sabato 3 agosto 2019

L'INCENSO NELLA LITURGIA

VENERDÌ 18 SETTEMBRE 2009

L'uso dell'incenso nella liturgia: significato teologico & modalità pratiche

La sparizione dell'uso dell'incenso nella Messa riformata di Paolo VI è qualcosa di assolutamente inspiegabile. Infatti mentre nel rito romano classico l'uso dell'incenso era strettamente regolato, confinato alla sola messa cantata e alla messa solenne (da quest'ultima non poteva mai mancare), nel rito riveduto l'uso dell'incenso è stato invece ampiamente liberalizzato. Ma proprio da quando lo si può usare sempre e comunque, il turibolo fumigante è sparito dalle nostre chiese. Riappare immancabilmente al termine dei funerali, prendendo così un senso di mestizia e di lutto che non gli è affatto appropriato. Forse il motivo è da ricercare nella traduzione sibillina di una rubrica del num. 276 dei Principi e norme per l'uso del Messale Romano: l'utilizzo dell'incenso, in latino, è ad libitum, ma invece di tradurre questa locuzione con a piacere, nel testo CEI l'incensazione in tutte le messe è diventata semplicemente facoltativa. E si sa, nella mentalità del clero di un certo stampo, tutto quello che è facoltativo significa sconsigliato (leggasi: inutile orpello).
Ad libitum, propriamente, è invece un'espressione della lingua latina che significa "a piacere", "a volontà"! Altro che non obbligatorioopzionale, non richiesto (cioè facoltativo)! E' facoltativo in senso positivo (cioè hai facoltà di usarlo), ma questa accezione in italiano non è più normalmente percepita, pertanto la traduzione può risultare ingannevole.
Visto poi che l'incenso esprime riverenza e preghiera, perchè mai privarsene, visto che lo si può usare, proprio nel nostro tempo che ha tanto bisogno di segni fisici di preghiera e devozione?
Tra l'altro, proprio i più spinti propugnatori della postmodernità, affermano che bisogna coinvolgere tutti i sensi nel rito, non solo "l'anima", ma anche il corpo. Il profumo soave dell'incenso, si sa, fa entrare volenti o nolenti in "clima" mistico (come dimostra il suo uso nelle varie religioni, non solo nel cristianesimo).

Ma in realtà c'è di più. La mia teoria è che l'incenso, essendo un segno tipicamente sacrificale (= bruciare una cosa preziosa con l'intenzione di offrirla a Dio), sia stato messo in disparte proprio per questo suo inequivocabile e ancestrale richiamo, non certo adatto ad una festa, ad una cena tra amici, o cose del genere. Il levarsi delle volute di fumo profumato non può che richiamare il tempio e Dio a cui si offre la vittima in olocausto, accompagnandola con soave profumo. Nei riti offertoriali della Messa questo era (ed è tuttora) evidente.

Già presso i pagani, l'incenso veniva bruciato davanti alle immagini degli dei e davanti all'imperatore ad essi equiparato.
Nei primi secoli del cristianesimo, numerosi cristiani furono martirizzati per essersi rifiutati di compiere questo gesto idolàtrico. In seguito, tanto era forte il richiamo sgradevole della persecuzione dei non turificanti, per distinguere il culto cristiano da quello pagano, l'uso dell'incenso dalla liturgia fu addirittura soppresso. Esso venne ripristinato soltanto dopo l'editto di Costantino e il declino del paganesimo. A Roma non si usavano però turiboli o cose orientali del genere. Il poco incenso che si utilizzava era sparso in appositi bracieri. L'incenso all'offertorio è rientrato dal IX sec. nella liturgia carolingia e addirittura nell'XI nella liturgia romana.

L'incenso nella Bibbia:

Per quanto riguarda la liturgia dell'Antico Testamento, Mosè riceve dal Signore l’ordine di costruire un altare speciale riservato all’incenso per il culto divino:

Farai un altare sul quale bruciare l’incenso: lo farai di legno di acacia (...). Rivestirai d’oro puro il suo piano, i suoi lati, i suoi corni e gli farai intorno un bordo d’oro (...). Porrai l’altare davanti al velo che nasconde l’arca della Testimonianza, di fronte al coperchio che è sopra la testimonianza, dove io ti darò convegno. Aronne brucerà su di esso l’incenso aromatico: lo brucerà ogni mattina quando riordinerà le lampade e lo brucerà anche al tramonto, quando Aronne riempirà le lampade: incenso perenne davanti al Signore per le vostre generazioni (...). È cosa santissima per il Signore” (Es 30,1-10).

L’incenso, veniva posto anche sopra le oblazioni bruciate sull’altare come memoriale: “profumo soave per il Signore” (cfr. Lv 2).

Più tardi, nel Tempio di Gerusalemme, nella ricorrenza annuale dell'Espiazione (Yom Kippur), il sommo sacerdote, oltrepassava il velo del Tempio ed entrava con l’incensiere nel Santo dei Santi, per bruciarvi “due manciate di incenso odoroso polverizzato”, allora, una nube densa e profumata, avvolgeva ogni parte del luogo santissimo in cui era custodita l’Arca dell’Alleanza (cfr. Lv 16,12-13).

In Israele, si incensavano le persone, gli oggetti, e i luoghi riservati al culto del Dio Unico. Tutti coloro che partecipavano al culto divino, erano invitati ad effondere un soave profumo spirituale: “Ascoltate, figli santi...Come incenso spandete un buon profumo” (Sir 39,13-14).

L’incenso, legato al culto degli Israeliti, sarà più tardi presente, con la sua ricca valenza simbolica, anche nella liturgia cristiana, soprattutto nelle Chiese d'Oriente.
Nel Vangelo di Matteo, viene descritto l’omaggio fatto a Gesù da alcuni personaggi misteriosi: i Magi. Costoro, giungendo dalle lontane terre di oriente per incontrare il “re dei Giudei”, gli offrono in dono, con l’oro e la mirra, anche l’odoroso incenso, custodito in scrigni preziosi (Cfr Mt 2,11).

La Chiesa antica

Nel IV secolo (epoca d'oro dei liturgisti), la famosa pellegrina Egeria, così descriveva una liturgia svoltasi nel Santo Sepolcro di Gerusalemme: “Quando si sono cantati questi tre salmi e fatte queste tre orazioni, ecco che vengono portati dei turiboli all’interno della grotta dell’Anastasi, perché tutta la basilica dell’Anastasi si riempia di profumi”. [Diario di Viaggio, 24,10]
La solenne incensazione del luogo da cui Cristo è risorto precedeva la lettura, da parte del vescovo, del Vangelo della risurrezione. L’uso dell’incenso nel Santo Sepolcro, ripropone l’immagine delle donne che portarono oli aromatici per imbalsamare il corpo del Signore e trovarono invece l’angelo che ne annunciava la gloriosa risurrezione (Cfr Mc 1,6).
Secondo San Paolo, tutti i cristiani, con la loro testimonianza di fede, spandono nel mondo il profumo di Cristo che si è offerto al Padre “in sacrificio di soave odore”(Cfr 2Cor 2,14-16; Ef 5,2).

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L'Ordinamento generale del Messale Romano, rivisto nel 2000, descrive così il senso e il modo di utilizzare nel rito eucaristico l'incenso (lo leggiamo in latino con le traduzioni interlineari):

De incensatione

276. Thurificatio seu incensatio reverentiam exprimit et orationem, ut in Sacra Scriptura significatur (cf. Ps. 140, 2; Apoc. 8, 3). L’incensazione esprime riverenza e preghiera, come è indicato nella sacra Scrittura (Cf. Sal 140, 2; Ap 8, 3).

Incensum ad libitum adhiberi potest in qualibet forma Missae:
Trad. CEI: L’uso dell’incenso in qualsiasi forma di Messa è facoltativo: (Leggi: anche nella messa solenne si può omettere)
Trad. Letterale: L'incenso può essere usato a piacere in qualsiasi forma di Messa: (Leggi: anche nella messa letta e quotidiana si può utilizzare!)

* durante processione ingressus; durante la processione d’ingresso;
* initio Missae, ad crucem et altare thurificandum;
all’inizio della Messa, per incensare la croce e l’altare;
* ad processionem et ad proclamationem Evangelii;
alla processione e alla proclamazione del Vangelo;
* pane et calice super altare depositis, ad thurificanda oblata, crucem et altare, necnon  sacerdotem et populum;
quando sono stati posti sull’altare il pane e il calice, per incensare le offerte, la croce e  l’altare, il sacerdote e il popolo;
* ad ostensionem hostiae et calicis post consecrationem.
alla presentazione dell’ostia e del calice dopo la consacrazione.
277. Sacerdos, cum incensum ponit in thuribulum, illud benedicit signo crucis, nihil dicens.
Il sacerdote quando mette l’incenso nel turibolo lo benedice tracciando un segno di croce, senza nulla dire.

Ante et post thurificationem fit profunda inclinatio personae vel rei quae incensatur,altari et oblatis pro Missae sacrificio exceptis.
Prima e dopo l’incensazione si fa un profondo inchino alla persona o alla cosa che viene incensata, non però all’altare e alle offerte per il sacrificio della Messa.

Tribus ductibus thuribuli incensantur: Ss.mum Sacramentum, reliquia sanctae Crucis et imagines Domini publicae venerationi expositae, oblata pro Missae sacrificio, crux altaris, Evangeliarium, cereus paschalis, sacerdos et populus.
Con tre colpi del turibolo si incensano: il SS. Sacramento, la reliquia della santa Croce e le immagini del Signore esposte alla pubblica venerazione, le offerte per il sacrificio della Messa, la croce dell’altare, l’Evangeliario, il cero pasquale, il sacerdote e il popolo.

Duobus ductibus incensantur reliquiae et imagines Sanctorum publicae venerationi expositae, et quidem initio tantum celebrationis, cum incensatur altare.
Con due colpi si incensano le reliquie e le immagini dei Santi esposte alla pubblica venerazione, unicamente all’inizio della celebrazione, quando si incensa l’altare.

Altare incensatur singulis ictibus hoc modo:
L’altare si incensa con singoli colpi in questo modo:

* si altare est a pariete seiunctum, sacerdos illud circumeundo incensat;
a) Se l’altare è separato dalla parete, il sacerdote lo incensa girandogli intorno;

* si vero altare non est a pariete seiunctum, sacerdos transeundo incensat primo partem dexteram, deinde partem sinistram.
b) Se invece l’altare è addossato alla parete, il sacerdote lo incensa passando prima la parte destra dell’altare, poi la sinistra.

Crux, si est super altare vel apud ipsum, thurificatur ante altaris incensationem, secus cum sacerdos transit ante ipsam.
La croce, se è sopra l’altare o accanto ad esso, viene incensata prima dell’altare; altrimenti quando il sacerdote le passa davanti.

Oblata incensat sacerdos tribus ductibus thuribuli, ante incensationem crucis et altaris, vel signum crucis super oblata thuribulo producens.
Il sacerdote incensa le offerte prima dell’incensazione della croce e dell’altare con tre colpi di turibolo, oppure facendo col turibolo il segno di croce sopra le offerte.

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Per i sacerdoti fermi alle rubriche della prima e seconda edizione del Messale: in questi numeri ci sono delle novità (ovvero un ripristino di ritualità antiche) che non sono ancora entrante nell'uso di molti celebranti (ovviamente per scarsa dimestichezza con il turibolo che vedono raramente).

1) Quando il sacerdote impone l'incenso, adesso lo benedice formando un segno di croce con la mano destra, senza dire nulla (questo perchè sono state abolite, ahimè, le parole che nel rito antico accompagnavano questo gesto. Il gesto è tornato - la preghiera no: ab illo benedicaris in cuius honore cremaberis). Il fumo che proviene dall'incensiere - si sono ricordati i correttori delle rubriche - deve essere benedetto. Quando arriva alle narici dei credenti esso è portatore della benedizione che li avvolge e li pervade. Tutti i partecipanti al rito eucaristico sono incensati: tutti sono offerta gradita a Dio! Quale potente simbolismo del sacerdozio comune riscoperto dal Vaticano II! (Il sacerdozio comune, lo ricordo, abilita ad offrire se stessi in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, come e con Cristo).

2) Il sacerdote si inchina prima di incensare cose e/o persone, ma non ci si inchina prima di incensare le oblate sopra l'altare all'offertorio (come molti fanno).

2) Le oblate si possono incensare "facendo col turibolo il segno della croce" sopra di esse. Anche questo è un "ritorno" graditissimo (eppure poco utilizzato, perchè anche questo ad libitum). Vi posto qui sotto il disegno classico che guida i sacerdoti ad imparare come incensare le offerte nel rito romano. E' oggi applicabile non solo al rito antico, ma come mostrano le rubriche rinnovate, anche al rito ordinario.
Se poi - cari sacerdoti - volete sussurrare mentalmente anche le parole che accompagnano l'incensazione cruciforme, penso possa essere un utile richiamo mistico del significato del gesto che state compiendo. Incensare muovendo il turibolo in forma di croce, rievoca evidentemente il sacrificio del Signore che sta per compiersi sull'altare; mentre l’incensazione circolare, significa che i doni e le offerte sono stati circoscritti, riservati cioè al culto divino.
Ecco lo schema dal Messale di Giovanni XXIII che illustra le modalità e le preghiere per incensare nella forma straordinaria:




Incensum istud, a te benedictum, ascendat ad te, Domine, et descendat super nos misericordia tua.
Quest'incenso da te benedetto, salga a te, o Signore, e discenda su di noi la tua misericordia

mentre incensa l'altare il sacerdote sussurrava il Salmo 140,2-4:
Dirigatur, Domine, oratio mea, sicut incensum in conspectu tuo:
elevatio manuum mearum sacrificium vespertinum.
Pone, Domine, custodiam ori meo, et ostium circumstantiæ labiis meis:
ut non declinet cor meum in verba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis.
- Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera.
Poni, Signore, una custodia alla mia bocca,
sorveglia la porta delle mie labbra.
Non lasciare che il mio cuore si pieghi a parole piene di malizia
per trovar scuse con cui giustificare i miei peccati.

restituendo il turibolo al diacono o al ministrante dice:
Accendat in nobis Dominus ignem sui amoris, et flammam æternæ caritatis. Amen.
Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell'eterna carità. Amen

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LITURGIA COPTA DELLA «PREGHIERA DELL’INCENSO»
Basilica di Santa Maria Maggiore - Domenica, 14 agosto 1988

“Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 140, 1).
1. Con queste parole il salmista rende esplicito il legame simbolico tra la preghiera vespertina e il salire dell’incenso.

Il levarsi delle volute di incenso esprime con grande potenza evocativa l’anelito dello spirito umano a librarsi verso l’alto, a superare le angustie quotidiane, per riconoscere il senso della propria esistenza e ricongiungersi con Dio. Con l’incarnazione, il Verbo ha voluto assumere la natura umana ed è entrato in un nuovo rapporto anche con il cosmo, per presentarlo a Dio Padre quale offerta a lui gradita.

Nella visione sicura della fede, il bisogno di infinito, di perfezione, di comunione intima e profonda della creatura col Creatore non è semplice nostalgia o sogno dell’impossibile, ma è un pellegrinaggio ininterrotto, una tensione perenne, dell’uomo verso il suo fine che si esprime incessantemente in atteggiamenti di “condiscendenza”.

“Fecisti nos ad te, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te”, ci ricorda il santo vescovo Agostino (S. Augustini “Confessiones”, 1,1).

Questo incenso che sale senza tregua al cielo porta con sé l’aspirazione profonda del nostro cuore, verso Dio che si esprime nell’anelito della preghiera. L’incenso accompagna dunque il levarsi delle nostre mani al cielo, per offrire a Dio la nostra sete di lui e, nello stesso tempo, per presentargli persone e cose, desideri e aspirazioni.

...Partecipando all’odierna preghiera dell’incenso desideriamo fare nostri idealmente i toni variegati e molteplici di ogni liturgia della Tradizione dell’Oriente, anche di quelle che non si sono potute celebrare in questa alma città.

La liturgia copta, così adatta ad esprimere l’attesa vigilante del monaco che, con i fianchi cinti e le lucerne accese, accoglie il rivelarsi discreto, ma sicuro del suo Signore, è la voce mirabile, con cui oggi si esprime la fervida attesa della Chiesa per il Signore che viene....

4. Diletti fratelli e sorelle, amate questa vostra liturgia, nella quale e con la quale oggi prega con voi il Vescovo di Roma; sentitela come espressione viva della vostra sensibilità religiosa e culturale; vedetela come frutto originale di cui la Chiesa universale va fiera. Difendetene l’eredità, perché continui ad essere il luogo ove il palpito del vostro cuore si fa più spontaneamente preghiera. Siate sempre in continuità con la testimonianza gloriosa dei vostri padri nella fede, i quali, alimentandosi alla liturgia seppero sostenere le prove del martirio e compiere con coraggio e fermezza scelte di vita impegnative. Non aderite con eccessiva improvvisazione alla imitazione di culture e tradizioni che non siano le vostre, tradendo così la sensibilità che è propria del vostro popolo.

Molte volte i miei predecessori hanno insistito su questo punto così rilevante. Vorrei qui ricordare tra tutti, due grandi Papi, benemeriti per l’Oriente cristiano: Benedetto XIV, al quale dobbiamo la costituzione “Demandatam”, del 24 dicembre 1743; e Leone XIII, che ha emanato la celebre lettera apostolica “Orientalium Dignitas Ecclesiarum”, il 30 novembre 1894.

A loro fa eco il Concilio Vaticano II che con vigore sottolinea come “non si devono introdurre mutazioni, se non per ragioni del proprio organico progresso” (Orientalium Ecclesiarum, 6).

Questo significa che è necessario che ogni eventuale adattamento della vostra liturgia si fondi su uno studio attento delle fonti, su una conoscenza obiettiva delle peculiarità proprie della vostra cultura, sul mantenimento della tradizione comune a tutta la cristianità copta.


AMDG et DVM

Signore, non imputar loro questo a peccato.





Dagli Atti degli Apostoli


Atti 7:51-59; 8,2
................
51 Di testa dura e incirconcisi di cuore e di orecchio, voi resistete sempre allo Spirito Santo: anche voi siete come i vostri padri.
52 Qual dei profeti non perseguitarono i vostri padri? Uccisero perfino quelli che predicevano la venuta del Giusto, di cui voi siete stati adesso i traditori e gli assassini,
53 Voi che avete ricevuto la legge per ministero d'Angeli, e non l'avete osservata.>>
54 All'udire tali cose, si rodevano nei loro cuori, e digrignavano i denti contro di lui.





55 Ma egli, ch'era pieno dello Spirito Santo, mirando fisso in cielo, vide la gloria di Dio, e Gesù che stava ritto alla destra di Dio. E disse: <<Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell'uomo ritto alla destra di Dio.>>
56 Ma quelli, gettando grandi grida, si turarono le orecchie, e tutti insieme gli si gettarono addosso.
57 E trascinatolo fuori della città, si diedero a lapidarlo: e i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi d'un giovane, chiamato Saulo.
58 Mentre lo lapidavano, Stefano pregava dicendo: Signore Gesù, ricevi il mio spirito.





59 Poi, caduto ginocchioni, gridò a gran voce, dicendo: <<Signore, non imputar loro questo a peccato.>> E detto ciò, s'addormentò nel Signore. E Saulo approvava l'assassinio di lui. 
1 Si scatenò allora una gran persecuzione contro la Chiesa che era in Gerusalemme; e tutti, fuorché gli Apostoli, si dispersero per le contrade della Giudea e della Samaria. 
2 Ma degli uomini timorati seppellirono Stefano, e fecero gran pianto su di lui.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.





Lettura 4


I corpi dei santi Stefano Protomartire, Gamaliele, Nicodemo e Abibone rimasti nascosti per molto tempo in luogo oscuro e sordido, furono ritrovati [anno 541] presso Gerusalemme dal prete Luciano dietro divina rivelazione sotto l'imperatore Onorio. Gamaliele apparsogli in sogno sotto figura d'un vecchio grave e maestoso, gli mostrò il luogo ove giacevano i corpi, e gli ordinò di andare da Giovanni, vescovo di Gerusalemme, a trattare con lui perché quelle spoglie avessero una sepoltura onorevole.


Il vescovo di Gerusalemme udito ciò, convocò i vescovi e i preti delle città vicine; e recatosi sul luogo, si scavò e si scoprirono le tombe, dalle quali esalava un soavissimo odore. Al rumore dell'avvenimento accorse gran folla, e molti fra essi ch'erano affetti da diverse malattie o deboli, ritornarono guariti alle loro case. Il sacro corpo di san Stefano, depositato colla più gran pompa nella santa chiesa di Sion, fu trasportato sotto Teodosio il giovine a Costantinopoli; e in seguito, sotto il sommo Pontefice Pelagio I, a Roma, nel campo Verano, e riposto nella tomba di san Lorenzo Martire.


Dal Libro di sant'Agostino Vescovo «Della Città di Dio»

Libro 22, cap. 8, verso la metà

Allorché il vescovo Projetto portò a Tibilis delle reliquie del gloriosissimo Martire Stefano, ci fu un gran concorso di gente al passaggio della sua urna. 
Fu allora che una donna cieca, avendo pregato d'essere condotta al vescovo che portava le sacre spoglie, presentò dei fiori che aveva seco perché toccassero le sacre reliquie; e, riavutili, se li accostò agli occhi, e tosto riebbe la vista. Con stupore dei presenti, ella si mise a camminare davanti, tutta festante, senza più bisogno di guida. 
Un'altra urna dello stesso Martire si conserva nel borgo di Sinise, presso il contado d'Ippona, e mentre Lucilio, vescovo del luogo, la portava preceduto e seguito dal popolo, fu subito guarito, in grazia di questo prezioso fardello, da una fistola che lo tormentava già da molto tempo, e ch'era per far aprire da un medico suo amico.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


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AMDG e DVM


FESTA DEL RITROVAMENTO DEL CORPO DI SANTO STEFANO CON ALTRI MARTIRI NELL'ANNO 451







DCXLVI. Sepoltura di Stefano e inizio della persecuzione. 

   8 agosto 1951.

 1 È notte alta, ed anche oscura perché la luna è già tramontata, quando Maria esce dalla casetta del Getsemani insieme a Pietro, Giacomo d'Alfeo, Giovanni, Nicodemo e lo Zelote.
   Data la notte scura, Lazzaro, che è ad attenderli davanti alla casa, là dove ha inizio il sentiero che porta al cancello più basso, accende una lucerna ad olio, che ha munita di un riparo di sottili lastre di alabastro o altra materia trasparente. La luce è tenue ma, tenuta bassa verso terra come viene tenuta, la lucerna serve sempre a vedere i sassi e gli ostacoli che possono trovarsi sul percorso. Lazzaro si pone a fianco di Maria, perché soprattutto Lei veda bene. Giovanni è dall'altro lato e sorregge per un braccio la Madre. Gli altri sono dietro, in gruppo.
   Vanno sino al Cedron e proseguono costeggiandolo, in modo da essere seminascosti dai cespugli selvatici che sorgono presso le rive di esso. Anche il fruscio delle acque serve ad occultare e confondere quello dei sandali dei camminatori.
   Sempre seguendo la parte esterna delle mura sino alla porta più prossima al Tempio, e poi inoltrandosi nella zona disabitata e brulla, giungono là dove fu lapidato Stefano. Si dirigono al mucchio di pietrame sotto cui è semi sepolto e ne rimuovono le pietre, sinché il povero corpo appare. È ormai livido, e per la morte e per le percosse e la lapidazione avute, duro, irrigidito, raggomitolato in se stesso così come lo colse la morte.



 2 Maria, che era stata pietosamente trattenuta lontana di qualche passo da Giovanni, si svincola e corre a quel povero corpo lacero e sanguinoso. Senza curarsi delle macchie che il sangue raggrumato imprime sulla sua veste, Maria, aiutata da Giacomo d'Alfeo e da Giovanni, depone il corpo su un telo steso sulla polvere, in un posto privo di pietre, e con un lino, che bagna in un'anforetta che le porge lo Zelote, deterge, così come può, il volto di Stefano, ne ravvia i capelli, cercando di condurli sulle tempie e sulle guance ferite per coprire le orrende tracce lasciate dalle pietre. Deterge anche le altre membra e vorrebbe ricomporle in una posa meno tragica. Ma il gelo della morte, avvenuta già da molte ore, non lo permette che parzialmente.

   Ci si provano anche gli uomini, più forti fisicamente e moralmente di Maria, che sembra di nuovo la Madre Dolorosa del Golgota e del Sepolcro. Ma anche loro devono rassegnarsi a lasciarlo come sono riusciti a ridurlo dopo tanti sforzi. Lo rivestono di una lunga veste monda, perché la sua è stata dispersa o rubata per spregio dai lapidatori e la tunichetta, che gli avevano lasciata, è ormai uno straccio tutto rotto e sanguinoso.

   Fatto ciò, sempre alla tenue luce della lucerna che Lazzaro tiene molto vicina al povero corpo, lo sollevano e lo depongono su un altro telo ben pulito. Nicodemo raccoglie il primo telo, bagnato dell'acqua usata per lavare il martire e del suo sangue raggrumato, e se lo pone sotto il manto. Giovanni e Giacomo dalla parte del capo, Pietro e lo Zelote dalla parte dei piedi, sollevano il telo contenente il corpo e iniziano la via del ritorno, preceduti da Lazzaro e da Maria. Non tornano però per la via fatta nel venire, ma anzi, addentrandosi per la campagna e girando ai piedi dell'uliveto, raggiungono la via che conduce a Gerico e a Betania.



 3 Lì si fermano, per riposarsi e per parlare. E Nicodemo, che per essere stato presente, sebbene in maniera passiva, alla condanna di Stefano, e per essere uno dei capi dei giudei sapeva meglio degli altri le decisioni del Sinedrio, avverte i presenti che è stata scatenata e ordinata la persecuzione contro i cristiani, e che Stefano non è che il primo di una lunga lista di nomi già designati, perché di seguaci del Cristo.

   Il primo grido di tutti gli apostoli è: «Facciano ciò che vogliono! Noi non muteremo, né per minaccia, né per prudenza!».

   Ma i più giudiziosi dei presenti, ossia Lazzaro e Nicodemo, fanno osservare a Pietro e a Giacomo d'Alfeo che la Chiesa ha ancora ben pochi sacerdoti del Cristo e che, se venissero uccisi i più potenti di essi, ossia Pietro pontefice e Giacomo vescovo di Gerusalemme, la Chiesa difficilmente si salverebbe. Ricordano anche a Pietro che il loro Fondatore e Maestro aveva lasciato la Giudea per la Samaria per non essere ucciso prima di averli ben formati, e come avesse consigliato ai suoi servi di imitare il suo esempio sino a che i pastori fossero tanti da non far temere la dispersione dei fedeli per la morte dei pastori. E terminano dicendo: «Spargetevi voi pure per la Giudea e la Samaria. Fatevi là dei proseliti, degli altri, numerosi pastori, e da lì spargetevi per la Terra onde, come Egli comandò di fare, tutte le genti conoscano il Vangelo».
 4 Gli apostoli sono perplessi. Guardano Maria, quasi per sapere il suo giudizio in merito.
   E Maria, che capisce quegli sguardi, dice: «Il consiglio è giusto. Ascoltatelo. Non è viltà, ma prudenza. Egli ve lo insegnò: "Siate semplici come le colombe e prudenti come le serpi. Vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Guardatevi dagli uomini…"».

   Giacomo la interrompe: «Sì, Madre. Però disse anche: "Quando sarete posti nelle loro mani e tradotti davanti ai governanti, non turbatevi per ciò che dovrete rispondere. Non sarete voi a parlare, ma parlerà per voi e in voi lo Spirito del Padre vostro". E io resto qui. Il discepolo deve essere come il Maestro. Egli è morto per dar vita alla Chiesa. Ogni morte nostra sarà una pietra aggiunta al grande nuovo Tempio, un aumento di vita al grande immortale corpo della Chiesa universale. Mi uccidano pure, se vogliono. Vivente in Cielo, sarò più felice, perché al fianco del Fratel mio, e più potente ancora. Non temo la morte. Ma il peccato. Abbandonare il mio posto mi pare imitare il gesto di Giuda, il perfetto traditore. Quel peccato Giacomo d'Alfeo non lo farà mai. Se devo cadere, cadrò da eroe al mio posto di lotta, in quel posto in cui Egli mi volle».
   Maria gli risponde: «Nei tuoi segreti con l'Uomo-Dio io non penetro. Se Egli così ti ispira, fa' così. Lui solo, che è Dio, può aver diritto di ordinare. A noi tutti spetta solo di ubbidirgli sempre, in tutto, per fare la sua Volontà».



 5 Pietro, meno eroico, confabula con lo Zelote per sentire il suo parere in merito.
   Lazzaro, che è vicino ai due e sente, propone: «Venite a Betania. È vicina a Gerusalemme e vicina alla via per la Samaria. Da lì partì il Cristo tante volte per sfuggire ai suoi nemici…».

   Nicodemo, a sua volta, propone: «Venite nella mia casa di campagna. È sicura e vicina sia a Betania che a Gerusalemme, e sulla via che conduce, per Gerico, ad Efraim».
   «No, è meglio la mia, protetta da Roma», insiste Lazzaro.
   «Sei già troppo odiato, da quando Gesù ti risuscitò, affermando così, potentemente, la sua Natura divina. Pensa che la sua sorte fu decisa per questo motivo. Che tu non abbia a decidere la tua», gli risponde Nicodemo.
   «E la mia casa dove la mettete? In realtà è di Lazzaro. Ma ha ancora nome di mia», dice Simone lo Zelote.

   *Maria interviene dicendo: «Lasciate che io rifletta, pensi, giudichi ciò che è meglio fare. Dio non mi lascerà senza la sua luce. Quando saprò, ve lo dirò. Per ora venite con me, al Getsemani».
   «Sede d'ogni sapienza, Madre della Parola e della Luce, sempre ci sei Stella di guida sicura. Ti ubbidiamo», dicono tutti insieme, quasi veramente lo Spirito Santo avesse parlato nei loro cuori e sulle loro labbra.

 6 Si alzano dall'erba su cui si erano seduti ai margini della strada, e mentre Pietro, Giacomo, Simone e Giovanni vanno con Maria verso il Getsemani, Lazzaro e Nicodemo sollevano il telo che involge il corpo di Stefano e, alle prime luci dell'alba, si dirigono verso la via di Betania e Gerico.
   Dove portano il martire? Mistero.

AMDG et DVM



Più che la paura fa la fiducia... per conquistare questo premio santissimo del Cielo.


CLXXI. Terzo discorso della Montagna: i consigli evangelici che perfezionano la Legge. 

  25 maggio 1945

 1 Continua il discorso del Monte.

   Il luogo e l'ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano ed Erma.
   E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare. 

   «Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l'Uomo e comprendo le debolezze dell'uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all'abisso nero, ma all'Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l'abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
   Io non muto un iota della Legge. E chi l'ha data fra i fulmini del Sinai? L'Altissimo.
   Chi è l'Altissimo? Il Dio uno e trino.
   Da dove l'ha tratta? Dal suo Pensiero.
   Come l'ha data? Con la sua Parola.
   Perché l'ha data? Per il suo Amore.

   Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all'Amore, parlò per il Pensiero e per l'Amore.
   Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

 2 Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l'ordine. Ora è più dell'ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all'istante è re perché ha raggiunto il "perfetto", perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa. Potrei dire che il santo è colui al quale l'amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.

  Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all'estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l'eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all'ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così. 

 3 Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
   In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l'aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.

   Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d'errore. Essi vengono a voi in veste d'agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
   L'uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un'altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti
E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l'uomo è ladro e fornicatore? 
E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l'ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? 
E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? 
Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? 
Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.

   Ma gli atti dell'uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: "Costui è un servo del Signore". Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione
Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. 
Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? 
E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori. 
L'uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l'aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all'uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: "Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli". Anzi vi dico: "Lasciatene a Dio il compito". Ma vi dico: "Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi".

 4 Come debba essere amato Dio, ieri l'ho detto. 
Insisto a come debba essere amato il prossimo.

   Un tempo era detto: "Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico" No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l'uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l'uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l'amore di prossimo a perfezione che unifica l'amico al nemico.

   Siete calunniati? Amate e perdonate. 
Siete percossi? Amate e porgete l'altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l'ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell'affronto. 
Siete derubati? Non pensate: "Questo mio prossimo è un avido", ma pensate caritativamente: "Questo mio povero fratello è bisognoso" e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.

   Voi dite: "Ma potrebbe essere vizio e non bisogno". Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l'iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
   Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. 
Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane
Pensate sempre: "Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?", e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.

   L'antica parola: "Occhio per occhio, dente per dente", che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l'uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: "Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare". Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

 5 Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. 
Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell'amore e perciò vi dico: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli.
   Tanto è grande il precetto d'amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d'amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: "Non uccidete", perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini
Ma vi dico: "Non vi adirate" perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all'altare se prima non si è sacrificato nell'interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. 
Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all'altare, fa' prima l'immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all'altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell'uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all'avversario fino all'ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: "Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?". Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.

 6 Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: "Guariscimi", perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: "Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre".
   Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò». 

   La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente. 
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L'anima no. Non può perché è carica di odio». 
   «Ma chi è? Quel romano forse?». 
   «No. Un disgraziato».
   «Ma perché lo hai guarito, allora? » chiede Pietro. 
   «Dovrei fulminare tutti i suoi simili?». 
   «Signore... io so che Tu non vuoi che dica: "sì ", e perciò non lo dico.. - ma lo penso.. - ed è lo stesso...»   
   «E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora... Oh! quanti cuori pieni di scaglie d'odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall'alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».


venerdì 2 agosto 2019

PRIMO SEGNO:

la confusione


28 gennaio 1979. 
Festa di San Tommaso d'Aquino.

Primo segno: la confusione.

<< Figli prediletti, rifugiatevi nel mio Cuore Immacolato.

Il regno glorioso di Cristo sarà preceduto da una grande sofferenza che servirà a purificare
la Chiesa e il mondo e a condurli al loro completo rinnovamento.

Gesù ha già iniziato la sua misericordiosa opera di rinnovamento con la Chiesa, sua Sposa.
Vari segni vi indicano che è giunto per la Chiesa il tempo della purificazione: il primo di essi è
la confusione che vi regna. Questo infatti è il tempo della più grande confusione.

La confusione si è diffusa all'interno della Chiesa, ove ogni cosa viene sovvertita in campo dogmatico, liturgico e disciplinare.

Vi sono verità rivelate da mio Figlio e che la Chiesa ha per sempre definito con la sua divina e
infallibile autorità.

Queste verità sono immutabili, come immutabile è la Verità stessa di Dio. Molte di esse fanno
parte di veri e propri misteri, perché non sono e non potranno mai essere comprese dalla
umana intelligenza.

L'uomo le deve accogliere con umiltà, attraverso un atto di pura fede e di ferma fiducia in Dio
che le ha rivelate e le propone agli uomini di tutti i tempi, attraverso il magistero della Chiesa.

Ma ora si è diffusa la tendenza così pericolosa di volere penetrare e comprendere tutto -
anche il mistero - giungendo così ad accogliere della Verità solo quella parte che è
comprensibile dalla umana intelligenza. Si vuole svelare il mistero stesso di Dio.

Si rifiuta quella verità che non è razionalmente compresa.

Si tende a riproporre razionalisticamente tutta la verità rivelata, nella illusione di renderla
accettabile a tutti. Così si corrompe la verità con l'errore. L'errore viene diffuso nella
maniera più pericolosa, cioè come un modo nuovo e aggiornato di comprendere la Verità; e si
finisce con il sovvertire le stesse verità che sono il fondamento della fede cattolica.

Non si negano apertamente, ma si accolgono in maniera equivoca giungendo nella dottrina al più
grave compromesso con l'errore che mai si sia compiuto.

Alla fine ancora si parla e si discute, ma non si crede più e la tenebra dell'errore si diffonde.
La confusione, che tende a regnare all'interno della Chiesa e a sovvertire le sue verità, è il
primo segno che vi indica con certezza che per essa è giunto il tempo della sua purificazione.
La Chiesa infatti è Cristo che misticamente vive fra voi.

Cristo è la Verità. La Chiesa deve perciò sempre risplendere della Luce di Cristo che è la
Verità.

Ma ora il suo Avversario è riuscito a fare entrare nel suo interno tanta tenebra con la sua
opera subdola e ingannatrice.

E oggi la Chiesa è oscurata dal fumo di Satana.

Satana ha anzitutto oscurato l'intelligenza ed il pensiero di tanti miei figli, seducendoli con
l'orgoglio e la superbia, e per loro mezzo ha oscurato la Chiesa.

Voi, figli prediletti della Mamma Celeste, Voi apostoli del mio Cuore Immacolato, a questo oggi
siete chiamati: a combattere con la parola e con l'esempio, perché sia sempre più accolta da
tutti la Verità. Così per mezzo della Luce sarà sconfitta la tenebra della confusione.

Perciò voi dovete vivere alla lettera il Vangelo di mio Figlio Gesù. Dovete essere solo Vangelo
vissuto. Poi dovete a tutti annunciare, con forza e con coraggio, il Vangelo che vivete.

La vostra parola avrà la forza dello Spirito Santo che vi riempirà, e la Luce della Sapienza che
vi dona la Mamma Celeste.

Per questo quanto più la confusione, entrata all'interno della Chiesa, aumenterà la grande
sofferenza della sua purificazione, tanto più Essa per mezzo di voi esperimenterà il conforto
e l'aiuto della mia azione materna.

Da voi la Chiesa sarà aiutata a uscire dalla tenebra, per rinascere allo splendore divino della
sua immutabile Verità  >>.


AVE MARIA PURISSIMA!