mercoledì 23 ottobre 2019

Un angolo tutto mariano, nella festa di sant'Antonio Maria CLARET y CLARA'


Tepeyac - Guadalupe 1531

Autore:
Mattioli, Don Vitaliano
Fonte:
CulturaCattolica.it
Il volto meticcio di Maria di Guadalupe è simbolo luminosissimo dell'incarnazione del Vangelo nella cultura amerindia all'inizio della evangelizzazione
Le apparizioni della Madonna non sono una novità. Alcune, per la loro incidenza, possono essere chiamate 'secondarie'. Altre invece hanno avuto una grandissima incidenza. Tra queste si annovera quella avvenuta a Guadalupe nel 1531, che ha riportato equilibrio e fiducia ai popoli del centro America appena conquistati; ma non solo, bensì ci ha lasciato anche l'IMMAGINE DEL SUO VERO VOLTO di Madre e Mamma PERFETTISSIMA che schiaccia la testa a satana e salva il suo Popolo.


Breve cronistoria
Colombo parte da Palos il 1492
Il 12 ottobre 1492 approda nell'isola Hispaniola (attuale Haiti) nella regione delle Antille.
In parallelo inizia l'opera di evangelizzazione da parte dei francescani e domenicani.
Purtroppo iniziano anche grandi ingiustizie.
Nel 1511 il domenicano Montesinos ha preso le prime drastiche misure contro gli abusi.
Cortés il 21 aprile 1519 sbarca sulla terraferma ed inizia la conquista dell'impero azteco, assediando la capitale Tenochtitlan (attuale Città del Messico) Il 13 agosto 1521 la splendida capitale soccombe.
Lo choc subito dagli abitanti fu enorme. Il popolo azteco cadde in una disperazione esistenziale. Al dramma socio - politico si unì quello religioso. La gioia e la voglia di vivere era scomparsa.
La loro amarezza è riportata in queste righe:
"Ci è stato imposto un prezzo
Si è stabilito il prezzo del giovane, del sacerdote,
della fanciulla e del bambino.
Basta! Il prezzo di un uomo del popolo
a malapena eguagliava due pugni di mais"

Ma il colpo più grande è stata la morte dei loro dei:
"Ma dove dovremmo andare ormai?
Siamo gente comune,
siamo effimeri, siamo mortali,
lasciateci allora morire, lasciateci allora perire
perché già i nostri dei sono morti".

A questo momento di estrema disperazione intervenne la Madonna. Era il sabato 9 dicembre 1531.

Il luogo
Attualmente la zona di Guadalupe è conglobata nella capitale. Al tempo delle apparizioni era una collina fuori di Tenochtitlan di diversi chilometri. Il nome indigeno era Tepeyac, che letteralmente significa 'Colle a forma di naso'. Gli indigeni credevano che il colle fosse la dimora della 'Vergine Madre' chiamata Tonantzin, oppure Coatlicue. Da questo nome, con varie storpiature, è derivato l'attuale 'Guadalupe'.

Il protagonista
Juan Diego Cuauhtlatoatzin, nato nel 1474, al momento delle apparizioni era una persona non più giovane, un uomo del popolo, un analfabeta. Normalmente vestiva il grembiule del contadino (tilma). Insieme a sua moglie ricevette il battesimo. Dopo la morte di lei (1529) intensificò la sua vita di pietà. Quasi tutti i giorni si recava in città per partecipare alla Messa e prendere lezioni di catechismo. La strada passava per il colle. Dal 9 al 12 dicembre 1531 ebbe le apparizioni. Morì all'età di 74 anni nel 1548. Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 6 maggio 1990 e canonizzato il 31 luglio 2002.

Le apparizioni
In tutto sono quattro. Due il giorno 9 dicembre, una di mattina, l'altra di sera; la terza il 10; la quarta il 12. La Madonna gli appare con il viso di una signora meticcia, nella situazione di una donna in gravidanza. Si rivolge a Juan Diego chiamandolo 'mio amatissimo figlio'. Gli dice di recarsi dal vescovo invitandolo a costruire una chiesa su quel colle. Il vescovo di Città del Messico era Juan de Zumarraga. Le cronache ci narrano che il vescovo derise quel vecchietto ignorante e lo congedò dicendogli che se avesse rivisto la Signora, doveva chiederLe un segno. La Signora gli risponde di non scoraggiarsi perché Lei procurerà il segno che il vescovo chiede. La mattina del 12 dicembre Juan Diego ripercorre la stessa strada. La Signora gli appare nuovamente e dice a Juan Diego di raccogliere le rose, metterle nel grembiule (tilma) e portarle al vescovo. Questo sarà il segno che lui desidera. Juan Diego si meravigliò perché in quel tempo non crescevano le rose. Tuttavia rivoltandosi vide un bel roseto. Subito raccolse i fiori e li mise nel grembiule. Poi si recò subito dal vescovo con la preoccupazione di non sciupare le rose. Entrato nella casa del vescovo, nell'atto di aprire il grembiule per mostrare le rose, al loro posto si vide impressa sul grembiule la stessa immagine che gli era apparsa. Questa il vescovo crede all'apparizione, si commuove e chiede scusa a Juan Diego.
La tilma adesso è conservata nella grande basilica ed esposta per la venerazione dei fedeli. Nonostante sia composta di fibra vegetale, nonostante attentati ed un incendio è ancora incorrotta. La Vergine è coperta da un manto azzurro - verde, trapuntato di stelle color oro. Raggi di sole sprizzano dal di dietro della figura. Uno spicchio di luna sembra sorreggerne i piedi. La Madonna di mostra nelle sue caratteristiche di regina e madre di Dio. Per l'importanza del messaggio che contiene è stata definita 'Vangelo Messicano'.

Il messaggioLa Signora vista da Juan Diego non si presentò come una straniera, ma come una meticcia. Era simile ad una donna del luogo; parlava la lingua azteca e non lo spagnolo; la parole e i simboli usati sono della cultura indigena.
Nel 1531 permanevano ancora rancori, odi, risentimenti, assoggettazione, schiavitù. La scelta della razza meticcia è un invito ad un nuovo atteggiamento conseguenza di un realismo storico: non si può tornare indietro. Quel volto non predica la lotta di classe, non spinge alla rivendicazione dei propri diritti; invece sprona ad un incontro, ad una fusione, ad uno scambio di ricchezze spirituali.
Il Documento di Puebla (1979) così ha commentato: "Il volto meticcio di Maria di Guadalupe è simbolo luminosissimo dell'incarnazione del Vangelo nella cultura amerindia all'inizio della evangelizzazione" (n. 446).

Ricetta di santa Ildegarda

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Ricetta dei “biscotti della gioia”

Ingredienti per una trentina di biscotti:

  • 90 grammi di burro
  • 70 grammi di zucchero di canna
  • 35 grammi di miele
  • 2 tuorli d’uovo
  • 250 grammi di farina di farro bio
  • 6 grammi di noce moscata
  • 6 grammi di cannella
  • 24 chiodi di garofano
  1. In una terrina, mescolare spezie e farina.
  2. Far fondere il burro, poi aggiungere lo zucchero, il miele e i tuorli d’uovo. Mescolare fino a quando si ottiene un impasto omogeneo.
  3. Versare l’impasto nella terrina con la farina spezzata, poi mescolare il tutto fino a che si ottiene un amalgama che si stacchi dal bordo della terrina. Se l’impasto si attacca, aggiungere farina quanto basta.
  4. Stendere l’impasto, poi tagliarlo in forme a piacere, anche con formine.
  5. Far cuocere per 10-15 minuti a 180°.
Ildegarda di Bingen ci dice, riguardo a questi biscotti:
Dissolvono l’amarezza del cuore, lo calmano e lo dischiudono. Ma spalancano pure i cinque sensi, ti rendono gioioso, purificano i tuoi organi sensoriali, riducono gli umori nocivi e danno al tuo sangue una buona composizione. Ti rendono robusto, gioioso ed efficace nel tuo lavoro.
E allora non esitate ad adottare un’alimentazione sana servendovi di quanto sta nella creazione, per curare e prevenire i mali del nostro corpo. Ce ne verrà una felicità smisurata.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

In Omnibus Glorificetur Deus
I.O.G.D.

martedì 22 ottobre 2019

L’astro, animato da un movimento irregolare e rapidissimo, si spostava nel cielo, pulsando luce rossastra e bagliori innaturali. Questo, per circa dieci minuti. Poi, il sole riprese la sua posizione abituale, sopra una moltitudine di persone sbigottite e sgomente. Anche la stampa anticlericale, che fino allora aveva irriso le apparizioni della Cova de Iria, fu costretta a riportare con enfasi sulle prime pagine dei giornali il prodigioso miracolo del sole, predetto dalla donna vestita di sole. Quel giorno, a Fatima, propiziato dalla donna vestita di sole, si verificò qualcosa di non meno straordinario delle famose teofanie attestate dalle Sacre Scritture.

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«Guardate il sole!» 1917


L’esperienza religiosa coinvolge la sfera personale dell’individuo, in quanto soggettiva e del tutto incomunicabile. Essa è improvvisa, irripetibile, indimostrabile. Il silenzio mistico è l’espressione e l’enunciazione di tale ineffabile evento sperimentato nella profondità del proprio io. L’esatto contrario dell’esperienza scientifica che, per rientrare nei protocolli che la definiscono, deve essere ripetibile e verificabile in modo oggettivo dagli sperimentatori. Questa premessa, in fondo scontata, è tuttavia necessaria per mettere a fuoco un aspetto del tutto trascurato del prodigioso evento che si verificò a Fatima il 13 ottobre 1917, durante la sesta ed ultima apparizione della Vergine, di fronte a circa 70 mila persone in attesa del «segno», predetto ai veggenti dalla Madonna. Tale segno si verificò puntualmente, quando la visione giunse al termine. In quel momento, infatti, Lucia esclamò: «Guardate il sole!». La pioggia, fino allora ...
... intensa, smise di cadere all’improvviso. Le nubi si aprirono. Comparve un sole splendido, che cominciò a muoversi, girando su se stesso vorticosamente, allontanandosi a zig zag dalla propria posizione, fin quasi a cadere sulla folla sconvolta. (1) L’astro, animato da un movimento irregolare e rapidissimo, si spostava nel cielo, pulsando luce rossastra e bagliori innaturali. Questo, per circa dieci minuti. Poi, il sole riprese la sua posizione abituale, sopra una moltitudine di persone sbigottite e sgomente. Anche la stampa anticlericale, che fino allora aveva irriso le apparizioni della Cova de Iria, fu costretta a riportare con enfasi sulle prime pagine dei giornali il prodigioso miracolo del sole, predetto dalla donna vestita di sole. Quel giorno, a Fatima, propiziato dalla donna vestita di sole, si verificò qualcosa di non meno straordinario delle famose teofanie attestate dalle Sacre Scritture.
Come a Giosuè, nella valle di Gabaon, ove il sole stette fermo in mezzo al cielo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero (confronta Giosuè 10, 12-13); come, di fronte ad Ezechia, Deus Sábaoth fece retrocedere il sole di dieci gradi sulla scala della meridiana che aveva disceso (confronta Isaia 38, 8); come, durante la crocifissione di Cristo, il sole si eclissò per tre ore (confronta Matteo 27,45; Marco 15, 23; Luca 23, 44); così, quel giorno, nella Cova de Iria, l’astro possente, il terribile «sol invictus», venne scosso dalla propria posizione e fatto sobbalzare qui e là nel cielo come una innocua palla, davanti agli occhi di una moltitudine attonita. 
Il miracolo del sole: 13 ottobre 1917. L’evento fu ancora più eccezionale se consideriamo che il sole, secondo il paradigma eliocentrico, costituisce il centro del sistema solare, il punto nevralgico, l’unico elemento inamovibile della compagine planetaria, che garantisce la stabilità e l’esistenza stessa del nostro sistema. Un minimo spostamento del sole sarebbe causa di ineluttabili conseguenze apocalittiche. Infatti, i pianeti orbitanti intorno ad un centro improvvisamente venuto a mancare, crollerebbero in un attimo, come un castello di carte. Eppure, a Fatima, il 13 ottobre 1917, si verificò proprio questo fatto, per la scienza del tutto inconcepibile. Dunque, o tale segno è stato un’allucinazione collettiva, una psicosi di massa, o la teoria eliocentrica in tale occasione è stata palesemente smentita. Accettato il fatto, resta da comprenderne il messaggio. Proviamo allora ad aggiungere all’evento di Fatima un significato ulteriore e cosmologico.
Ovvero, interpretiamolo come una sorta di lezione di teologia della natura, impartitaci dal Signore per suggerirci che il sole potrebbe non occupare il ruolo centrale che noi, a partire dal 1600, siamo soliti attribuirgli in ordine alla disposizione dei corpi celesti. E’ noto infatti che nel Rinascimento la rivoluzione eliocentrica sovvertì la concezione geocentrica del mondo, elaborata dai pensatori cristiani nei lunghi secoli medievali, sulla base della metafisica aristotelico - tomista e delle attestazioni delle Sacre Scritture, proponendo invece l’idea pitagorica del moto terrestre e della centralità del sole. Prove certe e scientifiche lì per lì non ce n’erano, solo argomenti più sconclusionati di quelli che si volevano contestare. Argomenti che infatti vennero puntualmente smentiti e modificati dalla stessa scienza, nel momento in cui tutta la comunità scientifica mondiale si impegnò a dimostrare la validità di un’idea astratta, tuttavia già accettata e presa per buona sulla base di argomentazioni ideologiche. Infatti, il modello pitagorico eliocentrico, prima ancora di costituire il noto sistema di ipotesi utilizzato da Copernico per spiegare la dinamica del sistema solare, rappresenta in modo allegorico l’antichissimo culto pagano del sole-fallo, che riprese significativo vigore proprio nel rinascimento. (2) L'immensa folla, circa 70.000 persone assistono al miracolo del sole il 13 ottobre 1917 Se dunque consideriamo il modello eliocentrico come il baluardo della religiosità naturalistica e della nuova immagine (massonica) del mondo, ovvero come una maschera del culto solare, allora il miracolo di Fatima può davvero intendersi come una teofania sostanzialmente contraria ad una teoria che, sotto la parvenza scientifica, nasconde un cuore «egizio». Cuore che celebra il sole come l’anima mundi, il portatore di luce. Ovvero: lucifero, il 666.
Nella cabala infatti è tale numero che rappresenta il sole. Nel miracolo di Fatima possiamo allora scorgere come un invito a ricercare un modello del mondo più in linea con la Parola e con il «senso comune» di quanto lo sia quello proposto dalla scienza moderna. Le Sacre Scritture, infatti, fedeli interpreti della natura, la descrivono così com’è, e come ci appare. Non è vero, come diceva Galilei nelle «Lettere Copernicane», che la Bibbia contraddice la natura. È vero piuttosto che la Bibbia contraddice l’immagine che l’uomo si è voluta costruire del mondo naturale, da un certo periodo in poi, sulla base di un’ideologia eretica, fondata sull’identità, sottintesa, di scienza e dottrina. San Paolo ci ammonisce ripetutamente circa la possibilità di essere ingannati da false immagini del mondo, per colpa di una fede distorta (confronta Colonnesi 1,8; Romani 1, 20,22). Se invece il volere di Dio è effettivamente quello di «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Efesini 1,10) e di centrare la totalità degli esseri nella «vera realtà che è Cristo» (Colonnesi 2,17), allora diventa un «dovere» cristiano sostenere con la forza della fede e della vita di grazia, prima ancora che con i pur necessari argomenti di ragione, l’immagine cristocentrica del mondo. (3) Immagine metafisica concreta (4), che trascende quella scientifico-pitagorica (5), e che pone al centro del mondo, non il sole rinascimentale, né tanto meno la terra, o l’uomo. Ma il vero e solo principio di tutte le cose (confronta Colonnesi 1, 16): Gesù Maestro, Verità, Via e Vita. Infatti, mentre Cristo è già uno col Padre e con lo Spirito Santo in ordine alla sua divinità, incarnandosi ha unito a sé la natura umana, sintesi di materia e di spirito: «In tal modo tutto l’Universo è ricapitolato in Cristo in una sintesi mirabile e divina». (6)
Note:
 1) Confronta Antonio A. Borelli, «Fatima: Messaggio di tragedia o di speranza?», Associazione Luci sull’Est, Roma 2004, pagine 38-42.
2) Confronta Giancarlo Infante, «Le radici esoteriche della scienza», Edizioni Segno, 2006.
3) Confronta Giacomo Biffi, «Il primo e l’ultimo- Estremo invito al cristocentrismo», Piemme, 2003, pagina 17: «Il cristocentrismo di cui vogliamo trattare noi è il convincimento che nel Redentore crocifisso e risorto - pensato e voluto per se stesso entro l’unico disegno del Padre - è stato pensato e voluto tutto il resto; sicchè, sia per quel che attiene alla dimensione creaturale, sia per quel che attiene alla dimensione redentiva ed elevante, ogni essere desume da Cristo la sua intima costituzione, le sue intrinseche prerogative, la sua sostanziale ed inesorabile vocazione».
4) «La metafisica è un sapere di ciò che è strettamente ‘reale’; di ciò che è, ‘così’ e ‘come’ effettivamente è; e non di una ‘nozione’ più o meno vaga e astratta», T. Melendo, «Metafisica del concreto», editrice Leonardo da Vinci, 2000, pagina 20.
5) «Se c’è un tipo di conoscenza che tende all’astrattezza e che talvolta deve disinteressarsi di proposito dei problemi della vita è proprio è proprio la conoscenza scientifica non - metafisica (…). Gli aspetti importanti della realtà sono quelli che vengono colti dal senso comune prima, e poi dalla riflessione metafisica; non certamente dalla matematica, malgrado quello che alcuni matematici si ostinino ancora a pensare e a dire», Antonio Livi, «Prefazione», in T. Melenso, citato pagina 10.
6) Confronta Aa. V.v, «L’eredità cristocentrica di don Alberione», edizioni Paoline, 1989, pagine 259, numero 139.

Dott. Giancarlo Infante (http://www.miliziadisanmichelearcangelo.org/)
Articolo pubblicato su EffediEffe.com. Rilanciato su M.S.M.A. con autorizzazione dell'autore Dott. Giancarlo Infante (Amico della M.S.M.A.)
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Degnati, dolce Maria, 
di conservarci oggi e sempre, 

senza peccato



La Passione del Signore, e visioni di Maria Cecilia Baij


Maria Cecilia Baij O.S.B. (1694-1766)

Autore: Giacometti, Giulio - Sessa, Piero
Fonte: Mimep-Docete ©
La benedettina badessa del monastero di S. Pietro di Montefiascone riceve le visioni della Passione del Signore, con quattro caratteristiche:
1. Non si limita a descrivere le sofferenze esteriori ma penetra soprattutto in quelle interiori del Christus Patiens.
2. Presenta Gesù che, col sul sguardo profetico, vede attraverso i secoli i cuori dei suoi martiri che condivideranno nell'amore i suoi dolori e i cuori che continueranno a torturarlo.
3. Prima della flagellazione, descrive il rossore di Gesù per essere spogliato e per la sua nudità.
4. Alla fine di ogni episodio Gesù supplica il Padre perché doni a tutti la grazia di corrispondere al dolore di Gesù.

Nello spogliarmi della mia veste inconsutile, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime, che si sarebbero spogliate della bella veste dell'innocenza per mezzo della colpa, e ne intesi una somma amarezza. Rivolto ad esse, dissi loro: - Ah, incaute! per voi ora soffro così grave confusione e tormento! Almeno, giacché io patisco tanto, ve ne sapeste approfittare col tornare a penitenza! -.Nel levarmi la veste mi ricoprii tutto di un verginale rossore. Vidi anche tutte le vergini, che sarebbero state tormentate sopra questo particolare, e di cui sarebbe stata molto insidiata la purità. Per esse pregai il divin Padre, acciò avesse dato loro fortezza e spirito da soffrir tutto ed uscir vittoriose, in virtù di ciò che allora io soffrivo. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, assistendole e proteggendole con paterna cura. Di ciò resi grazie al divin Padre, anche per parte loro.Spogliato delle mie vesti, tutti quei perfidi incominciarono a deridermi, dicendo: - Ecco quello che pretende di essere Re! - Vedendo il mio corpo tutto ricoperto di un verginale rossore, dicevano: - Veramente questo rossore è la porpora reale da te meritata. - Ed in questo dicevano il vero, benché in altro senso. Si doveva la porpora verginale alla mia innocenza, come Re delle vergini. - Ecco qua, mi dicevano, la tua ricchezza, le facoltà del tuo regno: un'estrema povertà e nudità! - Anche in questo dicevano il vero: perché io sono il Re di coloro che vivono in povertà e nudità di spirito, distaccati da tutto. Tali appunto devono essere i miei seguaci, i quali militano sotto la mia bandiera. Rivolto al Padre lo pregai, per la mia nudità, che si volesse degnare di dar lume a tutti i miei fratelli e seguaci, acciò conoscano come devono spogliarsi di tutto, per seguire me, e con il lume desse loro anche la grazia di poterlo fare. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. E vidi ancora tutti quelli che se ne sarebbero approfittati e l'avrebbero messo in pratica; di ciò lo ringraziai. Intesi però dell'amarezza nel vedere il numero grande di quelli che se ne sarebbero abusati, e non sarebbero mai arrivati ad un totale distacco da tutte le cose, e ad una vera nudità di spirito; quindi non sarebbero mai giunti ad uno stato di vera perfezione, come io desideravo. Rivolto al Padre lo pregai di nuovo di illuminarli e far loro conoscere, che per seguirmi, devono spogliarsi di tutto, anche di se stessi. Vidi che il Padre avrebbe dato loro un nuovo lume, e per questo e per una maggiore grazia, che pure avrebbe dato, molti si sarebbero approfittati. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vedere che molti ancora si sarebbero abusati.Essendo così spogliato, ed avendomi i perfidi molto schernito, vidi tutti quelli che per imitarmi sarebbero stati scherniti e motteggiati dagli empi, perciò offrii i miei scherni al Padre pregandolo di volersi degnare di dare a tutti una grazia particolare, in virtù di ciò che io soffrii, affinché avessero sopportato con pazienza tutte le derisioni e gli scherni, che in circostanze simili loro sarebbe convenuto soffrire. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto ed io lo ringraziai anche per parte di tutti.

La carneficina

Mentre stavo, in tal modo, aspettando di esser legato alla colonna, non ardivano gli empi di toccare il mio corpo verginale denudato, perché sentivano dentro di sé un gran timore: credettero che fosse per naturale compassione; perciò, fattisi animo ed istigati molto più dai demoni, mi si avventarono addosso come cani arrabbiati. Mi legarono fortemente alla colonna, con le mani incrociate, cioè una sopra l'altra, stringendo tanto la fune, che i miei polsi rimasero risegati dalla legatura, e si gonfiarono le mani con mio grande patimento. Essendo stato legato, incominciarono, i più fieri e barbari, a battermi con verghe e funi nodose, e con grande violenza, mi pestarono tutto il corpo, senza pietà e compassione. Sentivo un estremo dolore, perché oltre la delicatezza della mia umanità, ero anche tutto pesto per le percosse avute, onde i colpi mi si rendevano più sensibili e dolorosi.Offrivo ogni colpo al divin Padre, per pagare i debiti di tutti i miei fratelli e di ciascuno in particolare, secondo le loro offese. Domandai aiuto al divin Padre, per poter soffrire così dura carneficina: in verità vi sarei morto, se il Padre non avesse fatto il miracolo di conservarmi in vita per più patire. Mentre stavo ricevendo i fieri colpi, invitavo tutti i miei fratelli e seguaci a venire in questo luogo a contemplarmi. Allora li invitavo, acciò poi vi fossero venuti. Invitavo anche tutti i peccatori, dicendo loro: - Venite voi tutti, che con tanta facilità offendete il divin Padre! Venite e vedete, quanto care costano a me le vostre soddisfazioni illecite e le vostre colpe! Venite anche voi tutti, miei seguaci, e vedete quanto cara mi costa la vostra eterna salute! Venite, tutti, venite! Rimirate il vostro fratello, Dio e uomo, quanto per voi patisce! - Così dicendo, vedevo tutti quelli che mi avrebbero contemplato in queste pene, e la compassione che di me avrebbero avuto. Vidi, inoltre,che molte anime amanti si sarebbero appassionate per i miei dolori. Vidi tutti coloro che, per mio amore, avrebbero battuto e flagellato il proprio corpo per imitarmi nel patire. Vidi anche tutti i peccatori, che sarebbero accorsi all'invito, ma per più tormentarmi, perché non avrebbero avuto che un pensiero di passaggio, senza aver di me compassione. Sentivo estremo cordoglio nel vedere quelli, per cui maggiormente pativo, che appena avrebbero rivolto lo sguardo verso di me, perciò con essi mi lagnavo: - Ah crudeli e spietati! - dicevo loro: - è possibile, che tante pene, tanti dolori, tanto sangue, non vi muovano a compassione? Eppure sapete che soffro per voi! - Rivolgevo sempre il pensiero al divin Padre, pregandolo di avere compassione delle loro anime. E per il sangue che per essi spargevo con tanto amore, lo pregavo di perdonar loro.Essendo ormai tutto pesto il mio corpo, incominciò a versare sangue in gran copia. Mi sentivo mancare per il dolore e per la debolezza, né vi era chi mi desse soccorso. Quei crudeli ministri si stancavano e si davano il cambio, subentrando gli uni agli altri. Si posero in animo di far macello del mio corpo, battendo con rabbia e furore: se tante percosse mi avevano dato per l'addietro, senza che alcuno desse loro licenza, puoi pensare quante me ne diedero quando dal presidente fu loro ordinato. Stavano quivi in disparte anche gli Scribi e i Farisei, istigando i manigoldi, perché facessero a gara a chi mi potesse percuotere, per fare ad essi cosa grata. Il sangue scorreva in terra ed era da me rimirato ed offerto al Padre. Dicevo: - Questo sangue sarà la lavanda delle anime che vi ricorreranno, per essere mondate dalle loro colpe. - Quegli stessi che mi flagellavano, erano tinti del mio sangue, il quale schizzava sopra di loro. Di ciò sentivo grande amarezza, perché il sangue che sopra di loro cadeva, serviva ad essi per maggiore condanna. Allora si rappresentavano alla mia mente tutte le anime infelici, per le quali il mio sangue si spargeva per loro maggiore condanna, perché non se ne sarebbero volute approfittare. Vedendo calpestato il mio sangue, che scorreva in terra, da quei barbari, si rappresentavano alla mia mente tutti quelli che avrebbero calpestato il sangue mio con le loro iniquità: di ciò sentivo grande dolore. Pensavo che una sola stilla di quel sangue era di tanto valore, che sarebbe stato sufficiente a riscattare tutto il genere umano, e nel vederlo tanto conculcato e disprezzato, ne sentivo un grande cordoglio. Rivolto al Padre lo supplicavo, dicendogli: - Padre mio, vi offro questo sangue, sparso con tanto amore, per la salute di tutto il mondo, e vi supplico, per i suoi meriti e per il suo valore, di dare ai miei fratelli tutte le grazie che sono loro necessarie, per la loro eterna salute. E come io non risparmio fatiche e patimenti, così voi non lasciate di dare ad essi ciò che è necessario e molto più, onde tutti quelli che vogliono, si possano salvare. - Mi udiva il divin Padre e mi esaudiva, ed io lo ringraziavo a nome di tutti. Sentivo però dell'amarezza nel vedere il numero grande di quelli che ne avrebbero abusato.Essendo il mio corpo ridotto quasi tutto ad una piaga, scorrendo gran copia di sangue in terra, ed essendo stanchi, i manigoldi temettero che morissi, perciò lasciarono di battermi: perché temevano che non fossi arrivato a lasciare la vita sopra la croce, come bramavano. Si erano però messi in cuore di ridurmi ad uno stato tale che non potessi più sopravvivere, se mai il presidente avesse negato di sentenziarmi alla morte, perché ne stavano con qualche timore. Dicevano: - Se mai il presidente lo lasciasse in libertà, non ha da esser più uomo. - Difatti mi ridussero ad uno stato, che l'umanità mia, se non fosse stata sostenuta dalla divinità, non avrebbe potuto più vivere. Tante furono le percosse e gli strapazzi che mi fecero.Vedendo che quei barbari non si saziavano mai di tormentarmi, sentii grande amarezza; tanto più che si rappresentarono alla mia mente quelli, che hanno tanta crudeltà verso i loro prossimi, che non si saziano mai di travagliarli e di perseguitarli. Onde rivolto al Padre lo supplicai di volersi degnare di illuminarli, facendo conoscere il grande male che fanno, e la crudeltà che usano verso i loro prossimi. Vidi, che il Padre avrebbe dato loro il lume da poterlo conoscere, e la grazia di emendarsi, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di ciò ne resi grazie al Padre. Vidi però il numero grande di quelli che ne avrebbero abusato e ne intesi grande amarezza. Supplicai il divin Padre di volersi degnare di dare pazienza a tutti quelli che sarebbero stati perseguitati dagli empi. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto ed io lo ringraziai.

Il Re dei dolori

Sciolto pertanto dalla colonna, caddi in terra sopra il mio propriosangue. Caddi per l'estrema debolezza a cui era ridotto il mio corpo. Eppure a tal vista quegli spietati non si mossero a compassione; vedendomi così in terra più morto che vivo non vi fu chi si movesse ad aiutarmi, acciò mi fossi potuto rialzare. Anzi, quel ministro crudele e spietato chiamato Malco, mi diede delle bastonate e dei calci. O quanto, sposa mia, intesi la crudeltà di quel ministro che era stato da me beneficato poche ore prima, nell'Orto di Gethsemani, avendogli risanato l'orecchio tagliato. Fu lui che più d'ogni altro mi percosse e maltrattò. Vedendomi così in terra, tutto una piaga, ricoperto del mio proprio sangue, tornarono di nuovo a schernirmi. Mi dicevano: -Oh, questa sì che è una porpora che ti sta bene, fatta dal tuo sangue! Ora sì che sei veramente il Re che pretendi di essere! - Difatti, dicevano il vero: perché io bramavo di essere il Re dei dolori, per acquistare l'eterno regno a tutti i miei fratelli.Soffrivo tutte le derisioni, le ingiurie, le molte e spietate percosse, senza dire neppure una parola, o fare un atto di dispiacimento. Eppure tanto silenzio, tanta pazienza e tanta mansuetudine, non mosse mai a compassione quei perfidi e duri cuori: se fosse stata una bestia ne avrebbero avuto pietà. Solo per me non vi fu chi avesse un atto di compatimento. Grande sollievo è per chi patisce, l'essere compatito. Ma io, anche di questo mi volli privare, perché le mie pene, fossero pure, volendo con questo meritare il sollievo e la consolazione dei miei fratelli nei loro patimenti, nelle loro angustie ed afflizioni. Perciò tutto offrivo al Padre supplicandolo delle dette grazie, non escludendo da esse nessuno.

Burle crudeli

Stando così in terra, nè potendomi rialzare, mi ordinarono che mi rivestissi con le mie vesti, le quali stavano in terra. Si prendevano giuoco, con i calci, di gettarle ora da una parte ora dall'altra, per vedermi andare carponi per terra a prenderle. Perciò rivolto al divin Padre, lo pregai del suo aiuto, per potermi rialzare. Ed alzatomi mi rivestii della mia veste inconsutile, la quale subito si attaccò a tutto il mio corpo piagato.Vedendomi ridotto a tale stato, puoi credere quanto fosse grande l'amarezza del mio Cuore, riflettendo alla dignità della mia persona, tanto avvilita, vilipesa, oltraggiata e tutta impiagata. E' vero, che godevo di patire per l'amor grande che portavo al genere umano, ma l'amarezza del mio Cuore era molto grande, nel vedere che questo amore sarebbe stato tanto conculcato e sì malamente corrisposto; quei fieri e crudeli manigoldi, mi rappresentavano tutti i peccatori ostinati, che avevo sempre presenti, e per cui tanto pativo. E benché soffrissi per tutti, nondimeno, gli ostinati accrescevano le mie pene e l'amarezza del mio Cuore.

Incoronazione di spine

Stavano le furie infernali molto confuse, nel vedere tanta fortezza, tanta pazienza e mansuetudine in me, nè potevano capire donde potesse ciò venire. E dicevano: -Questi non è puro uomo: se fosse puro uomo non potrebbe soffrire tanto. Che sia il Figlio di Dio? Non può essere mai che un Dio si assoggetti a tante pene ed a tanti oltraggi. - E dicevano: - Chi sarà mai? - E per indagarlo, suggerivano ai manigoldi nuove invenzioni da tormentarmi, dicendo: - Qualche segno alla fine darà, acciò noi possiamo intendere chi sia -.Difatti, avevano suggerito ai manigoldi di tormentarmi maggiormente. Mentre quelli che mi avevano flagellato si stavano prendendo gioco di me, altri andarono a formare una corona di acutissime spine, ed altri a cercare una porpora vecchia, tutta lacera. Questo fu per consiglio dei Farisei, avendolo suggerito ad essi il nemico infernale, onde mi vestissero da Re di scherno, perché dicevano che pretendevo di essere loro Re. Volevano essi farmi comparire da Re, perché tutti mi schernissero, e così condurmi alla presenza di Pilato, in figura di Re, ma con la stima che essi ne facevano, cioè di Re finto e da scherno.Difatti, trovata la porpora, e formata la durissima corona di acute spine, vi fecero sopra delle risate, saltando e battendo le mani per la nuova e dolorosa invenzione. Non avevano, i perfidi, licenza alcuna di trattarmi in tal modo e di maltrattarmi con tanta empietà: ma si facevano lecito di fare tutto ciò che volevano sopra la mia persona, perché avevano gli Scribi e i Farisei dalla loro. Io ero solo, nè avevo nessuno per me, né vi era uno solo che difendesse la mia causa, e chi li riprendesse per tanta empietà. Eppure nella città molti da me erano stati beneficati, molti ancora seguivano la mia dottrina. Ma tutti questi stavano ritirati per timore dei Farisei. Vedendo allora quelli che avrebbero patito molto, senza che vi fosse alcuno che di loro avesse avuto pietà e compassione, e che nelle loro pene e travagli sarebbero stati da tutti abbandonati, ne intesi grande amarezza. Pregai il divin Padre, acciò si fosse degnato di consolarli, difenderli e liberarli. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto con somma provvidenza. Vidi anche il premio preparato a chi in tal modo patisce, e ne resi grazie al divin Padre.La porpora Avendo i perfidi preparato tutto per vestirmi da Re di scherno, mi condussero in un'altra stanza, ordinandomi che mi fossi di nuovo spogliato della mia veste, la quale era tutta attaccata con il sangue coagulato. Intesi molto rincrescimento, nel dovermi di nuovo togliere la veste, per il dolore che di nuovo dovevo sentire; ma offrendomi al Padre, pronto a far tutto, gli domandai il suo aiuto e con stento e dolore intenso, mi levai la veste. Difatti mi posero indosso la lacera porpora.Nel togliermi la mia veste, offrii quel dolore al Padre, pregandolo di dare ai miei fratelli, specialmente a tutti i miei seguaci, fortezza, virtù e grazia da spogliarsi affatto dell'amor di se stessi, della carne e del sangue, per poter speditamente seguirmi per la via da me calcata e ad essi insegnata. Vedendo che per far questo ci vuole una grazia particolare, più volte ne pregai il divin Padre in modo speciale, e vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi tutti quelli che se ne sarebbero prevalsi, e per il dolore che soffrii, pregai il Padre di dare ad essi la consolazione in tale distacco. Vedendo che il Padre l'avrebbe fatto, gliene resi le grazie, anche per parte loro. Intesi però dell'amarezza, nel vedere il numero grande di coloro che avrebbero abusato di tanta grazia.

La corona di spine

Avendomi vestito con la porpora, la quale pure si attaccò alle mie piaghe, mi fecero sedere, tirandomi per i capelli e percuotendomi. Stavo a sedere, non già per mio riposo, ma per loro comodità, perché mi potessero porre in testa la corona di spine, la quale era fatta in modo, che mi coprisse tutta la testa. Intese rincrescimento la mia umanità alla vista di questo tormento; ma l'amore con cui pativo, subito mi faceva abbracciare tutto con allegrezza, domandando però sempre al Padre il suo aiuto, sì da poter soffrire ogni tormento.Stando a sedere, ricoperto con la porpora, mi posero in testa la corona di spine, e parte con le mani ferrate, parte con i bastoni, la calcarono con grande forza sopra il mio capo: restando la fronte, le tempie e tutto il capo traforato. Fu così acerbo il dolore che intesi in questo aspro tormento, che sarei morto, se il Padre non mi avesse sostenuto, facendo che la divinità unita a me, mi servisse per conservare in vita la mia umanità, e darle forza da soffrire. In questa dolorosissima incoronazione, tutto il mio corpo si riempì di un acerbo dolore, in modo che le fierissime punture che sentivo nella testa, le sentivo anche per tutta la vita, esacerbandosi le mie piaghe, e sentendo un tremore in tutte le membra, per l'eccessivo tormento. Il sangue, in gran copia, scorreva per tutto il corpo dalla testa piagata. Si riempirono i miei occhi, la bocca, nè mi potevo asciugare, perché mi avevano legate le mani. Non morii, ma soffrii i dolori della morte penosa, che avrei fatto, se la divinità non mi avesse sostenuto.Nella circostanza dell'incoronazione, invitai di nuovo tutti i miei fratelli, affinché venissero a contemplarmi e vedessero quanto soffrivo per loro amore, e quanto care mi costavano le loro colpe. Vidi tutti quelli che sarebbero accorsi per contemplarmi ed imitarmi, e che avrebbero compatito le mie pene, ed a questi impetrai molte grazie dal divin Padre. Vidi inoltre tutti coloro che sarebbero accorsi, ma per più tormentarmi, come fecero gli spietati Ebrei, che con moltiplicate offese accrescevano a me il dolore. Per questi pregai il divin Padre a perdonare. Sentendo poi le asprissime punture si rappresentarono alla mia mente tutti quelli, che con i superbi ed indegni pensieri, avevano la maggior parte nei miei aspri dolori. Di essi mi dispiacevo, per vederli senza compassione alcuna verso di me, che tanto pativo per loro, e ne sentivo un aspro dolore. Mi crucciava poi l'offesa del divin Padre, ed a Lui mi offrivo in quella forma sì dolorosa. Vedevo il Padre adirato col peccatore, e lo supplicavo a voler placare lo sdegno, in virtù del mio patire, che offrivo in isconto di tutte le offese che riceveva; ed il Padre si placava.Rivolto poi a tutte le anime a me fedeli, che pure avevo presenti alla mia mente, le invitavo a seguirmi ed imitarmi nelle mie pene. Vidi tutti quelli, che molto avrebbero patito per amor mio, e ne intesi compassione e supplicai il divin Padre a dar loro copiosa mercede per quanto avrebbero sofferto per mio amore. Lo supplicai anche per il dolore che sentirono tutte le membra del mio corpo nel tormento, e che per la dura incoronazione soffriva il mio capo, di volersi degnare di dare un sentimento di dolore e di compassione a tutti i miei fratelli, membra mistiche di me, loro Capo. Vidi, che il Padre l'avrebbe dato. Vidi anche, che tutti quelli che sarebbero stati uniti, membri di me, loro Capo, avrebbero inteso il dolore e la compassione vera e cordiale. Intesi però dell'amarezza, nel vedere la moltitudine di coloro che, come membri recisi dal mio corpo, per la colpa, non avrebbero avuto nè dolore, nè alcun sentimento di compassione per le mie pene: molto mi afflisse la loro crudeltà ed ingratitudine.Domandai poi ad divin Padre le grazie per tutti i miei fratelli, che avessero avuto volontà di fuggire la colpa, affinché li avesse assistiti con la sua divina grazia, dando loro forza di resistere a tutti i mali pensieri di superbia, di vendetta, e di tutto ciò che è sua offesa. Vidi, che il Padre sarebbe stato pronto a dare ad essi la suddetta grazia. Vidi tutti quelli che se ne sarebbero prevalsi, e ne resi grazie al divin Padre; intesi però dell'amarezza per tutti quelli che se ne sarebbero abusati. Vidi la moltitudine di coloro, che, in questo campo, avrebbero commesso ogni sorta di colpa, senza alcun ritegno, non facendo conto alcuno dei molti e gravi peccati, che con i loro pensieri, continuamente fanno. Ed oh, quanto fu grave il mio dolore e l'amarezza del mio Cuore, per queste sì gravi offese! Rivolto al Padre lo pregai per il mio grande dolore, a volersi degnare di dar loro un nuovo lume e maggior grazia. E vidi, che il Padre lo avrebbe fatto, e che alcuni se ne sarebbero approfittati e si sarebbero ravveduti: di ciò resi grazie al Padre mio. Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di coloro che si sarebbero abusati anche di questo.


La canna


Stando così coronato, afflitto, e pieno di amarezza, quei barbari mi fecero un nuovo affronto, mettendomi in mano una canna per scettro regale: acciò in tutto e per tutto comparissi Re finto e da scherno. Intese molta amarezza il mio Cuore anche per questo scherno. In quella canna, vidi tutti quelli che sarebbero instabili nel divino servizio, vuoti d'ogni virtù, e pieni di leggerezza. Nel veder tali anime, che dichiarandosi della mia sequela a parole, ma con i fatti stando lungi da me, avrebbero dato occasione a molti di deridere e mettere in scherno le cose del divino servizio, ne intesi amarezza. Rivolto al Padre lo pregai di illuminarle facendo loro conoscere il loro errore. Giacché stanno nelle mie mani, giacché si dichiarano della mia sequela, si pongano ad operare con senno; lascino le leggerezze e si applichino alla pratica delle vere virtù. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare loro il detto lume, e che alcune se ne sarebbero approfittate e operando con senno si sarebbero stabilite nel divino servizio e nella pratica delle vere virtù: per loro resi grazie al Padre. Intesi dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelle che se ne sarebbero abusate. Esse non facendo conto dei lumi divini, sarebbero restate sempre nel loro misero stato, piene di vanità, di leggerezze e vuote affatto di ogni virtù.

Il Re dei dolori

Avendomi quei perfidi, così accomodato, si posero tutti sconciamente a ridere ed a schernirmi, chiamandomi il falso Re. Dicevano. - Oh adesso sì, che sei veramente Re come ti sei proclamato! - Difatti dicevano il vero, perché nel mondo altro non pretesi che di adempire la volontà del Padre mio, di patire tutti i tormenti per soddisfare la divina giustizia per tutti i peccati, ed essere Re dei dolori, acciò tutti i miei seguaci prendessero esempio da me e si animassero a patire molto per l'acquisto della gloria, che ad essi meritavo con tante pene e tormenti.Vedendomi ridotto a stato sì deplorevole, dissi all'amore che ardeva nel mio Cuore:-Sarai ormai contento, giacché sono ridotto a tale stato.-Vedendo che le brame dell'amore ancora non erano saddisfatte, e che molto più desideravano di patire, mi animai a soffrire maggiore pena e più gravi tormenti. Rivolto al Padre lo supplicai, con dirgli: -O mio divin Padre! giacché l'amore che arde nel mio Cuore ha una fame insaziabile, di sempre più patire, per mostrarvi la sua grandezza, fate che questo infinito amore, così bramoso di pene, penetri nel cuore dei miei fratelli, onde anche essi siano avidi di patire, per far conoscere a voi l'amore che vi portano. - Vidi, che il Padre mio non avrebbe mancato di adempire questa mia domanda, e che tutti i cuori che avrebbero racchiuso in sè questo beato incendio, non si sarebbero saziati mai di patire, cercando sempre nuove invenzioni di pene, per testificare al divin Padre l'amore che gli portano, ed imitare me, loro Redentore. Di questo resi grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza, ed oh quanta! nel vedere la moltitudine dei cuori, che, per esser pieni dell'amore del mondo e di se stessi, chiudono affatto la porta al divino amore, perciò non sanno bramare altro che delizie, spassi e piaceri, fuggendo il patire. A questi cuori feci sentire i miei rimproveri, chiamandoli ingrati ed infedeli, perché vanno sì lungi, dall'acquisto dell'amore del divin Padre. Essendo essi tanto amati dal divin Padre e da me, che tanto pativo per loro amore, corrispondono con ingratitudine e disamore.

Il ludibrio di tutti

Stavo dunque a sedere, ricevendo molte ingiurie e scherni, dai fieri ministri, i quali erano molti; perché tutti i servi più vili di Anna, di Caifa e di Erode mi seguivano per schernirmi ed oltraggiarmi; vi erano poi i manigoldi, la sbirraglia, e la gente più vile. I Farisei stavano fuori in disparte ed attizzavano i ministri di giustizia, affinché mi avessero sempre più maltrattato. Anche essi vomitavano contro di me imprecazioni, ingiurie e bestemmie esecrande. I demoni si affaticavano molto ad istigare tutti quei perfidi, e suggerire loro sempre nuove invenzioni per più tormentarmi. Fremevano molto nel vedere la mia invitta pazienza e tolleranza, e pur non potendo arrivare a capire, se fossi i1 vero Figlio di Dio, ne dubitavano molto per i segni che in me vedevano. Non potevano però trattenersi di non operare conforme la loro malizia e perversità, che è di procurare sempre che tutti facciano del male. Però, quantunque avessero grande timore e sospetto, che io fossi veramente il Messia, con tutto ciò, istigavano i ministri di giustizia, i Farisei, la plebe, e tutti contro di me, procurando che ognuno mi oltraggiasse e gravemente offendesse Iddio nella persona mia, perché conoscevano chiaramente la mia santità ed innocenza.Suggerirono, i perversi ribelli spiriti, ai ministri, un nuovo atto di scherno verso di me: che ognuno di essi mi venisse a prestare ossequio con quegli atti di disprezzo, che sa inventare la malizia diabolica. Difatti incominciarono a venire avanti a me ad uno ad uno per salutarmi come loro Re. Fu questo da tutti applaudito quantunque avessero molta fretta, perché i Farisei si volevano sbrigare, facendomi presto morire. Ma siccome si trattava di tormentarmi e di schernirmi, non si curavano troppo di perdere tempo. Chinando ognuno il ginocchio, mi dicevano: - Ti saluto Re dei Giudei. - E schernendomi, mi percuotevano. Ognuno fece a gara a chi più mi sapeva schernire. Alcuni mi tiravano la barba e mi sputavano in faccia, altri mi tiravano i capelli, con mio grande tormento; altri mi tiravano le orecchie, alcuni mi davano calci e pugni, altri delle bastonate, altri ancora mi scuotevano la vita e mi torcevano la testa. Pigliando la corona di spine per una punta, la giravano, e così mi torcevano il collo in tutti i modi. Io sentivo un asprissimo tormento, ma quando mi pigliavano per la corona, mi si rendeva molto più doloroso, perché le spine mi tormentavano. Chi mi dava dei pugni sulle spalle, sul petto, sulle braccia; chi le bastonate sulle gambe; chi, infine, mi pestava i piedi.Io stavo in sommo silenzio, senza dire parola alcuna, soffrendo con invitta pazienza, ed offrendo tutto al divin Padre. Vedevo che quasi tutti i ministri avevano le mani e i vestimenti tinti del mio sangue. Sentivo grande amarezza, che quel sangue prezioso fosse maneggiato ed oltraggiato da sacrileghi.Furono tante le percosse, le ingiurie, gli affronti, le insolenze che soffrii in questa occasione da quegli spietati, che non vi è mente che possa arrivare a comprenderli. E tutto facevano con furore e sdegno.Mentre pativo alla colonna e nell'essere coronato di spine, invitavo tutti i miei fratelli a venirmi a contemplare; ora invito te, come mia sposa, a venirmi a contemplare. Rimirami! osserva bene quel che patii, e sta attenta, perché come sposa fedele, devi in tutto e per tutto assomigliare a me. Quanto più sarai simile a me, tanto più mi sarai grata e sarai da me amata. Godo molto nel vedere le mie spose in qualche modo simili a me nelle pene, perché poi nella gloria saranno molto a me dappresso e possederanno una gloria sublime. Non tralasciare di imitarmi anche nelle offerte al divin Padre, e di accompagnare coll'interno tutte le tue opere esterne. Avverti, che in questo ti voglio molto sollecita e diligente. Ti stia a cuore inoltre, la conversione dei peccatori, non tralasciando mai di pregare per essi e di offrire al Padre mio la mia Passione, per la loro conversione. Sii in tutto sollecita, fedele e amante sposa.


La Passione del Signore vista dai mistici