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martedì 22 ottobre 2019

La Passione del Signore, e visioni di Maria Cecilia Baij


Maria Cecilia Baij O.S.B. (1694-1766)

Autore: Giacometti, Giulio - Sessa, Piero
Fonte: Mimep-Docete ©
La benedettina badessa del monastero di S. Pietro di Montefiascone riceve le visioni della Passione del Signore, con quattro caratteristiche:
1. Non si limita a descrivere le sofferenze esteriori ma penetra soprattutto in quelle interiori del Christus Patiens.
2. Presenta Gesù che, col sul sguardo profetico, vede attraverso i secoli i cuori dei suoi martiri che condivideranno nell'amore i suoi dolori e i cuori che continueranno a torturarlo.
3. Prima della flagellazione, descrive il rossore di Gesù per essere spogliato e per la sua nudità.
4. Alla fine di ogni episodio Gesù supplica il Padre perché doni a tutti la grazia di corrispondere al dolore di Gesù.

Nello spogliarmi della mia veste inconsutile, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime, che si sarebbero spogliate della bella veste dell'innocenza per mezzo della colpa, e ne intesi una somma amarezza. Rivolto ad esse, dissi loro: - Ah, incaute! per voi ora soffro così grave confusione e tormento! Almeno, giacché io patisco tanto, ve ne sapeste approfittare col tornare a penitenza! -.Nel levarmi la veste mi ricoprii tutto di un verginale rossore. Vidi anche tutte le vergini, che sarebbero state tormentate sopra questo particolare, e di cui sarebbe stata molto insidiata la purità. Per esse pregai il divin Padre, acciò avesse dato loro fortezza e spirito da soffrir tutto ed uscir vittoriose, in virtù di ciò che allora io soffrivo. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, assistendole e proteggendole con paterna cura. Di ciò resi grazie al divin Padre, anche per parte loro.Spogliato delle mie vesti, tutti quei perfidi incominciarono a deridermi, dicendo: - Ecco quello che pretende di essere Re! - Vedendo il mio corpo tutto ricoperto di un verginale rossore, dicevano: - Veramente questo rossore è la porpora reale da te meritata. - Ed in questo dicevano il vero, benché in altro senso. Si doveva la porpora verginale alla mia innocenza, come Re delle vergini. - Ecco qua, mi dicevano, la tua ricchezza, le facoltà del tuo regno: un'estrema povertà e nudità! - Anche in questo dicevano il vero: perché io sono il Re di coloro che vivono in povertà e nudità di spirito, distaccati da tutto. Tali appunto devono essere i miei seguaci, i quali militano sotto la mia bandiera. Rivolto al Padre lo pregai, per la mia nudità, che si volesse degnare di dar lume a tutti i miei fratelli e seguaci, acciò conoscano come devono spogliarsi di tutto, per seguire me, e con il lume desse loro anche la grazia di poterlo fare. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. E vidi ancora tutti quelli che se ne sarebbero approfittati e l'avrebbero messo in pratica; di ciò lo ringraziai. Intesi però dell'amarezza nel vedere il numero grande di quelli che se ne sarebbero abusati, e non sarebbero mai arrivati ad un totale distacco da tutte le cose, e ad una vera nudità di spirito; quindi non sarebbero mai giunti ad uno stato di vera perfezione, come io desideravo. Rivolto al Padre lo pregai di nuovo di illuminarli e far loro conoscere, che per seguirmi, devono spogliarsi di tutto, anche di se stessi. Vidi che il Padre avrebbe dato loro un nuovo lume, e per questo e per una maggiore grazia, che pure avrebbe dato, molti si sarebbero approfittati. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vedere che molti ancora si sarebbero abusati.Essendo così spogliato, ed avendomi i perfidi molto schernito, vidi tutti quelli che per imitarmi sarebbero stati scherniti e motteggiati dagli empi, perciò offrii i miei scherni al Padre pregandolo di volersi degnare di dare a tutti una grazia particolare, in virtù di ciò che io soffrii, affinché avessero sopportato con pazienza tutte le derisioni e gli scherni, che in circostanze simili loro sarebbe convenuto soffrire. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto ed io lo ringraziai anche per parte di tutti.

La carneficina

Mentre stavo, in tal modo, aspettando di esser legato alla colonna, non ardivano gli empi di toccare il mio corpo verginale denudato, perché sentivano dentro di sé un gran timore: credettero che fosse per naturale compassione; perciò, fattisi animo ed istigati molto più dai demoni, mi si avventarono addosso come cani arrabbiati. Mi legarono fortemente alla colonna, con le mani incrociate, cioè una sopra l'altra, stringendo tanto la fune, che i miei polsi rimasero risegati dalla legatura, e si gonfiarono le mani con mio grande patimento. Essendo stato legato, incominciarono, i più fieri e barbari, a battermi con verghe e funi nodose, e con grande violenza, mi pestarono tutto il corpo, senza pietà e compassione. Sentivo un estremo dolore, perché oltre la delicatezza della mia umanità, ero anche tutto pesto per le percosse avute, onde i colpi mi si rendevano più sensibili e dolorosi.Offrivo ogni colpo al divin Padre, per pagare i debiti di tutti i miei fratelli e di ciascuno in particolare, secondo le loro offese. Domandai aiuto al divin Padre, per poter soffrire così dura carneficina: in verità vi sarei morto, se il Padre non avesse fatto il miracolo di conservarmi in vita per più patire. Mentre stavo ricevendo i fieri colpi, invitavo tutti i miei fratelli e seguaci a venire in questo luogo a contemplarmi. Allora li invitavo, acciò poi vi fossero venuti. Invitavo anche tutti i peccatori, dicendo loro: - Venite voi tutti, che con tanta facilità offendete il divin Padre! Venite e vedete, quanto care costano a me le vostre soddisfazioni illecite e le vostre colpe! Venite anche voi tutti, miei seguaci, e vedete quanto cara mi costa la vostra eterna salute! Venite, tutti, venite! Rimirate il vostro fratello, Dio e uomo, quanto per voi patisce! - Così dicendo, vedevo tutti quelli che mi avrebbero contemplato in queste pene, e la compassione che di me avrebbero avuto. Vidi, inoltre,che molte anime amanti si sarebbero appassionate per i miei dolori. Vidi tutti coloro che, per mio amore, avrebbero battuto e flagellato il proprio corpo per imitarmi nel patire. Vidi anche tutti i peccatori, che sarebbero accorsi all'invito, ma per più tormentarmi, perché non avrebbero avuto che un pensiero di passaggio, senza aver di me compassione. Sentivo estremo cordoglio nel vedere quelli, per cui maggiormente pativo, che appena avrebbero rivolto lo sguardo verso di me, perciò con essi mi lagnavo: - Ah crudeli e spietati! - dicevo loro: - è possibile, che tante pene, tanti dolori, tanto sangue, non vi muovano a compassione? Eppure sapete che soffro per voi! - Rivolgevo sempre il pensiero al divin Padre, pregandolo di avere compassione delle loro anime. E per il sangue che per essi spargevo con tanto amore, lo pregavo di perdonar loro.Essendo ormai tutto pesto il mio corpo, incominciò a versare sangue in gran copia. Mi sentivo mancare per il dolore e per la debolezza, né vi era chi mi desse soccorso. Quei crudeli ministri si stancavano e si davano il cambio, subentrando gli uni agli altri. Si posero in animo di far macello del mio corpo, battendo con rabbia e furore: se tante percosse mi avevano dato per l'addietro, senza che alcuno desse loro licenza, puoi pensare quante me ne diedero quando dal presidente fu loro ordinato. Stavano quivi in disparte anche gli Scribi e i Farisei, istigando i manigoldi, perché facessero a gara a chi mi potesse percuotere, per fare ad essi cosa grata. Il sangue scorreva in terra ed era da me rimirato ed offerto al Padre. Dicevo: - Questo sangue sarà la lavanda delle anime che vi ricorreranno, per essere mondate dalle loro colpe. - Quegli stessi che mi flagellavano, erano tinti del mio sangue, il quale schizzava sopra di loro. Di ciò sentivo grande amarezza, perché il sangue che sopra di loro cadeva, serviva ad essi per maggiore condanna. Allora si rappresentavano alla mia mente tutte le anime infelici, per le quali il mio sangue si spargeva per loro maggiore condanna, perché non se ne sarebbero volute approfittare. Vedendo calpestato il mio sangue, che scorreva in terra, da quei barbari, si rappresentavano alla mia mente tutti quelli che avrebbero calpestato il sangue mio con le loro iniquità: di ciò sentivo grande dolore. Pensavo che una sola stilla di quel sangue era di tanto valore, che sarebbe stato sufficiente a riscattare tutto il genere umano, e nel vederlo tanto conculcato e disprezzato, ne sentivo un grande cordoglio. Rivolto al Padre lo supplicavo, dicendogli: - Padre mio, vi offro questo sangue, sparso con tanto amore, per la salute di tutto il mondo, e vi supplico, per i suoi meriti e per il suo valore, di dare ai miei fratelli tutte le grazie che sono loro necessarie, per la loro eterna salute. E come io non risparmio fatiche e patimenti, così voi non lasciate di dare ad essi ciò che è necessario e molto più, onde tutti quelli che vogliono, si possano salvare. - Mi udiva il divin Padre e mi esaudiva, ed io lo ringraziavo a nome di tutti. Sentivo però dell'amarezza nel vedere il numero grande di quelli che ne avrebbero abusato.Essendo il mio corpo ridotto quasi tutto ad una piaga, scorrendo gran copia di sangue in terra, ed essendo stanchi, i manigoldi temettero che morissi, perciò lasciarono di battermi: perché temevano che non fossi arrivato a lasciare la vita sopra la croce, come bramavano. Si erano però messi in cuore di ridurmi ad uno stato tale che non potessi più sopravvivere, se mai il presidente avesse negato di sentenziarmi alla morte, perché ne stavano con qualche timore. Dicevano: - Se mai il presidente lo lasciasse in libertà, non ha da esser più uomo. - Difatti mi ridussero ad uno stato, che l'umanità mia, se non fosse stata sostenuta dalla divinità, non avrebbe potuto più vivere. Tante furono le percosse e gli strapazzi che mi fecero.Vedendo che quei barbari non si saziavano mai di tormentarmi, sentii grande amarezza; tanto più che si rappresentarono alla mia mente quelli, che hanno tanta crudeltà verso i loro prossimi, che non si saziano mai di travagliarli e di perseguitarli. Onde rivolto al Padre lo supplicai di volersi degnare di illuminarli, facendo conoscere il grande male che fanno, e la crudeltà che usano verso i loro prossimi. Vidi, che il Padre avrebbe dato loro il lume da poterlo conoscere, e la grazia di emendarsi, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di ciò ne resi grazie al Padre. Vidi però il numero grande di quelli che ne avrebbero abusato e ne intesi grande amarezza. Supplicai il divin Padre di volersi degnare di dare pazienza a tutti quelli che sarebbero stati perseguitati dagli empi. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto ed io lo ringraziai.

Il Re dei dolori

Sciolto pertanto dalla colonna, caddi in terra sopra il mio propriosangue. Caddi per l'estrema debolezza a cui era ridotto il mio corpo. Eppure a tal vista quegli spietati non si mossero a compassione; vedendomi così in terra più morto che vivo non vi fu chi si movesse ad aiutarmi, acciò mi fossi potuto rialzare. Anzi, quel ministro crudele e spietato chiamato Malco, mi diede delle bastonate e dei calci. O quanto, sposa mia, intesi la crudeltà di quel ministro che era stato da me beneficato poche ore prima, nell'Orto di Gethsemani, avendogli risanato l'orecchio tagliato. Fu lui che più d'ogni altro mi percosse e maltrattò. Vedendomi così in terra, tutto una piaga, ricoperto del mio proprio sangue, tornarono di nuovo a schernirmi. Mi dicevano: -Oh, questa sì che è una porpora che ti sta bene, fatta dal tuo sangue! Ora sì che sei veramente il Re che pretendi di essere! - Difatti, dicevano il vero: perché io bramavo di essere il Re dei dolori, per acquistare l'eterno regno a tutti i miei fratelli.Soffrivo tutte le derisioni, le ingiurie, le molte e spietate percosse, senza dire neppure una parola, o fare un atto di dispiacimento. Eppure tanto silenzio, tanta pazienza e tanta mansuetudine, non mosse mai a compassione quei perfidi e duri cuori: se fosse stata una bestia ne avrebbero avuto pietà. Solo per me non vi fu chi avesse un atto di compatimento. Grande sollievo è per chi patisce, l'essere compatito. Ma io, anche di questo mi volli privare, perché le mie pene, fossero pure, volendo con questo meritare il sollievo e la consolazione dei miei fratelli nei loro patimenti, nelle loro angustie ed afflizioni. Perciò tutto offrivo al Padre supplicandolo delle dette grazie, non escludendo da esse nessuno.

Burle crudeli

Stando così in terra, nè potendomi rialzare, mi ordinarono che mi rivestissi con le mie vesti, le quali stavano in terra. Si prendevano giuoco, con i calci, di gettarle ora da una parte ora dall'altra, per vedermi andare carponi per terra a prenderle. Perciò rivolto al divin Padre, lo pregai del suo aiuto, per potermi rialzare. Ed alzatomi mi rivestii della mia veste inconsutile, la quale subito si attaccò a tutto il mio corpo piagato.Vedendomi ridotto a tale stato, puoi credere quanto fosse grande l'amarezza del mio Cuore, riflettendo alla dignità della mia persona, tanto avvilita, vilipesa, oltraggiata e tutta impiagata. E' vero, che godevo di patire per l'amor grande che portavo al genere umano, ma l'amarezza del mio Cuore era molto grande, nel vedere che questo amore sarebbe stato tanto conculcato e sì malamente corrisposto; quei fieri e crudeli manigoldi, mi rappresentavano tutti i peccatori ostinati, che avevo sempre presenti, e per cui tanto pativo. E benché soffrissi per tutti, nondimeno, gli ostinati accrescevano le mie pene e l'amarezza del mio Cuore.

Incoronazione di spine

Stavano le furie infernali molto confuse, nel vedere tanta fortezza, tanta pazienza e mansuetudine in me, nè potevano capire donde potesse ciò venire. E dicevano: -Questi non è puro uomo: se fosse puro uomo non potrebbe soffrire tanto. Che sia il Figlio di Dio? Non può essere mai che un Dio si assoggetti a tante pene ed a tanti oltraggi. - E dicevano: - Chi sarà mai? - E per indagarlo, suggerivano ai manigoldi nuove invenzioni da tormentarmi, dicendo: - Qualche segno alla fine darà, acciò noi possiamo intendere chi sia -.Difatti, avevano suggerito ai manigoldi di tormentarmi maggiormente. Mentre quelli che mi avevano flagellato si stavano prendendo gioco di me, altri andarono a formare una corona di acutissime spine, ed altri a cercare una porpora vecchia, tutta lacera. Questo fu per consiglio dei Farisei, avendolo suggerito ad essi il nemico infernale, onde mi vestissero da Re di scherno, perché dicevano che pretendevo di essere loro Re. Volevano essi farmi comparire da Re, perché tutti mi schernissero, e così condurmi alla presenza di Pilato, in figura di Re, ma con la stima che essi ne facevano, cioè di Re finto e da scherno.Difatti, trovata la porpora, e formata la durissima corona di acute spine, vi fecero sopra delle risate, saltando e battendo le mani per la nuova e dolorosa invenzione. Non avevano, i perfidi, licenza alcuna di trattarmi in tal modo e di maltrattarmi con tanta empietà: ma si facevano lecito di fare tutto ciò che volevano sopra la mia persona, perché avevano gli Scribi e i Farisei dalla loro. Io ero solo, nè avevo nessuno per me, né vi era uno solo che difendesse la mia causa, e chi li riprendesse per tanta empietà. Eppure nella città molti da me erano stati beneficati, molti ancora seguivano la mia dottrina. Ma tutti questi stavano ritirati per timore dei Farisei. Vedendo allora quelli che avrebbero patito molto, senza che vi fosse alcuno che di loro avesse avuto pietà e compassione, e che nelle loro pene e travagli sarebbero stati da tutti abbandonati, ne intesi grande amarezza. Pregai il divin Padre, acciò si fosse degnato di consolarli, difenderli e liberarli. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto con somma provvidenza. Vidi anche il premio preparato a chi in tal modo patisce, e ne resi grazie al divin Padre.La porpora Avendo i perfidi preparato tutto per vestirmi da Re di scherno, mi condussero in un'altra stanza, ordinandomi che mi fossi di nuovo spogliato della mia veste, la quale era tutta attaccata con il sangue coagulato. Intesi molto rincrescimento, nel dovermi di nuovo togliere la veste, per il dolore che di nuovo dovevo sentire; ma offrendomi al Padre, pronto a far tutto, gli domandai il suo aiuto e con stento e dolore intenso, mi levai la veste. Difatti mi posero indosso la lacera porpora.Nel togliermi la mia veste, offrii quel dolore al Padre, pregandolo di dare ai miei fratelli, specialmente a tutti i miei seguaci, fortezza, virtù e grazia da spogliarsi affatto dell'amor di se stessi, della carne e del sangue, per poter speditamente seguirmi per la via da me calcata e ad essi insegnata. Vedendo che per far questo ci vuole una grazia particolare, più volte ne pregai il divin Padre in modo speciale, e vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi tutti quelli che se ne sarebbero prevalsi, e per il dolore che soffrii, pregai il Padre di dare ad essi la consolazione in tale distacco. Vedendo che il Padre l'avrebbe fatto, gliene resi le grazie, anche per parte loro. Intesi però dell'amarezza, nel vedere il numero grande di coloro che avrebbero abusato di tanta grazia.

La corona di spine

Avendomi vestito con la porpora, la quale pure si attaccò alle mie piaghe, mi fecero sedere, tirandomi per i capelli e percuotendomi. Stavo a sedere, non già per mio riposo, ma per loro comodità, perché mi potessero porre in testa la corona di spine, la quale era fatta in modo, che mi coprisse tutta la testa. Intese rincrescimento la mia umanità alla vista di questo tormento; ma l'amore con cui pativo, subito mi faceva abbracciare tutto con allegrezza, domandando però sempre al Padre il suo aiuto, sì da poter soffrire ogni tormento.Stando a sedere, ricoperto con la porpora, mi posero in testa la corona di spine, e parte con le mani ferrate, parte con i bastoni, la calcarono con grande forza sopra il mio capo: restando la fronte, le tempie e tutto il capo traforato. Fu così acerbo il dolore che intesi in questo aspro tormento, che sarei morto, se il Padre non mi avesse sostenuto, facendo che la divinità unita a me, mi servisse per conservare in vita la mia umanità, e darle forza da soffrire. In questa dolorosissima incoronazione, tutto il mio corpo si riempì di un acerbo dolore, in modo che le fierissime punture che sentivo nella testa, le sentivo anche per tutta la vita, esacerbandosi le mie piaghe, e sentendo un tremore in tutte le membra, per l'eccessivo tormento. Il sangue, in gran copia, scorreva per tutto il corpo dalla testa piagata. Si riempirono i miei occhi, la bocca, nè mi potevo asciugare, perché mi avevano legate le mani. Non morii, ma soffrii i dolori della morte penosa, che avrei fatto, se la divinità non mi avesse sostenuto.Nella circostanza dell'incoronazione, invitai di nuovo tutti i miei fratelli, affinché venissero a contemplarmi e vedessero quanto soffrivo per loro amore, e quanto care mi costavano le loro colpe. Vidi tutti quelli che sarebbero accorsi per contemplarmi ed imitarmi, e che avrebbero compatito le mie pene, ed a questi impetrai molte grazie dal divin Padre. Vidi inoltre tutti coloro che sarebbero accorsi, ma per più tormentarmi, come fecero gli spietati Ebrei, che con moltiplicate offese accrescevano a me il dolore. Per questi pregai il divin Padre a perdonare. Sentendo poi le asprissime punture si rappresentarono alla mia mente tutti quelli, che con i superbi ed indegni pensieri, avevano la maggior parte nei miei aspri dolori. Di essi mi dispiacevo, per vederli senza compassione alcuna verso di me, che tanto pativo per loro, e ne sentivo un aspro dolore. Mi crucciava poi l'offesa del divin Padre, ed a Lui mi offrivo in quella forma sì dolorosa. Vedevo il Padre adirato col peccatore, e lo supplicavo a voler placare lo sdegno, in virtù del mio patire, che offrivo in isconto di tutte le offese che riceveva; ed il Padre si placava.Rivolto poi a tutte le anime a me fedeli, che pure avevo presenti alla mia mente, le invitavo a seguirmi ed imitarmi nelle mie pene. Vidi tutti quelli, che molto avrebbero patito per amor mio, e ne intesi compassione e supplicai il divin Padre a dar loro copiosa mercede per quanto avrebbero sofferto per mio amore. Lo supplicai anche per il dolore che sentirono tutte le membra del mio corpo nel tormento, e che per la dura incoronazione soffriva il mio capo, di volersi degnare di dare un sentimento di dolore e di compassione a tutti i miei fratelli, membra mistiche di me, loro Capo. Vidi, che il Padre l'avrebbe dato. Vidi anche, che tutti quelli che sarebbero stati uniti, membri di me, loro Capo, avrebbero inteso il dolore e la compassione vera e cordiale. Intesi però dell'amarezza, nel vedere la moltitudine di coloro che, come membri recisi dal mio corpo, per la colpa, non avrebbero avuto nè dolore, nè alcun sentimento di compassione per le mie pene: molto mi afflisse la loro crudeltà ed ingratitudine.Domandai poi ad divin Padre le grazie per tutti i miei fratelli, che avessero avuto volontà di fuggire la colpa, affinché li avesse assistiti con la sua divina grazia, dando loro forza di resistere a tutti i mali pensieri di superbia, di vendetta, e di tutto ciò che è sua offesa. Vidi, che il Padre sarebbe stato pronto a dare ad essi la suddetta grazia. Vidi tutti quelli che se ne sarebbero prevalsi, e ne resi grazie al divin Padre; intesi però dell'amarezza per tutti quelli che se ne sarebbero abusati. Vidi la moltitudine di coloro, che, in questo campo, avrebbero commesso ogni sorta di colpa, senza alcun ritegno, non facendo conto alcuno dei molti e gravi peccati, che con i loro pensieri, continuamente fanno. Ed oh, quanto fu grave il mio dolore e l'amarezza del mio Cuore, per queste sì gravi offese! Rivolto al Padre lo pregai per il mio grande dolore, a volersi degnare di dar loro un nuovo lume e maggior grazia. E vidi, che il Padre lo avrebbe fatto, e che alcuni se ne sarebbero approfittati e si sarebbero ravveduti: di ciò resi grazie al Padre mio. Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di coloro che si sarebbero abusati anche di questo.


La canna


Stando così coronato, afflitto, e pieno di amarezza, quei barbari mi fecero un nuovo affronto, mettendomi in mano una canna per scettro regale: acciò in tutto e per tutto comparissi Re finto e da scherno. Intese molta amarezza il mio Cuore anche per questo scherno. In quella canna, vidi tutti quelli che sarebbero instabili nel divino servizio, vuoti d'ogni virtù, e pieni di leggerezza. Nel veder tali anime, che dichiarandosi della mia sequela a parole, ma con i fatti stando lungi da me, avrebbero dato occasione a molti di deridere e mettere in scherno le cose del divino servizio, ne intesi amarezza. Rivolto al Padre lo pregai di illuminarle facendo loro conoscere il loro errore. Giacché stanno nelle mie mani, giacché si dichiarano della mia sequela, si pongano ad operare con senno; lascino le leggerezze e si applichino alla pratica delle vere virtù. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare loro il detto lume, e che alcune se ne sarebbero approfittate e operando con senno si sarebbero stabilite nel divino servizio e nella pratica delle vere virtù: per loro resi grazie al Padre. Intesi dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelle che se ne sarebbero abusate. Esse non facendo conto dei lumi divini, sarebbero restate sempre nel loro misero stato, piene di vanità, di leggerezze e vuote affatto di ogni virtù.

Il Re dei dolori

Avendomi quei perfidi, così accomodato, si posero tutti sconciamente a ridere ed a schernirmi, chiamandomi il falso Re. Dicevano. - Oh adesso sì, che sei veramente Re come ti sei proclamato! - Difatti dicevano il vero, perché nel mondo altro non pretesi che di adempire la volontà del Padre mio, di patire tutti i tormenti per soddisfare la divina giustizia per tutti i peccati, ed essere Re dei dolori, acciò tutti i miei seguaci prendessero esempio da me e si animassero a patire molto per l'acquisto della gloria, che ad essi meritavo con tante pene e tormenti.Vedendomi ridotto a stato sì deplorevole, dissi all'amore che ardeva nel mio Cuore:-Sarai ormai contento, giacché sono ridotto a tale stato.-Vedendo che le brame dell'amore ancora non erano saddisfatte, e che molto più desideravano di patire, mi animai a soffrire maggiore pena e più gravi tormenti. Rivolto al Padre lo supplicai, con dirgli: -O mio divin Padre! giacché l'amore che arde nel mio Cuore ha una fame insaziabile, di sempre più patire, per mostrarvi la sua grandezza, fate che questo infinito amore, così bramoso di pene, penetri nel cuore dei miei fratelli, onde anche essi siano avidi di patire, per far conoscere a voi l'amore che vi portano. - Vidi, che il Padre mio non avrebbe mancato di adempire questa mia domanda, e che tutti i cuori che avrebbero racchiuso in sè questo beato incendio, non si sarebbero saziati mai di patire, cercando sempre nuove invenzioni di pene, per testificare al divin Padre l'amore che gli portano, ed imitare me, loro Redentore. Di questo resi grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza, ed oh quanta! nel vedere la moltitudine dei cuori, che, per esser pieni dell'amore del mondo e di se stessi, chiudono affatto la porta al divino amore, perciò non sanno bramare altro che delizie, spassi e piaceri, fuggendo il patire. A questi cuori feci sentire i miei rimproveri, chiamandoli ingrati ed infedeli, perché vanno sì lungi, dall'acquisto dell'amore del divin Padre. Essendo essi tanto amati dal divin Padre e da me, che tanto pativo per loro amore, corrispondono con ingratitudine e disamore.

Il ludibrio di tutti

Stavo dunque a sedere, ricevendo molte ingiurie e scherni, dai fieri ministri, i quali erano molti; perché tutti i servi più vili di Anna, di Caifa e di Erode mi seguivano per schernirmi ed oltraggiarmi; vi erano poi i manigoldi, la sbirraglia, e la gente più vile. I Farisei stavano fuori in disparte ed attizzavano i ministri di giustizia, affinché mi avessero sempre più maltrattato. Anche essi vomitavano contro di me imprecazioni, ingiurie e bestemmie esecrande. I demoni si affaticavano molto ad istigare tutti quei perfidi, e suggerire loro sempre nuove invenzioni per più tormentarmi. Fremevano molto nel vedere la mia invitta pazienza e tolleranza, e pur non potendo arrivare a capire, se fossi i1 vero Figlio di Dio, ne dubitavano molto per i segni che in me vedevano. Non potevano però trattenersi di non operare conforme la loro malizia e perversità, che è di procurare sempre che tutti facciano del male. Però, quantunque avessero grande timore e sospetto, che io fossi veramente il Messia, con tutto ciò, istigavano i ministri di giustizia, i Farisei, la plebe, e tutti contro di me, procurando che ognuno mi oltraggiasse e gravemente offendesse Iddio nella persona mia, perché conoscevano chiaramente la mia santità ed innocenza.Suggerirono, i perversi ribelli spiriti, ai ministri, un nuovo atto di scherno verso di me: che ognuno di essi mi venisse a prestare ossequio con quegli atti di disprezzo, che sa inventare la malizia diabolica. Difatti incominciarono a venire avanti a me ad uno ad uno per salutarmi come loro Re. Fu questo da tutti applaudito quantunque avessero molta fretta, perché i Farisei si volevano sbrigare, facendomi presto morire. Ma siccome si trattava di tormentarmi e di schernirmi, non si curavano troppo di perdere tempo. Chinando ognuno il ginocchio, mi dicevano: - Ti saluto Re dei Giudei. - E schernendomi, mi percuotevano. Ognuno fece a gara a chi più mi sapeva schernire. Alcuni mi tiravano la barba e mi sputavano in faccia, altri mi tiravano i capelli, con mio grande tormento; altri mi tiravano le orecchie, alcuni mi davano calci e pugni, altri delle bastonate, altri ancora mi scuotevano la vita e mi torcevano la testa. Pigliando la corona di spine per una punta, la giravano, e così mi torcevano il collo in tutti i modi. Io sentivo un asprissimo tormento, ma quando mi pigliavano per la corona, mi si rendeva molto più doloroso, perché le spine mi tormentavano. Chi mi dava dei pugni sulle spalle, sul petto, sulle braccia; chi le bastonate sulle gambe; chi, infine, mi pestava i piedi.Io stavo in sommo silenzio, senza dire parola alcuna, soffrendo con invitta pazienza, ed offrendo tutto al divin Padre. Vedevo che quasi tutti i ministri avevano le mani e i vestimenti tinti del mio sangue. Sentivo grande amarezza, che quel sangue prezioso fosse maneggiato ed oltraggiato da sacrileghi.Furono tante le percosse, le ingiurie, gli affronti, le insolenze che soffrii in questa occasione da quegli spietati, che non vi è mente che possa arrivare a comprenderli. E tutto facevano con furore e sdegno.Mentre pativo alla colonna e nell'essere coronato di spine, invitavo tutti i miei fratelli a venirmi a contemplare; ora invito te, come mia sposa, a venirmi a contemplare. Rimirami! osserva bene quel che patii, e sta attenta, perché come sposa fedele, devi in tutto e per tutto assomigliare a me. Quanto più sarai simile a me, tanto più mi sarai grata e sarai da me amata. Godo molto nel vedere le mie spose in qualche modo simili a me nelle pene, perché poi nella gloria saranno molto a me dappresso e possederanno una gloria sublime. Non tralasciare di imitarmi anche nelle offerte al divin Padre, e di accompagnare coll'interno tutte le tue opere esterne. Avverti, che in questo ti voglio molto sollecita e diligente. Ti stia a cuore inoltre, la conversione dei peccatori, non tralasciando mai di pregare per essi e di offrire al Padre mio la mia Passione, per la loro conversione. Sii in tutto sollecita, fedele e amante sposa.


La Passione del Signore vista dai mistici



mercoledì 14 marzo 2018

De Vita S. Joseph


Capitolo VII - 

Travagli di S. Giuseppe per opera del demonio e sua pazienza nelle tribolazioni

Insidie del demonio e sua pazienza - Il comune nemico fremeva di rabbia nel vedere le virtù mirabili che risplendevano nel nostro Giuseppe, e che con il suo esempio eccitava molti alla pratica delle virtù. Perciò, acceso di furore contro il santo Giovane, e non sapendo come fare per farlo cadere in atti di sdegno e d'impazienza, e per distoglierlo dal suo fervore nel servizio e nell'amore al suo Dio, si mise ad istigare alcuni malevoli mettendo nel loro cuore una grande avversione ed odio verso il Santo, perchè le sue azioni virtuose servivano loro di grande rimprovero e confusione. Si accordarono perciò insieme che, quando si sarebbero incontrati con lui, l'avrebbero preso in giro e deriso, dicendogli anche delle parole ingiuriose, come infatti fecero. Il nostro Giuseppe si incontrò con questi giovani immorali, che andavano appositamente sulle sue tracce, e incominciarono a prenderlo in giro e a deriderlo. 
Essendo solo, il Santo chinò la testa e rivolto col cuore a Dio incominciò a supplicarlo perchè avesse dato a lui la grazia di soffrire, e agli altri la luce per conoscere i loro errori. Questi, vedendo che Giuseppe non teneva conto dei loro scherni, si misero a maltrattarlo con le parole, chiamandolo sciocco, senza spirito, vile e pauroso, e che neppure sapeva parlare. Giuseppe continuava il suo viaggio con tutta tranquillità e quelli lo seguivano con grande spavalderia, dicendogli sempre delle parole pungenti ed offensive. 
Il Santo Giovane trovandosi nella perplessità se doveva rispondere perchè si calmassero, oppure tacere e soffrire tutto con pazienza, si sentì suggerire interiormente di soffrire e tacere perchè così avrebbe dato molto gusto al suo Dio. Tanto bastò perchè si decidesse di soffrire, anche con allegrezza, quella persecuzione, senza mai parlare; di questo quei giovani restarono confusi ed il demonio abbattuto. Non si quietarono perciò i cattivi giovani, ma continuarono per molto tempo a maltrattarlo, finchè alla fine, stanchi di continuare ad offenderlo, lo lasciarono. 
Questa persecuzione, però, durò molto tempo, in modo tale che, quando Giuseppe usciva di casa per qualche affare, che suo padre gli ordinava, era sempre pronto a soffrire i cattivi incontri. Il Santo di questo non si dolse mai con nessuno, nemmeno con i suoi genitori, stando sempre con il volto sereno e gioviale. Suo padre fu però avvisato della persecuzione che il figlio soffriva, e ricercò se questo fosse vero, volendone fare il dovuto risentimento; Giuseppe gli rispose con tutta serenità , che lui piuttosto godeva in queste cose e lo pregava di tacere perchè era sicuro che, soffrendo questo con pazienza, dava gusto al suo Dio, e poi soggiungeva: «Tu sai, padre mio, come hanno sofferto volentieri le ingiurie i nostri Patriarchi e Profeti; come il Re Davide soffrì di essere perseguitato ed ingiuriato; e noi sappiamo che questi erano gli amici e i favoriti del nostro Dio, dunque dobbiamo imitarli poichè Dio ce ne manda l'occasione». Suo padre rimaneva molto edificato di questo, e compiaceva il figlio lasciandogli soffrire i travagli senza farne alcun risentimento.

Prova penosa - Il demonio, vedendo come, non solo non poteva acquistare nessuna cosa con il Santo Giovane, ma che ne restava sempre confuso e svergognato, tentòaltre vie per turbargli la pace del cuore e per farlo cadere nell'impazienza. Istigòuna donna che, per la sua vita poco buona, vedeva malvolentieri il Santo e andava spesso dalla madre di Giuseppe a parlare male del figlio, cioè che era biasimato e deriso da tutti, che non era buono a niente, che con il tempo avrebbe consumato tutto il suo avere, essendo molto facile nel dare l'elemosina a chiunque gliela domandava, e che molti poveri, essendosi accorti di questo, lo seguivano quando usciva di casa. 

Sebbene la madre del Santo fosse molto saggia e prudente e conoscesse bene di che tempra fosse il figlio, per il continuo parlare della donna e per divina permissione, si turbò e molte volte fece delle aspre riprensioni al figlio, che le soffriva con grande pazienza senza scusarsi, e nonostante sapesse da dove veniva il tutto, non se ne risentì mai; solo una volta disse alla madre con tutta sottomissione, che si informasse bene di quello che le veniva riferito, perchè avrebbe appurato che non era vero ma che erano tutte opere del comune nemico per inquietarla e turbare la loro pace. La madre si prevalse delle parole del figlio, ed avvedutasi della frode del nemico, cacciò dalla sua casa quella donna, che in vari modi tentava di introdurvi la guerra.

Tentazioni e vittorie - Il demonio, vedendosi confuso, non desistette dall'impresa, ma trovò un altro stratagemma per inquietare e turbare il Santo, e, con il permesso di Dio, incominciò a tentarlo di vanagloria con varie suggestioni circa la vita che conduceva, del tutto irreprensibile, così agli occhi di Dio come a quelli degli uomini. 
Il Santo inorridiva a queste suggestioni e si raccomandava a Dio umiliandosi molto al suo cospetto, chiamandosi creatura miserabile e peccatore. Mosse anche alcuni a lodarlo in sua presenza e a magnificare le sue virtù, ma il nostro Giuseppe ne sentiva una grande confusione, dicendo sempre: «Io sono una creatura miserabile: lodiamo il nostro Dio, perchè Egli è degno di lode. Egli è perfettissimo in tutte le sue opere divine. Egli solo è degno di essere lodato ed esaltato». 
Fu tentato dal nemico in tutti i modi, solo contro la purezza non gli fu mai permesso di poterlo fare e di questo il demonio ne fremeva, e non mancava di trovare il modo perchè il Santo avesse almeno inteso dire qualche parola contraria a questa nobile virtù, ma siccome il Santo aveva una somma innocenza e semplicità non fu mai da lui nè capita, nè appresa.

Trovandosi il santo Giovane in questi conflitti di tentazioni e suggestioni, si raccomandava al suo Dio con più ferventi orazioni; e una volta fu ammonito nel sonno dall'Angelo, perchè all'orazione aggiungesse anche il digiuno, e lo fece con grande vigore digiunando spesso ed affliggendo la carne, che non trovò mai ribelle allo spirito e con questo fracassava la testa al nemico infernale, restando sempre, lui vittorioso, ed il nemico scornato; ma nonostante per breve tempo desistesse di travagliarlo, non lasciò però, di tanto in tanto, di molestarlo con i suoi inganni.

Biasimi e sua mansuetudine - La vita ritirata e solitaria che il Santo conduceva era poi molto biasimata da alcuni, e molte volte andavano a casa sua alcuni giovani come lui per condurlo a divertirsi, ma il nostro Giuseppe si scusava sempre con belle maniere dicendo che il suo divertimento era studiare e leggere la Sacra Scrittura e la vita dei Patriarchi e dei Profeti per poterli poi imitare nelle loro virtù,poichè essi erano stati graditi al suo Dio e da Lui molto amati e favoriti, ed esortava anche loro a fare così. 
Non mancò chi prendesse in considerazione le sue parole e procurasse di imitarlo, perchè Giuseppe glielo suggeriva con tanto modo e grazia che le sue parole penetravano i loro cuori e dopo che aveva dato questi salutari consigli e queste buone esortazioni, si ritirava a supplicare e pregare Dio affinchè essi non avessero mancato di fare quel tanto che lui aveva loro suggerito, e lo pregava di dare loro all'istante i suoi aiuti particolari e la grazia per poterlo fare. 

Dio non mancava di esaudire le sue preghiere, e quando il Santo Giovane sentiva dire che coloro per i quali pregava mettevano in pratica i suoi consigli, si rallegrava molto e ne rendeva affettuose grazie al suo Dio. Non mancò però chi lo biasimasse e prendesse i suoi consigli in malo modo; si doleva di questo, incolpando se stesso, pensando che questo avveniva perchè lui era un peccatore e che non meritava che altri si prevalessero delle sue esortazioni. In tal caso si ritirava a piangere e pregava il suo Dio di usare la sua misericordia verso chi si faceva beffe dei suoi consigli e che non guardasse i suoi demeriti, ma il merito grande che Egli aveva di essere lodato e servito fedelmente. Lo pregava di illuminarli e far loro conoscere le verità da Lui manifestate: Dio si compiaceva molto di questo e non lasciava che le sue suppliche andassero a vuoto, mentre il piùdelle volte costoro si ravvedevano e tornavano dal nostro Giuseppe per ascoltare di nuovo le sue esortazioni che poi eseguivano fedelmente, e Giuseppe ne rendeva affettuose grazie al suo Dio.


Capitolo VIII - Affetto e particolare compassione di S. Giuseppe verso i moribondi

Sua compassione per i moribondi - Oltre ai molti doni che Dio si compiacque di dare al nostro Giuseppe, uno singolare fu quello verso i poveri moribondi. Era tanta la compassione che egli ne aveva, che aveva quiete quando sapeva che qualcuno si trovava in questo stato, perché il Santo capiva bene quanto grandi siano i pericoli che si incontrano in quegli ultimi momenti di vita e come i demoni allora fanno ogni sforzo per guadagnare e condurre le anime alle pene eterne. Una volta fu avvisato nel sonno dal suo angelo, che gli manifestò il pericolo grande in cui si trovano i moribondi, e la necessità che hanno di essere aiutati in quell'ultimo conflitto; e mentre l'Angelo gli manifestava tutto questo, Dio infuse nel suo cuore una compassione ed una carità ben grande verso i moribondi. Fece questo con somma provvidenza, perché, avendolo Dio destinato come avvocato dei moribondi, volle che anche in vita si esercitasse in quest'opera di tanta carità, e gli diede un grande amore e una grande compassione verso gli agonizzanti, facendogli anche intendere i grandi bisogni che essi hanno in quegli ultimi momenti, dai quali dipende un'eternità, o di eterna beatitudine, o di eterna infelicità e miseria. Per questo, il nostro Giuseppe, acceso di un vivo desiderio di giovare ai moribondi, si struggeva tutto quando sapeva che qualcuno si trovava in agonia, e stava ore intere in ginocchio a supplicare il suo Dio per il felice passaggio di quell'anima, perché andasse a riposarsi nel seno di Abramo.

Sua assistenza - Quando sapeva questo, non c'era per lui né cibo, né riposo, ma era tutto applicato a supplicare Dio per i bisogni del moribondo, e quando aveva la fortuna di trovarsi presente, non lo lasciava mai fin quando non era giunto al termine della vita, animandolo a confidare nella divina misericordia e a superare gli assalti dei nemici infernali. I moribondi provavano un grande conforto per l'assistenza del Santo e i demoni restavano molto abbattuti per le preghiere che faceva; e Dio gli concesse questa grazia che tutti coloro a cui il Santo si trovava presente alla loro morte non perissero, ma andassero, in parte al Limbo e in parte in Purgatorio. Il Santo lo conosceva con grande chiarezza, e di questo si consolava molto e ne rendeva grazie a Dio.

Sforzi del demonio - Il demonio si infuriò molto per quest'ufficio di grande carità che il Santo praticava, ed una notte, fra le altre, che aveva perso un'anima per l'assistenza del Santo, gli apparve con un aspetto spaventoso e orribile e lo minacciò di volerlo precipitare, se non avesse desistito da un tale ufficio. Il Santo si intimorì nel vedere quell'orribilissimo mostro e fece ricorso a Dio domandandogli il suo aiuto; per questa preghiera il dragone infernale scomparve e il nostro Giuseppe restò in orazione, dove udì la voce del suo Dio che l'animava a non temere, ma a continuare a fare la carità ai moribondi, di cui egli ne aveva un sommo compiacimento. Il Santo, animato e tutto consolato dalla voce interiore, si infiammò molto di più di carità verso i moribondi, e continuava ad aiutarli con le sue ferventi orazioni, e si stimava felice colui che poteva averlo presente alla sua morte. Infatti era felice non solo perché era liberato dagli assalti furiosi dei nemici infernali, ma perché la sua anima, per le preghiere del Santo, andava in un luogo di salvezza.

Persecuzioni dei malvagi - Anche per questa carità, che il nostro Giuseppe esercitava, passò molti travagli e persecuzioni da parte di gente malvagia e istigata dal demonio, ma non per questo desistette mai dal fare quest'ufficio tanto gradito a Dio e tanto utile al prossimo, e spesso il suo Angelo gli parlava per animarlo. Una volta, fra le altre, quando il Santo Giovane era molto afflitto per le persecuzioni,l'Angelo gli parlò nel sonno e gli disse da parte del suo Dio che stesse di buon animo e che continuasse a fare quell'opera di grande carità, perché Lui gli prometteva di fargli una grazia grande e specialissima alla sua morte. Non gli manifestò che grazia fosse, ma fu ben grande, perché ebbe la sorte di morire in mezzo a Gesù e Maria, con la loro amorosa assistenza. Giuseppe, animato dall'avviso dell'Angelo, continuò l'opera di carità, e non desistette mai, per quanto gli fosse impedito o per una parte o per l'altra, perché il demonio si affaticava molto per distoglierlo, ma non gli riuscì mai poiché il Santo Giovane era animato e fortificato dalla grazia divina e quando si trattava di fare qualcosa che fosse gradita al suo Dio, si impegnava tutto e non c'era chi lo potesse distogliere dall'opera intrapresa per gloria di Dio e profitto del suo prossimo.

Preghiere e lacrime per i moribondi - Alle volte veniva avvisato dal suo Angelo della necessità che qualche moribondo aveva delle sue orazioni, e il Santo si svegliava e si metteva subito in orazione, pregando Dio perché si degnasse di assistere con la sua grazia quel povero agonizzante, e non si levava dalla preghiera fino a quando Dio non lo assicurava del suo aiuto. Molte volle gli veniva manifestato dall'Angelo come fosse molto grande il numero di coloro che perivano eternamente; di questo il Santo Giovane si rattristava tanto che passava tutto quel giorno in amarissimo pianto e si addolorava che non potesse trovarsi presente alla morte di tutti per poterli aiutare a morire bene. Rivolto al suo Dio con caldi sospiri, lo pregava di mandare presto il Messia promesso, perché liberasse le anime dalla dura schiavitù di Lucifero e le riscattasse per mezzo della Redenzione. Quando poi era così afflitto e piangente, e i suoi genitori gli chiedevano qual era la causa del suo pianto, rispondeva con tutta franchezza e con grande umiltà:«Piango la perdita irreparabile di tante anime che il nostro Dio ha creato per condurle all'eterno riposo, ma esse, per loro colpa, si perdono. Il demonio ha un grande dominio sul genere umano e perciò preghiamo Dio perché si degni di mandare presto il Messia, affinché gli tolga il dominio e le forze, e le anime siano libere dalla tirannia di questo superbo dragone». Diceva questo con grande sentimento e compassione in modo tale che anche i suoi genitori piangevano in sua compagnia e si applicavano a porgere calde suppliche a Dio perché si fosse degnato di mandare presto il Messia promesso. Molte volte ancora impetrò da Dio la salvezza dei peccatori ostinati, che erano in procinto di perdersi, e il Santo si poneva in orazione supplicando Dio di restituire loro la salute affinché si fossero ravveduti dai loro errori e si fossero poi salvati. Per ottenere questa grazia impiegava giorni interi nella preghiera, accompagnandola anche con il digiuno. Perciò capitava rare volte che il Santo non ottenesse la grazia che domandava, e tutto quello che faceva era nascosto agli occhi degli uomini e manifesto solo al suo Dio.
Premiato da Dio - Quanto poi fossero gradite a Dio le preghiere del nostro Giuseppe e la carità che esercitava verso i moribondi, lui stesso ne era testimone mentre Dio non tralasciava di esaudirlo e molto spesso di consolarlo con le divine consolazioni, facendo godere al suo spirito, molto spesso, la soavità e la sua dolcezza in modo tale, che alle volte ne restava tutto assorto, e diceva con il santo Re Davide: «Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre», (Salmo 72, 25). E ripieno della consolazione divina stava giorni interi senza cibarsi, sentendo una sazietà mirabile, e tutto ripieno dello spirito di Dio, non sapeva né parlare, né pensare ad altro che al suo Dio, l'amore del quale tutto lo riempiva ed occupava.

martedì 13 marzo 2018

Vita di San Giuseppe


DE VITA S. JOSEPH


Capitolo I - La patria di S. Giuseppe e dei suoi genitori

Fondamento teologico - Avendo Dio destinato il glorioso S. Giuseppe per Sposo della Madre del suo Unigenito, volle anche che egli le assomigliasse molto, sia nelle origini, come nella patria e molto di più nelle sue virtù, impegnandosi l'Altissimo a formarlo tale e quale si conveniva per renderlo degno sposo della divina Madre.

I suoi genitori - I genitori del nostro Giuseppe erano, il padre nativo di Nazareth e la madre di Betlemme, e uniti in matrimonio dimorarono a Nazareth fino a che vissero. Il padre si chiamava Giacobbe e la madre Rachele, persone di santissima vita e simili sia nella nobiltà , come nelle virtù. Il padre era della stirpe e della progenie di Davide, come anche la madre era della medesima discendenza.

Frutto dell'orazione dei genitori - Dio permise che fossero per qualche tempo sterili, perchè voleva che il nostro Giuseppe fosse figlio di orazione, e perciò i suoi genitori facevano larghe elemosine ai poveri, come anche al Tempio di Gerusalemme, dove andavano spesso a pregare per impetrare da Dio la sospirata prole, e Dio non tardò molto a consolarli. Un giorno erano stati al Tempio ad offrire larghe elemosine, quando la madre ebbe una grande fede che Dio l'avrebbe esaudita e consolata. Tornando a Nazareth concepì il nostro Giuseppe, ed in quel tempo si videro sopra la loro casa tre lucidissime stelle, una di maggiore sublimità e splendore dell'altra, manifestando Dio con questi segni, come il nostro Giuseppe doveva formare la Trinità in terra ed essere il capo della Sacra Famiglia. Dio, però, permise che questo prodigio non fosse molto notato, affinchè il mistero e la fortuna del Santo rimanessero celati. La madre, essendo già incinta del nostro Giuseppe, sperimentava una grande consolazione e si andava esercitando sempre più in atti di virtù. Il nostro Giuseppe con l'alimento che riceveva dalla madre, si imbeveva anche delle virtù e devozioni che lei praticava, cosicchè nel seno materno contrasse, con il nutrimento, anche le nobili virtù della sua buona madre.

Un sogno profetico - La virtù, la devozione e l'allegrezza dei suoi genitori crebbero molto quando Dio rivelò loro l'occulto segreto per mezzo di un angelo che parlò ad entrambi in sogno, cioè¨, manifestò alla madre, come il fanciullo che lei portava nel suo grembo, avrebbe avuto la sorte di vedere il Messia promesso e trattare con Lui; che lei, però, avrebbe dovuto allevarlo con grande cautela ed accuratezza, e porgli il nome di Giuseppe, e che sarebbe stato grande al cospetto di Dio. Lo stesso disse in sogno a suo padre, ordinando però ad entrambi di tenere nascosto il segreto del Re e di non manifestarlo nemmeno al loro figliolo, ma che ne parlassero solo fra di loro per consolazione del loro spirito e per unirsi entrambi a ringraziare Dio e ad allevare bene il fanciullo, come anche a farlo istruire nella Sacra Scrittura. Ricolmi di giubilo per il sogno misterioso, i genitori del nostro Giuseppe conferirono insieme su quanto era loro accaduto, e scoprendo di essere stati fatti degni dello stesso sogno, ne resero affettuose grazie a Dio e si animarono alla pratica delle più eroiche virtù; e poichè erano saggi e prudentissimi, conservarono il segreto dentro di loro, non manifestandolo mai ad alcuno, obbedendo a quanto l'Angelo aveva loro ordinato.

Santa e felice gravidanza - Nel tempo della sua gravidanza, la madre si esercitava in digiuni, orazioni e larghe elemosine, ringraziando Dio del dono che le aveva fatto della sospirata prole e supplicandolo dell'aiuto divino, affinchè avesse dato felicemente alla luce il fanciullo. La madre portò con grande felicità la sua gravidanza, non essendo disturbata eccessivamente dai soliti travagli e patimenti; di tutto rendeva grazie a Dio, riconoscendo con molta gratitudine i benefici divini. Lo stesso faceva il padre di Giuseppe, che godeva molto della grazia che Dio faceva alla sua consorte di portare il fanciullo con tanta facilità e consolazione, ed entrambi rendevano grazie a Dio.


Capitolo II - La nascita di S. Giuseppe e la sua circoncisione

Nascita di Giuseppe - Arrivato il tempo della nascita del nostro Giuseppe, sua madre si preparò con più calde orazioni, cosicché arrivato il giorno fortunato lo diede alla luce con grande facilità, restando molto consolati, sia i genitori, come chi li assisteva. Il nostro Giuseppe aveva un'aria angelica, grave e serena e nonostante a quell'età si possano appena distinguere negli altri fanciulli le fattezze, tuttavia si distinguevano bene nel nostro Giuseppe che, al solo guardarlo, apportò a tutti una grande consolazione e specialmente ai suoi genitori, che, nel vederlo tale, si confermarono nella verità di quanto l'Angelo aveva detto loro in sogno. Terminate le funzioni che si fanno in tali occorrenze, la madre si applicò con la sua mente a rendere grazie a Dio del felice parto, e fattasi portare il fanciullo l'offrì a Dio col desiderio di dedicarlo al servizio del sacro Tempio di Gerusalemme. Ma Dio aveva già destinato di farlo custode del Tempio vivo e animato dello Spirito Santo, cioè della Madre del Verbo divino. L'Altissimo, però, gradì il desiderio e l'offerta della madre di Giuseppe e, se non accettò ed esaudì i suoi desideri, fu per sublimarlo ad un posto assai maggiore.

Comune esultanza - Per tutta Nazareth si sparse la fama della nascita del fanciullo e delle sue rare fattezze, e di come sembrava un angelo del Paradiso. Tutti si rallegrarono e fecero festa per la nascita dei fanciullo, che apportava a tutti un'insolita allegrezza e giubilo di cuore. Alla nascita di Giuseppe sfolgorarono poi a meraviglia le tre stelle splendenti sopra la casa dei suoi genitori, e si fecero vedere di nuovo, benché di passaggio. Il nostro Giuseppe aprì gli occhi e li fissò verso il cielo, tenendoli per qualche tempo così fissi, come stupito a rimirare la grandezza dei segno che Dio dava al mondo nel suo natale. Chiusi gli occhi, poi, non li aprì più fino al tempo debito, e questo fu ammirato da tutti con grande stupore e meraviglia.

Singolare modestia del fanciullo - Il fanciullo stava poi con grande quiete e tranquillità, apportando in tutto molta consolazione ai suoi genitori, e specialmente alla madre, che lo allattò con giubilo ed allegrezza e con molta riservatezza. Sebbene fosse in quella tenera età non permise mai che alcuno gli si avvicinasse a fargli le solite carezze che si fanno ai bambini, ritirando sempre il suo volto in atto di sdegnarle, mostrando anche in quella tenera età come doveva custodire illibato il candore della sua purezza ed innocenza, e permetteva solo ai genitori qualche dimostrazione di cordiale amore, benché essi fossero molto riservati, vedendo come il fanciullo schivava quei vezzi e quelle dimostrazioni di affetto.

Sua circoncisione - Arrivato l'ottavo giorno, i suoi genitori fecero circoncidere il fanciullo secondo l'uso degli Ebrei e i comandamenti della Legge e gli imposero il nome di Giuseppe, poiché erano comunemente d'accordo. Nel circonciderlo, il fanciullo pianse, ma asciugò presto le lacrime perché, nell'atto della circoncisione, Dio gli accelerò l'uso della ragione. Essendosi levata la macchia che aveva contratto dal peccato originale, stando in grazia ed amicizia di Dio, senza quella macchia che glielo rendesse in qualche modo disgustoso, Giuseppe fu ornato da Dio di molti doni e anche dell'uso della ragione, per la quale conobbe il suo Dio, e l'adorò con profonda adorazione, chinando la sua piccola testa e rasserenandosi tutto nel volto. Con atto ridente e grave esultò, mostrando anche esteriormente il godimento del suo spirito. Conobbe il beneficio che Dio gli aveva fatto e ne rese grazie affettuose e tutto si offrì a Lui. A Giuseppe, fu dato poi da Dio, oltre al suo angelo custode, anche un altro angelo, che molto spesso gli parlava nel sonno e lo ammaestrava in tutto quello che doveva fare per piacere maggiormente al suo Dio.

Pietà e zelo di Giuseppe - Il nostro Giuseppe, in quella tenera età aveva l'uso della ragione, della quale si serviva per conoscere, lodare e ringraziare il suo Dio che tanto lo aveva favorito, soffrendo l'incomodità di quella tenera età con grande pazienza. L'Angelo molto spesso lo avvisava di offrire a Dio quei patimenti che soffriva stando stretto tra le fasce; il fanciullo lo faceva in ringraziamento dei favori che Dio gli compartiva, e le sue offerte erano molto gradite a Dio. Il fanciullo comprendeva poi come il suo Dio fosse molto offeso dagli uomini, perciò spesso lacrimava, benché senza strepito, per non recare pena ai suoi genitori, e offriva a Dio quelle lacrime innocenti, ammaestrato così dal suo Angelo. Quando poi faceva questo, riceveva da Dio maggiori lumi e grazie, ed egli non mancava di rendere grazie a chi tanto lo beneficava.

Sua modestia e gratitudine - Quando poi la madre lo fasciava, il nostro Giuseppe si vedeva con il volto ricoperto di un vermiglio rossore e con gli occhi chiusi, in atto di mostrare dispiacere di essere sfasciato e visto. La madre era molto riservata in questo, ed usava grande cautela per non recare pena a suo figlio, poiché conosceva bene come la grazia divina facesse in lui mirabili prodigi, essendo anche lei un'anima molto illuminata e ornata di grandi virtù. Il nostro Giuseppe, succhiando il latte di sua madre, si imbeveva sempre di più delle sue virtù, e si mostrava con lei, più che con gli altri, molto affezionato e gradevole per l'alimento che gli dava. Le si mostrava molto allegro e gioviale, perché scorgeva in lei le rare virtù e capiva come, con il latte che prendeva da lei, gli si comunicavano anche le sue virtù.

Sua crescita - Il nostro Giuseppe aveva un ottimo temperamento ed era arricchito di doni naturali e molto più di doni soprannaturali. Cresceva a meraviglia sia nel corpo che nello spirito. Nel corpo per il buon nutrimento che riceveva da sua madre, anche lei di ottima salute; nell'anima, per i continui doni che riceveva dalla grazia divina e dalla generosità del suo Dio, che lo andava formando tutto a suo genio e secondo il suo Cuore, per renderlo poi degno sposo della Madre del Verbo divino. Il fanciullo conosceva le grazie che continuamente riceveva da Dio, e gli si mostrava grato con i soliti atti di ringraziamento. Il nostro Giuseppe aveva appena il cuore capace di amare, che tutto lo impiegò nell'amore verso il suo Dio e sommo benefattore, al quale ben riconosceva quanto doveva per i doni che gli aveva fatto.


Capitolo III - Purificazione della madre e presentazione di S. Giuseppe al Tempio

Al Tempio - Passati i giorni stabiliti dalla legge per le donne che si dovevano purificare, i genitori del nostro Giuseppe andarono a Gerusalemme; la madre per purificarsi e per offrire il loro fanciullo e poi riscattarlo, così come era ordinato nella legge. Essi portarono grandi doni al Tempio: non solo quello che erano soliti portare gli altri, ma molto di più, in atto di gratitudine per il beneficio ricevuto da Dio della sospirata prole. Il nostro Giuseppe in questo viaggio si fece vedere con un'insolita allegrezza e giovialità di volto, che fu ben avvertita dai suoi genitori, tanto che anche loro si riempirono di consolazione nel vedere il loro piccolo bambino tanto allegro e festoso. Capivano molto bene come la grazia divina si andava diffondendo nell'anima del loro figliolo, e che se tanto operava in quella tenera età, tanto maggiormente avrebbe fatto dei progressi nel crescere. Di questo ne rendevano grazie all'Altissimo e ne traevano motivo per crescere anche loro nell'amore e nella gratitudine verso Dio, ed applicarsi sempre più nella pratica delle virtù.

Purificazione e presentazione - Arrivati al Tempio, la madre di S. Giuseppe si purificò, e in quell'atto ricevette grandi lumi da Dio, per mezzo dei quali conobbe più chiaramente come Dio avesse arricchito suo figlio di doni. Lo presentò al sacerdote, e il sacerdote, nel riceverlo nelle sue braccia e presentarlo ed offrirlo a Dio, sperimentò un'insolita allegrezza e consolazione del suo spirito; fu illuminato interiormente da Dio e capì quanto fosse caro a Dio quel fanciullo che egli presentava. Il nostro Giuseppe accompagnò l'offerta di se stesso a Dio con il donarsi tutto a Lui e di buon cuore. In quest'atto apri gli occhi verso il cielo e stette per tutto il tempo in una posizione come astratto ed assorto in Dio. Ricevette allora da Dio la grazia santificante con un chiarissimo lume da riconoscere il nobile e sublime dono che Dio gratuitamente gli faceva, nell'atto in cui egli si era donato tutto a Lui. Conosciuto il grande dono si mostrò grato al suo Dio e lo ringraziò affettuosamente.

Il riscatto - I suoi genitori riscattarono il figliolo con le solite monete che per questo si davano, ed il sacerdote, nel rendere il figlio alla madre disse che lo allevasse pure allegramente e ne avesse una cura particolare, perché aveva capito che quel fanciullo era molto caro a Dio e che sarebbe stato un grande uomo, e che avrebbe apportato una consolazione a chi avesse trattato con lui, per la nobile indole che in lui si scorgeva. E questo si avverò perché, non solo apportava consolazione a chi trattava con lui, ma l'apporta anche a tutti i fedeli suoi devoti, avendolo Dio destinato come avvocato dei moribondi, come si dirà a suo tempo, e serve a tutti questi di grande consolazione e conforto nelle loro agonie.

Progresso di Giuseppe nelle virtù - I suoi genitori, ricevuto il fanciullo, resero grazie a Dio, lacrimando per la tenerezza di affetto e il giubilo dei loro cuori, e lo condussero alla loro patria come un tesoro e un dono sublime dato loro da Dio. Il nostro Giuseppe se ne stava tutto tranquillo, come assorto, facendo atti di ringraziamento al suo Dio, godendo e giubilando per la grazia ricevuta, per mezzo della quale andava facendo grandi progressi nell'amore verso il suo Dio, crescendo sempre a passi da gigante nella virtù. E nonostante a quella tenera età non gli fosse permesso di praticare quelle virtù che già tanto amava, tuttavia le andava praticando col desiderio, finché fatto poi adulto le praticò con le opere, operando sempre con tutta la perfezione, come si dirà in seguito.


Capitolo IV - L'infanzia di S. Giuseppe: il suo rapporto con Dio

Amore di Giuseppe per Dio e per il prossimo - La madre di Giuseppe, continuando ad allattare suo figlio con la solita consolazione, stava tutta attenta ad osservarlo. Il nostro Giuseppe spesso si faceva vedere tutto mesto ed afflitto, spargendo lacrime in un profondo silenzio. La madre si stupiva per vedere cose tanto insolite nel suo figlio, ma poiché era prudentissima, taceva, né manifestava ad alcuno le meraviglie che osservava nel figlio, pensando già che la grazia l'avesse prevenuto. Questa posizione in cui il nostro Giuseppe si faceva vedere, apportava alla madre una grande compunzione, quasi vedesse il suo innocente figlio in figura di penitente, e in questo non si sbagliava, perché il nostro Giuseppe, avendo già l'uso della ragione ed essendo arricchito della grazia santificante, conosceva più di ogni altro il suo Dio e capiva quanto era offeso e disgustato dagli uomini; ed egli, tutto mesto e dolente, spargeva lacrime in abbondanza, che poi offriva a Dio, supplicandolo di avere pietà dei peccatori, illuminandoli e facendogli conoscere i loro gravi errori. Oltre a questa conoscenza che il nostro Giuseppe aveva, spesso gli era suggerito dall'Angelo di fare questi atti verso il suo Dio, al quale sarebbero stati graditi, e con questo avrebbe anche usato la carità verso il prossimo errante. Il nostro Giuseppe lo faceva con grande desiderio di dare gusto a Dio e di beneficare il prossimo, tanto che, appena nato, si può dire che già adempiva i due precetti della legge, cioè, di amare il suo Dio sopra ogni cosa, con tutte le sue potenze e forze, ed il prossimo suo. E quello che non poteva fare per se stesso, perché non aveva colpa, lo faceva per il suo prossimo, piangendo ed affliggendosi per le colpe altrui. Quanto fossero gradite a Dio le lacrime dell'innocente Giuseppe, ce lo dimostreranno le grazie che Dio gli fece, una delle quali fu l'accelerare il tempo della nascita della Madre del Verbo divino, perché egli fosse il suo custode e fedelissimo sposo.

Sue prime estasi - Il santo fanciullo si faceva poi vedere molto spesso, come astratto ed assorto in Dio, stando in questo modo giorni interi, senza prendere il solito alimento, accontentandosi di quel cibo soavissimo che tanto riempiva il suo spirito, che era la divina consolazione; e quanto questa fosse grande si poteva capire da quello che anche esternamente appariva, cioè: un volto del tutto angelico, rubicondo, e ridente, con gli occhi sfavillanti come due stelle. La madre, che lo osservava, quando lo vedeva in tale posizione lo lasciava in libertà, né lo importunava; nel guardarlo anche lei si riempiva di un'insolita consolazione e si espandeva tutta in lodi e ringraziamenti a Dio per i doni che si degnava di fare a suo figlio. Molte volte anche suo padre osservò questo e, unito alla madre, si scioglieva in lacrime di consolazione.

Giuseppe e il Vicerè d'Egitto - Quanto furono consolati i genitori del nostro Giuseppe, nell'allevare il loro fanciullo, e quanto teneramente lo amarono! Ben altro che i genitori di Giuseppe patriarca, che fu poi Vicerè dell'Egitto, che fu una figura del nostro Giuseppe. Quello fu amato da suo padre sopra tutti gli altri figli, e il nostro Giuseppe fu amato e favorito da Dio sopra ogni altra creatura, destinandolo Padre putativo del divin Verbo Incarnato e sposo di sua Madre. Quello fu vestito dal padre con una veste preziosa, e il nostro Giuseppe fu vestito e ornato della grazia santificante. Quello fu odiato dai suoi fratelli e venduto come uno schiavo, e al nostro Giuseppe, alla morte dei suoi genitori, furono usurpate tutte le facoltà e fu costretto ad andare ramingo a Gerusalemme per imparare l'arte del falegname e per acquistarsi il vitto. Quello fu interprete dei sogni, e il nostro Giuseppe ebbe un angelo che nel sonno lo ammaestrava e gli insegnava quel tanto che doveva fare per piacere al suo Dio e per adempire la sua volontà. Quello fu Vicerè dell'Egitto, e il nostro Giuseppe fu Vice-Dio nell'Egitto di questo mondo. Quello conservò la fede al suo principe lasciando intatta la sua consorte, e il nostro Giuseppe conservò la fede allo Spirito Santo, lasciando non solo intatta la Sua divina sposa, ma essendo egli stesso il custode della sua purezza. Quello conservò il frumento per il beneficio di tutto il popolo, e il nostro Giuseppe mise in salvo la vita al Frumento degli eletti, cibo e conforto dei fedeli. Quello fu di consolazione ai suoi parenti e a tutto l'Egitto, e il nostro Giuseppe fu di consolazione al Verbo Incarnato alimentandolo con le sue fatiche e con i suoi sudori, e a Sua Madre, servendole di conforto nei suoi viaggi, ed è di consolazione a tutte le anime fedeli nelle loro necessità e nelle estreme agonie. Quello fu amato oltremodo dal suo principe, ed il nostro Giuseppe, quanto fu più amato e favorito dal suo Dio, facendo le sue veci sulla terra! Per cui non c'è stato nessuno sulla terra che si sia potuto paragonare al nostro Giuseppe, tanto favorito e sublimato dal suo Dio. Solo la sua santissima e purissima sposa fu senza paragone a lui sublime, perché Vergine e Madre del Verbo divino. Ora, essendo il nostro Giuseppe arricchito di tanti doni, apportò non solo una grande consolazione ai suoi genitori nell'allevarlo, ma essi furono anche arricchiti di molte grazie per amore del loro figlio che si mostrava loro molto grato; e se pregava in quella tenera età per i peccatori, molto più si applicava a pregare Dio per i suoi genitori. Dio esaudiva le sue preghiere, e perciò essi crebbero a meraviglia nelle virtù e nell'amore di Dio e del prossimo.

Suo sguardo al cielo - Quando poi il nostro Giuseppe era condotto da sua madre in un luogo dove poteva vedere il cielo, allora sì che si mostrava tanto contento! E, fissando gli occhi al cielo, li teneva immobili a guardarlo esultando e facendo festa, dando così a vedere come qui fosse il suo tesoro e tutto il suo bene. La madre, che si accorse di questo, spesso ve lo conduceva e quando vedeva il figlio afflitto, per sollevarlo, lo portava nei luoghi dove potesse vedere il cielo, e allora si rasserenava tutto, e per un pezzo era costretta a tenervelo per non privarlo della sua consolazione. Anche lei in tali occorrenze godeva molto e il suo spirito si rallegrava, contemplando le grandezze di Dio e le sue opere mirabili.

Tentazioni e vittorie - Il nemico infernale si accorse della luce che splendeva in Giuseppe e che i suoi genitori facevano grandi progressi nelle virtù, per cui temette molto che questo fanciullo potesse fargli guerra, e che con il suo esempio molti si applicassero all'esercizio delle virtù. Tentò più volte di togliergli la vita, ma i suoi attentati riuscirono sempre vani, perché il nostro Giuseppe era difeso dal braccio onnipotente di Dio e custodito dai due angeli che Dio gli aveva assegnato. Quindi il nemico fremeva di rabbia per non poter effettuare i suoi disegni, e si appigliò ad un altro partito, ingegnandosi di mettere guerra e confusione fra i genitori di Giuseppe. Anche questo gli riuscì vano, perché, essendo questi ornati di grandi virtù e timore di Dio, capivano bene le insidie del comune nemico, e con la preghiera lo facevano fuggire confuso. Tentò anche con le persone di servizio della casa, ma anche questo gli riuscì vano, perché il nostro Giuseppe pregava per tutti e Dio non tardava ad esaudirlo. Molte volte si asteneva dal prendere il solito alimento per accompagnare con l'orazione anche il digiuno: per cui trovandosi il nemico abbattuto di forze, desisteva per qualche tempo e si ritirava con il pensiero di fargli nuova guerra, aspettandone l'occasione: ma restò sempre vinto ed abbattuto, perché le preghiere di Giuseppe avevano una grande forza, ed erano molto efficaci presso Dio. L'Angelo poi destinato a parlargli nel sonno, ammoniva il nostro Giuseppe di tutto ciò che doveva fare per abbattere il nemico infernale, e lo avvisava quando questo si apprestava a fargli guerra e a disturbare la sua casa; ed il nostro Giuseppe non mancava di fare tutto ciò che l'Angelo gli diceva nel sonno.

Orazione e contemplazione - Essendo arrivato il fanciullo ad un'età conveniente, e crescendo a meraviglia, la madre lo tolse dalle fasce e lo vesti. Il nostro Giuseppe mostrò in questo grande gaudio, e alzando le mani verso il cielo, tutto anelante, pareva che volesse volare dove stava il suo Tesoro e spesso si faceva vedere in tale posizione. Altre volte la madre lo trovava con le mani incrociate molto strette sul petto, in segno che si abbracciava con il suo Dio, che abitava nella sua anima per mezzo della grazia e dimorava nel suo cuore. Altre volte lo trovava con le mani giunte, in atto di pregare e tanto assorto che sembrava non avesse sentimenti, perché tutto immerso nella contemplazione. La madre, in tali occorrenze, lo lasciava stare, ed egli vi dimorava giorni interi, trattenendosi nel contemplare le perfezioni divine, istruito ed ammaestrato nella preghiera dal suo angelo, e molto più dal suo Dio, che con tanta generosità si comunicava alla sua anima infondendogli il suo spirito.


Capitolo V - L'infanzia di S. Giuseppe

I primi passi - Il nostro Giuseppe, crescendo ogni giorno di più nell'amore verso il suo Dio e nella cognizione delle divine perfezioni, bramava di arrivare ad essere perfetto e santo per potere in qualche modo assomigliare al suo Dio nella santità e corrispondere al suo infinito amore. Perciò desiderava di arrivare presto a camminare per poter impiegare anche il suo corpo in ossequio al suo Dio e fargli, anche esternamente, quelle dimostrazioni d'amore e di sottomissione. Dio gradiva molto i desideri del nostro Giuseppe e li esaudiva, e così arrivò in breve a camminare.

Le prime parole - Il nostro Giuseppe incominciò molto presto a parlare e a camminare e le prime parole che proferì furono il nominare il suo Dio, ammonito così dall'Angelo nel sonno. La mattina che parlò, appena svegliato, disse: «Dio mio!». Fu inteso dai suoi genitori che, stupiti ed attoniti, si riempirono di giubilo, godendo che il loro figliolo incominciasse a parlare e godendo molto di più che le sue prime parole fossero dirette a Dio, come invocandolo in suo aiuto e chiamandolo "suo". Il nostro Giuseppe proferiva spesso questa parola e con ragione, perché essendosi egli donato tutto a Dio, Dio era tutto suo; e quando sentiva dire dai suoi genitori, che Dio si era chiamato il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, egli soggiungeva: «E di Giuseppe» - e lo diceva con tanta grazia, in quella così tenera età, che i suoi genitori ne godevano molto, e per ascoltarlo, gli dicevano spesso queste parole; ed era tanto il sentimento con cui il fanciullo le diceva, che sembrava, come infatti era, che Dio fosse tutto il suo bene e lo scopo di tutti i suoi affetti e desideri, e che non avesse altro pensiero ed amore che per il suo Dio. Perciò si vedeva esultare e giubilare quando lo sentiva nominare, e i suoi genitori spesso glielo nominavano con grande affetto e riverenza, per apportare al loro figliolo questa consolazione.

Offerte e suppliche - I primi passi che il nostro Giuseppe formò furono da lui stesso offerti a Dio, supplicandolo della grazia che in tutti i suoi passi Egli rimanesse glorificato e mai offeso, come fece anche delle sue parole, ammaestrato così dall'Angelo. Dio ascoltò le sue suppliche e le esaudì perché, tanto nelle parole come nei passi e in tutte le sue opere, restò sempre glorificato e mai offeso o disgustato. In tutte le sue azioni ebbe poi il nobile esercizio di guardare sempre il cielo ed invocare il suo Dio, supplicandolo del suo aiuto e della sua santa grazia nell'azione che faceva, affinché fosse secondo il suo divino beneplacito; e questo era nel cibarsi, nell'andare a riposare, nel parlare e nel camminare. E poiché in quella tenera età non gli era permesso di fare quelle azioni virtuose che lui bramava, gli offriva il suo desiderio e quelle azioni indifferenti che sono comuni a tutti per conservare la vita, come il mangiare, il bere, il dormire, il ricrearsi. Il nostro Giuseppe impreziosiva tutte queste azioni con la retta intenzione, facendo tutto per amore del suo Dio, e per amore dello stesso, si privava spesso di quello che più gli piaceva, ammaestrato così dal suo angelo in quella tenera età, perché altro non poteva fare per il suo Dio, che tanto amava; e spesso gli si offriva tutto in dono, rinnovando quegli atti che già fece quando fu presentato al Tempio. Sua madre, poi, vedendo come il figlio avesse molte capacità, lo andava istruendo insegnandogli vari atti di affetto verso Dio, come praticavano gli Ebrei, ed il nostro Giuseppe mostrava molto gusto nell'ascoltarli e li praticava mirabilmente con ammirazione della madre e di chi lo udiva.

Spirito dì preghiera - Quando poi camminava speditamente, spesso si nascondeva a pregare con le mani sollevate al cielo, facendo atti di ringraziamento a Dio, perché tanto lo beneficava, e stava ore intere inginocchiato a terra. Era meraviglioso vedere quel piccolo fanciullo in tale posizione, ma faceva più meraviglia vedere come il suo spirito si deliziasse nella contemplazione delle perfezioni divine e ben si notava anche esternamente mentre il suo volto appariva tutto rubicondo e gli occhi sfavillanti, dimostrando con questo che si deliziava con il suo Creatore, e che gli influssi della grazia ricolmavano la sua anima. La madre, che con destrezza si metteva in un luogo dove il figlio non la potesse vedere, lo sentiva spesso esclamare:«O Dio di bontà infinita, quanto mi hai beneficato e perciò quanto ti devo!». E diceva tutto questo balbettando, ma con il cuore infiammato d'amore verso il suo Dio. La madre che lo udiva, accompagnava il figlio con atti d'amore e di ringraziamento, e si scioglieva in lacrime di tenerezza per vedere il suo figliolo tanto favorito da Dio e arricchito di tanti doni.

Sospira il Messia - Gli fu poi manifestato dai suoi genitori come Dio aveva promesso di mandare al mondo il Messia, che si aspettava con desiderio, e che gli antichi Patriarchi bramavano tanto; questo gli fu anche insinuato dall'Angelo nel sonno, così il nostro Giuseppe si accese di un vivo e ardente desiderio di questa venuta e ne porgeva calde suppliche a Dio, perché si fosse degnato di accelerarne i tempi. Da questo momento tutte le sue preghiere tendevano a questo fine e Dio udiva con gusto le suppliche dell'innocente Giuseppe compiacendosene molto, e di questo gliene dava una chiara testimonianza perché, quando egli gli porgeva queste suppliche, Dio gli riempiva il cuore di giubilo e di consolazione, per cui il nostro Giuseppe si animava ancora di più nel fare la richiesta, e così avanzava nell'amore verso il suo Dio e nelle suppliche premurose.
Pena per le offese a Dio - Quando in casa accadeva qualche cosa per la quale Dio potesse restare disgustato - e questo capitava fra le persone di servizio per la loro fragilità - allora sì che il nostro Giuseppe si faceva vedere tutto afflitto e mesto, e piangeva amaramente; e poiché a quella tenera età non poteva riprenderli, dimostrava però con il pianto quanto fosse grande il suo dolore. La madre, che si accorgeva di questo, gli domandò un giorno perché piangesse tanto e si affliggesse, ed egli rispose con gran sentimento:«Tu mi hai più volte insegnato quello che devo fare per piacere a Dio e quello che si deve fuggire per non disgustarlo. Ora vedendo che nella nostra casa si disgusta, non vuoi che io mi affligga e pianga?». Questo disse alla madre, perché da lei era già stato più volte istruito a fuggire le offese divine, ed anche perché lei non arrivasse a comprendere i doni che Dio gli aveva partecipato, come l'uso della ragione e la chiara cognizione delle divine offese per le quali egli molto si affliggeva, mentre capiva come Dio meritava di essere amato, onorato e non offeso, e che le colpe disgustavano molto il suo Dio, che egli tanto amava. Inteso questo, la madre procurava di stare molto vigilante, affinché Dio non fosse offeso da nessuno della sua casa e riprendeva aspramente i trasgressori, tanto che il nostro Giuseppe, con il suo comportamento, fu occasione perché la casa dei suoi genitori si potesse chiamare piuttosto "scuola di virtù", vivendo tutti con un'esatta osservanza della legge divina.

Prudenza della madre - La madre, poi, era molto accorta, e prudente nel tenere nascosto quanto il figlio le diceva, e quanto in lui scorgeva di doni e di grazie soprannaturali; né si dimenticò mai di quanto le disse l'Angelo del Signore in sogno, e cioè che suo figlio avrebbe visto il Messia e avrebbe conversato con lui; perciò non si faceva grande meraviglia nel vederlo tanto favorito da Dio, e si impiegava tutta nel lodare e ringraziare la generosità di Dio, tanto grande verso il suo Giuseppe. A volte lo guardava con grande tenerezza di affetto, lacrimando per la consolazione che sentiva nel pensare che suo figlio avrebbe avuto la bella sorte, che non avevano potuto avere tanti Patriarchi e Profeti, di vedere venuto al mondo il Messia promesso; e spesso diceva al figlio: «Figlio mio, beato te!», - invidiando santamente la sua felice sorte. Il nostro Giuseppe le domandò una volta perché gli dicesse questo. La saggia madre gli rispose: «Ti dico questo, perché so che il nostro Dio ti ama molto», - celandogli il mistero. Giuseppe nel sentire queste parole, alzava le mani al cielo, esclamando: «Oh, sì, sì, che mi ama il mio Dio!». E qui si infiammava tutto nel volto, esultando per la gioia e lacrimando per la dolcezza. Poi aggiungeva: «Ed io lo amo? Poco lo amo! Ma lo voglio amare molto più di quello che lo amo; e nel crescere che farò negli anni e nelle forze, crescerò anche nell'amore del mio Dio».E fu così perché, a misura che andava crescendo nell'età, cresceva anche nell'amore.

Istruzione patema - I suoi genitori, vedendo poi che il figliolo era tanto capace, incominciarono ad istruirlo nelle lettere, e questo lo fece il proprio padre perché egli era molto dotto nella Legge, e non volle consegnare ad altri il figlio perché fosse istruito, perché frequentando gli altri non venisse a perdere quello spirito che Dio gli aveva comunicato. Così il nostro Giuseppe incominciò ad imparare a leggere e gli riusciva mirabilmente, in modo che suo padre non ebbe mai occasione di riprenderlo. Aveva appena tre anni che già incominciava a leggere con molta consolazione dei suoi genitori e a suo profitto. Si esercitava nella lettura della Sacra Scrittura e nei Salmi di Davide, che il Padre poi gli spiegava. Era molta la consolazione che il nostro Giuseppe sperimentava nel leggere e nel sentirsi spiegare dal padre quel tanto che leggeva, ed in questo esercizio ci mise tutto il suo studio, non tralasciando però mai i soliti esercizi di orazione e preghiere a Dio, e spendeva tutto il suo tempo in questo esercizio, cioè nel pregare, studiare e leggere, avendo per ogni cosa il suo tempo assegnato.

Sua ammirabile pazienza - Non fu mai visto, benché fanciullo, né adirato, né impaziente, ma conservava sempre una serenità di volto ed una somma quiete, nonostante molte volte Dio permettesse che gliene capitasse l'occasione, essendo maltrattato dalle persone di casa in assenza dei suoi genitori; e il nostro Giuseppe soffriva tutto con pazienza ed allegrezza. Il demonio spesso si ingegnava ad istigare le persone di servizio in casa, perché lo maltrattassero per vederlo perdere la bella virtù della sofferenza; ma questo non gli riuscì mai, perché il nostro Giuseppe era tanto immerso con il pensiero nell'amore del suo Dio e tanto godeva della sua presenza nella sua anima, che non c'era cosa, per grande che fosse, che turbasse la pace del suo cuore e la serenità del suo spirito. Il demonio fremeva molto nel vedere tanta virtù in Giuseppe, e fremeva molto di più perché non si poteva accostare a lui con le tentazioni, tenendolo Dio lontano; ma tanto fece che un giorno lo precipitò per una scala della casa, permettendolo Dio per esercizio di virtù al nostro Giuseppe e per maggior confusione del nemico infernale. Vedendosi il fanciullo così precipitato, chiamò Dio in suo aiuto, e Dio non tardò a soccorrerlo liberandolo da ogni male. Da questo Giuseppe ebbe occasione di riconoscere la grazia del suo Dio e ringraziarlo, e il demonio partì confuso.

Sua vita raccolta - Non fu poi mai visto, nonostante quella tenera età, fare cose fanciullesche, né mai si curò di trattare con altri fanciulli suoi pari, stando sempre ritirato in casa, applicato allo studio e all'orazione, non perdendo mai tempo. Prestava poi un'esatta obbedienza ai suoi genitori, non tralasciando mai di fare quel tanto che da loro gli era ordinato. Tutto il suo divertimento stava nel trattenersi spesso a guardare il cielo, perché sapeva che lì abitava il suo Dio; e gli inviava caldi sospiri supplicandolo di mandare presto nel mondo il Messia promesso.

Imitazione dei Patriarchi - Portava poi un grande affetto al Patriarca Abramo, Isacco e Giacobbe e al Profeta Davide, e spesso supplicava suo padre di narrargli la vita che essi avevano condotto, con il desiderio di imitarli; poiché sapeva che erano stati tanto amati e favoriti dal suo Dio e il padre lo compiaceva e gli narrava la vita, ora di uno, ora dell'altro. Il nostro Giuseppe lo stava ad ascoltare con molta attenzione e poi diceva: «Questi sono stati amici e favoriti del nostro Dio e questi dobbiamo imitare nelle loro virtù». E sentendo come il Padre Abramo camminava sempre alla presenza di Dio, come lo stesso gli aveva ordinato se voleva essere perfetto, procurò di imitarlo perfettamente. Il nostro Giuseppe era appena giunto all'età di sette anni, che era già capace di tutte le virtù che questi Patriarchi avevano esercitato, e per quanto si estendevano le sue forze, si applicava ad imitarli nella fede e nella confidenza ed amore verso il suo Dio; così il nostro Giuseppe cresceva nelle virtù e si rendeva sempre più gradito a Dio.

Lode a Dio - Sentendo poi come il santo Davide lodava il suo Dio sette volte al giorno in modo speciale, anch'egli lo volle praticare, e supplicò il suo angelo perché lo avesse svegliato per tempo, per potere lodare il suo Creatore anche nelle ore notturne. Sapeva già varie cose a mente, a lode del suo Dio, e le ripeteva spesso, sia di giorno che di notte con molto gusto del suo spirito e Dio non mancava di illuminarlo sempre di più ed accrescere in lui i suoi doni. Nel tempo stesso che lo stava lodando, era così acceso d'amore verso il suo Dio che, molte volte, nonostante fosse notte, apriva la finestra della sua stanza e si metteva a guardare il cielo, e qui dava adito al suo cuore perché divampasse le fiamme verso la sua sfera e diceva: «Beato colui che avrà la sorte di vedere con i propri occhi il Messia promesso! Beato chi avrà la fortuna di servirlo e di trattare con lui! Che sorte sarà la sua!».E diceva questo con tanto ardore che restava estatico per molto tempo, acceso da un vivo desiderio di poterlo servire e prestargli tutto l'onore e il servizio.

Amore per i poveri - Nel petto di Giuseppe ardeva poi un grande amore verso il prossimo e bramava di giovare a tutti, perciò diceva spesso ai suoi genitori che distribuissero delle elemosine ai poveri bisognosi e che non avessero riguardo di conservarle per lui, perché si accontentava di essere povero, purché gli altri non avessero patito; e i suoi genitori non mancavano di assecondare il suo desiderio, facendo larghe elemosine ai poveri, essendo già anche loro inclini nell'usare grande carità verso i bisognosi.

Sua purezza verginale - Il nostro Giuseppe era già arrivato all'età di sette anni con questo tenore di vita che abbiamo detto, avendo conservato sempre un illibato candore ed innocenza in modo tale che, non solo non diede mai un minimo disgusto ai suoi genitori, ma nemmeno fece mai alcuna azione che non fosse stata di sommo gusto e compiacimento del suo Dio; anzi, quanto più cresceva negli anni, tanto più gli si rendeva gradito operando sempre con maggiore perfezione. Oltre all'amore che aveva per la purezza, che Dio gli aveva infuso in modo mirabile, questa virtù gli fu anche molto raccomandata dal suo angelo, quando una volta nel sonno gli fece un grande elogio, soggiungendogli che questa virtù era molto cara al suo Dio ed il nostro Giuseppe se ne invaghì molto di più e propose di conservarla per tutto il tempo della sua vita; e perché potesse eseguire questo, supplicava il suo Dio perché gli avesse dato la grazia di poterlo fare. Propose anche di fuggire tutte le occasioni pericolose, perché il suo ammirabile candore non avesse mai patito alcun danno e infatti l'eseguì con tutto lo studio immaginabile, custodendo tutti i suoi sentimenti con grande rigore e specialmente gli occhi che teneva per lo più fissi a terra o rivolti al cielo. Dal suo aspetto si conosceva bene quanto fosse grande la purezza della sua anima e anche del suo corpo, tanto che pareva un angelo vestito di carne mortale. La madre più volte osservò lo splendore nel suo volto, ed anche suo padre; da questo conoscevano bene quanto grande fosse la purezza e l'innocenza del loro figliolo e come Dio si compiaceva di abitare nella sua purissima anima per mezzo della sua grazia; questo si notava quando il nostro Giuseppe terminava la preghiera, e che da solo a solo aveva trattato con il suo Dio.

Cura dei suoi genitori - In queste occasioni i suoi genitori si sentivano riempire l'anima di un'insolita consolazione e di un amore riverenziale verso il loro figlio, guardandolo sempre più come un tesoro e un dono del Cielo. Non tralasciavano però di esercitare su di lui quell'autorità propria dei genitori verso i loro figli, e spesso provavano come fosse obbediente ai loro cenni, ed egli si mostrava obbedientissimo in tutto.

Sua mortificazione - Il nostro Giuseppe era molto incline al digiuno e alle asprezze, ma quando i suoi genitori glielo proibivano, egli si sottometteva alla loro volontà con tutta la rassegnazione, e non replicava mai in alcuna cosa. Quando desiderava fare digiuni e veglie domandava a loro il permesso con tanta sottomissione, che sembrava non glielo sapessero negare, tanto era il modo che aveva per accattivarseli; e quando gli negavano il permesso, lo facevano con pena, perché non potevano contraddirlo.

Carità ai poveri - Molte volte ancora, il padre gli dava dei soldi perché desse l'elemosina ai poveri che gliela domandavano; ed allora la prendeva con tanta sottomissione ed umiltà, come se quella elemosina l'avessero fatta a lui stesso, e ben presto la dispensava ai poveri non trattenendo mai presso di sé alcuna cosa. Quando vedeva qualche povero venire a casa sua a domandare la carità, egli andava dalla madre e gliela domandava come per sé, con tanta sottomissione; la madre si meravigliava della virtù di suo figlio e gliela faceva largamente. Era poi tanto grande il gusto che il nostro Giuseppe aveva nel dare l'elemosina ai poveri, che si capiva bene nel suo volto, poiché se vedeva un povero si affliggeva tutto e subito si rallegrava quando gli dava l'elemosina.

Invaghito delle virtù - Era già molto incline alla pratica di tutte le virtù, ma se ne era molto più invaghito perché l'Angelo gli parlava nel sonno e gli manifestava il pregio e valore delle virtù, e come queste fossero molto care e di gusto al suo Dio. Non ci voleva altro perché il nostro Giuseppe si innamorasse della virtù. Il solo sentire che erano gradite al suo Dio, era sufficiente perché egli si mettesse a praticarle con tutto l'impegno.


Capitolo VI - Progresso di S. Giuseppe nelle virtù e favori che riceve da Dio

Consigliere umile e prudente - Il nostro Giuseppe aveva già compiuto sette anni e a questa età mostrava grande senno, più di un uomo di età matura. Le sue parole gravi e le sue opere tutte perfette erano tali che suo padre, dovendo prendere consiglio circa le cose importanti e di rilievo, non trovava miglior consigliere che il proprio figlio, e tutto gli riusciva bene con il consiglio che lui gli dava, perché era molto illuminato da Dio, e non sbagliava mai nel suo parere, perché trattava tutto con Dio nella preghiera. I suoi genitori non facevano nessuna cosa, se prima non avevano chiesto il parere del figlio, sapendo per esperienza che quello che lui diceva riusciva a puntino; ma il nostro Giuseppe si comportava in questo con tanta umiltà e sottomissione, che i suoi genitori stessi rimanevano meravigliati. Egli diceva loro il suo parere e poi aggiungeva:«Io vi dico questo, secondo quello che so essere giusto e che si deve fare; voi considerate bene il tutto e fate quello che conoscerete essere meglio e piùgradito al nostro Dio». Poi, rientrando di nuovo nell'orazione, pregava Dio di illuminare i suoi genitori, affinché avessero operato tutto quello che era di suo maggior gusto, non fidandosi mai di se stesso e giudicandosi una creatura vilissima e miserabile. Si umiliava molto al cospetto del suo Dio e quando i suoi genitori gli chiedevano il suo parere e qualche consiglio, ne sentiva una grande confusione, e parlava solo per obbedire e perché Dio rimanesse glorificato in tutte le cose. E Dio non mancava di prevenirlo sempre più con le sue grazie e di illuminarlo chiaramente, sia nell'orazione sia per mezzo dell'Angelo che gli parlava nel sonno, benché questo, a misura che egli andava crescendo, gli parlava più di rado, perché, oltre i lumi che Dio gli comunicava con più pienezza, veniva anche istruito con la lettura della Sacra Scrittura.

Cintura celeste - Una notte, però, mentre il nostro Giuseppe dormiva, l'Angelo gli apparve nel sonno e gli disse che Dio aveva gradito molto il suo proposito di conservarsi vergine per tutto il tempo della sua vita e che gli prometteva il suo favore ed aiuto particolare; e mostrandogli una cintura di incomparabile valore e bellezza, gli disse: «Questa cintura te la manda il nostro Dio in segno del gradimento che ha avuto del tuo proposito e della grazia che tifa di poter conservare sempre illibato il candore della tua purezza, ordinandomi che io te la cinga».Ed avvicinandosi a lui gli cinse i fianchi con quella cintura, ordinandogli di ringraziare Dio del favore e della grazia che gli concedeva. Quando si svegliò, il nostro Giuseppe si alzò subito e inginocchiato a terra adorò il suo Dio e lo ringraziò affettuosamente per il beneficio che gli aveva fatto e per il dono che gli aveva inviato, per mezzo del quale non ebbe mai alcuna cosa che lo molestasse in questo particolare. Benché il demonio lo assalisse con varie tentazioni, come si dirà a suo tempo, su di questo però non poté mai molestarlo in nessun modo, non permettendo Dio che il nemico lo assalisse con tentazioni contro la purezza, conservando in lui una purezza mirabile in modo che fu ben degno di trattare e di avere in custodia la Regina delle Vergini.

Grande grazia promessa - Un'altra volta l'Angelo gli parlò nel sonno e gli disse che Dio aveva destinato di fargli un dono molto grande e sublime non sapendo però che cosa fosse, ma che intanto gli manifestava la grazia che gli voleva fare, affinché lui si fosse impegnato a supplicarlo e se ne fosse reso degno con la pratica delle virtù e con le suppliche, perché il suo Dio godeva molto di essere pregato, e che alle grazie e favori grandi vuole che precedano grandi orazioni e preghiere. Sentito questo il nostro Giuseppe non fu curioso di investigare quale fosse questo favore e questa grazia sublime, ma si mise con tutto lo spirito a supplicare il suo Dio; e da quel momento in poi, lo supplicava con grande premura di due grazie: una era che accelerasse la venuta del Messia, e l'altra era che gli facesse la grazia che gli aveva fatto promettere dall'Angelo. Domandava a Dio molte altre grazie, ma queste due gli stavano molto a cuore. Questa grazia e dono sublime era il dargli per sposa la Madre del Verbo divino; non lo seppe mai fino a quando non la ottenne, benché nemmeno allora gli fu manifestata la Maternità divina. Mentre il nostro Giuseppe continuava a domandare le suddette grazie, sperimentava una grande consolazione.

Estasi sublime - Una volta, fra le altre, fu rapito in un'estasi sublime, nella quale gli furono manifestate le virtù che il Messia avrebbe praticato quando sarebbe venuto al mondo per vivere fra gli uomini, tra le quali l'umiltà e la mansuetudine che avrebbero spiccato a meraviglia, come anche tutte le altre e Giuseppe se ne invaghì tanto e pose tanto affetto a queste virtù che bramava praticarle ed arrivare a possederle, e perciò non mancò di porre tutto lo studio e la diligenza per acquistarle. Ed era mirabile il profitto che faceva in queste virtù, ed esortava anche le persone di casa dicendo loro che praticassero quelle virtù, perché piacevano molto al suo Dio.

Al Tempio per la Pasqua - Il nostro Giuseppe andava poi con i suoi genitori al Tempio di Gerusalemme nella solennità della Pasqua e, quando arrivava quel tempo, si faceva vedere allegro più del solito, mostrando di avere tutta la consolazione. Si preparava però a questa solennità con digiuni e preghiere, ammaestrato così dal suo Angelo. 

Quando era arrivato al Tempio, si metteva in ginocchio a pregare, stando immobile ore intere con ammirazione di chi lo osservava, specialmente perché era molto giovane. Qui riceveva grandi illuminazioni da Dio, e contemplando il gaudio della celeste Gerusalemme, pregava il suo Dio di mandare presto il Messia promesso, affinché per mezzo della Redenzione le anime potessero andare a godere quell'eterna beatitudine; e Dio si compiaceva molto delle sue suppliche. 

Suo padre portava poi larghe elemosine al Tempio che dava in mano al figlio, perché lui le offrisse e faceva questo perché conosceva il grande desiderio che il figlio aveva di fare l'elemosina, ed il nostro Giuseppe la faceva con tanto cuore ed allegrezza, che non c'è mai stato chi abbia tanto goduto nel ricevere quanto godeva Giuseppe nel dare e lo faceva con un'intenzione rettissima, donando di nuovo tutto se stesso a Dio. 

Aveva poi un grande desiderio di trattenersi a Gerusalemme per potere avere la comodità di andare spesso al Tempio; ed i suoi genitori, per compiacerlo, vi si trattenevano più del solito, ed in quel tempo il nostro Giuseppe non se ne andava mai dal Tempio se non per prendere il cibo ordinario e il riposo della notte; tutto il resto del tempo lo spendeva nel Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio di concedergli quel tanto che egli bramava.

Fece poi una promessa a Dio, che se egli fosse rimasto privo dei suoi genitori voleva andare ad abitare a Gerusalemme per avere la comodità di frequentare il Tempio, per il quale sentiva un affetto particolare. Dio gradì la promessa, e non mancò, con il tempo, di dargli la comodità di poterlo fare. Nel tempo che i suoi genitori si trattenevano a Gerusalemme, il nostro Giuseppe non fu mai visto vagare per la città a guardare cose curiose, come si fa solitamente a quell'età, né mai in compagnia di qualcuno. 

Riveriva i Ministri del Tempio mostrandosi tutto ossequioso, ed è per questo che era amato da tutti, avendone ognuno grande stima, sia per le larghe elemosine che faceva come anche per l'ottima indole che si scorgeva in lui; ma il nostro Giuseppe non fece mai conto di questo, era attento solo all'amore del suo Dio e a procurare di piacere a Lui solo e dargli gusto. Un giorno, fra gli altri, mentre pregava nel Tempio con più fervore del solito, udì la voce interiore del suo Dio che lo assicurò come le sue preghiere gli piacevano molto e che l'avrebbe esaudito in tutto quello che gli domandava. L'assicurò dell'amore grande che gli portava invitandolo ad un'amorosa corrispondenza. Fu tanta la gioia che Giuseppe provò nell'ascoltare questa voce che andò in estasi stando immobile ore intere godendo l'incomparabile dolcezza e soavità dello spirito del suo Dio. Ne rimase molto più infiammato ed acceso d'amore, e non voleva sentir parlare d'altro che di Dio e delle divine perfezioni e bramava con grande ardore di trovare una compagnia o un amico fedele con il quale potesse conversare delle divine grandezze e perfezioni, ma conoscendo che un amico simile non c'era, pregava il suo Dio di mandarglielo. 

Un giorno, mentre stava facendo questa supplica, udì di nuovo la voce interiore del suo Dio che gli disse come l'avrebbe consolato molto più di quello che egli desiderava. E questo era vero, perché sebbene allora non glielo avesse manifestato, gli fece la grazia di trattare con il Verbo Incarnato e con la sua purissima Madre; grazia assai maggiore di quello che egli bramava e domandava. Tutto consolato per la promessa, il nostro Giuseppe, aspettava l'esecuzione con desiderio e non lasciava di domandarla al suo Dio con grande insistenza, perché conosceva come Lui lo favoriva in tutto e gli si mostrava propizio. Aveva per Dio una somma gratitudine e lo ringraziava continuamente dei benefici, offrendosi tutto a lui senza alcuna riserva.

Desiderio del Messia - Tornato a Nazareth, sua patria, sembrava che non sapesse parlare d'altro che della magnificenza del Tempio e della fortuna di coloro che si trovavano lì e saliva più in alto con il suo discorso parlando della celeste Gerusalemme, e diceva: «Se tanto gusto si sperimenta nello stare nel Tempio di Gerusalemme, quale gusto e consolazione si sentirà nell'andare ad abitare nella casa propria dove il nostro Dio risiede, e quanto grande sarà la magnificenza di quel luogo? Preghiamo il nostro Dio che ci mandi presto il Messia promesso, affinché per suo mezzo siamo fatti degni di andare anche noi ad abitarvi dopo la morte». Diceva questo ai suoi genitori con tanto spirito e ardore che provavano anch'essi un grande desiderio e i loro cuori si accendevano nella brama della venuta del Messia, porgendone calde suppliche a Dio. 

Il nostro Giuseppe faceva questi discorsi, non solo con i suoi genitori e con quelli di casa, ma anche con tutti coloro che vi andavano, imprimendo nel cuore di tutti un vivo desiderio della venuta del Messia e diceva loro: «Pregate spesso il nostro Dio che si degni di abbreviare il tempo delle sue promesse. Beati noi se potessimo ottenere questa grazia, ed avere la sorte di vedere il Messia fra di noi! Quale fortuna sarebbe la nostra! Quanto vorrei spendermi tutto per servirlo ed onorarlo!».

Alle volte la madre si prendeva gusto e gli diceva: «Che faresti tu, figlio mio, se potessi avere la bella sorte di vedere con i tuoi occhi il Messia?».Ed egli allora, alzando le mani al cielo, esclamava: «Che farei! Mi donerei tutto a Lui, offrendomi prontamente a servirlo sempre, e non lo lascerei mai».E la madre soggiungeva: «E non sai tu che la servitù costa molta fatica?». Ed egli allora diceva: «Non solo farei volentieri molte fatiche per servirlo, ma ne sarei felice se mi dovesse costare la vita stessa».E la madre soggiungeva: «Chi sa poi se gradirebbe la tua servitù, e se ti ammetterebbe al suo servizio?». Ed egli rispondeva: «È vero che io non sarei degno di questo, ma lo pregherei tanto fino a quando, mosso a pietà, accetterebbe la mia servitù, perché, come il nostro Dio è infinitamente buono, così anche il Messia sarà infinitamente buono. E come il nostro Dio gradisce le nostre suppliche ed orazioni, così il Messia gradirà la mia servitù». 
Alla fine la madre lo consolava con questa risposta: «Orsù, figlio mio, continua a supplicare il nostro Dio affinché si degni di mandarlo presto, perché spero che gradirà i tuoi desideri ed esaudirà le tue suppliche e tu resterai consolato nelle tue brame». E allora alzando le mani al cielo esclamava:«Piacesse al mio Dio che questo accadesse. Chi sarà più fortunato e contento di me!»