Parliamo dunque delle tre vocazioni e delle loro note distintive. La prima vocazione viene da Dio, la seconda viene dall’uomo, la terza dalla necessità.
La vocazione viene direttamente da Dio quando egli manda al nostro cuore un’ispirazione che può sorprenderci anche nel sonno, svegliarci all’improvviso con un grande desiderio della vita eterna e della nostra salvezza, sollecitandoci a seguire Dio e ad essere fedeli ai suoi comandi con salutare compunzione.
Tale fu la vocazione di Abramo. Leggiamo nella sacra Scrittura che egli fu invitato dalla voce del Signore ad abbandonare la terra natale, gli affetti familiari, la casa stessa di suo padre: ”Esci dalla tua terra, dalla tua famiglia, dalla casa di tuo padre » (Gen. 12, 1).
Nello stesso modo sappiamo che fu chiamato il beato Antonio: l’occasione della sua conversione venne unicamente da Dio. Entrò un giorno in una chiesa e udì queste parole di Gesù: « Chi non odia suo padre e sua madre e la moglie e i figli e i fratelli e le sorelle e perfino la sua vita, non può essere mio discepolo » (Lc 14, 26.. Udì pure le altre parole: « Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e donalo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi » (Mt. 19, 29). Antonio pensò che quel comando del Signore fosse rivolto proprio a lui, lo ricevette con la più grande compunzione del cuore e subito, senza che esortazione umana o insegnamento umano lo sollecitasse, abbandonò tutto ciò che possedeva e si mise a seguire il Maestro divino.
La seconda vocazione è quella che nasce - come già è stato detto - con la mediazione degli uomini. Sono allora gli esempi dei santi e le esortazioni delle persone pie che accendono nel cuore il desiderio della salvezza. Anch’io, per la grazia del Signore, credo di essere stato chiamato così. Commosso dagli insegnamenti e dagli esempi del beato Antonio, mi consacrai alla solitudine e alla professione della vita monastica. In modo simile, secondo quanto leggiamo nelle sacre Scritture, i figli d’Israele furono liberati dalla schiavitù d’Egitto, con l’intervento di Mosè.
La terza vocazione nasce da necessità. Mentre viviamo tutti attaccati alle ricchezze e ai piaceri del mondo, all’improvviso cade su di noi una dura prova; è forse un pericolo di morte che ci minaccia, è forse la perdita o la proscrizione dei nostri beni a percuoterci, è forse la morte di persone care che ci riempie di dolore. In queste circostanze, noi, che non avevamo voluto seguire Dio nella prosperità, siamo spinti verso di lui dal dolore.
Di questa, che chiameremo « vocazione per forza », troviamo molti esempi nella sacra Scrittura, là dove leggiamo che i figli d’Israele a causa dei loro peccati, furono dati nelle mani dei nemici e sotto la loro crudele tirannia si convertirono. Ecco qualche esempio del libro Sacro: « E alzarono la voce verso il Signore, il quale suscitò loro un salvatore di nome Aod, figlio di Gera, figlio di Jemini, che era ambidestro » (Gdc 3, 15). E altrove si legge: « Gridarono allora al Signore e questo suscitò, per salvarli e liberarli, Otoniele figlio di Cenez, il fratello minore di Caleb » (Gdc 3, 9). Anche nei Salmi si trovano casi analoghi: «Quando li uccideva lo cercavano, e tornavano, e di buon mattino correvano a lui, e si ricordavano che Dio era il loro aiuto » (Sal 77, 34-35). E altrove: « E gridarono al Signore nella loro tribolazione e dalle angustie loro li strappò » (Sal 106, 6).
Il messaggio di Fatima si compie. «Accolgo con gioia l'omaggio del Movimento Sacerdotale Mariano, che mi offri, in questo giorno che ricorda il venticinquesimo anniversario della sua nascita. Ti trovi qui, nel medesimo luogo, davanti alla Cappellina delle Apparizioni, dove Io ho svelato al tuo cuore il grande disegno di amore e di misericordia del mio Cuore Immacolato. Ti ho scelto, mio piccolo e povero bambino, per essere tu stesso Io strumento di questo mio disegno. Così, in questi anni, Io ti ho condotto in ogni parte del mondo e, con fatiche e sofferenze senza numero, hai visitato più volte tante nazioni dei cinque continenti. Ora il mio disegno sta per compiersi. Con il mio Movimento Sacerdotale Mariano ho chiamato tutti i miei figli a consacrarsi al mio Cuore Immacolato. - È il Messaggio di Fatima che si compie e si sta realizzando in ogni parte, per l'azione misericordiosa della vostra Mamma Celeste. Con esso Io ho domandato la consacrazione al mio Cuore Immacolato, come mezzo sicuro per ottenere la conversione del cuore e della vita, e ricondurre l'umanità sulla strada del suo pieno ritorno al Signore. Per mezzo del mio Movimento Sacerdotale Mariano questa consacrazione, da Me voluta e richiesta, viene ormai fatta in tutte le parti della terra. Così Io ho potuto formarmi la schiera dei miei piccoli bambini, con la quale porterò a compimento la mia più grande vittoria. - È il Messaggio di Fatima che si compie nella diffusione, ormai a livello mondiale, dei Cenacoli, che Io vi ho domandato, per raccogliervi nella preghiera fatta con Me e per mezzo di Me. Con grande gioia accolgo oggi dalle tue mani, mio piccolo figlio, l'omaggio che mi offri di questi Cenacoli, che si sono moltiplicati in ogni parte, fra i sacerdoti ed i fedeli, fra i bambini, i giovani, soprattutto nelle famiglie. Con questi Cenacoli, voi potete ottenere la grazia della conversione per tanti poveri peccatori, specialmente per i più bisognosi della divina misericordia. Con questi Cenacoli, voi offrite una grande forza di intercessione e di riparazione alla vostra Mamma Celeste, che è più volte intervenuta, in maniera straordinaria, ad abbreviare il tempo doloroso della grande prova purificatrice. Con questi Cenacoli, voi invocate il dono della seconda Pentecoste, che ormai si avvicina, perché il mio Cuore Immacolato è diventato il nuovo Cenacolo spirituale, in cui si compirà questo divino prodigio per la Chiesa e per tutta l'umanità. - È il Messaggio di Fatima che si compie nel vostro impegno di amore, di preghiera e di unità al Papa ed alla Chiesa a Lui unita. Qui Io ho predetto ed ho mostrato in visione ai piccoli bambini, a cui sono apparsa, le sofferenze, le opposizioni e le prove sanguinose del Papa. Queste mie profezie si sono compiute soprattutto in questo mio Papa Giovanni Paolo secondo, che è il capolavoro formato nel mio Cuore Immacolato. Con il vostro impegno di amore e di preghiera, voi siete il suo conforto e la sua consolazione, nel momento del suo più grande sacrificio. Con la vostra docilità ed ubbidienza, voi diventate il suo aiuto più valido, perché il suo Magistero sia ovunque accolto, ascoltato e seguito. Con la vostra unità a Lui, voi siete confermati a restare nella vera fede, nei tempi qui da Me predetti, in cui la fede si sta perdendo da molti miei figli, a causa degli errori che vengono insegnati e sempre più diffusi. Io ho fatto sorgere qui, ormai da venticinque anni, il mio Movimento Sacerdotale Mariano: perché il Messaggio di Fatima, spesso contestato e da molti rifiutato, avesse ai vostri giorni il suo pieno compimento. Questo suo compimento è necessario per voi miei figli, minacciati e percossi, perché possiate giungere alla salvezza. Questo suo compimento è necessario per la Chiesa, così ferita e crocifissa, perché, dalla sua dolorosa e sanguinosa prova, possa uscire tutta bella, senza macchie e senza rughe, ad imitazione della sua Mamma Celeste. Questo suo compimento è necessario per tutta la umanità, perché possa tornare fra le braccia del suo Padre e conoscere i tempi nuovi della sua piena comunione di amore e di vita con il suo Dio e Signore. Ormai questo mio disegno sta per compiersi con il trionfo del mio Cuore Immacolato nel mondo. Ti benedico, mio piccolo figlio, assieme al mio Papa, ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Fedeli del mio Movimento sparsi in ogni parte del mondo. Ti benedico con amore e con gioia. Ti benedico con la riconoscenza di una Mamma, che è stata da te ascoltata, seguita, consolata e glorificata».
Paolo Becchi: «Un governo Draghi per ripartire subito»
Il professore parla al DiariodelWeb.it dopo l'articolo della polemica pubblicato sul sito del Sole 24 Ore: «Perché ho scritto che il coronavirus non ha aumentato il tasso di mortalità in Italia»
Fabrizio Corgnati
«Un articolo che porta la firma di Paolo Becchi fa paura? Pura follia!» Il professore di Filosofia del diritto all'università di Genova, da tempo ormai non più ideologo del Movimento 5 Stelle, è noto per le sue posizioni schiette quanto controverse. Ma stavolta, forse, una pioggia di critiche come questa non se la aspettava neanche lui.
La bufera è scoppiata quando il sito del Sole 24 Ore ha ospitato un articolo nel quale Becchi e Giovanni Zibordi, un esperto di mercati finanziari, argomentavano come, secondo la loro analisi, il coronavirus non abbia alzato in maniera significativa il tasso di mortalità nell'intero territorio nazionale. «Il nostro intervento è opinabilissimo dal punto di vista dei dati, non discuto che possiamo aver commesso qualche errore in buona fede», ammette il professore ai microfoni del DiariodelWeb.it, che lo ha raggiunto il giorno dopo la pubblicazione del famigerato articolo. «Ma allora ci portassero altri calcoli: così funziona il dibattito scientifico. Nell'articolo scriviamo esplicitamente di aver usato i numeri di cui disponiamo».
Professor Becchi, lei e Zibordi vi aspettavate una polemica del genere? Non pretendiamo di avere la verità in tasca, abbiamo offerto una lettura diversa e provocatoria, sollevando un problema. Una volta tanto ci hanno lasciato uscire dalla gabbia, ospitandoci su un quotidiano nazionale. E per tutta risposta il comitato di redazione, che dovrebbe difendere la libertà d'espressione, è intervenuto contro il suo stesso giornale, invocando il bavaglio.
Sulla base delle statistiche che si conoscono ad oggi, voi ribadite la vostra tesi? La nostra lettura è che in certe città il virus sia stato devastante, ma che il numero di morti, a livello nazionale, non sia aumentato di molto. L'Istat ha solo scritto che in alcuni Comuni c'è stato il 20% di morti in più, ma le statistiche nazionali non sono ancora apparse. E finché tali statistiche, eventualmente, non ci smentiranno, il nostro discorso mi sembra sostenibile.
La reazione a questo suo discorso non si è fatta attendere. A parte il comunicato del comitato di redazione, su Twitter ho ricevuto messaggi pieni di insulti da noti giornalisti. Mi accusano di non avere alcun rispetto per i morti: ma se io stesso ho scritto una pagina intera su Libero, attaccando il modo incivile in cui il governo ha trattato i morti. Hanno chiesto le mie dimissioni da professore, perché ho scritto un articolo! Questi sono reati d'opinione, degni di un regime dittatoriale. Qualcuno mi ha scritto addirittura che dovrei ritrattare le mie stesse parole.
Invece lei non ritratta: continua a pensare che l'isolamento forzato deciso dal governo italiano non sia la strada più giusta da seguire? Prima di tutto, è l'informazione mainstream a sostenere che tutti i Paesi del mondo si stanno comportando come l'Italia. Ma questo non è vero. La Germania, ad esempio, sta adottando un sistema diverso: intere famiglie possono andare a passeggiare, gli anziani soli hanno diritto che qualcuno li accompagni se hanno voglia di uscire, addirittura i single possono accogliere in casa i loro fidanzati o partner. Insomma, le regole tedesche sono restrittive, certo, ma comunque umane, non demenziali come le nostre. Restare completamente isolati non fa bene.
Insomma, non tutti hanno fatto come noi? Nessuno ha fatto come noi, se non la Cina. Abbiamo imitato il modello più autoritario e totalitario, non a caso quello di un Paese che in quanto a democrazia lascia molto a desiderare.
E secondo lei perché si è scelto questo modello? Credo che il controllo della situazione sia stato messo nelle mani di qualche virologo, molto alla moda, che passa molto più tempo in televisione che in laboratorio. A mio avviso, il potere politico si è lasciato strumentalizzare da questi pareri, che poi hanno gettato nel panico l'intera popolazione.
Forse perché a questo potere politico manca l'autorevolezza? È chiaro. Come ho scritto, per affrontare l'emergenza, sia sanitaria che economica, non basta un governo nato da un pasticcio estivo. L'esecutivo attuale è formalmente legale, ma sostanzialmente illegittimo, perché non è espressione del voto popolare. E oltretutto ha sbagliato tutto nella gestione dell'emergenza, anche se purtroppo non vedo un'opposizione sufficientemente dura nei suoi confronti.
Ci vorrebbe un governo di unità nazionale? Io ho parlato di un governo istituzionale, ovviamente transitorio, sostenuto da tutte le forze che ci stanno. Non penso ad un esecutivo tecnico alla Monti, ma ad uno politico, guidato da una figura autorevole. Quella che mi sembra più in grado di andare in Europa a battere i pugni sul tavolo sia Mario Draghi. Del resto lui ha dimostrato di avere un suo programma, lo ha scritto pure sul Financial Times. Il vero oppositore del Mes in Italia è stato lui, con le sue politiche di quantitative easing. Si vede che è per quello che non lo vogliono.
Dunque lei concorda con le Regioni del nord, che chiedono di ripartire dal 4 maggio? Sono perfettamente d'accordo, ovviamente con attenzioni, precauzioni e controlli. Posso anticipare che nei prossimi giorni uscirà un appello, che ho firmato insieme ad una dozzina di professori, che chiederà al ministro la riapertura dell'anno accademico a partire da ottobre, invece che dal marzo 2021. L'università pubblica non può usare solamente il mezzo telematico: così le lezioni diventano esclusivamente frontali e passive.
La venerazione verso gli anziani è molto gradita a Dio, che ce la inculca dalle pagine della sacra Scrittura.
Per decreto della sua Provvidenza, Dio aveva scelto il piccolo Samuele, ma invece d'istruirlo direttamente e intraprendere un colloquio con lui, lo mandò una e due volte dal vecchio sacerdote (1 Sam 3). Dio volle che questo fanciullo, chiamato a diventare il suo confidente, fosse istruito da un uomo, che per giunta era in colpa: Dio volle così per l'unica ragione che quell'uomo era un anziano.
Il fanciullo giudicato degno di una vocazione altissima fu sottoposto alla direzione di un anziano affinché brillasse l'umiltà di chi era stato chiamato da Dio a un grande ministero, e fosse offerto alla gioventù un esempio di sottomissione.
XV - La vocazione dell'apostolo Paolo
L'apostolo Paolo fu chiamato direttamente da Cristo, ma colui che poteva, subito e senza intermediari, insegnargli la via della perfezione, preferì indirizzarlo ad Anania e fargli imparare da quello la via della verità. " Alzati - disse il Signore - entra in città, e là ti sarà detto quello che devi fare " (At 9, 6).
Se Dio indirizza anche Saulo a un anziano, e preferisce metterlo a quella scuola anziché istruirlo direttamente, lo fa per evitare che l'intervento diretto- spiegabile nel caso di Paolo - possa in seguito incoraggiare la presunzione. Il pericolo era che tutti avessero a persuadersi di non avere (come l'Apostolo) altra guida o maestro all'infuori di Dio, e non volessero formarsi alla scuola degli anziani.
Quanto sia da detestare la presunzione, l'apostolo stesso ce lo insegna, non solo con le parole, ma con le opere e con l'esempio. Egli infatti afferma di essersi recato a Gerusalemme unicamente per confrontare ed esaminare - in un incontro privato ed amichevole con i fratelli e predecessori nell'apostolato - il Vangelo che predicava tra i pagani, con accompagnamento di prodigi derivanti dalla grazia dello Spirito Santo. Ecco le sue parole: " Esposi loro il Vangelo quale lo predico ai Gentili, nel pensiero che io, forse, corressi o avessi corso invano " (Gal 2, 2).
Chi sarà tanto presuntuoso e cieco da volersi affidare al suo giudizio e alla sua discrezione, quando perfino il " Vaso di elezione " afferma di aver avuto bisogno di un incontro con i fratelli nell'apostolato? In questo noi abbiamo la riprova di un metodo caro al Signore: egli non manifesta la via della perfezione a chi, pur avendo la possibilità di farsi istruire, disprezza la dottrina degli anziani e le loro regole di vita, senza far caso a una parola di Dio che dovrebbe essere diligentemente ascoltata: " Interroga tuo padre e te lo insegnerà, interroga gli anziani e te lo diranno " (Dt 32, 7).
San Paolo: la caduta, la chiamata e … la conversione!
Lorenzo Cuffini
Scritto daNORMA ALESSIO.
Paolo di Tarso, mentre viaggiava verso Damasco per ottenere l’autorizzazione ad arrestare i cristiani, durante la comparizione davanti al governatore Porcio Festo [1] e al re vassallo di Roma, Marco Giulio Agrippa II, a Cesarea Marittima, racconta una prima volta che “all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». Ed egli: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Ma tu alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno.”(Atti 9,3-7)
L’evangelista Luca, una seconda volta narra in modo (quasi) uguale la “caduta di San Paolo” negli Atti degli Apostoli (22, 6-9): “verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Io risposi: «Chi sei, o Signore?». Mi disse: «Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti». Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava”.
Le azioni che sono comuni nei vari brani sono così sintetizzate: il viaggio verso Damasco, la luce abbagliante, la caduta, la chiamata. A queste gli artisti hanno dato livelli di importanza diversi e hanno introdotto in alcune loro interpretazioni i dettagli che caratterizzano i tre racconti. La presenza del cavallo, ad esempio, non è mai menzionata, tuttavia potrebbe essere logica poiché l’evento si verifica durante un viaggio ed è presumibile che Paolo non si stesse spostando a piedi. Un viaggio a piedi non è impossibile, dato che per la maggior parte dei suoi viaggi Paolo si muoverà così. In questo caso, però, ci sono alcuni elementi che possono giustificare la cavalcatura: la missione per conto del sinedrio e la fretta di compiere la missione (viaggiano nell’ora più calda!).
L’atteggiamento del cavallo e la sua collocazione nella scena sono diversificate nei vari dipinti: in quello di Caravaggio (realizzato nel 1600), è in primo piano e domina la composizione, ha ancora la schiuma alla bocca che fa pensare alla corsa avvenuta prima del fatto che l’aveva spaurito, guarda Paolo a terra nel momento in cui è già stato colpito dall’improvvisa manifestazione divina attraverso la luce, anzi adesso è Paolo stesso che la emana col gesto delle braccia aperte. Qui tutto è silenzioso e immobile.
Michelangelo, nell’affresco della Cappella Paolina (1542-45), invece, mostra lo sconvolgimento di tutti i soldati presenti come è evidenziato nel terzo racconto (Atti 26, 13-16), disposti senza un ordine e inserisce figure sospese nel vuoto senza separazione da quelle a terra: è come se tutti fossero stati coinvolti da quella chiamata “... verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo». E io dissi: «Chi sei, o Signore?». E il Signore rispose: «Io sono Gesù, che tu perseguiti.”.
Qui il cavallo c’è, ma il resto prevale.
La luce è un altro degli elementi che compare nei dipinti a rappresentare la chiamata del Gesù Risorto; infatti, in alcuni è sostituita dal volto di un Gesù dalle sembianze di Dio, che parla a Paolo.
Singolari sono due miniature nei capolettera di Bibbie, che fin dall’Alto Medioevo si decoravano per commentare visivamente il testo sacro in maniera immediata. In una di esse non compare il cavallo, nell’altra nemmeno la luce.
In quella del Beato Angelico, del XV secolo, vi è rappresentato l’essenziale: Paolo giace a terra, vestito come un cavaliere, volge lo sguardo in alto, folgorato sulla via di Damasco dalla visione di Gesù che appare come il Dio Padre avvolto da raggi di luce dorata, con una mano benedicente e l’altra a reggere il libro con le lettere Alfa e Omega e si protende in avanti, con un movimento che sembra cacciare i due soldati che fuggono stupiti dalla visione, mentre sullo sfondo emergono le mura della città di Damasco.
Ancora una singolare interpretazione di questo evento è nella miniatura, sempre di una Bibbia figurata del 1300 circa, conservata nella Koninklijke Bibliotheek dell’Aia, di autore anonimo, come spesso avviene in questa tipologia di opere. Qui addirittura i testi delle scritture hanno una libera interpretazione: Paolo non cade a terra, ma sviene sul cavallo, non viene folgorato dalla luce e la chiamata di Gesù avviene attraverso la scritta su un cartiglio che una mano (quella di Gesù) srotola e il cavallo ha un espressione corrucciata di chi pensa al “peso” che deve sostenere.
Da questi esempi possiamo trarre delle considerazioni: gli artisti, in vario modo e secondo la loro sensibilità e spiritualità, traducono e non solo raccontano le sacre scritture, ma ciò che rimane è sicuramente quanto sono in grado di stimolare delle reazioni emotive in chi osserva le loro opere, in qualunque tempo.
Leon Battista Alberti, trattatista e architetto del quattrocento, nel suo Della pittura, definì come supremo compito dell’artista la narrazione, insistendo sulla finalità morale dell’immagine, la quale deve toccare chi la vede così profondamente da influire sulla sua vita. A questo scopo invitò gli artisti a dare ai loro personaggi reazioni fisiche emotive naturali, perché, dice, “moverà l’istoria l’animo quando gli uomini ivi dipinti molto progeranno suo proprio movimento d’animo”.
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[1]Festo fu procuratore della Giudea per Nerone a partire dal 59 o 60 d.C.; Agrippa II fu sopratutto incaricato da Roma di supervisionare il Tempio di Gerusalemme