mercoledì 30 gennaio 2019

Giovanni Paolo II e i salmi 41 e 42

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GIOVANNI PAOLO II
UDIENZA GENERALE 

Mercoledì 6 febbraio 2002

Salmo 42 - Desiderio del Tempio di Dio
 (Lettura: Sal 42, 1.3-4).


1. In una Udienza generale di qualche tempo fa, commentando il Salmo che precede quello poc’anzi cantato, abbiamo detto che esso si univa intimamente al Salmo successivo. I Salmi 41 e 42 costituiscono, infatti, un unico canto, scandito in tre parti dalla stessa antifona: "Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio" (Sal 41, 6.12; 42, 5).

Queste parole, simili a un soliloquio, esprimono i sentimenti profondi del Salmista. Egli si trova lontano da Sion, punto di riferimento della sua esistenza perché sede privilegiata della presenza divina e del culto dei fedeli. Sente, perciò, una solitudine fatta di incomprensione e persino di aggressione da parte degli empi, aggravata dall’isolamento e dal silenzio da parte di Dio. Il Salmista, però, reagisce contro la tristezza con un invito alla fiducia, che egli rivolge a se stesso, e con una bella affermazione di speranza: egli conta di poter ancora lodare Dio, "salvezza del suo volto".

Nel Salmo 42, anziché parlare soltanto a se stesso come nel Salmo precedente, il Salmista si rivolge a Dio e lo supplica di difenderlo contro gli avversari. Riprendendo quasi alla lettera un’invocazione annunziata nell’altro Salmo (cfr 41, 10), l’orante rivolge questa volta effettivamente a Dio il suo grido desolato: "Perché mi respingi, perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?" (Sal 42, 2).

2. Tuttavia egli sente ormai che la parentesi oscura della lontananza sta per finire ed esprime la certezza del ritorno a Sion per ritrovare la dimora divina. La città santa non è più la patria perduta, come accadeva nel lamento del Salmo precedente (cfr Sal 41, 3-4), è invece la meta gioiosa, verso la quale si è in marcia. La guida del ritorno a Sion sarà la "verità" di Dio e la sua "luce" (cfr Sal 42, 3). 

Il Signore stesso sarà il fine ultimo del viaggio. Egli è invocato come giudice e difensore (cfr vv. 1-2). Tre verbi marcano il suo intervento implorato: "Fammi giustizia", "difendi la mia causa", "liberami" (v. 1). Sono quasi tre stelle di speranza, che si accendono nel cielo tenebroso della prova e segnalano l’imminente aurora della salvezza.

È significativa la rilettura che sant’Ambrogio fa di questa esperienza del Salmista, applicandola a Gesù che prega nel Getsemani: "Non voglio che ti meravigli se il profeta dice che la sua anima era scossa, dal momento che lo stesso Signore Gesù disse: Ora l’anima mia è turbata. Chi infatti ha preso sopra di sé le nostre debolezze, ha preso anche la nostra sensibilità, per effetto della quale era triste fino alla morte, ma non per la morte. Non avrebbe potuto provocare mestizia una morte volontaria, dalla quale dipendeva la felicità di tutti gli uomini… Era dunque triste fino alla morte, nella attesa che la grazia fosse portata a compimento. Lo dimostra la sua stessa testimonianza, quando dice della sua morte: C’e un battesimo con il quale devo essere battezzato: e come sono angosciato finché non sia compiuto! (Le rimostranze di Giobbe e di Davide, VII, 28, Roma 1980, p. 233).

3. Ora, nel prosieguo del Salmo 42, davanti agli occhi del Salmista sta per aprirsi la soluzione tanto sospirata: il ritorno alla sorgente della vita e della comunione con Dio. La "verità", ossia la fedeltà amorosa del Signore, e la "luce", cioè la rivelazione della sua benevolenza, sono raffigurate come messaggere che Dio stesso invierà dal cielo per prendere per mano il fedele e condurlo verso la meta desiderata (cfr Sal 42, 3).

Molto eloquente è la sequenza delle tappe di avvicinamento a Sion e al suo centro spirituale. Prima appare "il monte santo", il colle ove si erge il tempio e la cittadella di Davide. Poi entrano in campo "le dimore", cioè il santuario di Sion con tutti i vari spazi ed edifici che le compongono. Viene, quindi, "l’altare di Dio" , la sede dei sacrifici e del culto ufficiale di tutto il popolo. La meta ultima e decisiva è il Dio della gioia, è l’abbraccio, l’intimità ritrovata con Lui, prima lontano e silenzioso.

4. Tutto, a quel punto, diviene canto, letizia, festa (cfr v. 4). Nell’originale ebraico si parla del "Dio che è gioia del mio giubilo". Si tratta di un modo di dire semitico per esprimere il superlativo: il Salmista vuole sottolineare che il Signore è la radice di ogni felicità, è la gioia suprema, è la pienezza della pace.

La traduzione greca dei Settanta è ricorsa, sembra, a un termine equivalente aramaico che indica la giovinezza e ha tradotto "al Dio che rallegra la mia giovinezza", introducendo così l’idea della freschezza e dell’intensità della gioia che il Signore dona. Il salterio latino della Vulgata, che è una traduzione fatta sul greco, dice quindi: "ad Deum qui laetificat juventutem meam". In questa forma il Salmo veniva recitato ai piedi dell’altare, nella precedente liturgia eucaristica, quale invocazione introduttoria all’incontro col Signore.

5. Il lamento iniziale dell’antifona dei Salmi 41-42 risuona per l’ultima volta in finale (cfr Sal 42, 5). L’orante non ha raggiunto ancora il tempio di Dio, è coinvolto ancora nell’oscurità della prova; ma ormai ai suoi occhi brilla la luce dell’incontro futuro e le sue labbra conoscono già la tonalità del canto di gioia. L’appello è, a questo punto, maggiormente segnato dalla speranza. 
Osserva, infatti, sant’Agostino commentando il nostro Salmo: "Spera in Dio, risponderà alla sua anima colui che da essa è turbato… Vivi frattanto nella speranza. La speranza che si vede non è speranza; ma se speriamo ciò che non vediamo è per mezzo della pazienza che noi l’aspettiamo (cfr Rm 8, 24-25)" (Esposizione sui Salmi I, Roma 1982, p. 1019).

Il Salmo diventa, allora, la preghiera di chi è pellegrino sulla terra e si trova ancora in contatto col male e con la sofferenza, ma ha la certezza che il punto d’arrivo della storia non è un baratro di morte, bensì l’incontro salvifico con Dio. 

Questa certezza è ancora più forte per i cristiani, ai quali la Lettera agli Ebrei proclama: "Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa, e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele" (Eb 12, 22-24).

AMDG et DVM

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DUE LETTERE DELLA BEATA SUOR MARIA DI GESU' CROCIFISSO - Maria Baouardy -



A Padre Lazzaro, carmelitano 
(suo confessore a Mangalore)


J.M.J.T.
Carmelo del Sacro Cuore di Pau, 7 gennaio 1873

Padre mio,
non crediate che, poiché non ho scritto, vi abbia dimenticato; no, certamente, pensate
un po' se un figlio non dice tutto a suo Padre!
Sapete, Padre mio, che colui il quale ha stabilito il legame è in mezzo a noi? Vi
ricordate quando eravamo entrambi vicino alla grata, voi al di fuori, ed io dentro?
Quando voi avete detto: Ah! Come vorrei soffrire per amore del nostro caro Maestro!
Quanti desideri allora in voi di soffrire! Ecco, che adesso, essi si compiono.
Vi ricordate anche, Padre mio, che quando Nostro Signore si mostra a qualcuno, carico
della sua Croce e coronato di spine, non è certo per gioire? Ma voi lo sapete meglio di
me; voi il perché me lo avete detto spesso.
Vi ricordate anche voi, o Padre mio, un anno e cinque mesi or sono, è stato detto: Se
fosse possibile, la terra si solleverebbe contro di voi. E se voi lo portate generosamente
per amore di Colui che vi ha creato, la vostra prova sarà abbreviata? In quanto a me, il
mio desiderio è che essa sia lunga, lo sapete, o Padre mio!

Una persona domandava a Nostro Signore: Perché la tale persona soffre? L'adorabile
Maestro ha risposto: Perché io la amo. E ai miei discepoli, quelli che ho amato di più
sulla terra, che ricompensa ho loro dato! Sono potentissimo, ma è il migliore amore
che io possa loro dare; non ho altra ricompensa per quelli che amo. Ebbene, Padre
mio, ora la fede è indebolita, la Religione e perfino le comunità più sante sono deboli,
la fede vi si è affievolita; cerchiamo di avere la fede, noi, la fede dei nostri Padri, se
essa si indebolisce dappertutto. 
Non vi meravigliate di tutto ciò che vedete e sentite
oggi, e non vi rammaricate; al contrario, scusiamo tutti. Che cosa ciò comporta? Che
tutti dicano bianco o nero, noi non siamo che ciò che noi siamo davanti a Dio. Perché
turbarci? Lasciamoci giudicare dalle creature; così il Signore non avrà cuore per
giudicarci. Cerchiamo di essere come la meretrice: quando tutti l'hanno giudicata, il
Signore non l'ha condannata. In quanto a me, tutti i giudizi delle creature non mi
hanno turbata, e nemmeno afflitta...

Ebbene, Padre mio, non giudichiamo ora gli altri come siamo stati giudicati. Siamo
giudicati e non giudici. Mi sembra, Padre mio, che il Signore permette tutto ciò che
accade perché si compia la sua parola. È stato detto che non vi avrei mai visto e che
avremmo saputo mai notizie l'uno dell'altro; ma sono le parole degli uomini e Dio ha
detto tutto il contrario.
In quanto a me, da quando vi ho lasciato o che voi mi avete lasciato, non ho avuto mai
alcun rimpianto, né il desiderio di rivedervi; non ho mai rivolto una preghiera a Dio
per sapere vostre notizie.

Quando siete venuto a dirmi che non sareste più ritornato, vi ricordate quello che vi ho
risposto: «Parti, o Padre mio; colui che vi ha dato, vi ha tolto; che il suo santo Nome
sia benedetto»? Non sono io che vi ho scelto, è il buon Dio, e il buon Dio che si è
servito di voi per farmi del bene, può servirsi di altri. Io ve lo avevo detto, credo, una
persona domandò un giorno al Maestro: Devo forse attribuire ad un servitore, che mi
ha fatto del bene, il bene che mi ha fatto?

No, ha detto il maestro; se il servitore è stato fedele, merita la ricompensa, ma non il
ringraziamento che è dovuto al maestro, il quale ha demandato il servitore. Ancora,
Padre mio, se il maestro ha un servo malato e ne manda un altro per curarlo, dopo che
il malato è guarito, a chi deve il ringraziamento e la riconoscenza? Deve il
ringraziamento e la riconoscenza al maestro che ha dato il servitore ed anche un poco
di riconoscenza a questo servitore, perché si è dato la pena di curarlo.

Padre mio, non attendete la vostra ricompensa in questo mondo, no, ma
nell'altro. Io so che voi desiderate per me la felicità e la tranquillità, quaggiù. Ebbene,
io non desidero ciò per voi sulla terra, ma solamente nel cielo.
Padre mio, so che voi soffrite e ve ne scongiuro,per amore del Sommo Bene, scusate
tutto, soffrite tutto. Se vi si spoglia alla vista di tutti, scusateli, soffritelo; e se essi sono
nel bisogno, spogliatevi per vestirli, copriteli col mantello più dolce, più tenero
possibile; fate ciò, ve ne scongiuro più di dieci volte ancora.
Perdonatemi tutto ciò che vi dico, Padre mio, beneditemi e pregate per la vostra
indegna figliuola.
Suor Maria di Gesù Crocifisso

*

J.M.J.T.
Carmelo del Sacro Cuore di Pau, 15 marzo 1873.

Padre mio,
[...] il buon Dio domanda a voi soprattutto due cose. Il Cuore di Dio desidera da voi
ardentemente l'obbedienza e la sottomissione cieca di un bambino appena nato; non
fate una riflessione, ma lasciatevi mettere là dove l'obbedienza vi metterà e siate
sicuro... verranno dei momenti in cui avrete delle tentazioni e delle umiliazioni;
sopportatele con gioia, senza mormorare, e siate sicuro che è necessario che la parola
di Dio si compia; non cade senza frutto; spesso gli uomini fanno tutto il contrario, ma
il Signore è fedele alla sua promessa. Avrete contro di voi delle gelosie; dovunque
sarete, avrete qualcuno per esercitare la vostra pazienza, la vostra
carità. Siate fedele, andate sempre avanti, siate pronto a dare sempre la vostra vita per
quelli che vi faranno soffrire; pensate, non è gran che ciò che farete per essi, in
confronto a ciò che Dio prepara per voi. 

La seconda cosa che il buon Dio vi domanda, è l'umiltà e soprattutto la prudenza.
Permettetemi di dirvelo, non siete abbastanza prudente. Oggi, più che mai, soprattutto
in questo secolo così ingannatore, è rarissimo trovare un cuore retto e sincero.

Oh! Padre mio, piangiamo tutti e due, se lo possiamo, lacrime di sangue di ri-
conoscenza verso Dio per tutto quello che egli ha fatto e tutto ciò che egli è pronto a
fare ancora per noi. Oh! quanto i nostri cuori sono piccoli per amare Gesù! 
Desideriamo continuamente e sinceramente, diciamo spesso: «Signore, vorrei un cuore
più grande del cielo, della terra e del mare, per amarvi. Muoio di compassione per non
avere amato Gesù abbastanza come lo avrei voluto»...

Ve ne scongiuro... lasciate parlare, lasciate dire tutto ciò che si vorrà. Dio è Dio, e tutto
il cielo e tutta la terra si rigireranno per scuotere un'anima che Dio guarda, non
potrebbero fare niente. Non vi dico ciò per me, no! Sono piena di confusione davanti a
Dio, non davanti alle creature, ma davanti al mio Creatore.

Mi si potrebbe dire, come si è già fatto: che io sono per il Cielo e poi che sono per
l'inferno; né l'una cosa né l'altra mi hanno rallegrato né turbato; siamo ciò che siamo
davanti a Dio. L'esilio è breve; non ho che un desiderio, Padre mio: andare a Dio il più
presto possibile e lasciare questa terra, perché temo, vedendo anime così pure, così
sapienti, che hanno fatto delle cadute spaventose; ed io che sono coperta di peccati e di
ignoranza, che ne sarà di me? Oh! domandate al Signore di tirarmi fuori da questa
terra, piuttosto che offenderlo. Oh! no, mille milioni di volte, no! lo non vorrei
offenderlo! piuttosto morire!... Scusate, Padre mio, per questa brutta lettera che vi
scrivo; perdonatemi, beneditemi, domandate senza posa a Gesù che mi
custodisca tutta per lui.

La Vostra indegna figliuola.
Suor Maria di Gesù Crocifisso


AMDG et DVM

lunedì 28 gennaio 2019

IN QUESTA OMELIA C'E' TUTTA LA GRANDEZZA DIVINA DI MARIA Santissima La Perfetta che schiaccia la testa a satana






OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II per la SOLENNITÀ DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA 
Basilica di S. Maria Maggiore, 8 dicembre 1982

“Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1, 28).

1. Mentre queste parole del saluto dell’Angelo riecheggiano soavemente nel nostro animo, desidero rivolgere lo sguardo, insieme con voi, cari fratelli e sorelle, sul mistero dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria con l’occhio spirituale di san Massimiliano Kolbe. 

Egli ha legato tutte le opere della sua vita e della sua vocazione all’Immacolata. 
E perciò, in quest’anno, in cui è stato elevato alla gloria dei Santi, egli ha molto da dirci nella solennità dell’Immacolata, di cui amò definirsi devoto “militante”. 

L’amore all’Immacolata fu infatti il centro della sua vita spirituale, il fecondo principio animatore della sua attività apostolica. Il modello sublime dell’Immacolata illuminò e guidò la sua intera esistenza sulle strade del mondo e fece della sua morte eroica nel campo di sterminio di Auschwitz una splendida testimonianza cristiana e sacerdotale. 
Con l’intuizione del santo e la finezza del teologo, Massimiliano Kolbe meditò con acume straordinario il mistero della Concezione Immacolata di Maria alla luce della Sacra Scrittura, del Magistero e della Liturgia della Chiesa, ricavandone mirabili lezioni di vita. Egli è apparso nel nostro tempo profeta e apostolo di una nuova “era mariana”, destinata a far brillare di vivida luce nel mondo intero Gesù Cristo e il suo Vangelo.

Questa missione che egli portò avanti con ardore e dedizione, “lo classifica – come affermò Paolo VI nell’Omelia per la sua beatificazione – tra i grandi santi e gli spiriti veggenti che hanno capito, venerato e cantato il mistero di Maria” (Insegnamenti di Paolo VI, IX [1971] 909)
Pur consapevole della profondità inesauribile del mistero della Concezione Immacolata, per cui “le parole umane non sono in grado di esprimere Colei che è divenuta vera Madre di Dio” (Gli scritti di Massimiliano Kolbe, eroe di Oswiecjm e Beato della Chiesa, 3 volumi, Edizioni Città di Vita, Firenze 1975, vol. III, p. 690), il suo maggiore rammarico era quello che l’Immacolata non fosse sufficientemente conosciuta e amata a imitazione di Gesù Cristo e come ci insegna la Tradizione della Chiesa e l’esempio dei santi. 
Amando Maria, infatti, noi onoriamo Dio che l’ha elevata alla dignità di Madre del proprio Figlio fatto Uomo e ci uniamo a Gesù Cristo che l’ha amata quale Madre; non l’ameremo mai come egli l’amò: “Gesù è stato il primo ad onorarla quale sua Madre e noi dobbiamo imitarlo anche in questo. Non riusciremo mai ad eguagliare l’amore con cui Gesù l’amò” (Ivi., v. II, p. 351). 

L’amore a Maria, afferma padre Massimiliano, è la via più semplice e più facile per santificarci, realizzando la nostra vocazione cristiana. L’amore di cui egli parla non è certo superficiale sentimentalismo, ma è impegno generoso, e donazione di tutta la persona, come egli stesso ci ha dimostrato con la sua vita di fedeltà evangelica fino alla sua morte eroica.


2. L’attenzione di san Massimiliano Kolbe si concentrò incessantemente sulla Concezione Immacolata di Maria per poter cogliere la ricchezza meravigliosa racchiusa nel Nome che ella stessa manifestò e che costituisce l’illustrazione di quanto ci insegna il Vangelo odierno con le parole dell’angelo Gabriele: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1, 28).

Richiamandosi alle apparizioni di Lourdes – che per lui furono stimolo e incentivo per comprendere meglio le fonti della Rivelazione – osserva: “A santa Bernardetta, che più volte l’aveva interrogata, la Vergine rispose: "Io sono l’Immacolata Concezione". Con queste parole ella manifestò chiaramente di essere non soltanto concepita senza peccato, ma di essere anzi la stessa "Concezione Immacolata", così come altro è un oggetto bianco e altro la bianchezza; altro è una cosa perfetta e altro è la perfezione” (Gli scritti di Massimiliano Kolbe, eroe di Oswiecjm e Beato della Chiesa, 3 volumi, Edizioni Città di Vita, Firenze 1975, vol. III, p. 516). Concezione Immacolata è il Nome che rivela con precisione chi è Maria: non afferma soltanto una qualità, ma delinea esattamente la Persona di lei: Maria è santa radicalmente nella totalità della sua esistenza, fin dal principio.

3. L’eccelsa grandezza soprannaturale fu concessa a Maria in ordine a Gesù Cristo; è in lui e mediante lui che Dio le partecipò la pienezza di santità: Maria è Immacolata perché Madre di Dio e divenne Madre di Dio perché Immacolata, afferma scultoreamente Massimiliano Kolbe. 
La Concezione Immacolata di Maria manifesta in modo unico e sublime la centralità assoluta e la funzione salvifica universale di Gesù Cristo. “Dalla maternità divina sgorgano tutte le grazie concesse alla santissima Vergine Maria e la prima di esse è l’Immacolata Concezione” (Ivi., p. 475). 
Per questo motivo, Maria non è semplicemente come Eva prima del peccato, ma fu arricchita di una pienezza di grazia incomparabile perché Madre di Cristo, e la Concezione Immacolata fu l’inizio di una prodigiosa espansione senza soste della sua vita soprannaturale.



4. Il mistero della santità di Maria deve essere contemplato nella globalità dell’ordine divino della salvezza per essere colto in modo armonico e perché non appaia quale privilegio che la separa dalla Chiesa che è il Corpo di Cristo. 
Il Padre Massimiliano ha somma cura nel riannodare la Concezione Immacolata di Maria e la sua funzione nel piano della salvezza al mistero della Trinità, e in modo del tutto speciale con la persona dello Spirito Santo. 
Con geniale profondità sviluppò i molteplici aspetti contenuti nella nozione di “Sposa dello Spirito Santo”, ben nota nella tradizione patristica e teologica e suggerita dal Nuovo Testamento: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà Santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1, 35)

È una analogia, sottolinea san Massimiliano Kolbe, che fa intravedere l’unione ineffabile, intima e feconda tra lo Spirito Santo e Maria. “Lo Spirito Santo stabilì la propria dimora in Maria fino dal primo istante dell’esistenza di lei, ne prese possesso assoluto e la compenetrò talmente che il nome di Sposa dello Spirito Santo non esprime che un’ombra lontana, pallida, imperfetta di tale unione” (Gli scritti di Massimiliano Kolbe, eroe di Oswiecjm e Beato della Chiesa, 3 volumi, Edizioni Città di Vita, Firenze 1975, vol. III, p 515).



5. Scrutando con ammirazione estatica il piano divino della salvezza, che ha la sua sorgente nel Padre il quale volle comunicare liberamente alle creature la vita divina di Gesù Cristo, e che si manifesta in Maria Immacolata in modo meraviglioso, il padre Kolbe affascinato e rapito esclama: “Dappertutto c’è l’amore” (Ivi., p. 690); l’amore gratuito di Dio è la risposta a tutti gli interrogativi; “Dio è amore” afferma san Giovanni (1 Gv 4, 8). 
Tutto ciò che esiste è riflesso dell’amore libero di Dio, e perciò ogni creatura ne traduce, in qualche modo, lo splendore infinito. In maniera particolare l’amore è il centro ed il vertice della persona umana, fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Maria Immacolata, la più alta e perfetta delle persone umane, riproduce in modo eminente l’immagine di Dio ed è quindi resa capace di amarlo con intensità incomparabile come Immacolata, senza deviazioni o rallentamenti. È l’unica ancella del Signore (cf. Lc 1, 38) che con il suo “fiat” libero e personale risponde all’amore di Dio compiendo sempre quanto egli le domanda. Come quella di ogni altra creatura, la sua non è una risposta autonoma, ma è grazia e dono di Dio; in tale risposta vi è coinvolta tutta la sua libertà, la libertà di Immacolata. 
“Nell’unione dello Spirito Santo con Maria l’amore non congiunge soltanto queste due Persone, ma il primo amore è tutto l’amore della santissima Trinità, mentre il secondo, quello di Maria, è tutto l’amore della creazione e così in tale unione il cielo si unisce alla terra, tutto l’Amore increato con tutto l’amore creato . . . È il vertice dell’amore” (Gli scritti di Massimiliano Kolbe, eroe di Oswiecjm e Beato della Chiesa, 3 volumi, Edizioni Città di Vita, Firenze 1975, vol. III, p 758).


La circolarità dell’amore, che ha origine dal Padre, e che nella risposta di Maria ritorna alla sua sorgente, è un aspetto caratteristico e fondamentale del pensiero mariano di padre Kolbe. È, questo, un principio che sta alla base della sua antropologia cristiana, della visione della storia e della vita spirituale di ogni uomo. Maria Immacolata è archetipo e pienezza di ogni amore creaturale; il suo amore limpido e intensissimo verso Dio racchiude nella sua perfezione quello fragile e inquinato delle altre creature. La risposta di Maria è quella dell’intera umanità.

Tutto questo non offusca, né sminuisce la centralità assoluta di Gesù Cristo nell’ordine della salvezza, ma la illumina e la proclama con vigore, perché Maria deriva ogni sua grandezza da lui. 
Come insegna la storia della Chiesa, la funzione di Maria è quella di far risplendere il proprio Figlio, di condurre a lui e di aiutare ad accoglierlo. 
Il continuo approfondimento teologico del mistero di Maria Immacolata divenne per Massimiliano Kolbe sorgente e motivo di donazione illimitata e di dinamismo straordinario; egli seppe davvero incorporare la verità nella vita, anche perché attinse la conoscenza di Maria, come tutti i santi, non soltanto dalla riflessione guidata dalla fede, ma specialmente dalla orazione: Chi non è capace di piegare le ginocchia e di implorare da Maria in umile preghiera la grazia di conoscere chi Ella sia realmente non speri di apprendere qualcosa di più su di Lei” (Ivi., p. 474).



6. Ed ora, accogliendo questa esortazione finale dell’eroico figlio della Polonia ed autentico messaggero del culto mariano, noi, raccolti in questa splendida Basilica per la preghiera eucaristica in onore dell’Immacolata Concezione, piegheremo le nostre ginocchia davanti alla sua immagine e le ripeteremo, con quell’ardore e pietà filiale che tanto distinsero san Massimiliano, le parole dell’Angelo: 

“Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. Amen. 


Papa Giovanni Paolo II



AVE MARIA PURISSIMA