coloro che gioiscono;
"prevenirsi nell'onore" reciprocamente; testimoniarsi affetto; rendersi servizio18
.
Che facciamo praticando questi gesti? Prendiamo il posto di Nostro Signore, il quale li attuò
per primo. Egli prese l'ultimo posto: prendiamolo anche noi. Venne ad attestare il suo amore
agli uomini e li prevenne con le sue benedizioni: preveniamo anche noi il prossimo con le
prove del nostro affetto, non importunamente, né indiscretamente, ma con i dovuti modi della
moderazione e della cortesia.19
È chiaro, ad esempio, che la denominazione di "Figlie della Carità", data dal popolo, è un
richiamo alla vita effettiva della carità fraterna. Questa identità della carità non può trarci in
inganno: esse non sono destinate solamente ad attendere al servizio dei poveri, ma a riversare
su di loro l'amore che vivono reciprocamente. La carità non va in una sola direzione. Essa
abbraccia la totalità della vita e della persona; siamo sollecitati a tenere tutto insieme: l'amore
di Dio, l'amore dei poveri e l'amore fraterno. Questi tre elementi formano l'essere vincenziano.
Secondo Vincenzo l'amore è a tre dimensioni: bisogna vivere con semplicità, umiltà e
dolcezza, tale è il programma di ciascun membro in vista di una vita fraterna equilibrata. Pare
anche che Vincenzo escogiti, per questo fine, come una sorta di codice comunitario,
suggerendo degli orientamenti ancora più precisi e funzionali. Quattro azioni appaiono
prioritarie:
1) Mettersi d'accordo: si tratta di avere una comune volontà d'intenti, una ricerca di rapporti
armoniosi tra i membri della Comunità. Ecco una sorta di filosofia di san Vincenzo. Si trova in
lui una concezione "personalistica" ante litteram. Tutta la sua vita è attenzione alle persone,
creazione di legami tra le persone. Egli vuole già una Chiesa-Fraternità dove lo stile dei
rapporti autentici esige una continua comprensione dell'altro, un'apertura alle sue idee e una
volontà di fare insieme a lui il cammino più lungo possibile.20
2) Sopportarsi: significa accettare i limiti dell'altro, affinché egli possa accettare i nostri. San
Vincenzo è preoccupato per questo modo di agire. Ciò diventa un'idea-forza nei suoi invii in
missione. Le sue scelte dicono chiaramente il suo realismo. Certamente, egli ha avuto
l'esperienza delle difficoltà della vita delle comunità o dei gruppi e sa bene che la pace non si
raggiunge senza sforzo e senza amore, al di là dei necessari scontri e dei ricorrenti conflitti.
Egli insiste sul verbo "portare" che è implicito nella parola "sopportare"; non si tratta qui di
tollerare la presenza di qualcuno, dell'altro, ma di vivere portando con lui i pesi della sua vita,
di amarlo com'è, di soffrire con lui o per lui, ma mai di lottare contro di lui. Sopportarsi implica,
lo sappiamo, "portare i pesi gli uni degli altri"21
come dice San Paolo.
3) Vivere la cordialità: "la manifestazione del cuore", come già detto. Vincenzo ci invita alla
religione del volto. Egli rifugge dall'avere gli occhi bassi, dalla fisionomia arcigna, o dalle virtù
di ghiaccio. Nel quadro del pittore Francois Simon, un fine sorriso illumina i suoi tratti e
caratterizza la sua affabilità. Il calore con cui parla, rivela la sua cordialità. In fondo, lo
avvertiamo attento a creare in ogni comunità o gruppo, un ambiente pieno di calore, una
intimità familiare, un focolare affettuoso dove ciascuno può riscaldarsi psicologicamente e
spiritualmente e può così raggiungere il proprio equilibrio.
4) Riconciliarsi: Vincenzo ci lascia, un giorno, una confessione importante: "Non potrei vivere
se pensassi di aver disgustato qualcuno senza essermi riconciliato con lui".22 Ecco lo strumento per eccellenza, potremmo dire la protezione, di una vita fraterna. Perdonare significa
amare due volte, significa credere che la forza dell'amore è più forte di ogni barriera
psicologica.
Il perdono è parte intrinseca della vita cristiana, a più forte ragione della vita fraterna. È bene
ascoltare il maestro spirituale quando dice alle sue Suore: "Una delle cose che maggiormente vi
raccomando è la riconciliazione, perché è il vostro Istituto e lo spirito particolare delle Figlie
della Carità, le quali devono amarsi come le figlie di un medesimo padre".23
Preghiamo
O Salvatore delle anime nostre, che per amore hai voluto morire per gli uomini e hai lasciato
in qualche modo la tua gloria per darla a noi e farci, con questo mezzo, come dei, rendendoci
per quanto è possibile simili a Te, stampa nei nostri cuori la carità, affinché un giorno possiamo raggiungere quella bella Compagnia della Carità che è in cielo. Questa la preghiera
che ti faccio, o Salvatore delle anime nostre.
24
Nella Chiesa
Per i credenti, riuniti in comunità o in fraternità, c'è la Chiesa; essa è l'ambiente naturale in cui
si muove san Vincenzo. Egli è sensibile alla Chiesa popolo di Dio ed in particolare popolo dei
piccoli. Rispettoso della Chiesa gerarchica, ritiene che la vita all'interno di essa non possa
prescindere dal Papa e dai Vescovi. Nominato nel Consiglio di Coscienza, si impegna
soprattutto per la designazione di vescovi attenti all'evangelizzazione dei poveri. Questi ultimi
sono i prediletti di Dio e sono chiamati a diventare i prediletti della Chiesa.
Oggi come ieri, la Chiesa diviene la prima responsabile dell'evangelizzazione: tutti i suoi
membri, chierici, laici, consacrati, religiose e religiosi, sono degli "operai evangelici" che
lavorano insieme per il bene comune. Poiché essa continua l'opera di Cristo, è innanzi tutto
missionaria. Non vi è missione che non sia condivisa. Ogni missione è un'impresa comune che
impegna tutti. Secondo la concezione vincenziana, i laici vi hanno uno spazio speciale. E non
vi è missione che non sia universale, vale a dire che abbraccia tutto il mondo. Fin dalle origini
alcuni nomi ci richiamano questa scelta di universalità: Irlanda, Polonia, Algeria, Barberia,
Madagascar. Siamo aperti al mondo, ai più lontani come ai più vicini.
In questa Chiesa comunione e missionaria, veglia su di noi una stella, la Vergine Maria, alla
quale Vincenzo si rivolge con amore e venerazione. A partire dal 23 agosto 1617, al momento
della costituzione della Confraternita di Chàtillon-les-Dombes, egli invoca Maria quale
protettrice della sua prima fondazione per i laici:
E per questo, essendo la Madre di Dio invocata e considerata la protettrice degli eventi
importanti, non è possibile che questi non abbiano buon esito e non risplendano alla gloria del
buon Gesù, suo Figlio; infatti le suddette Dame la presero come patrona e protettrice della
loro opera e la supplicarono molto umilmente di averne particolare cura..25
Egli stabilisce pure l'Immacolata quale patrona delle Figlie della Carità. Raccomanda ai suoi
Missionari, nel capitolo decimo delle Regole Comuni, una devozione particolare alla Santa
Vergine. La presenta come "la serva", colei che ama Cristo. Ella è stata intimamente legata a
Lui in virtù della sua divina maternità. È stata fedele nel raccogliere le sue parole e Vincenzo
esorta le Figlie della Carità ad imitarla. È colei che ha saputo dire di sì a Dio. È colei che ha
sempre cercato di sottomettersi "al buon volere di Dio" anche nelle situazioni più drammatiche.
Nel progetto divino, ella si colloca con anima di povera. È, per eccellenza la Vergine "modesta"
e "silenziosa", serva del disegno d'amore di Dio. Può essere proposta alle Figlie della Carità
come la prima serva dei poveri. È soprattutto la Vergine umile, in armonia perfetta con le scelte
di Gesù; partecipa al suo spirito, che è amore del Padre, stima, venerazione, umiltà. Ella sola ci
può ottenere di vivere nella verità del nostro essere e della nostra vocazione.
Vincenzo è sensibile ai tre misteri di Maria. Infatti egli vede nell'Immacolata Concezione,
nell'Annunciazione, nella Visitazione, tre realtà della vita della Vergine che si collegano alla
vita vincenziana. Si tratta di eventi che, da soli, segnano tutta la vita e il cammino spirituale.
Questi tre misteri affiorano costantemente nel suo pensiero: sono i punti d'appoggio, la lettera e
lo spirito dei tre percorsi fondamentali che caratterizzano la sua sequela di Cristo e la sua vita
con Dio: vuotarsi di sé per lasciarsi riempire da Dio (Immacolata Concezione), offrire se stessi
a Dio come ostia gradita (Annunciazione) e donarsi agli altri con spirito di carità e eli annuncio
della Buona Notizia (Visitazione). Questa devozione mariana iniziale si svilupperà con le
apparizioni di rue de Bac! Ma questa è un'altra storia...
Preghiamo
Poiché la Compagnia della Carità si è messa sotto lo stendardo della tua protezione, se tante
volte ti abbiamo chiamata Madre, ti preghiamo ora di gradire l'offerta che ti facciamo di
questa Compagnia in generale e di ciascuna in particolare. E perché ci permetti di chiamarti
nostra Madre e sei la Madre di misericordia da cui procede ogni misericordia, che hai
ottenuto da Dio, com'è, da credersi, la fondazione di questa Compagnia, degnati di prenderla
sotto il tuo patrocinio.
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26
1 SV, Conf. FdC, 1043 (Coste IX, 636): Conferenza del 3 giugno 1653 Sulla fedeltà a Dio.
2
JOSÉ-MARIA ROMAN, c.m., San Vincenzo de' Paoli. Biografia (Ediz. Jaka Boote, 1986), pp.
88s. Vedere Abelly III, XI, 118-119. Calvet scrive a questo proposito: "Egli fece il voto di
donarsi totalmente e per sempre al servizio dei poveri. Subito la tentazione scomparve..." (Saint
Vincent de Paul, Albin Michel 1948, p. 57). P. Dodin sostiene che Vincenzo fece in quel
momento "il voto di consacrarsi, per tutta la vita, al servizio dei poveri" e che la sua esistenza fu
da allora segnata dal dono totale di se stesso a Dio e da una stabilità derivata dal fatto che egli
aveva trovato il suo equilibrio psicologico" (Mission et Charité 1969, n. 35-36, pp. 132-133).
3 Coste V, 4b7: Lettera del 29 ottobre 1655 a Edme Jolly, Superiore a Roma.
4 SVit X, 659 (Coste XII, 417): Conferenza del [12 dicembre 1659] su La Castità.
5 SVit X, 150 (Coste XI, 163): Brano di Conferenza su La Povertà
6 SV, Conf. FdC, 851 (Coste IX, 519): Conferenza del 7 agosto 1650 Sull'Obbedienza.
7 SVit X, 410 (Coste XII, 77): Conferenza del 6 dicembre 1658 su Il fine della Congregazione
della Missione.
8 SVit X, 431 (Coste XII, 107-108): Conferenza del 13 dicembre 1658 su I membri della
Congregazione della Missione.
9 GMV = Gioventù Mariana Vincenziana; MI.SE.VI. = Missionari Secolari (Laici)
Vincenziani.
10 Coste XIII, 198: Contratto di fondazione della Congregazione della Missione, 17 aprile
1625.
11 Coste XIII, 203-205: Atto di associazione dei primi Missionari, 4 settembre 1626.
12 Gv 15, 16.
13 Regole Comuni delle Figlie della Carità, 1.1.
14 SVit X, 448 (Coste XII, 130): Conferenza del 21 febbraio 1659 su La ricerca del Regno di
Dio.
15 Regole Comuni delle Figlie della Carità, 1.1.
16 Coste XIII, 423: Carità di donne di Chatillon-les-Dombes, novembre e dicembre 1617.
17 SVit X, 555-556 (Coste XII, 274). Conferenza del 30 maggio 1659 su La Carità.
18 Regole Comuni della Congregazione della Missione II, 12. Cfr. Mt 6,12; Rm 12, 3-15; Ef
4,2.
19 SVit X, 556 (Coste XII, 274-275): Conferenza del 30 maggio 1659 su La Carità.
20 Cfr. la sua teoria ineguagliabile "sulla condiscendenza e la tolleranza" in SV, Conf FdC,
1971ss. (Coste X, 477): Conferenza del 30 maggio 1658 Sulla condiscendenza e reciproca
tolleranza.
21 Gal 6,2.
22 SV, Conf. FdC, 368 (Coste IX, 226): Conferenza tenuta tra il 1634 e il 1646 Sulla
riconciliazione.
23SV, Conf. FdC, 1951 (Coste X, 464): Conferenza del 4 marzo 1658 su Carità reciproca,
dovere della riconciliazione.
24 SV, Conf. FdC. 1967 (Coste X, 474): Id.
25 Coste XIV, 126: Regolamento spontaneo di Chàtillon, 23 agosto 1617.
26 SV, Conf. FdC, 2211 (Coste X, 623): Conferenza dell'8 dicembre 1658 su Recita del
Rosario, impiego delle domeniche e feste.
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http://www.sanvincenzoitalia.it/download/sussidi_formativi/2011%20-%202012.pdf
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San Vincenzo De Paoli (1581-1660), di P. Gerry Armani
SAN VINCENZO DE PAOLI
1581 – 1660
Gli anni dell’illusione
«Madre mia, l’assicurazione che m’ha dato il signor de
Saint-Martin della vostra buona salute, mi ha tanto
rallegrato quanto invece mi affligge il do–ver rimanere
ancora in questa città per riaver l’occasione di un mio
avanzamento (che i disa–stri mi hanno tolto), perché non
posso venir da voi ad usarvi quei servizi che vi devo. Ma
spero tanto nella grazia di Dio, ch’egli benedirà la mia fatica
e mi darà presto il modo di ritirarmi ono–ratamente e
passare il resto dei miei giorni con voi. Ho parlato dei miei
affari col sig. de Saint-Martin, il quale mi ha affermato di
voler succe–dere al sig. de Comet nell’usarmi la
benevolenza e l’affetto che questi si compiacque
dimostrarci. L’ho pregato di comunicare a voi tutto ciò»
Gli anni della conversione
- La calunnia
- Dono di 15.000 lire fatto all’Ospedale della Carità
- La prova della fede
I Grandi Maestri: Bérulle, Duval,…
Le Tre grandi Fondazioni:
- Le Charités
- I Preti della Missione
- Le Figlie della Carità
L’Amore
Amore affettivo – Amore effettivo
«L’amore affettivo è la tenerezza nell’amore. Dovete amare
Nostro Signore teneramente e af–fettuosamente, come un
bambino che non può separarsi da sua madre e chiama:
“Mamma” appena la vede allontanarsi. Così un cuore che
ami Nostro Signore non può tollerare la sua assenza e si
stringe a lui con questo amore affettivo, il quale produce
l’amore effettivo. Poiché il primo non basta; bisogna averli
ambedue. Bisogna dal–l’amore affettivo passare all’amore
effettivo, che è l’esercizio delle opere della carità, il servizio
dei poveri eseguito con gioia, coraggio, costanza e amore ».
«Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma a spe–se delle
nostre braccia, con il sudore della no–stra fronte. Poiché
molto spesso, tanti atti di amor di Dio, di compiacenza, di
benevolenza e altri simili affetti e pratiche interiori di un
cuore tenero, sebbene buonissime e desiderabilissime, sono
nondimeno sospette, quando non giungono alla pratica
dell’amore effettivo. “In questo, dice Nostro Signore (Gv 15,
8), sarà glorificato il Pa–dre mio, se produrrete frutti
copiosi”. Dobbia–mo badarvi; perché molti, per avere un
buon contegno ed essere intimamente pieni di grandi
sentimenti di Dio, credono di avere fatto tutto; e quando si
arriva al dunque e si trovano nel–l’occasione di operare
vengono meno. Si lusin–gano con la loro immaginazione
eccitata; si contentano delle soavi conversazioni che hanno con Dio
nell’orazione, ne parlano, anzi, come angeli ma usciti di lì,
se si tratta di lavorare per Id–dio, di soffrire, di mortificarsi,
d’istruire i po–veri, di andare a cercare la pecorella
smarrita, di essere lieti se sono privi di qualche cosa, di
accettare le malattie o qualche disgrazia, ahimé! non c’è più
nulla, il coraggio manca. No, no, non c inganniamo: Totum
opus nostrum in operatione consistit (tutto il nostro fare è
nell’azione) ».
La situazione della Francia
«Oserò [..] esporre lo stato miserabile e cer–tamente
degnissimo di pietà della nostra Fran–cia? La casa reale
divisa da dissensi; il popolo scisso in opposti partiti; le città
e le province rovinate dalle guerre civili; le borgate, i
villaggi e i castelli abbattuti, rovinati e bruciati; i conta–dini
messi nell’impossibilità di raccogliere qualche hanno
seminato e di seminare per gli anni futuri. I soldati si
permettono impunemente tut–te le angherie. Il popolo è
esposto da parte sua non solamente alle rapine e al
brigantaggio, ma anche agli assassini e ad ogni sorta di
torture; gli abitanti della campagna che non vengono col–
piti dalla spada muoiono più degli altri, sono trattati
inumanamente e crudelmente torturati e messi a morte; le
vergini sono da essi disonorate; le religiose stesse esposte
al loro libertinaggio e furore; i templi profanati, saccheggiati
o distrut–ti; quelli rimasti in piedi sono per lo più abban–
donati dai loro pastori, e quindi il popolo è quasi privo dei
sacramenti, delle messe e di ogni altro aiuto spirituale ... E’
poco udire e leggere que–ste cose, bisogna vederle e
costatarle coi propri occhi».
L’incontro con il povero
Girare la medaglia
«Non devo considerare un povero contadino o una povera
donna dal loro aspetto, né dalla loro apparente mentalità;
molto spesso non han–no quasi la fisionomia, né
l’intelligenza delle per–sone ragionevoli, talmente sono rozzi
e materiali. Ma rigirate la medaglia, e vedrete con i lumi
della fede che il Figlio di Dio il quale ha vo–luto essere
povero, ci è raffigurato da questi po–veri; Egli non aveva
quasi le sembianze d’uomo, nella sua passione, e passava
per pazzo nella men–te dei pagani e per pietra di scandalo
in quella dei giudei; eppure egli si qualifica l’evangelizza–
tore dei poveri: Evangelizare pauperibus misit me (Lc 4,
18). O Dio! Quanto è bello vedere i poveri, se li
consideriamo in Dio e con la stima che egli ne aveva! ma se
li guardiamo secondo i sentimenti della carne e dello spirito
mondano, ci sembrano disprezzabili».
La “Visita”
«Perciò, siete destinate a rappresentare la bontà di Dio
verso quei poveri malati. Orbene, siccome questa bontà si
comporta con gli afflitti in modo dolce e caritatevole, anche
voi dovete trattare i malati come questa medesima carità
insegna, ossia, con dolcezza, carità ed amore, compatendo i
loro mali, ascoltando i loro lamenti come una buona madre
deve fare; perché essi vi considerano come loro nutrici e
come persone mandate da Dio per assisterli.
Siate premurosissime per tutte le loro necessità. Sopportate
i loro piccoli malumori, incoraggiateli a soffrire bene per
amore di Dio, non vi irritate mai, né abbiate per essi parole
dure: è già abbastanza quello che hanno da soffrire.
Pensate che voi siete per essi l’angelo custode visibile, il
babbo e la mamma, e non li contrariate in nulla, tranne in
ciò che può esser loro nocivo, ché, in tal caso, sarebbe una
vera crudeltà fare altrimenti. Piangete con essi: Dio vi ha
eletto ad essere la loro consolazione.
Dovete visitare i poveri con lo spirito che vor–reste vedere
in chi visitasse voi, trovandovi nelle medesime condizioni; e,
inoltre, nella fede di visi–tare in essi Nostro Signore.
Sono i vostri padroni, e anche i miei. Oh! sono davvero
grandi signori, in paradiso! Spetta a loro aprirne la porta,
come è detto nel vangelo.
Entrando nelle camere dei malati, raffigura–tevi in essi Gesù
Crocifisso …
Vicino a morire, nostro Signore desiderò di essere
confortato, e fu per lui un dolore estremo non essere
compatito sulla croce…
Quando andiamo a visitare i poveri dobbiamo
immedesimarci nei loro sentimenti per soffrire con loro… in
modo che non ricada su noi il lamento che Nostro Signore
ha fatto per bocca di un profeta: Ho aspettato che qualcuno
compa–tisse i miei dolori e non l’ho trovato (Sal. 68,21).
Bisogna perciò cercare d’intenerire i nostri cuori e renderli
sensibili alle pene e alle miserie del prossimo, e pregar Dio
di darci il vero spirito di misericordia, che è veramente lo
spirito suo; perché, come dice la Chiesa, la caratteristica di
Dio è di usar misericordia e darne lo spirito.
Dio ci faccia la grazia di intenerire i nostri cuori verso i
miserabili e di credere che, soccor–rendoli, facciamo opera
di giustizia e non di mi–sericordia. Sono nostri fratelli che
Dio ci coman–da di assistere; facciamolo dunque come
incari–cati da Lui e nel modo insegnatoci dal Vangelo. Non
diciamo più: Sono io che faccio quest’opera buona; poiché
ogni bene deve essere fatto in no–me di Nostro Signore
Gesù Cristo»
I poveri sono i nostri padroni
«I poveri sono i nostri padroni, sono i nostri re; dobbiamo
obbedirli. E non è una esagerazione chiamarli così, perché
nei poveri c’è il Signore.
Egli infatti ha detto: “Quello che farete al più piccolo dei
miei, lo considererò come fatto a me stesso” (Mt. 25,44).
Per conseguenza il Si–gnore è effettivamente nel malato che
riceve i vostri servizi
Quel servizio lo rendete al Signore, che lo considera come
fatto a se stesso: “Con lui io sto nell’angustia” (Sal. 90,15).
Se è malato, lo sono anch’io; se è in prigione, vi sono
anch’io; se ha i ferri ai piedi, li ho anch’io insieme a lui.
Andate a vedere i poveri forzati in catene, vi troverete Dio.
Servite i bambini, vi troverete Dio. Andate in povere
casupole, vi trovate Dio.
Non dovete considerare i poveri dal loro aspet–to o dalla
loro apparente mentalità: molte volte non hanno quasi la
fisionomia, né l’intelligenza delle persone ragionevoli,
talmente sono rozzi e materiali. Ma rigirate la medaglia e
vedrete con la luce della fede, che il Figlio di Dio, il quale ha
voluto essere povero, è in essi raffigurato.
Che gioia servire la persona di Gesù Cristo nelle sue povere
membra!»
LE CINQUE VIRTÙ
1. La dolcezza
«I pensieri aspri sono opera del maligno, quelli del Signore
sono dolci e soavi»
«L’asprezza non serve che ad inasprire»
«Non c’è nessuno più costante nel bene di coloro che sono
miti e benigni; mentre coloro che si lasciano trasportare
dalla collera e dalle passioni sono ordinariamente molto
incostanti, perché non operano se non a capriccio e impul–
sivamente. Sono come torrenti che non hanno for–za ed
impetuosità se non nei loro straripamenti e subito dopo si
prosciugano …»
2. L’umiltà
«Quanto è bella e piacevole questa virtù in coloro che
cercano continuamente di umiliarsi; quanta pace godono e
quanto sono stimati!
Queste anime sono sempre contente, e la gioia si riflette sul
loro volto, perché lo Spirito Santo che risiede in loro, li
ricolma di pace, in modo che nulla può turbarle»
«Appena un cuore è vuoto di se stesso, Dio lo riempie; Dio
rimane e opera lì dentro. Il desiderio della propria
confusione è quello che ci vuota di noi stessi, è l’umiltà, la
santa umiltà; allora non saremo più noi, che agiremo, ma
Dio in noi. E tutto andrà bene»
3. La mortificazione
«Con la mor–tificazione dobbiamo strappare da noi quello
che dispiace a Dio; con essa porteremo la croce dietro a
Gesù e la porteremo ogni giorno, come egli co–manda, se
ogni giorno ci mortificheremo.
Piaccia a Dio farci la grazia di renderci somi–glianti ad un
buon vignaiolo che porta il coltello in tasca, con il quale
taglia tutto quello che trova di nocivo nella sua vigna! . In
pari modo noi dobbiamo tagliare continuamente con il
coltello della morti–ficazione i cattivi prodotti della natura
guasta, che non si stanca mai di germogliare i rami della
sua corruzione…»
4. La semplicità
«Chi cammina nella semplicità può andar si–curo. Invece
quelli che usano cautele, o doppiezze vivono sempre nel
timore che la loro simulazione venga scoperta e nessuno si
fidi più di loro»
«Il mondo è immerso nella doppiezza. A sten–to si trova
oggi un uomo che parli come pensa. Da ogni parte non si
vede che artificio e finzione»
«Tutti amano i semplici, le persone candide, che non usano
astuzie né imbrogli, che vanno alla buona e parlano
sinceramente, in modo che tutto quello che dicono
corrisponde a quello che hanno nel cuore»
5. La passione per tutto l’uomo
«Non mi basta amare Dio, se anche gli altri non lo amano”
Essere uomini e donne di preghiera
«Datemi un uomo d’orazione e sarà capace di tutto; egli
potrà dire con il santo Apostolo: “Posso tutto in Colui che mi
sostiene e mi conforta”… perché l’orazione è come un
baluardo inespugnabile che mette il missionario al riparo da
ogni sorta di attacchi; è un mistico arsenale…»
«I giardinieri.innaffiano due volte al giorno le piante del loro
giardino, le quali senza tale cura morirebbero durante i
grandi calori…
Noi siamo come quei poveri giardini …
Da ciò la necessità della preghiera, la quale, come dolce
rugiada viene tutte le mattine ad umettare l’anima con la
grazia di Dio, che essa vi attira. Se siete stanchi per gli
incidenti della giornata e per le pene, avete parimenti la
sera questo salutare ristoro, che dà vigore a tutte le vostre
azioni.
La preghiera è una elevazione del nostro spirito a Dio:
l’anima si distacca quasi da sé per andare in cerca di Dio. È
un colloquio dell’anima con Dio. È una relazione reciproca.
La preghiera è il cibo dell’anima. È come una persona che si
contentasse di prendere i pasti ogni tre o quattro giorni:
cadrebbe presto in uno stato di debolezza e sarebbe in gran
pericolo di morire…
La preghiera è una predicazione che si fa a se stessi, per
convincersi del bisogno che si ha di ricorrere a Dio…
La preghiera è necessaria all’anima come l’aria all’uomo o
l’acqua al pesce per vivere. Come gli uomini non possono
vivere senz’aria, ma muoiono quando ne sono privi, così
l’anima non può vivere dello spirito della grazia senza la
preghiera
La preghiera è una fontana favolosa dove l’anima
ringiovanisce.
La preghiera è una fortezza inespugnabile…»
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FILM:
AMDG et DVM