DE VITA S. JOSEPH
Capitolo I - La patria di S. Giuseppe e dei suoi genitori
Fondamento teologico - Avendo Dio destinato il glorioso S. Giuseppe per Sposo della Madre del suo Unigenito, volle anche che egli le assomigliasse molto, sia nelle origini, come nella patria e molto di più nelle sue virtù, impegnandosi l'Altissimo a formarlo tale e quale si conveniva per renderlo degno sposo della divina Madre.
I suoi genitori - I genitori del nostro Giuseppe erano, il padre nativo di Nazareth e la madre di Betlemme, e uniti in matrimonio dimorarono a Nazareth fino a che vissero. Il padre si chiamava Giacobbe e la madre Rachele, persone di santissima vita e simili sia nella nobiltà , come nelle virtù. Il padre era della stirpe e della progenie di Davide, come anche la madre era della medesima discendenza.
Frutto dell'orazione dei genitori - Dio permise che fossero per qualche tempo sterili, perchè voleva che il nostro Giuseppe fosse figlio di orazione, e perciò i suoi genitori facevano larghe elemosine ai poveri, come anche al Tempio di Gerusalemme, dove andavano spesso a pregare per impetrare da Dio la sospirata prole, e Dio non tardò molto a consolarli. Un giorno erano stati al Tempio ad offrire larghe elemosine, quando la madre ebbe una grande fede che Dio l'avrebbe esaudita e consolata. Tornando a Nazareth concepì il nostro Giuseppe, ed in quel tempo si videro sopra la loro casa tre lucidissime stelle, una di maggiore sublimità e splendore dell'altra, manifestando Dio con questi segni, come il nostro Giuseppe doveva formare la Trinità in terra ed essere il capo della Sacra Famiglia. Dio, però, permise che questo prodigio non fosse molto notato, affinchè il mistero e la fortuna del Santo rimanessero celati. La madre, essendo già incinta del nostro Giuseppe, sperimentava una grande consolazione e si andava esercitando sempre più in atti di virtù. Il nostro Giuseppe con l'alimento che riceveva dalla madre, si imbeveva anche delle virtù e devozioni che lei praticava, cosicchè nel seno materno contrasse, con il nutrimento, anche le nobili virtù della sua buona madre.
Un sogno profetico - La virtù, la devozione e l'allegrezza dei suoi genitori crebbero molto quando Dio rivelò loro l'occulto segreto per mezzo di un angelo che parlò ad entrambi in sogno, cioè¨, manifestò alla madre, come il fanciullo che lei portava nel suo grembo, avrebbe avuto la sorte di vedere il Messia promesso e trattare con Lui; che lei, però, avrebbe dovuto allevarlo con grande cautela ed accuratezza, e porgli il nome di Giuseppe, e che sarebbe stato grande al cospetto di Dio. Lo stesso disse in sogno a suo padre, ordinando però ad entrambi di tenere nascosto il segreto del Re e di non manifestarlo nemmeno al loro figliolo, ma che ne parlassero solo fra di loro per consolazione del loro spirito e per unirsi entrambi a ringraziare Dio e ad allevare bene il fanciullo, come anche a farlo istruire nella Sacra Scrittura. Ricolmi di giubilo per il sogno misterioso, i genitori del nostro Giuseppe conferirono insieme su quanto era loro accaduto, e scoprendo di essere stati fatti degni dello stesso sogno, ne resero affettuose grazie a Dio e si animarono alla pratica delle più eroiche virtù; e poichè erano saggi e prudentissimi, conservarono il segreto dentro di loro, non manifestandolo mai ad alcuno, obbedendo a quanto l'Angelo aveva loro ordinato.
Santa e felice gravidanza - Nel tempo della sua gravidanza, la madre si esercitava in digiuni, orazioni e larghe elemosine, ringraziando Dio del dono che le aveva fatto della sospirata prole e supplicandolo dell'aiuto divino, affinchè avesse dato felicemente alla luce il fanciullo. La madre portò con grande felicità la sua gravidanza, non essendo disturbata eccessivamente dai soliti travagli e patimenti; di tutto rendeva grazie a Dio, riconoscendo con molta gratitudine i benefici divini. Lo stesso faceva il padre di Giuseppe, che godeva molto della grazia che Dio faceva alla sua consorte di portare il fanciullo con tanta facilità e consolazione, ed entrambi rendevano grazie a Dio.
Capitolo II - La nascita di S. Giuseppe e la sua circoncisione
Nascita di Giuseppe - Arrivato il tempo della nascita del nostro Giuseppe, sua madre si preparò con più calde orazioni, cosicché arrivato il giorno fortunato lo diede alla luce con grande facilità, restando molto consolati, sia i genitori, come chi li assisteva. Il nostro Giuseppe aveva un'aria angelica, grave e serena e nonostante a quell'età si possano appena distinguere negli altri fanciulli le fattezze, tuttavia si distinguevano bene nel nostro Giuseppe che, al solo guardarlo, apportò a tutti una grande consolazione e specialmente ai suoi genitori, che, nel vederlo tale, si confermarono nella verità di quanto l'Angelo aveva detto loro in sogno. Terminate le funzioni che si fanno in tali occorrenze, la madre si applicò con la sua mente a rendere grazie a Dio del felice parto, e fattasi portare il fanciullo l'offrì a Dio col desiderio di dedicarlo al servizio del sacro Tempio di Gerusalemme. Ma Dio aveva già destinato di farlo custode del Tempio vivo e animato dello Spirito Santo, cioè della Madre del Verbo divino. L'Altissimo, però, gradì il desiderio e l'offerta della madre di Giuseppe e, se non accettò ed esaudì i suoi desideri, fu per sublimarlo ad un posto assai maggiore.
Comune esultanza - Per tutta Nazareth si sparse la fama della nascita del fanciullo e delle sue rare fattezze, e di come sembrava un angelo del Paradiso. Tutti si rallegrarono e fecero festa per la nascita dei fanciullo, che apportava a tutti un'insolita allegrezza e giubilo di cuore. Alla nascita di Giuseppe sfolgorarono poi a meraviglia le tre stelle splendenti sopra la casa dei suoi genitori, e si fecero vedere di nuovo, benché di passaggio. Il nostro Giuseppe aprì gli occhi e li fissò verso il cielo, tenendoli per qualche tempo così fissi, come stupito a rimirare la grandezza dei segno che Dio dava al mondo nel suo natale. Chiusi gli occhi, poi, non li aprì più fino al tempo debito, e questo fu ammirato da tutti con grande stupore e meraviglia.
Singolare modestia del fanciullo - Il fanciullo stava poi con grande quiete e tranquillità, apportando in tutto molta consolazione ai suoi genitori, e specialmente alla madre, che lo allattò con giubilo ed allegrezza e con molta riservatezza. Sebbene fosse in quella tenera età non permise mai che alcuno gli si avvicinasse a fargli le solite carezze che si fanno ai bambini, ritirando sempre il suo volto in atto di sdegnarle, mostrando anche in quella tenera età come doveva custodire illibato il candore della sua purezza ed innocenza, e permetteva solo ai genitori qualche dimostrazione di cordiale amore, benché essi fossero molto riservati, vedendo come il fanciullo schivava quei vezzi e quelle dimostrazioni di affetto.
Sua circoncisione - Arrivato l'ottavo giorno, i suoi genitori fecero circoncidere il fanciullo secondo l'uso degli Ebrei e i comandamenti della Legge e gli imposero il nome di Giuseppe, poiché erano comunemente d'accordo. Nel circonciderlo, il fanciullo pianse, ma asciugò presto le lacrime perché, nell'atto della circoncisione, Dio gli accelerò l'uso della ragione. Essendosi levata la macchia che aveva contratto dal peccato originale, stando in grazia ed amicizia di Dio, senza quella macchia che glielo rendesse in qualche modo disgustoso, Giuseppe fu ornato da Dio di molti doni e anche dell'uso della ragione, per la quale conobbe il suo Dio, e l'adorò con profonda adorazione, chinando la sua piccola testa e rasserenandosi tutto nel volto. Con atto ridente e grave esultò, mostrando anche esteriormente il godimento del suo spirito. Conobbe il beneficio che Dio gli aveva fatto e ne rese grazie affettuose e tutto si offrì a Lui. A Giuseppe, fu dato poi da Dio, oltre al suo angelo custode, anche un altro angelo, che molto spesso gli parlava nel sonno e lo ammaestrava in tutto quello che doveva fare per piacere maggiormente al suo Dio.
Pietà e zelo di Giuseppe - Il nostro Giuseppe, in quella tenera età aveva l'uso della ragione, della quale si serviva per conoscere, lodare e ringraziare il suo Dio che tanto lo aveva favorito, soffrendo l'incomodità di quella tenera età con grande pazienza. L'Angelo molto spesso lo avvisava di offrire a Dio quei patimenti che soffriva stando stretto tra le fasce; il fanciullo lo faceva in ringraziamento dei favori che Dio gli compartiva, e le sue offerte erano molto gradite a Dio. Il fanciullo comprendeva poi come il suo Dio fosse molto offeso dagli uomini, perciò spesso lacrimava, benché senza strepito, per non recare pena ai suoi genitori, e offriva a Dio quelle lacrime innocenti, ammaestrato così dal suo Angelo. Quando poi faceva questo, riceveva da Dio maggiori lumi e grazie, ed egli non mancava di rendere grazie a chi tanto lo beneficava.
Sua modestia e gratitudine - Quando poi la madre lo fasciava, il nostro Giuseppe si vedeva con il volto ricoperto di un vermiglio rossore e con gli occhi chiusi, in atto di mostrare dispiacere di essere sfasciato e visto. La madre era molto riservata in questo, ed usava grande cautela per non recare pena a suo figlio, poiché conosceva bene come la grazia divina facesse in lui mirabili prodigi, essendo anche lei un'anima molto illuminata e ornata di grandi virtù. Il nostro Giuseppe, succhiando il latte di sua madre, si imbeveva sempre di più delle sue virtù, e si mostrava con lei, più che con gli altri, molto affezionato e gradevole per l'alimento che gli dava. Le si mostrava molto allegro e gioviale, perché scorgeva in lei le rare virtù e capiva come, con il latte che prendeva da lei, gli si comunicavano anche le sue virtù.
Sua crescita - Il nostro Giuseppe aveva un ottimo temperamento ed era arricchito di doni naturali e molto più di doni soprannaturali. Cresceva a meraviglia sia nel corpo che nello spirito. Nel corpo per il buon nutrimento che riceveva da sua madre, anche lei di ottima salute; nell'anima, per i continui doni che riceveva dalla grazia divina e dalla generosità del suo Dio, che lo andava formando tutto a suo genio e secondo il suo Cuore, per renderlo poi degno sposo della Madre del Verbo divino. Il fanciullo conosceva le grazie che continuamente riceveva da Dio, e gli si mostrava grato con i soliti atti di ringraziamento. Il nostro Giuseppe aveva appena il cuore capace di amare, che tutto lo impiegò nell'amore verso il suo Dio e sommo benefattore, al quale ben riconosceva quanto doveva per i doni che gli aveva fatto.
Capitolo III - Purificazione della madre e presentazione di S. Giuseppe al Tempio
Al Tempio - Passati i giorni stabiliti dalla legge per le donne che si dovevano purificare, i genitori del nostro Giuseppe andarono a Gerusalemme; la madre per purificarsi e per offrire il loro fanciullo e poi riscattarlo, così come era ordinato nella legge. Essi portarono grandi doni al Tempio: non solo quello che erano soliti portare gli altri, ma molto di più, in atto di gratitudine per il beneficio ricevuto da Dio della sospirata prole. Il nostro Giuseppe in questo viaggio si fece vedere con un'insolita allegrezza e giovialità di volto, che fu ben avvertita dai suoi genitori, tanto che anche loro si riempirono di consolazione nel vedere il loro piccolo bambino tanto allegro e festoso. Capivano molto bene come la grazia divina si andava diffondendo nell'anima del loro figliolo, e che se tanto operava in quella tenera età, tanto maggiormente avrebbe fatto dei progressi nel crescere. Di questo ne rendevano grazie all'Altissimo e ne traevano motivo per crescere anche loro nell'amore e nella gratitudine verso Dio, ed applicarsi sempre più nella pratica delle virtù.
Purificazione e presentazione - Arrivati al Tempio, la madre di S. Giuseppe si purificò, e in quell'atto ricevette grandi lumi da Dio, per mezzo dei quali conobbe più chiaramente come Dio avesse arricchito suo figlio di doni. Lo presentò al sacerdote, e il sacerdote, nel riceverlo nelle sue braccia e presentarlo ed offrirlo a Dio, sperimentò un'insolita allegrezza e consolazione del suo spirito; fu illuminato interiormente da Dio e capì quanto fosse caro a Dio quel fanciullo che egli presentava. Il nostro Giuseppe accompagnò l'offerta di se stesso a Dio con il donarsi tutto a Lui e di buon cuore. In quest'atto apri gli occhi verso il cielo e stette per tutto il tempo in una posizione come astratto ed assorto in Dio. Ricevette allora da Dio la grazia santificante con un chiarissimo lume da riconoscere il nobile e sublime dono che Dio gratuitamente gli faceva, nell'atto in cui egli si era donato tutto a Lui. Conosciuto il grande dono si mostrò grato al suo Dio e lo ringraziò affettuosamente.
Il riscatto - I suoi genitori riscattarono il figliolo con le solite monete che per questo si davano, ed il sacerdote, nel rendere il figlio alla madre disse che lo allevasse pure allegramente e ne avesse una cura particolare, perché aveva capito che quel fanciullo era molto caro a Dio e che sarebbe stato un grande uomo, e che avrebbe apportato una consolazione a chi avesse trattato con lui, per la nobile indole che in lui si scorgeva. E questo si avverò perché, non solo apportava consolazione a chi trattava con lui, ma l'apporta anche a tutti i fedeli suoi devoti, avendolo Dio destinato come avvocato dei moribondi, come si dirà a suo tempo, e serve a tutti questi di grande consolazione e conforto nelle loro agonie.
Progresso di Giuseppe nelle virtù - I suoi genitori, ricevuto il fanciullo, resero grazie a Dio, lacrimando per la tenerezza di affetto e il giubilo dei loro cuori, e lo condussero alla loro patria come un tesoro e un dono sublime dato loro da Dio. Il nostro Giuseppe se ne stava tutto tranquillo, come assorto, facendo atti di ringraziamento al suo Dio, godendo e giubilando per la grazia ricevuta, per mezzo della quale andava facendo grandi progressi nell'amore verso il suo Dio, crescendo sempre a passi da gigante nella virtù. E nonostante a quella tenera età non gli fosse permesso di praticare quelle virtù che già tanto amava, tuttavia le andava praticando col desiderio, finché fatto poi adulto le praticò con le opere, operando sempre con tutta la perfezione, come si dirà in seguito.
Capitolo IV - L'infanzia di S. Giuseppe: il suo rapporto con Dio
Amore di Giuseppe per Dio e per il prossimo - La madre di Giuseppe, continuando ad allattare suo figlio con la solita consolazione, stava tutta attenta ad osservarlo. Il nostro Giuseppe spesso si faceva vedere tutto mesto ed afflitto, spargendo lacrime in un profondo silenzio. La madre si stupiva per vedere cose tanto insolite nel suo figlio, ma poiché era prudentissima, taceva, né manifestava ad alcuno le meraviglie che osservava nel figlio, pensando già che la grazia l'avesse prevenuto. Questa posizione in cui il nostro Giuseppe si faceva vedere, apportava alla madre una grande compunzione, quasi vedesse il suo innocente figlio in figura di penitente, e in questo non si sbagliava, perché il nostro Giuseppe, avendo già l'uso della ragione ed essendo arricchito della grazia santificante, conosceva più di ogni altro il suo Dio e capiva quanto era offeso e disgustato dagli uomini; ed egli, tutto mesto e dolente, spargeva lacrime in abbondanza, che poi offriva a Dio, supplicandolo di avere pietà dei peccatori, illuminandoli e facendogli conoscere i loro gravi errori. Oltre a questa conoscenza che il nostro Giuseppe aveva, spesso gli era suggerito dall'Angelo di fare questi atti verso il suo Dio, al quale sarebbero stati graditi, e con questo avrebbe anche usato la carità verso il prossimo errante. Il nostro Giuseppe lo faceva con grande desiderio di dare gusto a Dio e di beneficare il prossimo, tanto che, appena nato, si può dire che già adempiva i due precetti della legge, cioè, di amare il suo Dio sopra ogni cosa, con tutte le sue potenze e forze, ed il prossimo suo. E quello che non poteva fare per se stesso, perché non aveva colpa, lo faceva per il suo prossimo, piangendo ed affliggendosi per le colpe altrui. Quanto fossero gradite a Dio le lacrime dell'innocente Giuseppe, ce lo dimostreranno le grazie che Dio gli fece, una delle quali fu l'accelerare il tempo della nascita della Madre del Verbo divino, perché egli fosse il suo custode e fedelissimo sposo.
Sue prime estasi - Il santo fanciullo si faceva poi vedere molto spesso, come astratto ed assorto in Dio, stando in questo modo giorni interi, senza prendere il solito alimento, accontentandosi di quel cibo soavissimo che tanto riempiva il suo spirito, che era la divina consolazione; e quanto questa fosse grande si poteva capire da quello che anche esternamente appariva, cioè: un volto del tutto angelico, rubicondo, e ridente, con gli occhi sfavillanti come due stelle. La madre, che lo osservava, quando lo vedeva in tale posizione lo lasciava in libertà, né lo importunava; nel guardarlo anche lei si riempiva di un'insolita consolazione e si espandeva tutta in lodi e ringraziamenti a Dio per i doni che si degnava di fare a suo figlio. Molte volte anche suo padre osservò questo e, unito alla madre, si scioglieva in lacrime di consolazione.
Giuseppe e il Vicerè d'Egitto - Quanto furono consolati i genitori del nostro Giuseppe, nell'allevare il loro fanciullo, e quanto teneramente lo amarono! Ben altro che i genitori di Giuseppe patriarca, che fu poi Vicerè dell'Egitto, che fu una figura del nostro Giuseppe. Quello fu amato da suo padre sopra tutti gli altri figli, e il nostro Giuseppe fu amato e favorito da Dio sopra ogni altra creatura, destinandolo Padre putativo del divin Verbo Incarnato e sposo di sua Madre. Quello fu vestito dal padre con una veste preziosa, e il nostro Giuseppe fu vestito e ornato della grazia santificante. Quello fu odiato dai suoi fratelli e venduto come uno schiavo, e al nostro Giuseppe, alla morte dei suoi genitori, furono usurpate tutte le facoltà e fu costretto ad andare ramingo a Gerusalemme per imparare l'arte del falegname e per acquistarsi il vitto. Quello fu interprete dei sogni, e il nostro Giuseppe ebbe un angelo che nel sonno lo ammaestrava e gli insegnava quel tanto che doveva fare per piacere al suo Dio e per adempire la sua volontà. Quello fu Vicerè dell'Egitto, e il nostro Giuseppe fu Vice-Dio nell'Egitto di questo mondo. Quello conservò la fede al suo principe lasciando intatta la sua consorte, e il nostro Giuseppe conservò la fede allo Spirito Santo, lasciando non solo intatta la Sua divina sposa, ma essendo egli stesso il custode della sua purezza. Quello conservò il frumento per il beneficio di tutto il popolo, e il nostro Giuseppe mise in salvo la vita al Frumento degli eletti, cibo e conforto dei fedeli. Quello fu di consolazione ai suoi parenti e a tutto l'Egitto, e il nostro Giuseppe fu di consolazione al Verbo Incarnato alimentandolo con le sue fatiche e con i suoi sudori, e a Sua Madre, servendole di conforto nei suoi viaggi, ed è di consolazione a tutte le anime fedeli nelle loro necessità e nelle estreme agonie. Quello fu amato oltremodo dal suo principe, ed il nostro Giuseppe, quanto fu più amato e favorito dal suo Dio, facendo le sue veci sulla terra! Per cui non c'è stato nessuno sulla terra che si sia potuto paragonare al nostro Giuseppe, tanto favorito e sublimato dal suo Dio. Solo la sua santissima e purissima sposa fu senza paragone a lui sublime, perché Vergine e Madre del Verbo divino. Ora, essendo il nostro Giuseppe arricchito di tanti doni, apportò non solo una grande consolazione ai suoi genitori nell'allevarlo, ma essi furono anche arricchiti di molte grazie per amore del loro figlio che si mostrava loro molto grato; e se pregava in quella tenera età per i peccatori, molto più si applicava a pregare Dio per i suoi genitori. Dio esaudiva le sue preghiere, e perciò essi crebbero a meraviglia nelle virtù e nell'amore di Dio e del prossimo.
Suo sguardo al cielo - Quando poi il nostro Giuseppe era condotto da sua madre in un luogo dove poteva vedere il cielo, allora sì che si mostrava tanto contento! E, fissando gli occhi al cielo, li teneva immobili a guardarlo esultando e facendo festa, dando così a vedere come qui fosse il suo tesoro e tutto il suo bene. La madre, che si accorse di questo, spesso ve lo conduceva e quando vedeva il figlio afflitto, per sollevarlo, lo portava nei luoghi dove potesse vedere il cielo, e allora si rasserenava tutto, e per un pezzo era costretta a tenervelo per non privarlo della sua consolazione. Anche lei in tali occorrenze godeva molto e il suo spirito si rallegrava, contemplando le grandezze di Dio e le sue opere mirabili.
Tentazioni e vittorie - Il nemico infernale si accorse della luce che splendeva in Giuseppe e che i suoi genitori facevano grandi progressi nelle virtù, per cui temette molto che questo fanciullo potesse fargli guerra, e che con il suo esempio molti si applicassero all'esercizio delle virtù. Tentò più volte di togliergli la vita, ma i suoi attentati riuscirono sempre vani, perché il nostro Giuseppe era difeso dal braccio onnipotente di Dio e custodito dai due angeli che Dio gli aveva assegnato. Quindi il nemico fremeva di rabbia per non poter effettuare i suoi disegni, e si appigliò ad un altro partito, ingegnandosi di mettere guerra e confusione fra i genitori di Giuseppe. Anche questo gli riuscì vano, perché, essendo questi ornati di grandi virtù e timore di Dio, capivano bene le insidie del comune nemico, e con la preghiera lo facevano fuggire confuso. Tentò anche con le persone di servizio della casa, ma anche questo gli riuscì vano, perché il nostro Giuseppe pregava per tutti e Dio non tardava ad esaudirlo. Molte volte si asteneva dal prendere il solito alimento per accompagnare con l'orazione anche il digiuno: per cui trovandosi il nemico abbattuto di forze, desisteva per qualche tempo e si ritirava con il pensiero di fargli nuova guerra, aspettandone l'occasione: ma restò sempre vinto ed abbattuto, perché le preghiere di Giuseppe avevano una grande forza, ed erano molto efficaci presso Dio. L'Angelo poi destinato a parlargli nel sonno, ammoniva il nostro Giuseppe di tutto ciò che doveva fare per abbattere il nemico infernale, e lo avvisava quando questo si apprestava a fargli guerra e a disturbare la sua casa; ed il nostro Giuseppe non mancava di fare tutto ciò che l'Angelo gli diceva nel sonno.
Orazione e contemplazione - Essendo arrivato il fanciullo ad un'età conveniente, e crescendo a meraviglia, la madre lo tolse dalle fasce e lo vesti. Il nostro Giuseppe mostrò in questo grande gaudio, e alzando le mani verso il cielo, tutto anelante, pareva che volesse volare dove stava il suo Tesoro e spesso si faceva vedere in tale posizione. Altre volte la madre lo trovava con le mani incrociate molto strette sul petto, in segno che si abbracciava con il suo Dio, che abitava nella sua anima per mezzo della grazia e dimorava nel suo cuore. Altre volte lo trovava con le mani giunte, in atto di pregare e tanto assorto che sembrava non avesse sentimenti, perché tutto immerso nella contemplazione. La madre, in tali occorrenze, lo lasciava stare, ed egli vi dimorava giorni interi, trattenendosi nel contemplare le perfezioni divine, istruito ed ammaestrato nella preghiera dal suo angelo, e molto più dal suo Dio, che con tanta generosità si comunicava alla sua anima infondendogli il suo spirito.
Capitolo V - L'infanzia di S. Giuseppe
I primi passi - Il nostro Giuseppe, crescendo ogni giorno di più nell'amore verso il suo Dio e nella cognizione delle divine perfezioni, bramava di arrivare ad essere perfetto e santo per potere in qualche modo assomigliare al suo Dio nella santità e corrispondere al suo infinito amore. Perciò desiderava di arrivare presto a camminare per poter impiegare anche il suo corpo in ossequio al suo Dio e fargli, anche esternamente, quelle dimostrazioni d'amore e di sottomissione. Dio gradiva molto i desideri del nostro Giuseppe e li esaudiva, e così arrivò in breve a camminare.
Le prime parole - Il nostro Giuseppe incominciò molto presto a parlare e a camminare e le prime parole che proferì furono il nominare il suo Dio, ammonito così dall'Angelo nel sonno. La mattina che parlò, appena svegliato, disse: «Dio mio!». Fu inteso dai suoi genitori che, stupiti ed attoniti, si riempirono di giubilo, godendo che il loro figliolo incominciasse a parlare e godendo molto di più che le sue prime parole fossero dirette a Dio, come invocandolo in suo aiuto e chiamandolo "suo". Il nostro Giuseppe proferiva spesso questa parola e con ragione, perché essendosi egli donato tutto a Dio, Dio era tutto suo; e quando sentiva dire dai suoi genitori, che Dio si era chiamato il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, egli soggiungeva: «E di Giuseppe» - e lo diceva con tanta grazia, in quella così tenera età, che i suoi genitori ne godevano molto, e per ascoltarlo, gli dicevano spesso queste parole; ed era tanto il sentimento con cui il fanciullo le diceva, che sembrava, come infatti era, che Dio fosse tutto il suo bene e lo scopo di tutti i suoi affetti e desideri, e che non avesse altro pensiero ed amore che per il suo Dio. Perciò si vedeva esultare e giubilare quando lo sentiva nominare, e i suoi genitori spesso glielo nominavano con grande affetto e riverenza, per apportare al loro figliolo questa consolazione.
Offerte e suppliche - I primi passi che il nostro Giuseppe formò furono da lui stesso offerti a Dio, supplicandolo della grazia che in tutti i suoi passi Egli rimanesse glorificato e mai offeso, come fece anche delle sue parole, ammaestrato così dall'Angelo. Dio ascoltò le sue suppliche e le esaudì perché, tanto nelle parole come nei passi e in tutte le sue opere, restò sempre glorificato e mai offeso o disgustato. In tutte le sue azioni ebbe poi il nobile esercizio di guardare sempre il cielo ed invocare il suo Dio, supplicandolo del suo aiuto e della sua santa grazia nell'azione che faceva, affinché fosse secondo il suo divino beneplacito; e questo era nel cibarsi, nell'andare a riposare, nel parlare e nel camminare. E poiché in quella tenera età non gli era permesso di fare quelle azioni virtuose che lui bramava, gli offriva il suo desiderio e quelle azioni indifferenti che sono comuni a tutti per conservare la vita, come il mangiare, il bere, il dormire, il ricrearsi. Il nostro Giuseppe impreziosiva tutte queste azioni con la retta intenzione, facendo tutto per amore del suo Dio, e per amore dello stesso, si privava spesso di quello che più gli piaceva, ammaestrato così dal suo angelo in quella tenera età, perché altro non poteva fare per il suo Dio, che tanto amava; e spesso gli si offriva tutto in dono, rinnovando quegli atti che già fece quando fu presentato al Tempio. Sua madre, poi, vedendo come il figlio avesse molte capacità, lo andava istruendo insegnandogli vari atti di affetto verso Dio, come praticavano gli Ebrei, ed il nostro Giuseppe mostrava molto gusto nell'ascoltarli e li praticava mirabilmente con ammirazione della madre e di chi lo udiva.
Spirito dì preghiera - Quando poi camminava speditamente, spesso si nascondeva a pregare con le mani sollevate al cielo, facendo atti di ringraziamento a Dio, perché tanto lo beneficava, e stava ore intere inginocchiato a terra. Era meraviglioso vedere quel piccolo fanciullo in tale posizione, ma faceva più meraviglia vedere come il suo spirito si deliziasse nella contemplazione delle perfezioni divine e ben si notava anche esternamente mentre il suo volto appariva tutto rubicondo e gli occhi sfavillanti, dimostrando con questo che si deliziava con il suo Creatore, e che gli influssi della grazia ricolmavano la sua anima. La madre, che con destrezza si metteva in un luogo dove il figlio non la potesse vedere, lo sentiva spesso esclamare:«O Dio di bontà infinita, quanto mi hai beneficato e perciò quanto ti devo!». E diceva tutto questo balbettando, ma con il cuore infiammato d'amore verso il suo Dio. La madre che lo udiva, accompagnava il figlio con atti d'amore e di ringraziamento, e si scioglieva in lacrime di tenerezza per vedere il suo figliolo tanto favorito da Dio e arricchito di tanti doni.
Sospira il Messia - Gli fu poi manifestato dai suoi genitori come Dio aveva promesso di mandare al mondo il Messia, che si aspettava con desiderio, e che gli antichi Patriarchi bramavano tanto; questo gli fu anche insinuato dall'Angelo nel sonno, così il nostro Giuseppe si accese di un vivo e ardente desiderio di questa venuta e ne porgeva calde suppliche a Dio, perché si fosse degnato di accelerarne i tempi. Da questo momento tutte le sue preghiere tendevano a questo fine e Dio udiva con gusto le suppliche dell'innocente Giuseppe compiacendosene molto, e di questo gliene dava una chiara testimonianza perché, quando egli gli porgeva queste suppliche, Dio gli riempiva il cuore di giubilo e di consolazione, per cui il nostro Giuseppe si animava ancora di più nel fare la richiesta, e così avanzava nell'amore verso il suo Dio e nelle suppliche premurose.
Pena per le offese a Dio - Quando in casa accadeva qualche cosa per la quale Dio potesse restare disgustato - e questo capitava fra le persone di servizio per la loro fragilità - allora sì che il nostro Giuseppe si faceva vedere tutto afflitto e mesto, e piangeva amaramente; e poiché a quella tenera età non poteva riprenderli, dimostrava però con il pianto quanto fosse grande il suo dolore. La madre, che si accorgeva di questo, gli domandò un giorno perché piangesse tanto e si affliggesse, ed egli rispose con gran sentimento:«Tu mi hai più volte insegnato quello che devo fare per piacere a Dio e quello che si deve fuggire per non disgustarlo. Ora vedendo che nella nostra casa si disgusta, non vuoi che io mi affligga e pianga?». Questo disse alla madre, perché da lei era già stato più volte istruito a fuggire le offese divine, ed anche perché lei non arrivasse a comprendere i doni che Dio gli aveva partecipato, come l'uso della ragione e la chiara cognizione delle divine offese per le quali egli molto si affliggeva, mentre capiva come Dio meritava di essere amato, onorato e non offeso, e che le colpe disgustavano molto il suo Dio, che egli tanto amava. Inteso questo, la madre procurava di stare molto vigilante, affinché Dio non fosse offeso da nessuno della sua casa e riprendeva aspramente i trasgressori, tanto che il nostro Giuseppe, con il suo comportamento, fu occasione perché la casa dei suoi genitori si potesse chiamare piuttosto "scuola di virtù", vivendo tutti con un'esatta osservanza della legge divina.
Prudenza della madre - La madre, poi, era molto accorta, e prudente nel tenere nascosto quanto il figlio le diceva, e quanto in lui scorgeva di doni e di grazie soprannaturali; né si dimenticò mai di quanto le disse l'Angelo del Signore in sogno, e cioè che suo figlio avrebbe visto il Messia e avrebbe conversato con lui; perciò non si faceva grande meraviglia nel vederlo tanto favorito da Dio, e si impiegava tutta nel lodare e ringraziare la generosità di Dio, tanto grande verso il suo Giuseppe. A volte lo guardava con grande tenerezza di affetto, lacrimando per la consolazione che sentiva nel pensare che suo figlio avrebbe avuto la bella sorte, che non avevano potuto avere tanti Patriarchi e Profeti, di vedere venuto al mondo il Messia promesso; e spesso diceva al figlio: «Figlio mio, beato te!», - invidiando santamente la sua felice sorte. Il nostro Giuseppe le domandò una volta perché gli dicesse questo. La saggia madre gli rispose: «Ti dico questo, perché so che il nostro Dio ti ama molto», - celandogli il mistero. Giuseppe nel sentire queste parole, alzava le mani al cielo, esclamando: «Oh, sì, sì, che mi ama il mio Dio!». E qui si infiammava tutto nel volto, esultando per la gioia e lacrimando per la dolcezza. Poi aggiungeva: «Ed io lo amo? Poco lo amo! Ma lo voglio amare molto più di quello che lo amo; e nel crescere che farò negli anni e nelle forze, crescerò anche nell'amore del mio Dio».E fu così perché, a misura che andava crescendo nell'età, cresceva anche nell'amore.
Istruzione patema - I suoi genitori, vedendo poi che il figliolo era tanto capace, incominciarono ad istruirlo nelle lettere, e questo lo fece il proprio padre perché egli era molto dotto nella Legge, e non volle consegnare ad altri il figlio perché fosse istruito, perché frequentando gli altri non venisse a perdere quello spirito che Dio gli aveva comunicato. Così il nostro Giuseppe incominciò ad imparare a leggere e gli riusciva mirabilmente, in modo che suo padre non ebbe mai occasione di riprenderlo. Aveva appena tre anni che già incominciava a leggere con molta consolazione dei suoi genitori e a suo profitto. Si esercitava nella lettura della Sacra Scrittura e nei Salmi di Davide, che il Padre poi gli spiegava. Era molta la consolazione che il nostro Giuseppe sperimentava nel leggere e nel sentirsi spiegare dal padre quel tanto che leggeva, ed in questo esercizio ci mise tutto il suo studio, non tralasciando però mai i soliti esercizi di orazione e preghiere a Dio, e spendeva tutto il suo tempo in questo esercizio, cioè nel pregare, studiare e leggere, avendo per ogni cosa il suo tempo assegnato.
Sua ammirabile pazienza - Non fu mai visto, benché fanciullo, né adirato, né impaziente, ma conservava sempre una serenità di volto ed una somma quiete, nonostante molte volte Dio permettesse che gliene capitasse l'occasione, essendo maltrattato dalle persone di casa in assenza dei suoi genitori; e il nostro Giuseppe soffriva tutto con pazienza ed allegrezza. Il demonio spesso si ingegnava ad istigare le persone di servizio in casa, perché lo maltrattassero per vederlo perdere la bella virtù della sofferenza; ma questo non gli riuscì mai, perché il nostro Giuseppe era tanto immerso con il pensiero nell'amore del suo Dio e tanto godeva della sua presenza nella sua anima, che non c'era cosa, per grande che fosse, che turbasse la pace del suo cuore e la serenità del suo spirito. Il demonio fremeva molto nel vedere tanta virtù in Giuseppe, e fremeva molto di più perché non si poteva accostare a lui con le tentazioni, tenendolo Dio lontano; ma tanto fece che un giorno lo precipitò per una scala della casa, permettendolo Dio per esercizio di virtù al nostro Giuseppe e per maggior confusione del nemico infernale. Vedendosi il fanciullo così precipitato, chiamò Dio in suo aiuto, e Dio non tardò a soccorrerlo liberandolo da ogni male. Da questo Giuseppe ebbe occasione di riconoscere la grazia del suo Dio e ringraziarlo, e il demonio partì confuso.
Sua vita raccolta - Non fu poi mai visto, nonostante quella tenera età, fare cose fanciullesche, né mai si curò di trattare con altri fanciulli suoi pari, stando sempre ritirato in casa, applicato allo studio e all'orazione, non perdendo mai tempo. Prestava poi un'esatta obbedienza ai suoi genitori, non tralasciando mai di fare quel tanto che da loro gli era ordinato. Tutto il suo divertimento stava nel trattenersi spesso a guardare il cielo, perché sapeva che lì abitava il suo Dio; e gli inviava caldi sospiri supplicandolo di mandare presto nel mondo il Messia promesso.
Imitazione dei Patriarchi - Portava poi un grande affetto al Patriarca Abramo, Isacco e Giacobbe e al Profeta Davide, e spesso supplicava suo padre di narrargli la vita che essi avevano condotto, con il desiderio di imitarli; poiché sapeva che erano stati tanto amati e favoriti dal suo Dio e il padre lo compiaceva e gli narrava la vita, ora di uno, ora dell'altro. Il nostro Giuseppe lo stava ad ascoltare con molta attenzione e poi diceva: «Questi sono stati amici e favoriti del nostro Dio e questi dobbiamo imitare nelle loro virtù». E sentendo come il Padre Abramo camminava sempre alla presenza di Dio, come lo stesso gli aveva ordinato se voleva essere perfetto, procurò di imitarlo perfettamente. Il nostro Giuseppe era appena giunto all'età di sette anni, che era già capace di tutte le virtù che questi Patriarchi avevano esercitato, e per quanto si estendevano le sue forze, si applicava ad imitarli nella fede e nella confidenza ed amore verso il suo Dio; così il nostro Giuseppe cresceva nelle virtù e si rendeva sempre più gradito a Dio.
Lode a Dio - Sentendo poi come il santo Davide lodava il suo Dio sette volte al giorno in modo speciale, anch'egli lo volle praticare, e supplicò il suo angelo perché lo avesse svegliato per tempo, per potere lodare il suo Creatore anche nelle ore notturne. Sapeva già varie cose a mente, a lode del suo Dio, e le ripeteva spesso, sia di giorno che di notte con molto gusto del suo spirito e Dio non mancava di illuminarlo sempre di più ed accrescere in lui i suoi doni. Nel tempo stesso che lo stava lodando, era così acceso d'amore verso il suo Dio che, molte volte, nonostante fosse notte, apriva la finestra della sua stanza e si metteva a guardare il cielo, e qui dava adito al suo cuore perché divampasse le fiamme verso la sua sfera e diceva: «Beato colui che avrà la sorte di vedere con i propri occhi il Messia promesso! Beato chi avrà la fortuna di servirlo e di trattare con lui! Che sorte sarà la sua!».E diceva questo con tanto ardore che restava estatico per molto tempo, acceso da un vivo desiderio di poterlo servire e prestargli tutto l'onore e il servizio.
Amore per i poveri - Nel petto di Giuseppe ardeva poi un grande amore verso il prossimo e bramava di giovare a tutti, perciò diceva spesso ai suoi genitori che distribuissero delle elemosine ai poveri bisognosi e che non avessero riguardo di conservarle per lui, perché si accontentava di essere povero, purché gli altri non avessero patito; e i suoi genitori non mancavano di assecondare il suo desiderio, facendo larghe elemosine ai poveri, essendo già anche loro inclini nell'usare grande carità verso i bisognosi.
Sua purezza verginale - Il nostro Giuseppe era già arrivato all'età di sette anni con questo tenore di vita che abbiamo detto, avendo conservato sempre un illibato candore ed innocenza in modo tale che, non solo non diede mai un minimo disgusto ai suoi genitori, ma nemmeno fece mai alcuna azione che non fosse stata di sommo gusto e compiacimento del suo Dio; anzi, quanto più cresceva negli anni, tanto più gli si rendeva gradito operando sempre con maggiore perfezione. Oltre all'amore che aveva per la purezza, che Dio gli aveva infuso in modo mirabile, questa virtù gli fu anche molto raccomandata dal suo angelo, quando una volta nel sonno gli fece un grande elogio, soggiungendogli che questa virtù era molto cara al suo Dio ed il nostro Giuseppe se ne invaghì molto di più e propose di conservarla per tutto il tempo della sua vita; e perché potesse eseguire questo, supplicava il suo Dio perché gli avesse dato la grazia di poterlo fare. Propose anche di fuggire tutte le occasioni pericolose, perché il suo ammirabile candore non avesse mai patito alcun danno e infatti l'eseguì con tutto lo studio immaginabile, custodendo tutti i suoi sentimenti con grande rigore e specialmente gli occhi che teneva per lo più fissi a terra o rivolti al cielo. Dal suo aspetto si conosceva bene quanto fosse grande la purezza della sua anima e anche del suo corpo, tanto che pareva un angelo vestito di carne mortale. La madre più volte osservò lo splendore nel suo volto, ed anche suo padre; da questo conoscevano bene quanto grande fosse la purezza e l'innocenza del loro figliolo e come Dio si compiaceva di abitare nella sua purissima anima per mezzo della sua grazia; questo si notava quando il nostro Giuseppe terminava la preghiera, e che da solo a solo aveva trattato con il suo Dio.
Cura dei suoi genitori - In queste occasioni i suoi genitori si sentivano riempire l'anima di un'insolita consolazione e di un amore riverenziale verso il loro figlio, guardandolo sempre più come un tesoro e un dono del Cielo. Non tralasciavano però di esercitare su di lui quell'autorità propria dei genitori verso i loro figli, e spesso provavano come fosse obbediente ai loro cenni, ed egli si mostrava obbedientissimo in tutto.
Sua mortificazione - Il nostro Giuseppe era molto incline al digiuno e alle asprezze, ma quando i suoi genitori glielo proibivano, egli si sottometteva alla loro volontà con tutta la rassegnazione, e non replicava mai in alcuna cosa. Quando desiderava fare digiuni e veglie domandava a loro il permesso con tanta sottomissione, che sembrava non glielo sapessero negare, tanto era il modo che aveva per accattivarseli; e quando gli negavano il permesso, lo facevano con pena, perché non potevano contraddirlo.
Carità ai poveri - Molte volte ancora, il padre gli dava dei soldi perché desse l'elemosina ai poveri che gliela domandavano; ed allora la prendeva con tanta sottomissione ed umiltà, come se quella elemosina l'avessero fatta a lui stesso, e ben presto la dispensava ai poveri non trattenendo mai presso di sé alcuna cosa. Quando vedeva qualche povero venire a casa sua a domandare la carità, egli andava dalla madre e gliela domandava come per sé, con tanta sottomissione; la madre si meravigliava della virtù di suo figlio e gliela faceva largamente. Era poi tanto grande il gusto che il nostro Giuseppe aveva nel dare l'elemosina ai poveri, che si capiva bene nel suo volto, poiché se vedeva un povero si affliggeva tutto e subito si rallegrava quando gli dava l'elemosina.
Invaghito delle virtù - Era già molto incline alla pratica di tutte le virtù, ma se ne era molto più invaghito perché l'Angelo gli parlava nel sonno e gli manifestava il pregio e valore delle virtù, e come queste fossero molto care e di gusto al suo Dio. Non ci voleva altro perché il nostro Giuseppe si innamorasse della virtù. Il solo sentire che erano gradite al suo Dio, era sufficiente perché egli si mettesse a praticarle con tutto l'impegno.
Capitolo VI - Progresso di S. Giuseppe nelle virtù e favori che riceve da Dio
Consigliere umile e prudente - Il nostro Giuseppe aveva già compiuto sette anni e a questa età mostrava grande senno, più di un uomo di età matura. Le sue parole gravi e le sue opere tutte perfette erano tali che suo padre, dovendo prendere consiglio circa le cose importanti e di rilievo, non trovava miglior consigliere che il proprio figlio, e tutto gli riusciva bene con il consiglio che lui gli dava, perché era molto illuminato da Dio, e non sbagliava mai nel suo parere, perché trattava tutto con Dio nella preghiera. I suoi genitori non facevano nessuna cosa, se prima non avevano chiesto il parere del figlio, sapendo per esperienza che quello che lui diceva riusciva a puntino; ma il nostro Giuseppe si comportava in questo con tanta umiltà e sottomissione, che i suoi genitori stessi rimanevano meravigliati. Egli diceva loro il suo parere e poi aggiungeva:«Io vi dico questo, secondo quello che so essere giusto e che si deve fare; voi considerate bene il tutto e fate quello che conoscerete essere meglio e piùgradito al nostro Dio». Poi, rientrando di nuovo nell'orazione, pregava Dio di illuminare i suoi genitori, affinché avessero operato tutto quello che era di suo maggior gusto, non fidandosi mai di se stesso e giudicandosi una creatura vilissima e miserabile. Si umiliava molto al cospetto del suo Dio e quando i suoi genitori gli chiedevano il suo parere e qualche consiglio, ne sentiva una grande confusione, e parlava solo per obbedire e perché Dio rimanesse glorificato in tutte le cose. E Dio non mancava di prevenirlo sempre più con le sue grazie e di illuminarlo chiaramente, sia nell'orazione sia per mezzo dell'Angelo che gli parlava nel sonno, benché questo, a misura che egli andava crescendo, gli parlava più di rado, perché, oltre i lumi che Dio gli comunicava con più pienezza, veniva anche istruito con la lettura della Sacra Scrittura.
Cintura celeste - Una notte, però, mentre il nostro Giuseppe dormiva, l'Angelo gli apparve nel sonno e gli disse che Dio aveva gradito molto il suo proposito di conservarsi vergine per tutto il tempo della sua vita e che gli prometteva il suo favore ed aiuto particolare; e mostrandogli una cintura di incomparabile valore e bellezza, gli disse: «Questa cintura te la manda il nostro Dio in segno del gradimento che ha avuto del tuo proposito e della grazia che tifa di poter conservare sempre illibato il candore della tua purezza, ordinandomi che io te la cinga».Ed avvicinandosi a lui gli cinse i fianchi con quella cintura, ordinandogli di ringraziare Dio del favore e della grazia che gli concedeva. Quando si svegliò, il nostro Giuseppe si alzò subito e inginocchiato a terra adorò il suo Dio e lo ringraziò affettuosamente per il beneficio che gli aveva fatto e per il dono che gli aveva inviato, per mezzo del quale non ebbe mai alcuna cosa che lo molestasse in questo particolare. Benché il demonio lo assalisse con varie tentazioni, come si dirà a suo tempo, su di questo però non poté mai molestarlo in nessun modo, non permettendo Dio che il nemico lo assalisse con tentazioni contro la purezza, conservando in lui una purezza mirabile in modo che fu ben degno di trattare e di avere in custodia la Regina delle Vergini.
Grande grazia promessa - Un'altra volta l'Angelo gli parlò nel sonno e gli disse che Dio aveva destinato di fargli un dono molto grande e sublime non sapendo però che cosa fosse, ma che intanto gli manifestava la grazia che gli voleva fare, affinché lui si fosse impegnato a supplicarlo e se ne fosse reso degno con la pratica delle virtù e con le suppliche, perché il suo Dio godeva molto di essere pregato, e che alle grazie e favori grandi vuole che precedano grandi orazioni e preghiere. Sentito questo il nostro Giuseppe non fu curioso di investigare quale fosse questo favore e questa grazia sublime, ma si mise con tutto lo spirito a supplicare il suo Dio; e da quel momento in poi, lo supplicava con grande premura di due grazie: una era che accelerasse la venuta del Messia, e l'altra era che gli facesse la grazia che gli aveva fatto promettere dall'Angelo. Domandava a Dio molte altre grazie, ma queste due gli stavano molto a cuore. Questa grazia e dono sublime era il dargli per sposa la Madre del Verbo divino; non lo seppe mai fino a quando non la ottenne, benché nemmeno allora gli fu manifestata la Maternità divina. Mentre il nostro Giuseppe continuava a domandare le suddette grazie, sperimentava una grande consolazione.
Estasi sublime - Una volta, fra le altre, fu rapito in un'estasi sublime, nella quale gli furono manifestate le virtù che il Messia avrebbe praticato quando sarebbe venuto al mondo per vivere fra gli uomini, tra le quali l'umiltà e la mansuetudine che avrebbero spiccato a meraviglia, come anche tutte le altre e Giuseppe se ne invaghì tanto e pose tanto affetto a queste virtù che bramava praticarle ed arrivare a possederle, e perciò non mancò di porre tutto lo studio e la diligenza per acquistarle. Ed era mirabile il profitto che faceva in queste virtù, ed esortava anche le persone di casa dicendo loro che praticassero quelle virtù, perché piacevano molto al suo Dio.
Al Tempio per la Pasqua - Il nostro Giuseppe andava poi con i suoi genitori al Tempio di Gerusalemme nella solennità della Pasqua e, quando arrivava quel tempo, si faceva vedere allegro più del solito, mostrando di avere tutta la consolazione. Si preparava però a questa solennità con digiuni e preghiere, ammaestrato così dal suo Angelo.
Quando era arrivato al Tempio, si metteva in ginocchio a pregare, stando immobile ore intere con ammirazione di chi lo osservava, specialmente perché era molto giovane. Qui riceveva grandi illuminazioni da Dio, e contemplando il gaudio della celeste Gerusalemme, pregava il suo Dio di mandare presto il Messia promesso, affinché per mezzo della Redenzione le anime potessero andare a godere quell'eterna beatitudine; e Dio si compiaceva molto delle sue suppliche.
Suo padre portava poi larghe elemosine al Tempio che dava in mano al figlio, perché lui le offrisse e faceva questo perché conosceva il grande desiderio che il figlio aveva di fare l'elemosina, ed il nostro Giuseppe la faceva con tanto cuore ed allegrezza, che non c'è mai stato chi abbia tanto goduto nel ricevere quanto godeva Giuseppe nel dare e lo faceva con un'intenzione rettissima, donando di nuovo tutto se stesso a Dio.
Aveva poi un grande desiderio di trattenersi a Gerusalemme per potere avere la comodità di andare spesso al Tempio; ed i suoi genitori, per compiacerlo, vi si trattenevano più del solito, ed in quel tempo il nostro Giuseppe non se ne andava mai dal Tempio se non per prendere il cibo ordinario e il riposo della notte; tutto il resto del tempo lo spendeva nel Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio di concedergli quel tanto che egli bramava.
Fece poi una promessa a Dio, che se egli fosse rimasto privo dei suoi genitori voleva andare ad abitare a Gerusalemme per avere la comodità di frequentare il Tempio, per il quale sentiva un affetto particolare. Dio gradì la promessa, e non mancò, con il tempo, di dargli la comodità di poterlo fare. Nel tempo che i suoi genitori si trattenevano a Gerusalemme, il nostro Giuseppe non fu mai visto vagare per la città a guardare cose curiose, come si fa solitamente a quell'età, né mai in compagnia di qualcuno.
Riveriva i Ministri del Tempio mostrandosi tutto ossequioso, ed è per questo che era amato da tutti, avendone ognuno grande stima, sia per le larghe elemosine che faceva come anche per l'ottima indole che si scorgeva in lui; ma il nostro Giuseppe non fece mai conto di questo, era attento solo all'amore del suo Dio e a procurare di piacere a Lui solo e dargli gusto. Un giorno, fra gli altri, mentre pregava nel Tempio con più fervore del solito, udì la voce interiore del suo Dio che lo assicurò come le sue preghiere gli piacevano molto e che l'avrebbe esaudito in tutto quello che gli domandava. L'assicurò dell'amore grande che gli portava invitandolo ad un'amorosa corrispondenza. Fu tanta la gioia che Giuseppe provò nell'ascoltare questa voce che andò in estasi stando immobile ore intere godendo l'incomparabile dolcezza e soavità dello spirito del suo Dio. Ne rimase molto più infiammato ed acceso d'amore, e non voleva sentir parlare d'altro che di Dio e delle divine perfezioni e bramava con grande ardore di trovare una compagnia o un amico fedele con il quale potesse conversare delle divine grandezze e perfezioni, ma conoscendo che un amico simile non c'era, pregava il suo Dio di mandarglielo.
Un giorno, mentre stava facendo questa supplica, udì di nuovo la voce interiore del suo Dio che gli disse come l'avrebbe consolato molto più di quello che egli desiderava. E questo era vero, perché sebbene allora non glielo avesse manifestato, gli fece la grazia di trattare con il Verbo Incarnato e con la sua purissima Madre; grazia assai maggiore di quello che egli bramava e domandava. Tutto consolato per la promessa, il nostro Giuseppe, aspettava l'esecuzione con desiderio e non lasciava di domandarla al suo Dio con grande insistenza, perché conosceva come Lui lo favoriva in tutto e gli si mostrava propizio. Aveva per Dio una somma gratitudine e lo ringraziava continuamente dei benefici, offrendosi tutto a lui senza alcuna riserva.
Desiderio del Messia - Tornato a Nazareth, sua patria, sembrava che non sapesse parlare d'altro che della magnificenza del Tempio e della fortuna di coloro che si trovavano lì e saliva più in alto con il suo discorso parlando della celeste Gerusalemme, e diceva: «Se tanto gusto si sperimenta nello stare nel Tempio di Gerusalemme, quale gusto e consolazione si sentirà nell'andare ad abitare nella casa propria dove il nostro Dio risiede, e quanto grande sarà la magnificenza di quel luogo? Preghiamo il nostro Dio che ci mandi presto il Messia promesso, affinché per suo mezzo siamo fatti degni di andare anche noi ad abitarvi dopo la morte». Diceva questo ai suoi genitori con tanto spirito e ardore che provavano anch'essi un grande desiderio e i loro cuori si accendevano nella brama della venuta del Messia, porgendone calde suppliche a Dio.
Il nostro Giuseppe faceva questi discorsi, non solo con i suoi genitori e con quelli di casa, ma anche con tutti coloro che vi andavano, imprimendo nel cuore di tutti un vivo desiderio della venuta del Messia e diceva loro: «Pregate spesso il nostro Dio che si degni di abbreviare il tempo delle sue promesse. Beati noi se potessimo ottenere questa grazia, ed avere la sorte di vedere il Messia fra di noi! Quale fortuna sarebbe la nostra! Quanto vorrei spendermi tutto per servirlo ed onorarlo!».
Alle volte la madre si prendeva gusto e gli diceva: «Che faresti tu, figlio mio, se potessi avere la bella sorte di vedere con i tuoi occhi il Messia?».Ed egli allora, alzando le mani al cielo, esclamava: «Che farei! Mi donerei tutto a Lui, offrendomi prontamente a servirlo sempre, e non lo lascerei mai».E la madre soggiungeva: «E non sai tu che la servitù costa molta fatica?». Ed egli allora diceva: «Non solo farei volentieri molte fatiche per servirlo, ma ne sarei felice se mi dovesse costare la vita stessa».E la madre soggiungeva: «Chi sa poi se gradirebbe la tua servitù, e se ti ammetterebbe al suo servizio?». Ed egli rispondeva: «È vero che io non sarei degno di questo, ma lo pregherei tanto fino a quando, mosso a pietà, accetterebbe la mia servitù, perché, come il nostro Dio è infinitamente buono, così anche il Messia sarà infinitamente buono. E come il nostro Dio gradisce le nostre suppliche ed orazioni, così il Messia gradirà la mia servitù».
Alla fine la madre lo consolava con questa risposta: «Orsù, figlio mio, continua a supplicare il nostro Dio affinché si degni di mandarlo presto, perché spero che gradirà i tuoi desideri ed esaudirà le tue suppliche e tu resterai consolato nelle tue brame». E allora alzando le mani al cielo esclamava:«Piacesse al mio Dio che questo accadesse. Chi sarà più fortunato e contento di me!»