martedì 29 ottobre 2019

Nessuna forza umana potrà, come turbine, devastare la mia Chiesa al punto di distruggerla.


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"Le guerre vengono" da Satana che sa che i tempi stringono e che questa. [II guerra mondiale] è una delle lotte decisive che anticipano la mia venuta. Sì. Dietro il paravento delle razze, delle egemonie, dei diritti, dietro il movente delle necessità politiche, si celano, in realtà, Cielo e Inferno che combattono fra loro. E basterebbe che metà dei credenti nel Dio vero, ma che dico? meno di questo, meno di un quarto dei credenti,  fosse realmente credente nel mio Nome perché le armi di Satana venissero domate. Ma dove è la Fede?"
"I Quaderni del 1943", pagg. 24 - 25

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"Considera il mio Fulgore e la mia Bellezza rispetto alla nera mostruosità della Bestia. Non avere paura di guardare anche se è spettacolo repellente. Sei fra le mie braccia. Esso non può accostarsi e nuocerti. Lo vedi? Non ti guarda neppure. Ha già tante prede da seguire. Ora ti pare che meriti lasciare Me per seguire lui?.
Eppure il mondo lo segue e lascia Me per lui. Guarda come è satollo e palpitante. É la sua ora di festa. Ma guarda anche come cerca l’ombra per agire. Odia la Luce, e si chiamava Lucifero! Lo vedi come ipnotizza coloro che non sono segnati dal mio Sangue?! Accumula i suoi sforzi perché sa che è la sua ora e che si avvicina l’ora mia in cui sarà vinto in eterno. La sua infernale astuzia e intelligenza satanica sono un continuo operare di Male, in contrapposto al nostro uno e trino operare di Bene, per aumentare la sua preda.
Ma astuzia e intelligenza non prevarrebbero se negli uomini fossero il mio Sangue e la loro onesta volontà. Troppe cose mancano all’uomo per avere armi da opporre alla Bestia, ed essa lo sa e apertamente agisce, senza neppure più velarsi di apparenze bugiarde. La sua schifosa bruttezza ti spinga ad una sempre maggiore diligenza e a una sempre maggiore penitenza. Per te e per i tuoi disgraziati fratelli che hanno l’anima orba o sedotta e non vedono, o vedendolo, corrono incontro al Maligno, pur di averne l'aiuto di un’ora da pagare con una eternità di dannazione".
"l Quaderni del l943", pag. 224

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"Guai alla terra se venisse un giorno in cui l’occhio di Dio non potesse più scegliere fra i figli dell’uomo gli esseri predestinati ad essere i miei portatori di Luce e di Voce! Guai! Vorrebbe dire che fra i miliardi di uomini non vi e più un giusto e un generoso, poiché i predestinati sono fra i giusti che mai offesero Giustizia, e i generosi che hanno superato tutto, se stessi per primi, per servire Me".
"I Quaderni del 1943", pag. 409

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La Gerusalemme di cui parla Isaia è quaggiù la mia Chiesa, anticamera della celeste Gerusalemme. In essa è abbondanza non di ricchezze umane, ma di tesori divini di Perdono e di Scienza, come nella celeste Gerusalemme sono tesori divini di beatitudini. Nessuna forza umana potrà, come turbine, devastare la mia Chiesa al punto di distruggerla. Io sarò con lei, a far da piolo e da corda.
Quando l’ora sarà, in cui la terra cesserà d’essere, dagli angeli sarà trasportata in Cielo la mia Chiesa, che non può perire perché cementata dal Sangue di un Dio e dei suoi santi.
"I Quaderni del 1943", pag. 330 (vedi il capitolo "l’Anticristo").

AMDG et DVM

E se tu ti abbasserai nella valle dell’umiltà, conoscerai me in te.


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Ti ho mostrato, carissima figliola, come la colpa non si possa scontare degnamente in questa vita con veruna pena, che si subisca puramente come pena. Si ha invece punizione sufficiente quando la pena viene sopportata col desiderio, con l’amore e con la contrizione del cuore, non per virtù della pena, ma del desiderio dell’anima, allo stesso modo che il desiderio ed ogni altra virtù traggono valore e vita soprannaturale da Cristo crocifisso, mio Figliuolo unigenito, in quanto che l’anima ha tratto da lui l’amore e con virtù segue le sue vestigia.

Solo in questo modo le pene hanno valore e non per altro; così soddisfano alla colpa col dolce ed unitivo amore acquistato nella dolce cognizione della mia bontà, insieme ad amarezza e contrizione di cuore, le quali scaturiscono dal conoscere se stessi e le proprie colpe. Tale cognizione genera odio e dispiacere, sia del peccato come della propria sensualità, onde l’uomo si reputa degno delle pene e indegno del frutto della redenzione.

Cosicché, mi diceva la dolce Verità, tu vedi come per la contrizione del cuore, unita all’amore della vera pazienza e alla vera umiltà, i peccatori, reputandosi degni della pena e indegni del frutto, sopportano con umiltà e pazienza; così si ha la riparazione necessaria.
Tu mi chiedi pene in espiazione delle offese, che mi sono fatte dalle mie creature, e domandi di conoscere ed amare me, che sono somma Verità. La via per giungere a conoscere e gustare perfettamente me, vita eterna, è che tu non esca mai dal vero conoscimento di tè stessa; e se tu ti abbasserai nella valle dell’umiltà, conoscerai me in te. Da questa conoscenza trarrai quanto ti è necessario.

Nessuna virtù può avere in sé vita, se non dalla carità; l’umiltà poi è balia e nutrice della carità. Nella conoscenza di te stessa ti umilierai, vedendo che tu non esisti per virtù tua, ma il tuo essere viene da me, che vi ho amati prima che veniste all’esistenza, e che volendovi di nuovo creare alla grazia, per l’amore ineffabile che vi ho portato, vi ho lavato e creato un’altra volta nel sangue dell’Unigenito mio Figliuolo, sparso con tanto fuoco d’amore.

Questo sangue fa conoscere la verità a colui che s’è levata  la nuvola dell’amor proprio col conoscere se stesso, poiché in altro modo non la conoscerebbe. Allora l’anima si accenderà nel conoscimento di me con un amore ineffabile, per il quale sta in continua pena, che non è tale da affliggere o disseccare l’anima, che anzi la impingua; ma avendo conosciuto la mia verità, la sua colpa, l’ingratitudine e cecità del suo prossimo,  prova pena intollerabile, e si duole appunto perché mi ama; perché se ella non mi amasse, non si dorrebbe.

Subito poi che tu e gli altri miei servi avrete conosciuto nel modo suddetto la mia verità, vi converrà sopportare fino alla morte molte tribolazioni, ingiurie e rimproveri, in parole e a fatti, per gloria e lode del mio nome; e così tu pure porterai e patirai pene.

Tu dunque e gli altri miei servi sopportate con vera pazienza, con dolore della colpa e con amore della virtù, per gloria e lode del mio nome. Così facendo, io rimetterò le colpe tue e degli altri miei servi, in maniera tale che le vostre pene saranno sufficienti per virtù della carità, a ottenere la soddisfazione ed il merito, in voi e negli altri. In voi riceverete il frutto di vita, saranno distrutte le macchie delle vostre ignoranze , ed Io non mi ricorderò più che voi mi offendeste. Agli altri darò il perdono a cagione della vostra carità ed affetto, nella misura dovuta alle loro disposizioni. 


[SANTA CATERINA DA SIENA, Il dialogo della Divina provvidenza, cap. IV, Ed. Cantagalli, Siena, 2001, pp. 32-34]
http://www.intratext.com/IXT/ITA3117/_P28.HTM
AMDG et DVM

Io sono il vero fiore e disparve.

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IO SONO IL VERO FIORE
[I.2]
 
Pare a me che di 3 anni o 4, stando una mattina nell'orto per mio gusto cogliendo dei fiori, parvemi vedere visibilmente Gesù Bambino che coglieva detti fiori con me. Io lasciai di corre i fiori, andai verso il divino Bambino per volerlo pigliare, ed Esso parmi che mi dicesse: Io sono il vero fiore e disparve. Tutto ciò mi lasciò certo lume di non pigliarmi più gusto colle cose momentanee, ma tutta stavo fissa nel divino Bambino

COME MEDITAVA LA PASSIONE 
[I.39]
 
Io per mio ordinario quando mi mettevo a meditare qualche mistero della passione, non mi figuravo mai di vedere colla mia immaginazione, ma solo pigliavo questi tre punti, cioè chi era quegli che pativa, per chi pativa, con che amore pativa. Delle volte uno solo di questi punti mi cagionava sì fattivamente nel cuore una pena così intima, la quale mi dava di qualsiasi patire.

SENTIVA BUSSARE AL CUORE – ALTRO NON POTEVA FARE CHE CORRERE
FACEVA TUTTO VELOCEMENTE

[I.32] Altre volte mi ricordo che in un subito mi sentivo come bussare al cuore e nel medesimo tempo mi sentivo avvampare come una fiamma in esso. La qual cosa mi faceva come impazzire. Altro non potevo fare che correre, ora in un luogo, ora in un altro, e dicevo: Dio mio, amor mio, abbruciatemi, consumatemi fra le fiamme del vostro amore
[I.40] In un tratto sentivo certi tocchi nel cuore, che mi destavano in modo che tutta mitrovavo alla presenza di Dio. Non conoscevo più cosa facessi, ma tutta intenta a quanto Dio voleva da me; pure facevo tutto, ma come non so. E lo facevo con tale prestezza, che torvavo fatto in un'ora quello che avrei messo forse il tempo di un giorno.

IL VOSTRO AMORE AMI VOI PER ME  
[I.43] Mio Signore, voi mi chiamate, eccomi pronta a tutto: dite pure, che volete da me? Vi vorrei amare, ma non ho amore proporzionato per voi: il vostro amore medesimo ami per me voi medesimo. Dicevo così, mi sentivo tutta fuoco, non potevo più. Ora correvo, ora cantavo, ora non potevo dire parola, ma solo mi pareva sentire certa voce interna che mi invitava al patire. Ed io correvo ai flagelli, ma non trovavo pena che mi desse pena, solo per non aver pene mi appenavo. Di queste cose mi occorrevano spesso.
[I.122] Poi comprendevo questa verità, più il Signore si dava a conoscere, e mi pare che dicesse: Io sono tuo sposo: ove sono i segni che tu sei mia sposa? Io dissi: Non ho niente, non posso niente. Il niente medesimo mi fa apprendere che voi siete, e fate da quel che siete. O Signore, voi vedete tutto chi sono. Tali grazie non le ponete in me, perché non so corrispondere. Esso mi disse che cosa avevo preparato ad un tal dono e favore. Io risposi di nuovo: Mio Signore, non posso niente, non ho niente, però dono voi a voi medesimo. Il vostro infinito amore sarà il rimuneratore di tutto quello che avete operato, state per operare in quest’anima.


IO SONO IL VERO FIORECOME MEDITAVA LA PASSIONESENTIVA BUSSARE AL CUORE
ALTRO NON POTEVA FARE CHE CORREREIL VOSTRO AMORE AMI VOI PER MENON TROVO PENA CHE MI DESSE PENA
L'UMANITÀ SENTIVA AL VIVOL'UMANITÀ E LO SPIRITO IN LOTTATRA LE PENE TROVERAI ME
GESÙ LE OFFRE LA CROCEIL CUORE FERITO E  IL CUORE AMOROSONON FAR CASO AI DONI, MA AL FRUTTO
NON TROVAVO PIÙ IL SIGNOREIN QUESTA PENA CONOSCEVO ME E DIOCOSA DIO LASCIAVA NELL'ANIMA
COGNIZIONE DI LUI E DI MESENZA PAROLE PARLAVOL'OBBEDIENZA TIENE QUIETO L'INTERNO
PENSAVO CHE ERANO VIRTÙ E NON DIFETTIGRANDEZZA DEL NOSTRO NIENTE!L'OBBEDIENZA DÀ PACE AL CUORE
COME I SACERDOTI NON IMPAZZISCONO!LA COMUNIONE SPIRITUALECOS'È L'OFFESA A DIO
TIMORE DELLA PROPRIA IMMAGINAZIONELUCIDISSIMO SPECCHIO ANGELO CUSTODE ACCUSATORE
INTERCESSIONE DELLA B. VERGINE MARIALA SS. VERGINE SI OFFRE PER LEI  LO SPOSALIZIO PRESENTE LA SS. VERGINE
UMILTÀ E AMORE – GESÙ SPECCHIOSI METTE SULLA PORTA DELL'INFERNOCOME BIMBO IN BRACCIO AL PAPÀ…
IL BACIO DI GESÙDIFFERENZA TRA "TOCCHI" E "BACI"iMMERSIONE NELLA SANTISSIMA TRINITÀ 
CORRE PER IL CONVENTO: AMATE IL SIGNOREDESIDERO DI UN RITIRO: LA CELLA DEL CUORE 
 AMDG et DVM

L'Amore si è fatto trovare. Questa è la causa del mio patire e del mio gioire.

La vita di Santa Veronica Giuliani








AMDG et DVM

domenica 27 ottobre 2019

Tre grandi scene. Stupenda omelia


CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I NUOVI CARDINALI E
CONSEGNA DELL'ANELLO CARDINALIZIO
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Domenica, 25
novembre 2007

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!

Quest’anno la solennità di Cristo Re dell’universo, coronamento dell’anno liturgico, è arricchita dall’accoglienza nel Collegio Cardinalizio di 23 nuovi membri, che, secondo la tradizione, ho invitato quest’oggi a concelebrare con me l’Eucaristia. A ciascuno di essi rivolgo il mio saluto cordiale, estendendolo con fraterno affetto a tutti i Cardinali presenti. Sono lieto, poi, di salutare le Delegazioni convenute da diversi Paesi e il Corpo Diplomatico presso la Santa Sede; i numerosi Vescovi e sacerdoti, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli, specialmente quelli provenienti dalle Diocesi affidate alla guida pastorale di alcuni dei nuovi Cardinali.

La ricorrenza liturgica di Cristo Re offre alla nostra celebrazione uno sfondo quanto mai significativo, tratteggiato e illuminato dalle Letture bibliche. Ci troviamo come al cospetto di un imponente affresco con tre grandi scene: al centro, la Crocifissione, secondo il racconto dell’evangelista Luca; in un lato l’unzione regale di Davide da parte degli anziani d’Israele; nell’altro, l’inno cristologico con cui san Paolo introduce la Lettera ai Colossesi. Domina l’insieme la figura di Cristo, l’unico Signore, di fronte al quale siamo tutti fratelli. L’intera gerarchia della Chiesa, ogni carisma e ministero, tutto e tutti siamo al servizio della sua signoria.

Dobbiamo partire dall’avvenimento centrale: la Croce. Qui Cristo manifesta la sua singolare regalità. Sul Calvario si confrontano due atteggiamenti opposti. Alcuni personaggi ai piedi della croce, e anche uno dei due ladroni, si rivolgono con disprezzo al Crocifisso: Se tu sei il Cristo, il Re Messia – essi dicono –, salva te stesso scendendo dal patibolo. Gesù, invece, rivela la propria gloria rimanendo lì, sulla croce, come Agnello immolato. Con Lui si schiera inaspettatamente l’altro ladrone, che implicitamente confessa la regalità del giusto innocente ed implora: "Ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno" (Lc 23,42). Commenta san Cirillo di Alessandria: "Lo vedi crocifisso e lo chiami re. Credi che colui che sopporta scherno e sofferenza giungerà alla gloria divina"  (Commento a Luca, omelia 153). 
Secondo l’evangelista Giovanni la gloria divina è già presente, seppure nascosta dallo sfiguramento della croce. Ma anche nel linguaggio di Luca il futuro viene anticipato al presente quando Gesù promette al buon ladrone: "Oggi sarai con me nel paradiso" (Lc 23,43). 
Osserva sant’Ambrogio: "Costui pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso. La vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo là c’è il Regno" (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 10,121). L’accusa: "Questi è il re dei Giudei", scritta su una tavola inchiodata sopra il capo di Gesù, diventa così la proclamazione della verità. Nota ancora sant’Ambrogio: "Giustamente la scritta sta sopra la croce, perché sebbene il Signore Gesù fosse in croce, tuttavia splendeva dall’alto della croce con una maestà regale" (ivi, 10,113).

La scena della crocifissione, nei quattro Vangeli, costituisce il momento della verità, in cui si squarcia il "velo del tempio" e appare il Santo dei Santi. In Gesù crocifisso avviene la massima rivelazione di Dio possibile in questo mondo, perché Dio è amore, e la morte in croce di Gesù è il più grande atto d’amore di tutta la storia. Ebbene, sull’anello cardinalizio, che tra poco consegnerò ai nuovi membri del sacro Collegio, è raffigurata proprio la crocifissione. Questo, cari Fratelli neo-Cardinali, sarà sempre per voi un invito a ricordare di quale Re siete servitori, su quale trono Egli è stato innalzato e come è stato fedele fino alla fine per vincere il peccato e la morte con la forza della divina misericordia. La madre Chiesa, sposa di Cristo, vi dona questa insegna come memoria del suo Sposo, che l’ha amata e ha consegnato se stesso per lei (cfr Ef 5,25). Così, portando l’anello cardinalizio, voi siete costantemente richiamati a dare la vita per la Chiesa.

Se volgiamo lo sguardo alla scena dell’unzione regale di Davide, presentata dalla prima Lettura, ci colpisce un aspetto importante della regalità, cioè la sua dimensione "corporativa". Gli anziani d’Israele vanno ad Ebron, stringono un patto di alleanza con Davide, dichiarando di considerarsi uniti a lui e di voler formare con lui una cosa sola. Se riferiamo questa figura a Cristo, mi sembra che questa stessa professione di alleanza si presti molto bene ad esser fatta propria da voi, cari Fratelli Cardinali. 

Anche voi, che formate il "senato" della Chiesa, potete dire a Gesù: "Noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne" (2 Sam 5,1). Apparteniamo a Te, e con Te vogliamo formare una cosa sola. Sei Tu il pastore del Popolo di Dio, Tu sei il capo della Chiesa (cfr 2 Sam 5,2). In questa solenne Celebrazione eucaristica vogliamo rinnovare il nostro patto con Te, la nostra amicizia, perché solo in questa relazione intima e profonda con Te, Gesù nostro Re e Signore, assumono senso e valore la dignità che ci è stata conferita e la responsabilità che essa comporta.

Ci resta ora da ammirare la terza parte del "trittico" che la Parola di Dio ci pone dinanzi: l’inno cristologico della Lettera ai Colossesi. Anzitutto, facciamo nostro il sentimento di gioia e di gratitudine da cui esso scaturisce, per il fatto che il regno di Cristo, la "sorte dei santi nella luce", non è qualcosa di solo intravisto da lontano, ma è realtà di cui siamo stati chiamati a far parte, nella quale siamo stati "trasferiti", grazie all’opera redentrice del Figlio di Dio (cfr Col 1,12-14). 
Quest’azione di grazie apre l’animo di san Paolo alla contemplazione di Cristo e del suo mistero nelle sue due dimensioni principali: la creazione di tutte le cose e la loro riconciliazione. Per il primo aspetto la signoria di Cristo consiste nel fatto che "tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui … e tutte in lui sussistono" (Col 1,16). 
La seconda dimensione s’incentra sul mistero pasquale: mediante la morte in croce del Figlio, Dio ha riconciliato a sé ogni creatura, ha fatto pace tra cielo e terra; risuscitandolo dai morti lo ha reso primizia della nuova creazione, "pienezza" di ogni realtà e "capo del corpo" mistico che è la Chiesa (cfr Col 1,18-20). Siamo nuovamente dinanzi alla croce, evento centrale del mistero di Cristo. Nella visione paolina la croce è inquadrata all’interno dell’intera economia della salvezza, dove la regalità di Gesù si dispiega in tutta la sua ampiezza cosmica.

Questo testo dell’Apostolo esprime una sintesi di verità e di fede così potente che non possiamo non restarne profondamente ammirati. La Chiesa è depositaria del mistero di Cristo: lo è in tutta umiltà e senza ombra di orgoglio o arroganza, perché si tratta del dono massimo che ha ricevuto senza alcun merito e che è chiamata ad offrire gratuitamente all’umanità di ogni epoca, come orizzonte di significato e di salvezza. Non è una filosofia, non è una gnosi, sebbene comprenda anche la sapienza e la conoscenza. È il mistero di Cristo; è Cristo stesso, Logos incarnato, morto e risorto, costituito Re dell’universo. Come non provare un empito di entusiasmo colmo di gratitudine per essere stati ammessi a contemplare lo splendore di questa rivelazione? Come non sentire al tempo stesso la gioia e la responsabilità di servire questo Re, di testimoniare con la vita e con la parola la sua signoria? 
Questo è, in modo particolare, il nostro compito, venerati Fratelli Cardinali: annunciare al mondo la verità di Cristo, speranza per ogni uomo e per l’intera famiglia umana. Sulla scia del Concilio Ecumenico Vaticano II, i miei venerati Predecessori, i Servi di Dio Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, sono stati autentici araldi della regalità di Cristo nel mondo contemporaneo. Ed è per me motivo di consolazione poter contare sempre su di voi, sia collegialmente che singolarmente, per portare a compimento anch’io tale compito fondamentale del ministero petrino.

Strettamente unito a questa missione è un aspetto che vorrei, in conclusione, toccare e affidare alla vostra preghiera: la pace tra tutti i discepoli di Cristo, come segno della pace che Gesù è venuto a instaurare nel mondo. Abbiamo ascoltato nell’inno cristologico la grande notizia: a Dio è piaciuto "rappacificare" l’universo mediante la croce di Cristo (cfr Col 1,20)! Ebbene, la Chiesa è quella porzione di umanità in cui si manifesta già la regalità di Cristo, che ha come manifestazione privilegiata la pace. È la nuova Gerusalemme, ancora imperfetta perché pellegrina nella storia, ma in grado di anticipare, in qualche modo, la Gerusalemme celeste. Qui possiamo, infine, riferirci al testo del Salmo responsoriale, il 121: appartiene ai cosiddetti "canti delle ascensioni" ed è l’inno di gioia dei pellegrini che, giunti alle porte della città santa, le rivolgono il saluto di pace: shalom! Secondo un’etimologia popolare Gerusalemme veniva interpretata proprio come "città della pace", quella pace che il Messia, figlio di Davide, avrebbe instaurato nella pienezza dei tempi. In Gerusalemme noi riconosciamo la figura della Chiesa, sacramento di Cristo e del suo Regno.

Cari Fratelli Cardinali, questo Salmo esprime bene l’ardente canto d’amore per la Chiesa che voi certamente portate nel cuore. Avete dedicato la vostra vita al servizio della Chiesa, ed ora siete chiamati ad assumere in essa un compito di più alta responsabilità. Trovino in voi piena adesione le parole del Salmo: "Domandate pace per Gerusalemme"! (v. 6). La preghiera per la pace e l’unità costituisca la vostra prima e principale missione, affinché la Chiesa sia "salda e compatta" (v. 3), segno e strumento di unità per tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1). Pongo, anzi, tutti insieme poniamo questa vostra missione sotto la vigile protezione della Madre della Chiesa, Maria Santissima. A Lei, unita al Figlio sul Calvario e assunta come Regina alla sua destra nella gloria, affidiamo i nuovi Porporati, il Collegio Cardinalizio e l’intera Comunità cattolica, impegnata a seminare nei solchi della storia il Regno di Cristo, Signore della vita e Principe della pace.
       
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