martedì 17 novembre 2020

VIVERE CON IMPEGNO. LA CARITA' DI SAN VINCENZO DE' PAOLI -

 


Estratto dal testo di Jean-pierre Renouard, CM, 

San Vincenzo de Paoli., Maestro di sapienza,

Iniziazione allo spirito vincenziano – 

Edizioni Vincenziane 2012


VIVERE CON IMPEGNO

La donazione fatta a Dio è radicale. Mai Vincenzo è tornato indietro. Egli ha espressioni

invariabili circa l'offerta di sé e la perseveranza. "Diamoci risolutamente a Dio per essergli

fedeli tutta la nostra vita".1 Questo dono ha motivazioni elevate: la venuta del Regno nei nostri

cuori, l'annuncio del Vangelo, il servizio dei poveri, la fedeltà alla vocazione e la gioia di

appartenere al Cristo. Perseverare significa resistere fino alla fine impiegando i mezzi adeguati,

vale a dire i sacramenti ed una vita interiore nutrita dalla vita di preghiera. Non esiste

perfezione senza la perseveranza che conduce alla gloria finale. Quando Vincenzo esorta le

Dame della Carità a vivere questa attitudine, egli ha in mente tutto il bene di cui esse sono

promotrici e che andrebbe invece perduto in caso di abbandono da parte loro. Occorre tenere i

manici dell'aratro fino alla fine. Vale sia per i laici che per i consacrati.


Votarsi

Abbiamo già accennato alla forza della donazione di Vincenzo quando decide di consacrare

tutta la sua vita ai poveri. Certo, è il suo primo biografo che ci parla di quel momento. E

qualche volta si potrebbe ben dubitare di quanto scrive, poiché Abelly tende a sottolineare i lati

positivi di Vincenzo allo scopo di affrettare la sua beatificazione. Ma perché dubitare?

Crediamo a quanto ci dice chi lo ha conosciuto da vicino: alla fine di un periodo di tentazione

durato tre o quattro anni (è molto!), guidato dalla grazia, Vincenzo se ne libera prendendo la

decisione "irrevocabile e inviolabile di consacrare tutta la sua vita, per amore di Gesù Cristo,

al servizio dei poveri". Fatta questa scelta, cessano le tentazioni, egli ritrova la sua libertà

interiore e la sua anima si riempie di luce. Vorremmo saperne di più, ma pensiamo che da

questo punto abbia inizio il percorso decisivo della sua vita.

Si è scritto che il cambiamento è stato radicale.2 Se alcuni parlano di "conversione", io la

collocherei in questo preciso istante, lo ripeto, perché credo che egli abbia fatto le sue scelte

definitive nel 1611 quando è diventato curato di Clichy. È evidente che egli ha cercato il giusto

terreno per essere vicino ai più poveri del suo tempo. Per un po' ha avuto dei tentennamenti, ma

poi ha trovato i giusti riferimenti grazie agli avvenimenti di Folleville e Chàtillon rivelatori

della sua autentica missione. Vincenzo si è reso conto allora che la sua via era il servizio e la

missione. Gli restava da individuare le modalità concrete. Tutto fa pensare che lui stesso abbia

sperimentato la forza del dono totale, che chiederà in seguito anche ai suoi confratelli, con i

voti.

Ora, lo ritroviamo, dal 1627 o 1628, a fare i suoi voti. E così pure li pronunciano i suoi

Missionari. È lui stesso che segnala questo fatto e ne fornisce le motivazioni: "è piaciuto a Dio

di concedere alla Compagnia, fin dagli inizi, il desiderio di mettersi nello stato più perfetto,

senza entrare nello stato religioso; e proprio a questo scopo noi abbiamo fatto dei voti, per

unirci più intimamente a Nostro Signore e alla sua Chiesa; e il Superiore della Compagnia ai

suoi membri, ed i membri al loro superiore; e ciò fu a partire dal secondo o terzo anno".3 Si

noti il "noi". La storia dei voti nella Congregazione della Missione sarà lunga, ma è eloquente

ciò a cui mirano: perseverare per servire!

Per i Missionari e le Figlie della Carità, il dono è totale; per Vincenzo e i suoi confratelli vi è la

volontà di vivere poveri, casti, obbedienti per meglio donarsi ai poveri. È questa la finalità

ultima: non appartenere più a se stessi, ma donarsi completamente a Dio e al servizio delle sue

membra sofferenti. Ecco un punto fermo sul quale egli tornerà spesso: piacere così a Dio,

donarsi a lui, ed accentuare la fedeltà alla ricerca della perfezione.

Che spiritualità ne risulta! I tre voti di castità, povertà, obbedienza, favoriscono il dono di sé, lo

alimentano, lo stimolano e in qualche modo lo rendono più saldo. Per vivere il dono, bisogna

abbandonare tutto, non possedere niente, non lasciarsi possedere da niente, avere Dio come

eredità, rifiutare di fare la propria volontà per lasciare il primo posto a quella di Dio.

Da un punto di vista più evangelico, si può dire che i voti appaiono come un mezzo più forte per

partecipare allo Spirito di Gesù, che è amore, offerta, lode, "religione perfetta" verso il Padre e

Salvatore per gli uomini e il mondo. Il Missionario fa totale dono di sé a Dio e agli uomini per

liberare i suoi fratelli dalla schiavitù del piacere, della ricchezza e dell'orgoglio. Per essere un

liberatore efficace, egli apprende, tramite i voti, a rendere effettiva la propria liberazione.

Pertanto questi hanno una finalità missionaria. Ne sono la prova queste tre citazioni che

corrispondono alle tre promesse:

- Noi andiamo ovunque a predicare la castità ed a inculcarla al popolo. Quanto è dunque

importante che noi la possediamo grandemente! 4

- La vocazione dei missionari è uno stato di vita apostolica che consiste nel lasciar tutto come

gli apostoli, per seguire Gesù Cristo e diventare veri cristiani.

5

- Una volta impegnate risolutamente nella pratica di questa virtù, Figlie mie, sarete più

luminose del sole dei soli ... La virtù dell'obbedienza, apparendo in ciascuna di voi, farà dir

subito a chi vi vede che siete serve di Dio.

6

Un'unica finalità unisce questi voti, l'operare per la salvezza dei poveri da parte dei Missionari

ed il servizio corporale e spirituale da parte delle Suore. Ciascuno è un operaio di Dio e, a

questo titolo, è invitato a farsi il più possibile vicino a Gesù, Servo ed Evangelizzatore dei

poveri. E chi non vede che Gesù fu perfettamente casto, povero ed obbediente "fino alla morte

di Croce" (Fil 2, 8)?

Lo scopo della ricerca della perfezione è indicato da Vincenzo nella sua conferenza "sul fine

della Congregazione della Missione" del 6 dicembre 1658. Si tratta di rendersi graditi a Dio: "E

se al mattino siamo a sei gradi, nel pomeriggio dobbiamo giungere a sette, facendo le nostre

azioni il più perfettamente possibile"

7

. Tutto può esserci di aiuto: l'offerta mattutina, la

preghiera, gli atti d'amore compiuti come missionari e persone consacrate. Tutti e tutte devono

testimoniare ciò che sono nel loro intimo, al fine di aiutare i più svantaggiati e toccare i loro

cuori. Per riconciliare gli uomini con Dio, bisogna essere completamente suoi: "Quale

vantaggio avremo dall'aver compiuto meraviglie per gli altri se avremo lasciato

nell'abbandono la nostra anima?". Bella chiosa di Mt 16, 26! Questo oggi si chiama radicalismo evangelico. La persona consacrata sceglie liberamente di vivere una condizione dove

l'assoluto, la radicalità diventano la legge interiore della propria esistenza. Vincenzo afferma

ciò in maniera incisiva: il Cristo è l'unica aspirazione dei nostri cuori.

Donarsi

Certamente non tutti i membri della famiglia vincenziana sono chiamati a fare i voti. Il loro

impegno è piuttosto orientato al dono. Che cosa significa donarsi? L'espressione ritorna spesso

in san Vincenzo a sottolineare la volontà di vivere in stato di offerta, come essere "mangiati",

"divorati". Ci sono dei vincenziani che non si appartengono! Anche in questo campo rivedo dei

volti che testimoniano una vita completamente donata! Un vero e nobile attestato! Il Cristo è il

modello del dono. Egli è un dono perfetto e permanente. Alcune parole esprimono ciò che egli

fa per noi: Incarnazione, Redenzione, Eucaristia. Egli è ugualmente presenza, dono perpetuato

attraverso il suo Spirito Santo che abita in ogni cristiano dal momento del battesimo, come

sottolineava Vincenzo nel dicembre 1658:


La rugiada dello Spirito

“... è necessario rivestirsi dello Spirito di Gesù Cristo. O Salvatore, o fratelli, quant'è

importante rivestirsi dello Spirito di Gesù Cristo! Questo vuol dire che per perfezionarci e

soccorrere con frutto le popolazioni, per ben servire il clero, dobbiamo far di tutto per imitare

la perfezione di Gesù Cristo. Ma dire questo significa anche dire che da noi stessi non

possiamo nulla. Bisogna essere ricolmi e mossi dallo Spirito di Gesù Cristo. Per ben capire

ciò, bisogna sapere che il suo Spirito è diffuso in tutti i cristiani che vivono cristianamente. Le

loro azioni e le loro opere sono permeate dallo Spirito di Dio ed è grazie al suo Spirito che egli

ha suscitato la Compagnia, e voi lo vedete bene. Ed è secondo questo Spirito che essa deve

comportarsi. Essa di fatto ha amato sempre le massime cristiane e ha desiderato rivestirsi

dello Spirito del Vangelo, per vivere ed operare come Nostro Signore, affinché il suo Spirito

brilli in tutta la Compagnia ed in ciascun missionario, in tutte le sue opere in generale ed in

ognuna in particolare.” 8

È evidente che il vincenziano non esiste, se non si dona completamente a Dio! Questo dono può

assumere diverse forme che rappresentano il manifestarsi della grazia di Dio nei cuori. Si tratti

dei Gruppi di Volontariato Vincenziano, delle Conferenze, o dei membri dei vari rami della

Famiglia, tutti e tutte hanno deciso di seguire una regola, sia essa scritta o no, un documento

costitutivo, un cammino di vita. Desiderano servire e donarsi totalmente a Dio e alle persone

che hanno bisogno di aiuto. Il loro coinvolgimento non è semplicemente come quello di

membri di una organizzazione umanitaria, anche se ciò è rispettabile, ma li porta a vivere uno

spirito. Abbracciano una spiritualità e la vivono nel quotidiano.

Per esempio, i Gruppi di Volontariato Vincenziano sono fedeli a ritrovare le proprie radici nel

Vangelo durante le riunioni mensili di gruppo e seguono regolarmente il tema di riflessione

annuale. La Società di san Vincenzo de Paoli ha una commissione di spiritualità e trae

nutrimento in ogni incontro della Conferenza. Queste due principali organizzazioni di laici

hanno propri organi di stampa a supporto della vita e dell'azione associativa. Anche la gioventù

mariana vincenziana (GMV) o il MISEVI 9

vivono facendo genuino riferimento allo spirito e al

messaggio vincenziano. Il dono è costitutivo della loro vita.

E questo dono è anche reciprocità: non soltanto il vincenziano va verso i poveri, ma trova in

essi un premio in cambio, una perla preziosa: Dio viene verso di lui. Egli si dona interamente a

colui che serve. Da una offerta spesso materiale e qualche volta spirituale, il donatore riceve un

bene incommensurabile, Gesù Cristo stesso! È una verità del tutto evangelica che Cristo

s'identifica con il povero.

E questo scambio è duplice, in quanto si dice anche che i poveri ci evangelizzano, ci

trasmettono le loro qualità, le loro gioie, il loro vissuto spesso ricco e ricolmo di valori. E’

necessaria dunque una rilettura quando la loro vita incrocia la nostra e ci dà degli insegnamenti

che ci portano a migliorarci.


TESTIMONIARE INSIEME

La vita, l'apostolato o il servizio sono sempre i frutti migliori di un'azione comune. Il

vincenziano è fatto per una comunità, un gruppo, una conferenza. Le implicazioni sono

diverse, ma il fondamento è lo stesso: l'unione fa la forza! Senza di essa, il buon esito delle

opere è compromesso, ma al contrario, in virtù di essa, Dio e i poveri sono meglio serviti e

amati. È una logica confermata dall'esperienza dei santi e dei cristiani.

La vita in comunità

Vincenzo ha scommesso tutto sulla vita e l'apostolato in comunità. Sia nella sua Congregazione

che nella Compagnia delle Figlie della Carità, si deve vivere e lavorare insieme. Anche se ci

può essere, e a volte giustamente, qualche franco tiratore, non bisogna imitarlo. La loro

presenza per difetto postula il bene che la vita fraterna e la missione comunitaria procurano.

A partire dal momento della firma dell'atto costitutivo della Congregazione della Missione, il

17 aprile 1625, Vincenzo e i Gondi s'accordano perché non venga a mancare "qualche ecclesiastico di riconosciute dottrina, pietà e capacità... per dedicarsi completamente e unicamente

alla salvezza del povero popolo, andando di villaggio in villaggio".10 A questa fondazione

segue l'atto associativo dei primi Missionari: Vincenzo de Paoli, Francesco du Coudray,

Antonio Portail, Giovanni de la Salle.11 È pertanto chiaro che la comunità vincenziana esiste

fin dall'inizio per la Missione. E la storia lo prova. L’una infatti è mezzo necessario per l'altra.

La vita fraterna è inscindibile dall'attività missionaria. La presuppone e la sostiene. Senza di

essa, l'attività missionaria perde il suo significato e il suo vigore, vista la sua natura. Lo stesso si

può dire per le Figlie della Carità che prolungano in qualche modo l'intuizione di Chàtillon e si

richiamano, ampliandola, all'esperienza delle Confraternite della carità.

Vivere insieme, significa adottare deliberatamente i modi di essere di Dio. Egli è "trino" e

dentro di Lui vi è comunione, movimento, espansione, interscambio. Vincenzo vuole che i suoi

confratelli e consorelle vivano in stato trinitario, gli uni aperti agli altri, in comunione di intenti,

di servizio, di comprensione, di aiuto, vale a dire d'unione, di sostegno e di accettazione, anche

se ciò comporta sofferenza. La loro prima riflessione deve essere quella di pensare che vivendo

uniti, essi imitano Dio, vivono come Dio e con Lui. Inoltre, devono sempre ricordare che non

sono uniti per caso ma per scelta divina: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi"

12

.

Il Cristo è "la sorgente e il modello di ogni carità".13 È "la regola della Missione".14 E’ lo

scopo del servizio dei poveri. Tutto il significato spirituale della comunità si trova nella

persona di Cristo e del Cristo totale di cui i vincenziani consacrati sono elementi indispensabili.

Ecco perché è importante pregare insieme, celebrare le lodi divine in comunità e condividere il

tesoro spirituale, soprattutto quello che proviene dalla preghiera quotidiana, senza dimenticare

gli scambi sul Vangelo, la ripetizione dell'orazione e le revisioni di vita o di attività, sotto lo

sguardo di Cristo. Tutti sono riuniti in Gesù. Bisogna sempre ricordare il primo paragrafo del

primo capitolo delle Regole Comuni delle Suore: "Dio ha chiamato e riunito le Figlie della

Carità per onorare Nostro Signore Gesù Cristo".15


La vita in gruppo

Essa è evidentemente più flessibile della vita fraterna in comunità poiché riunisce dei laici che

hanno vocazione a vivere con altri sia in famiglia che nel mondo. Tuttavia è chiaro che si

manifesta un vivere ed un agire insieme che affonda le radici nella storia. Vincenzo organizza

la prima Carità facendo lavorare le prime dame impegnate a turno ed in maniera strutturata. La

loro associazione contiene in germe quella delle Figlie della Carità.

Queste donne della borghesia e della nobiltà si mettono insieme per organizzarsi; si danno una

struttura in base ai servizi che devono realizzare: priora o presidente, assistente, sottopriora o

vicepresidente, tesoriera. Siamo nel 1617 e Vincenzo annuncia nel regolamento della prima

confraternita: "Esse hanno deciso di riunirsi in un corpo che possa essere eretto in

confraternita... ".16

La loro scelta è semplice: esse hanno convenuto "di comune accordo" di assistere sia

spiritualmente che corporalmente le persone della loro città che soffrono. Duecento anni più

tardi Federico Ozanam e i suoi compagni creeranno la prima conferenza per dare vita ad una

vasta rete di solidarietà. Avviano insieme "la carità di prossimità".

In gruppo, in conferenza, fedeli a san Vincenzo, i laici si appoggiano gli uni agli altri, si

incoraggiano vicendevolmente, organizzano gli interventi, ne fanno una revisione, strutturano

e intensificano la propria azione. Anch'essi fanno l'esperienza dei benefìci prodotti da

un'azione concertata e piena di calore. Il Gruppo è veramente il luogo dell'identità e

dell'efficacia vincenziana. Ciascuno vi mette a disposizione i propri talenti e le proprie qualità

e beneficia di quelle degli altri.


La fraternità Vincenziana

Non è una parola vuota e riunisce, in vista della missione, uomini e donne diversi. Amarsi per

amare. Ci troviamo qui al centro del messaggio vincenziano sulla Comunità. Si deve vivere

tutto sul fondamento dell'amore. San Vincenzo desidera che i suoi figli si diano "testimonianze

di affetto".

Spiega:

Dobbiamo manifestare che veramente noi ci amiamo l'un l'altro di cuore. E ciò si ottiene

prevenendoci negli impegni, offrendoci cordialmente nel rendere servizi e nel fare piaceri. Per

esempio dire: "Come desidero dimostrarti che ti amo teneramente!"; e dopo averlo detto con

la bocca confermarlo con le azioni, servendo effettivamente ciascuno e facendosi veramente

tutto a tutti. Non basta avere la carità nel cuore e nelle parole; deve passare nelle opere. Solo

allora è perfetta e diventa feconda, perché genera l'amore nei cuori verso i quali si esercita.

Questa carità conquista tutti.

17

Come non sottolineale alcuni consigli trasmessi dalle Regole Comuni della Congregazione

della Missione e che sono altrettanto validi per tutti i vincenziani: fare agli altri il bene che

desideriamo per noi; non contraddire; trovare tutto buono in Cristo; sopportarsi reciprocamente

senza lamentarsi; piangere con coloro che piangono; gioire con coloro che gioiscono;

"prevenirsi nell'onore" reciprocamente; testimoniarsi affetto; rendersi servizio18

.

Che facciamo praticando questi gesti? Prendiamo il posto di Nostro Signore, il quale li attuò

per primo. Egli prese l'ultimo posto: prendiamolo anche noi. Venne ad attestare il suo amore

agli uomini e li prevenne con le sue benedizioni: preveniamo anche noi il prossimo con le

prove del nostro affetto, non importunamente, né indiscretamente, ma con i dovuti modi della

moderazione e della cortesia.19

È chiaro, ad esempio, che la denominazione di "Figlie della Carità", data dal popolo, è un

richiamo alla vita effettiva della carità fraterna. Questa identità della carità non può trarci in

inganno: esse non sono destinate solamente ad attendere al servizio dei poveri, ma a riversare

su di loro l'amore che vivono reciprocamente. La carità non va in una sola direzione. Essa

abbraccia la totalità della vita e della persona; siamo sollecitati a tenere tutto insieme: l'amore

di Dio, l'amore dei poveri e l'amore fraterno. Questi tre elementi formano l'essere vincenziano.

Secondo Vincenzo l'amore è a tre dimensioni: bisogna vivere con semplicità, umiltà e

dolcezza, tale è il programma di ciascun membro in vista di una vita fraterna equilibrata. Pare

anche che Vincenzo escogiti, per questo fine, come una sorta di codice comunitario,

suggerendo degli orientamenti ancora più precisi e funzionali. Quattro azioni appaiono

prioritarie:

1) Mettersi d'accordo: si tratta di avere una comune volontà d'intenti, una ricerca di rapporti

armoniosi tra i membri della Comunità. Ecco una sorta di filosofia di san Vincenzo. Si trova in

lui una concezione "personalistica" ante litteram. Tutta la sua vita è attenzione alle persone,

creazione di legami tra le persone. Egli vuole già una Chiesa-Fraternità dove lo stile dei

rapporti autentici esige una continua comprensione dell'altro, un'apertura alle sue idee e una

volontà di fare insieme a lui il cammino più lungo possibile.20

2) Sopportarsi: significa accettare i limiti dell'altro, affinché egli possa accettare i nostri. San

Vincenzo è preoccupato per questo modo di agire. Ciò diventa un'idea-forza nei suoi invii in

missione. Le sue scelte dicono chiaramente il suo realismo. Certamente, egli ha avuto

l'esperienza delle difficoltà della vita delle comunità o dei gruppi e sa bene che la pace non si

raggiunge senza sforzo e senza amore, al di là dei necessari scontri e dei ricorrenti conflitti.

Egli insiste sul verbo "portare" che è implicito nella parola "sopportare"; non si tratta qui di

tollerare la presenza di qualcuno, dell'altro, ma di vivere portando con lui i pesi della sua vita,

di amarlo com'è, di soffrire con lui o per lui, ma mai di lottare contro di lui. Sopportarsi implica,

lo sappiamo, "portare i pesi gli uni degli altri"21

come dice San Paolo.

3) Vivere la cordialità: "la manifestazione del cuore", come già detto. Vincenzo ci invita alla

religione del volto. Egli rifugge dall'avere gli occhi bassi, dalla fisionomia arcigna, o dalle virtù

di ghiaccio. Nel quadro del pittore Francois Simon, un fine sorriso illumina i suoi tratti e

caratterizza la sua affabilità. Il calore con cui parla, rivela la sua cordialità. In fondo, lo

avvertiamo attento a creare in ogni comunità o gruppo, un ambiente pieno di calore, una

intimità familiare, un focolare affettuoso dove ciascuno può riscaldarsi psicologicamente e

spiritualmente e può così raggiungere il proprio equilibrio.

4) Riconciliarsi: Vincenzo ci lascia, un giorno, una confessione importante: "Non potrei vivere

se pensassi di aver disgustato qualcuno senza essermi riconciliato con lui".22 Ecco lo strumento per eccellenza, potremmo dire la protezione, di una vita fraterna. Perdonare significa

amare due volte, significa credere che la forza dell'amore è più forte di ogni barriera

psicologica.

Il perdono è parte intrinseca della vita cristiana, a più forte ragione della vita fraterna. È bene

ascoltare il maestro spirituale quando dice alle sue Suore: "Una delle cose che maggiormente vi

raccomando è la riconciliazione, perché è il vostro Istituto e lo spirito particolare delle Figlie

della Carità, le quali devono amarsi come le figlie di un medesimo padre".23


Preghiamo

O Salvatore delle anime nostre, che per amore hai voluto morire per gli uomini e hai lasciato

in qualche modo la tua gloria per darla a noi e farci, con questo mezzo, come dei, rendendoci

per quanto è possibile simili a Te, stampa nei nostri cuori la carità, affinché un giorno possiamo raggiungere quella bella Compagnia della Carità che è in cielo. Questa la preghiera

che ti faccio, o Salvatore delle anime nostre.

24

Nella Chiesa

Per i credenti, riuniti in comunità o in fraternità, c'è la Chiesa; essa è l'ambiente naturale in cui

si muove san Vincenzo. Egli è sensibile alla Chiesa popolo di Dio ed in particolare popolo dei

piccoli. Rispettoso della Chiesa gerarchica, ritiene che la vita all'interno di essa non possa

prescindere dal Papa e dai Vescovi. Nominato nel Consiglio di Coscienza, si impegna

soprattutto per la designazione di vescovi attenti all'evangelizzazione dei poveri. Questi ultimi

sono i prediletti di Dio e sono chiamati a diventare i prediletti della Chiesa.

Oggi come ieri, la Chiesa diviene la prima responsabile dell'evangelizzazione: tutti i suoi

membri, chierici, laici, consacrati, religiose e religiosi, sono degli "operai evangelici" che

lavorano insieme per il bene comune. Poiché essa continua l'opera di Cristo, è innanzi tutto

missionaria. Non vi è missione che non sia condivisa. Ogni missione è un'impresa comune che

impegna tutti. Secondo la concezione vincenziana, i laici vi hanno uno spazio speciale. E non

vi è missione che non sia universale, vale a dire che abbraccia tutto il mondo. Fin dalle origini 

alcuni nomi ci richiamano questa scelta di universalità: Irlanda, Polonia, Algeria, Barberia,

Madagascar. Siamo aperti al mondo, ai più lontani come ai più vicini.

In questa Chiesa comunione e missionaria, veglia su di noi una stella, la Vergine Maria, alla

quale Vincenzo si rivolge con amore e venerazione. A partire dal 23 agosto 1617, al momento

della costituzione della Confraternita di Chàtillon-les-Dombes, egli invoca Maria quale

protettrice della sua prima fondazione per i laici:

E per questo, essendo la Madre di Dio invocata e considerata la protettrice degli eventi

importanti, non è possibile che questi non abbiano buon esito e non risplendano alla gloria del

buon Gesù, suo Figlio; infatti le suddette Dame la presero come patrona e protettrice della

loro opera e la supplicarono molto umilmente di averne particolare cura..25

Egli stabilisce pure l'Immacolata quale patrona delle Figlie della Carità. Raccomanda ai suoi

Missionari, nel capitolo decimo delle Regole Comuni, una devozione particolare alla Santa

Vergine. La presenta come "la serva", colei che ama Cristo. Ella è stata intimamente legata a

Lui in virtù della sua divina maternità. È stata fedele nel raccogliere le sue parole e Vincenzo

esorta le Figlie della Carità ad imitarla. È colei che ha saputo dire di sì a Dio. È colei che ha

sempre cercato di sottomettersi "al buon volere di Dio" anche nelle situazioni più drammatiche.

Nel progetto divino, ella si colloca con anima di povera. È, per eccellenza la Vergine "modesta"

e "silenziosa", serva del disegno d'amore di Dio. Può essere proposta alle Figlie della Carità

come la prima serva dei poveri. È soprattutto la Vergine umile, in armonia perfetta con le scelte

di Gesù; partecipa al suo spirito, che è amore del Padre, stima, venerazione, umiltà. Ella sola ci

può ottenere di vivere nella verità del nostro essere e della nostra vocazione.

Vincenzo è sensibile ai tre misteri di Maria. Infatti egli vede nell'Immacolata Concezione,

nell'Annunciazione, nella Visitazione, tre realtà della vita della Vergine che si collegano alla

vita vincenziana. Si tratta di eventi che, da soli, segnano tutta la vita e il cammino spirituale.

Questi tre misteri affiorano costantemente nel suo pensiero: sono i punti d'appoggio, la lettera e

lo spirito dei tre percorsi fondamentali che caratterizzano la sua sequela di Cristo e la sua vita

con Dio: vuotarsi di sé per lasciarsi riempire da Dio (Immacolata Concezione), offrire se stessi

a Dio come ostia gradita (Annunciazione) e donarsi agli altri con spirito di carità e eli annuncio

della Buona Notizia (Visitazione). Questa devozione mariana iniziale si svilupperà con le

apparizioni di rue de Bac! Ma questa è un'altra storia...


Preghiamo

Poiché la Compagnia della Carità si è messa sotto lo stendardo della tua protezione, se tante

volte ti abbiamo chiamata Madre, ti preghiamo ora di gradire l'offerta che ti facciamo di

questa Compagnia in generale e di ciascuna in particolare. E perché ci permetti di chiamarti

nostra Madre e sei la Madre di misericordia da cui procede ogni misericordia, che hai

ottenuto da Dio, com'è, da credersi, la fondazione di questa Compagnia, degnati di prenderla

sotto il tuo patrocinio.

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26

1 SV, Conf. FdC, 1043 (Coste IX, 636): Conferenza del 3 giugno 1653 Sulla fedeltà a Dio.

2

JOSÉ-MARIA ROMAN, c.m., San Vincenzo de' Paoli. Biografia (Ediz. Jaka Boote, 1986), pp.

88s. Vedere Abelly III, XI, 118-119. Calvet scrive a questo proposito: "Egli fece il voto di

donarsi totalmente e per sempre al servizio dei poveri. Subito la tentazione scomparve..." (Saint

Vincent de Paul, Albin Michel 1948, p. 57). P. Dodin sostiene che Vincenzo fece in quel

momento "il voto di consacrarsi, per tutta la vita, al servizio dei poveri" e che la sua esistenza fu 

da allora segnata dal dono totale di se stesso a Dio e da una stabilità derivata dal fatto che egli

aveva trovato il suo equilibrio psicologico" (Mission et Charité 1969, n. 35-36, pp. 132-133).

3 Coste V, 4b7: Lettera del 29 ottobre 1655 a Edme Jolly, Superiore a Roma.

4 SVit X, 659 (Coste XII, 417): Conferenza del [12 dicembre 1659] su La Castità.

5 SVit X, 150 (Coste XI, 163): Brano di Conferenza su La Povertà

6 SV, Conf. FdC, 851 (Coste IX, 519): Conferenza del 7 agosto 1650 Sull'Obbedienza.

7 SVit X, 410 (Coste XII, 77): Conferenza del 6 dicembre 1658 su Il fine della Congregazione

della Missione.

8 SVit X, 431 (Coste XII, 107-108): Conferenza del 13 dicembre 1658 su I membri della

Congregazione della Missione.

9 GMV = Gioventù Mariana Vincenziana; MI.SE.VI. = Missionari Secolari (Laici)

Vincenziani.

10 Coste XIII, 198: Contratto di fondazione della Congregazione della Missione, 17 aprile

1625.

11 Coste XIII, 203-205: Atto di associazione dei primi Missionari, 4 settembre 1626.

12 Gv 15, 16.

13 Regole Comuni delle Figlie della Carità, 1.1.

14 SVit X, 448 (Coste XII, 130): Conferenza del 21 febbraio 1659 su La ricerca del Regno di

Dio.

15 Regole Comuni delle Figlie della Carità, 1.1.

16 Coste XIII, 423: Carità di donne di Chatillon-les-Dombes, novembre e dicembre 1617.

17 SVit X, 555-556 (Coste XII, 274). Conferenza del 30 maggio 1659 su La Carità.

18 Regole Comuni della Congregazione della Missione II, 12. Cfr. Mt 6,12; Rm 12, 3-15; Ef

4,2.

19 SVit X, 556 (Coste XII, 274-275): Conferenza del 30 maggio 1659 su La Carità.

20 Cfr. la sua teoria ineguagliabile "sulla condiscendenza e la tolleranza" in SV, Conf FdC,

1971ss. (Coste X, 477): Conferenza del 30 maggio 1658 Sulla condiscendenza e reciproca

tolleranza.

21 Gal 6,2.

22 SV, Conf. FdC, 368 (Coste IX, 226): Conferenza tenuta tra il 1634 e il 1646 Sulla

riconciliazione.

23SV, Conf. FdC, 1951 (Coste X, 464): Conferenza del 4 marzo 1658 su Carità reciproca,

dovere della riconciliazione.

24 SV, Conf. FdC. 1967 (Coste X, 474): Id.

25 Coste XIV, 126: Regolamento spontaneo di Chàtillon, 23 agosto 1617.

26 SV, Conf. FdC, 2211 (Coste X, 623): Conferenza dell'8 dicembre 1658 su Recita del

Rosario, impiego delle domeniche e feste.

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http://www.sanvincenzoitalia.it/download/sussidi_formativi/2011%20-%202012.pdf

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San Vincenzo De Paoli (1581-1660), di P. Gerry Armani

SAN VINCENZO DE PAOLI

1581 – 1660

Gli anni dell’illusione

«Madre mia, l’assicurazione che m’ha dato il signor de

Saint-Martin della vostra buona salute, mi ha tanto

rallegrato quanto invece mi affligge il do–ver rimanere

ancora in questa città per riaver l’occasione di un mio

avanzamento (che i disa–stri mi hanno tolto), perché non

posso venir da voi ad usarvi quei servizi che vi devo. Ma

spero tanto nella grazia di Dio, ch’egli benedirà la mia fatica

e mi darà presto il modo di ritirarmi ono–ratamente e

passare il resto dei miei giorni con voi. Ho parlato dei miei

affari col sig. de Saint-Martin, il quale mi ha affermato di

voler succe–dere al sig. de Comet nell’usarmi la

benevolenza e l’affetto che questi si compiacque

dimostrarci. L’ho pregato di comunicare a voi tutto ciò»

Gli anni della conversione

- La calunnia

- Dono di 15.000 lire fatto all’Ospedale della Carità

- La prova della fede

I Grandi Maestri: Bérulle, Duval,…

Le Tre grandi Fondazioni:

- Le Charités

- I Preti della Missione

- Le Figlie della Carità


L’Amore

Amore affettivo – Amore effettivo

«L’amore affettivo è la tenerezza nell’amore. Dovete amare

Nostro Signore teneramente e af–fettuosamente, come un

bambino che non può separarsi da sua madre e chiama:

“Mamma” appena la vede allontanarsi. Così un cuore che

ami Nostro Signore non può tollerare la sua assenza e si

stringe a lui con questo amore affettivo, il quale produce

l’amore effettivo. Poiché il primo non basta; bisogna averli

ambedue. Bisogna dal–l’amore affettivo passare all’amore

effettivo, che è l’esercizio delle opere della carità, il servizio

dei poveri eseguito con gioia, coraggio, costanza e amore ».

«Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma a spe–se delle

nostre braccia, con il sudore della no–stra fronte. Poiché

molto spesso, tanti atti di amor di Dio, di compiacenza, di

benevolenza e altri simili affetti e pratiche interiori di un

cuore tenero, sebbene buonissime e desiderabilissime, sono

nondimeno sospette, quando non giungono alla pratica

dell’amore effettivo. “In questo, dice Nostro Signore (Gv 15,

8), sarà glorificato il Pa–dre mio, se produrrete frutti

copiosi”. Dobbia–mo badarvi; perché molti, per avere un

buon contegno ed essere intimamente pieni di grandi

sentimenti di Dio, credono di avere fatto tutto; e quando si

arriva al dunque e si trovano nel–l’occasione di operare

vengono meno. Si lusin–gano con la loro immaginazione

eccitata; si contentano delle soavi conversazioni che hanno con Dio

nell’orazione, ne parlano, anzi, come angeli ma usciti di lì,

se si tratta di lavorare per Id–dio, di soffrire, di mortificarsi,

d’istruire i po–veri, di andare a cercare la pecorella

smarrita, di essere lieti se sono privi di qualche cosa, di

accettare le malattie o qualche disgrazia, ahimé! non c’è più

nulla, il coraggio manca. No, no, non c inganniamo: Totum

opus nostrum in operatione consistit (tutto il nostro fare è

nell’azione) ».

La situazione della Francia

«Oserò [..] esporre lo stato miserabile e cer–tamente

degnissimo di pietà della nostra Fran–cia? La casa reale

divisa da dissensi; il popolo scisso in opposti partiti; le città

e le province rovinate dalle guerre civili; le borgate, i

villaggi e i castelli abbattuti, rovinati e bruciati; i conta–dini

messi nell’impossibilità di raccogliere qualche hanno

seminato e di seminare per gli anni futuri. I soldati si

permettono impunemente tut–te le angherie. Il popolo è

esposto da parte sua non solamente alle rapine e al

brigantaggio, ma anche agli assassini e ad ogni sorta di

torture; gli abitanti della campagna che non vengono col–

piti dalla spada muoiono più degli altri, sono trattati

inumanamente e crudelmente torturati e messi a morte; le

vergini sono da essi disonorate; le religiose stesse esposte

al loro libertinaggio e furore; i templi profanati, saccheggiati

o distrut–ti; quelli rimasti in piedi sono per lo più abban–

donati dai loro pastori, e quindi il popolo è quasi privo dei

sacramenti, delle messe e di ogni altro aiuto spirituale ... E’

poco udire e leggere que–ste cose, bisogna vederle e

costatarle coi propri occhi».

L’incontro con il povero

Girare la medaglia

«Non devo considerare un povero contadino o una povera

donna dal loro aspetto, né dalla loro apparente mentalità;

molto spesso non han–no quasi la fisionomia, né

l’intelligenza delle per–sone ragionevoli, talmente sono rozzi

e materiali. Ma rigirate la medaglia, e vedrete con i lumi

della fede che il Figlio di Dio il quale ha vo–luto essere

povero, ci è raffigurato da questi po–veri; Egli non aveva

quasi le sembianze d’uomo, nella sua passione, e passava

per pazzo nella men–te dei pagani e per pietra di scandalo

in quella dei giudei; eppure egli si qualifica l’evangelizza–

tore dei poveri: Evangelizare pauperibus misit me (Lc 4,

18). O Dio! Quanto è bello vedere i poveri, se li

consideriamo in Dio e con la stima che egli ne aveva! ma se

li guardiamo secondo i sentimenti della carne e dello spirito

mondano, ci sembrano disprezzabili».

La “Visita”

«Perciò, siete destinate a rappresentare la bontà di Dio

verso quei poveri malati. Orbene, siccome questa bontà si

comporta con gli afflitti in modo dolce e caritatevole, anche

voi dovete trattare i malati come questa medesima carità

insegna, ossia, con dolcezza, carità ed amore, compatendo i

loro mali, ascoltando i loro lamenti come una buona madre

deve fare; perché essi vi considerano come loro nutrici e

come persone mandate da Dio per assisterli.

Siate premurosissime per tutte le loro necessità. Sopportate

i loro piccoli malumori, incoraggiateli a soffrire bene per

amore di Dio, non vi irritate mai, né abbiate per essi parole

dure: è già abbastanza quello che hanno da soffrire.

Pensate che voi siete per essi l’angelo custode visibile, il

babbo e la mamma, e non li contrariate in nulla, tranne in

ciò che può esser loro nocivo, ché, in tal caso, sarebbe una

vera crudeltà fare altrimenti. Piangete con essi: Dio vi ha

eletto ad essere la loro consolazione.

Dovete visitare i poveri con lo spirito che vor–reste vedere

in chi visitasse voi, trovandovi nelle medesime condizioni; e,

inoltre, nella fede di visi–tare in essi Nostro Signore.

Sono i vostri padroni, e anche i miei. Oh! sono davvero

grandi signori, in paradiso! Spetta a loro aprirne la porta,

come è detto nel vangelo.

Entrando nelle camere dei malati, raffigura–tevi in essi Gesù

Crocifisso …

Vicino a morire, nostro Signore desiderò di essere

confortato, e fu per lui un dolore estremo non essere

compatito sulla croce…

Quando andiamo a visitare i poveri dobbiamo

immedesimarci nei loro sentimenti per soffrire con loro… in

modo che non ricada su noi il lamento che Nostro Signore

ha fatto per bocca di un profeta: Ho aspettato che qualcuno

compa–tisse i miei dolori e non l’ho trovato (Sal. 68,21).

Bisogna perciò cercare d’intenerire i nostri cuori e renderli

sensibili alle pene e alle miserie del prossimo, e pregar Dio

di darci il vero spirito di misericordia, che è veramente lo

spirito suo; perché, come dice la Chiesa, la caratteristica di

Dio è di usar misericordia e darne lo spirito.

Dio ci faccia la grazia di intenerire i nostri cuori verso i

miserabili e di credere che, soccor–rendoli, facciamo opera

di giustizia e non di mi–sericordia. Sono nostri fratelli che

Dio ci coman–da di assistere; facciamolo dunque come

incari–cati da Lui e nel modo insegnatoci dal Vangelo. Non

diciamo più: Sono io che faccio quest’opera buona; poiché

ogni bene deve essere fatto in no–me di Nostro Signore

Gesù Cristo»

I poveri sono i nostri padroni

«I poveri sono i nostri padroni, sono i nostri re; dobbiamo

obbedirli. E non è una esagerazione chiamarli così, perché

nei poveri c’è il Signore.

Egli infatti ha detto: “Quello che farete al più piccolo dei

miei, lo considererò come fatto a me stesso” (Mt. 25,44).

Per conseguenza il Si–gnore è effettivamente nel malato che

riceve i vostri servizi

Quel servizio lo rendete al Signore, che lo considera come

fatto a se stesso: “Con lui io sto nell’angustia” (Sal. 90,15).

Se è malato, lo sono anch’io; se è in prigione, vi sono

anch’io; se ha i ferri ai piedi, li ho anch’io insieme a lui.

Andate a vedere i poveri forzati in catene, vi troverete Dio.

Servite i bambini, vi troverete Dio. Andate in povere

casupole, vi trovate Dio.

Non dovete considerare i poveri dal loro aspet–to o dalla

loro apparente mentalità: molte volte non hanno quasi la

fisionomia, né l’intelligenza delle persone ragionevoli,

talmente sono rozzi e materiali. Ma rigirate la medaglia e

vedrete con la luce della fede, che il Figlio di Dio, il quale ha

voluto essere povero, è in essi raffigurato.

Che gioia servire la persona di Gesù Cristo nelle sue povere

membra!»

LE CINQUE VIRTÙ

1. La dolcezza

«I pensieri aspri sono opera del maligno, quelli del Signore

sono dolci e soavi»

«L’asprezza non serve che ad inasprire»

«Non c’è nessuno più costante nel bene di coloro che sono

miti e benigni; mentre coloro che si lasciano trasportare

dalla collera e dalle passioni sono ordinariamente molto

incostanti, perché non operano se non a capriccio e impul–

sivamente. Sono come torrenti che non hanno for–za ed

impetuosità se non nei loro straripamenti e subito dopo si

prosciugano …»

2. L’umiltà

«Quanto è bella e piacevole questa virtù in coloro che

cercano continuamente di umiliarsi; quanta pace godono e

quanto sono stimati!

Queste anime sono sempre contente, e la gioia si riflette sul

loro volto, perché lo Spirito Santo che risiede in loro, li

ricolma di pace, in modo che nulla può turbarle»

«Appena un cuore è vuoto di se stesso, Dio lo riempie; Dio

rimane e opera lì dentro. Il desiderio della propria

confusione è quello che ci vuota di noi stessi, è l’umiltà, la

santa umiltà; allora non saremo più noi, che agiremo, ma

Dio in noi. E tutto andrà bene»

3. La mortificazione

«Con la mor–tificazione dobbiamo strappare da noi quello

che dispiace a Dio; con essa porteremo la croce dietro a

Gesù e la porteremo ogni giorno, come egli co–manda, se

ogni giorno ci mortificheremo.

Piaccia a Dio farci la grazia di renderci somi–glianti ad un

buon vignaiolo che porta il coltello in tasca, con il quale

taglia tutto quello che trova di nocivo nella sua vigna! . In

pari modo noi dobbiamo tagliare continuamente con il

coltello della morti–ficazione i cattivi prodotti della natura

guasta, che non si stanca mai di germogliare i rami della

sua corruzione…»

4. La semplicità

«Chi cammina nella semplicità può andar si–curo. Invece

quelli che usano cautele, o doppiezze vivono sempre nel

timore che la loro simulazione venga scoperta e nessuno si

fidi più di loro»

«Il mondo è immerso nella doppiezza. A sten–to si trova

oggi un uomo che parli come pensa. Da ogni parte non si

vede che artificio e finzione»

«Tutti amano i semplici, le persone candide, che non usano

astuzie né imbrogli, che vanno alla buona e parlano

sinceramente, in modo che tutto quello che dicono

corrisponde a quello che hanno nel cuore»

5. La passione per tutto l’uomo

«Non mi basta amare Dio, se anche gli altri non lo amano”

Essere uomini e donne di preghiera

«Datemi un uomo d’orazione e sarà capace di tutto; egli

potrà dire con il santo Apostolo: “Posso tutto in Colui che mi

sostiene e mi conforta”… perché l’orazione è come un

baluardo inespugnabile che mette il missionario al riparo da

ogni sorta di attacchi; è un mistico arsenale…»

«I giardinieri.innaffiano due volte al giorno le piante del loro

giardino, le quali senza tale cura morirebbero durante i

grandi calori…

Noi siamo come quei poveri giardini …

Da ciò la necessità della preghiera, la quale, come dolce

rugiada viene tutte le mattine ad umettare l’anima con la

grazia di Dio, che essa vi attira. Se siete stanchi per gli

incidenti della giornata e per le pene, avete parimenti la

sera questo salutare ristoro, che dà vigore a tutte le vostre

azioni.

La preghiera è una elevazione del nostro spirito a Dio:

l’anima si distacca quasi da sé per andare in cerca di Dio. È

un colloquio dell’anima con Dio. È una relazione reciproca.

La preghiera è il cibo dell’anima. È come una persona che si

contentasse di prendere i pasti ogni tre o quattro giorni:

cadrebbe presto in uno stato di debolezza e sarebbe in gran

pericolo di morire…

La preghiera è una predicazione che si fa a se stessi, per

convincersi del bisogno che si ha di ricorrere a Dio…

La preghiera è necessaria all’anima come l’aria all’uomo o

l’acqua al pesce per vivere. Come gli uomini non possono

vivere senz’aria, ma muoiono quando ne sono privi, così

l’anima non può vivere dello spirito della grazia senza la

preghiera

La preghiera è una fontana favolosa dove l’anima

ringiovanisce.

La preghiera è una fortezza inespugnabile…»

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FILM:

"Monsieur Vincent " (1947) - Trailer | vídeos - FilmAffinity

AMDG et DVM

L'enorme Drago rosso



Santuario di Tindari, 14 maggio 1989 – Solennità di Pentecoste

 


L’enorme Drago rosso

«Figli prediletti, oggi adorate ed invocate lo Spirito Santo, disceso nella Pentecoste sopra gli apostoli ed i discepoli, riuniti con Me nel Cenacolo di Gerusalemme. Lo invocate ancora in questi vostri tempi, con fiducia e con perseveranza, riuniti con Me nei Cenacoli di preghiera, che ormai si sono diffusi in ogni parte della terra. Con il mio Movimento Sacerdotale Mariano invito oggi tutti i figli della Chiesa a riunirsi in un Cenacolo perenne di preghiera con me, vostra Mamma Celeste. Invito tutti i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli.

Il mio Cuore Immacolato è il luogo di questo nuovo, spirituale ed universale Cenacolo. In esso dovete entrare con il vostro atto di consacrazione, che vi affida per sempre a Me, affinché Io possa unire la mia voce alle vostre nell'invocare sulla Chiesa e su tutta l'umanità il Dono di una seconda Pentecoste.

Solo lo Spirito del Signore può riportare l'umanità alla perfetta glorificazione di Dio.

Solo lo Spirito del Signore può rinnovare la Chiesa con lo splendore della sua unità e della sua santità.

Solo lo Spirito del Signore può vincere la potenza e la forza vittoriosa dell'enorme Drago rosso, che, in questo vostro secolo, si è scatenato ovunque, in maniera terribile, per sedurre ed ingannare tutta l'umanità.

L'enorme Drago rosso è il comunismo ateo, che ha diffuso in ogni parte l'errore della negazione e dell'ostinato rifiuto di Dio.

L'enorme Drago rosso è l'ateismo marxista, che si presenta con dieci corna, cioè con la potenza dei suoi mezzi di comunicazione, per condurre l'umanità a disubbidire ai dieci comandamenti di Dio, e con sette teste, su ciascuna delle quali vi è un diadema, segno di potere e di regalità.

Le teste incoronate indicano le nazioni in cui il comunismo ateo si è stabilito e domina con la forza del suo potere ideologico, politico e militare.

L'enormità del Drago manifesta chiaramente la vastità della terra occupata dal dominio incontrastato dell'ateismo comunista. Il suo colore è rosso perché usa le guerre ed il sangue come strumenti delle sue numerose conquiste.

L'enorme Drago rosso è riuscito in questi anni a conquistare l'umanità con l'errore dell'ateismo teorico o pratico, che ha ormai sedotto tutte le nazioni della terra. si è. riusciti così a costruire una nuova civiltà senza Dio, materialista, egoista, edonista, arida e fredda, che porta in sé i germi della corruzione e della morte.

L'enorme Drago rosso ha il compito diabolico di sottrarre tutta l'umanità al dominio di Dio, alla glorificazione della Santissima Trinità, alla piena attuazione del disegno del Padre che, per mezzo del Figlio, l'ha creata per la sua gloria.

Il Signore mi ha rivestita della sua Luce e lo Spirito Santo della sua divina potenza, così Io appaio come un grande segno nel cielo, Donna vestita di sole, perché ho il compito di sottrarre l'umanità al dominio dell'enorme Drago rosso e riportarla tutta alla perfetta glorificazione della Santissima Trinità. Per questo mi formo la schiera dei miei più piccoli figli, in ogni parte del mondo, e ad essi domando che si consacrino al mio Cuore Immacolato.Così li conduco a vivere solo per la gloria di Dio, per mezzo della fede e della carità, e li coltivo Io stessa gelosamente nel mio celeste giardino.

Allora ogni giorno Io mi presento davanti al trono del mio Signore in atto di profonda adorazione, apro la porta d'oro del mio Cuore Immacolato, offro fra le mie braccia tutti questi miei figli dicendo: "Santissima e divina Trinità, nel momento della tua universale negazione Io ti presento l'omaggio della mia materna riparazione, per mezzo di tutti questi miei piccoli che ogni giorno formo alla tua più grande glorificazione". Così ancora oggi il Signore dalla bocca dei bambini e dei lattanti riceve la sua lode perfetta».

 

 

Storia del Movimento Sacerdotale Mariano

Libro Ai Sacerdoti figli prediletti della Madonna

IL VENERABILE FRANCESCO CHIESA

P. STEF. IGINO SILVESTRELLI

Un prete impossibile?

IL VENERABILE

FRANCESCO CHIESA

MEDITAZIONE

EDIZIONI CASA DI NAZARETH

Imprimatur.

Dal Vicariato di Roma, 28 settembre 1992.

Mons. Paolo Gillet Segretario Generale. 

1ª Edizione 1992 <189> EDIZIONI CASA DI NAZARETH

viale Vaticano, 50 00165 ROMA CCP 42867002


Presentazione

* Infiammato dal desiderio di portare ogni possibile contributo alla

santificazione dei sacerdoti, il p. Stef. Igino Silvestrelli pubblica

un nuovo libro: «Un prete impossibile? Il venerabile Francesco

Chiesa», del presbiterio della diocesi di Alba.

Il genere letterario è originale; non è una biografia: è una

`meditazione'. Tutti i vari punti della vita, dell'ascetica, della

pastorale di un sacerdote fedele vengono richiamati in brevi

capitoli, dove lo sfondo è la parola di Dio o il magistero della

Chiesa e la vita del venerabile è la riprova che quello che Dio ha

chiesto ai sacerdoti è possibile, è aperto a tutti, dà le vere gioie

sacerdotali, rende fecondo il loro sacerdozio.

* Il titolo può apparire quasi strano: «Un prete impossibile?». Il

senso è semplice e di grande efficacia per tutti. Ogni sacerdote di

vera vocazione, se si affida a Gesù e alla Chiesa, nella piena

disponibilità allo Spirito Santo, può con una vita semplice,

apparentemente ordinaria, diventare un sacerdote pienamente fedele,

santo e un apostolo.

* Nella vita del can. Francesco Chiesa non appaiono fatti

carismatici, fenomeni mistici impressionanti ovvero il fascino di una

personalità trascinatrice o incarichi ecclesiali di alto prestigio.

* Fu insegnante in seminario, docente di teologia dogmatica e di

altre materie nel seminario di Alba, canonico e parroco di una grossa

parrocchia cittadina, rettore del seminario diocesano.

* E’ un prete dalla vita ordinaria, uomo di preghiera, eucaristico,

devotissimo della Madonna, fedele, obbediente, infiammato per le

anime a lui affidate.

* E’ un prete umile, ma creativo e intraprendente al massimo, che non

si affida a se stesso, ma solo alla grazia di Dio.

* E’ un prete che accetta la croce, che crede che «il grano di

frumento solo se muore porta frutto» (cf. Gv 12, 24).

* Ma tutto questo è quello che deve fare ogni buon sacerdote.

* Il can. Chiesa fu santo perché, avendo una visione altissima del

sacerdozio, cercò di viverne in umile ma eroica fedeltà lo spirito.

Siano permessi alcuni piccoli riferimenti.

* Il suo spirito eucaristico: cos'era per lui la Messa, la Comunione,

l'Adorazione!

* Lo spirito di preghiera, il bisogno della grazia prima di ogni

importante servizio sacerdotale (avanti di salire in cattedra per

insegnare teologia era sua abitudine fare un'ora di adorazione).

La bontà e il bisogno di amore: «Se è vero, Signore, che mi avete

dato un cuore per amare, fatemi amare molto, fatemi amare

ardentemente, efficacemente, potentemente; ma fatemi amare

ordinatamente».

* La visione chiara che per operare efficacemente occorre circondarsi 

di anime di preghiera: «Prima di fare delle opere, assicurarsi un

gruppo proporzionato di anime che preghino, e, se necessario, si

immolino per le opere stesse, se vuoi che siano vitali».

Ebbe dal Signore anche alcuni doni particolari: una profonda dottrina

teologica; una capacità di insegnare la teologia che non solo

illuminasse le menti, ma infiammasse di fede il cuore dei suoi

alunni; una grande capacità di rendere comprensibili e illuminanti

anche per l'umile popolo tutte le verità della fede. Sono novantasei

i libri e grossi opuscoli da lui pubblicati, oltre a un migliaio di

articoli.

* Ma non per questo fu santo.

* Malato, prossimo a morire, disse: «Io sono un pastore di anime; ora

non posso più lavorare per esse. Gesù, buon Pastore, ha dato la sua

vita per le pecorelle: non è questo ora il mio dovere di offrire la

vita e di accettare la morte per i miei parrocchiani? Faccio di cuore

questa offerta».

* Un santo sacerdote suo amico si diceva convinto che il can. Chiesa

vivesse «quasi in un continuo colloquio con Dio».

* Tutti gli episodi ricordati nel libro di p. Silvestrelli e la

fedele narrazione della sua vita conducono ad una conclusione sempre

presente in tutti gli scritti di p. Silvestrelli e a lui così cara:

essere sacerdote fedele, uomo di Dio, pastore veramente secondo il

suo cuore, no, non è impossibile. La vita del can. Chiesa ne è una

dimostrazione lampante. Il suo esempio è mèta aperta a ogni sacerdote

sincero, che sia innamorato del suo sacerdozio.

* E questi sono anche i preti felici, di cui più volte amava parlare

il can. Chiesa. Un testimone al processo di beatificazione disse che

lui il can. F. Chiesa fu sempre un prete felice.

Prato, 20 agosto 1992.

?????? Pietro Fiordelli

Vescovo emerito di Prato

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Al carissimo

padre Stefano Lamera,

quale piccolo segno

di grande riconoscenza

e pari affetto.

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Quando Francesco confidò alla mamma l'idea di ‘fare il parroco’ non

aveva più di nove anni. Non fu un sogno infantile, ma la chiamata

dall'Alto. Sacerdote per quasi 50 anni, parroco per 33 anni, tre

volte laureato, insegnò per oltre 50 anni, e divenne incomparabile

forgiatore di `apostoli'.


Asceta e mistico, nell'attività fu un torrente in piena: «E’ per

essere pastore, padre e amico che io vengo in mezzo a voi. D'ora

innanzi non sarò più mio, sarò vostro; quello che ho... sarà tutto

per voi, come una povera candela che arderà e si consumerà per voi»:

queste le formali promesse a cui tenne fede senza cedimenti.


Un Prete impossibile? No, un Prete veramente possibile, dal giorno in

cui si consegnò alla portentosa ‘Gratia Capitis’ di cui grondano le

mani consacrate del Sacerdote. Si compiono così le parole profetiche:

«Vi darò pastori secondo il mio cuore, i quali vi guideranno con

scienza e intelligenza» (Ger 3, 15).

Scrive Giovanni Paolo II: «La promessa di Dio è di assicurare alla

Chiesa non pastori qualunque, ma pastori secondo il suo cuore. Il

cuore di Dio si è rivelato a noi pienamente nel cuore di Cristo buon

pastore... La Chiesa desidera, di fronte alle gravi e urgenti 

necessità proprie e del mondo, che sulle soglie del terzo millennio

questa divina promessa si compia in un modo nuovo, più ampio,

intenso, efficace». Il Cielo doni ancora simili Pastori, fatti

secondo il Cuore sacratissimo.

http://www.padresilvestrelli.it/page/libri/UNPRETEIMPOSS.pdf