mercoledì 21 febbraio 2018

Il caso Mortara può apparire mostruoso. Ma può aiutare a capire la serietà del santo Battesimo

Il caso Mortara, una polemica lunga 150 anni

Il 23 giugno 1858 a Bologna le guardie del Papa strapparono alla famiglia il piccolo ebreo Egdardo perché, battezzato di nascosto dalla servetta di casa, non poteva crescere in una famiglia "giudia»" Dando vita a una querelle mai sopita

Era un'afosa serata di giugno, i Mortara, benestante famiglia ebrea, si stavano mettendo a tavola nella loro casa di Bologna quando alcuni «birri» pontifici bussarono alla loro porta. In mano un mandato per prelevare il loro figlio Edgardo di 7 anni. Motivo, era stato battezzato dalla servetta cristiana, ergo non poteva vivere in una famiglia «giudia» ma doveva avere un'educazione consona alla sua religione. Il ragazzino venne portato a Roma per essere avviato alla religione cattolica, nonostante i disperati tentativi dei genitori di farlo tornare a casa. Sembra che lo stesso Pio IX si sia personalmente opposto a ogni mediazione. Lo Stato Pontificio venne abbattuto, il Papa Re costretto a ritirarsi in Vaticano, e i laicissimi funzionari del laicissimo Regno del Piemonte si recarono dall'ormai diciannovenne Edgardo per proporgli di tornare alla sua famiglia. Ricevendo un netto rifiuto: era e voleva rimanere cattolico.
Rimasero di stucco i molti intellettuali laici ma anche protestanti e cattolici, per tacer della comunità ebraica internazionale e di quanti in mezzo mondo avevano seguito la vicenda con il fiato sospeso per oltre dieci anni. Vale a dire dal 23 giugno 1858, quando i gendarmi di Bologna, territorio Pontificio, andarono a prendere il ragazzino ponendo fine a una diatriba iniziata qualche settimana prima con la confessione di Anna Morisi, 20 anni
La ragazza era da tempo a servizio in casa di Salomone Momolo Mortara e di sua moglie Marianna Padovani, nonostante una legge, evidentemente disattesa, proibisse ai cristiani di lavorare per gli ebrei e viceversa. Nel 1852, quando il piccolo Edgardo cadde gravemente malato, la servetta, battezzò di nascosto il piccolo temendo potesse finire al Limbo. Tenne il segreto per sei anni, poi all'inizio del '58 fece le prime ammissioni che giunsero alle orecchio del Sant'Uffizio. La Chiesa proibiva il battesimo dei bambini di famiglie non cattoliche, anche ammetteva che se il sacramento potesse essere amministrato, anche contro il volere dei genitori, in punto di morte. Principio ancor'oggi rispettato. 
A quel punto non c'era soluzione: un cristiano non poteva essere allevato da ebrei. Si tentò dunque una mediazione con i Mortara: il piccolo sarebbe entrato in un collegio di Bologna e a 17 anni avrebbe deciso del proprio futuro, ma la proposta fu rifiutata.

La Chiesa passò dunque all'azione di forza e si scatenò il putiferio, pare orchestrato da Cavour per mettere n difficoltà Pio IX agli occhi di Napoleone III, strenuo difensore del Pontefice. La polemica si estese in breve oltre i confini nazionali ed europei. 
Pio IX con il re delle Due Sicilie 
Francesco II (a sinistra con il fracscuro) nel 1862
Molte furono le pressioni da parte di associazioni protestanti ed ebree, ma anche cattoliche, affinché Edgardo tornasse a casa. Ma il Papa fu irremovibile «Non possumus». Il piccolo nel frattempo era stato portato a Roma presso la «Casa dei Catecumeni», istituzione destinata agli ebrei convertiti e mantenuta proprio con le tasse sulle sinagoghe. Ai suoi genitori non fu permesso di vederlo per diverse settimane e, quando in seguito fu loro concesso, non poterono farlo da soli. 
Con loro però fu subito inflessibile, spiegando di non desiderare rientrare in famiglia per effetto di una «grazia soprannaturale» che lo tratteneva. L'anno dopo una delegazione di notabili israeliti ricevette una risposta ancora più fredda: «Non sono interessato a cosa ne pensa il mondo». Più tardi, a proposito della visita, ebbe modo di annotare nelle sue memorie: «Allorché io venivo adottato da Pio IX tutto il mondo gridava che io ero una vittima, un martire dei gesuiti. Ma ad onta di tutto ciò, sono gratissimo alla Provvidenza che mi aveva ricondotto alla vera famiglia di Cristo, vivevo felicemente in San Pietro in Vincoli». 
E nel 1867 a 16 anni per dimostrare la saldezza della sua fede entrò nel noviziato dei Canonici Regolari Lateranensi. Il 20 settembre del 1870 la presa di porta Pia chiuse la storia dello Stato Pontificio e subito dopo, su pressione dei Mortara, il nuovo capo della polizia, questa volta sabauda, si presentò al convento di San Pietro in Vincoli. Chiese al ragazzo se voleva lasciare quella vita ottenendo un nuovo rifiuto: Edgardo rimase in convento e a 23 anni venne ordinato sacerdote: Don Pio Edgardo Mortara
Poi iniziò un frenetico girare per il momento alla ricerca di ebrei da convertire, compreso i suoi famigliari, imparando ben nove lingue. Negli ultimi anni si ritirò in convento a Liegi dove morì l'11 marzo 1940. Ma l'eco della sua vicenda non spense neppure negli anni a venire. 
Divenne un simbolo dell'arroganza della Chiesa, argomento per alimentare la polemica anticlericale. Tanto da tornare di attualità quando nel 2000 avvenne la beatificazione di Pio IX. Indubbiamente il caso Mortara può apparire mostruoso se osservato e giudicato con gli occhi dell'uomo del Duemila, ma allora quelle erano le leggi dello Stato Pontificio nonostante, come visto, non fossero proprio osservate rigorosamente. 
Senza contare che Edgardo a più riprese rifiutò di rientrare nella comunità israelitica e nella sua famiglia. «Colpa dei condizionamenti e delle violenze psicologiche subite dopo essere stato portato a Roma» ha sostenuto proprio in occasione della beatificazione di Pio IX Elena Mortara, diretta discendente della famiglia bolognese. Come dire che a 150 anni di distanza la polemica non è ancora chiusa.

Da sinistra: Riccardo Mortara (il fratello maggiore), la madre Marianna Padovani seduta e il figlio don Pio Edgardo Mortara, a Parigi nel 1878, primo incontro vent'anni dopo il rapimento. Tale immagine inedita è contenuta nel prezioso volume di Germana Volli e appartenente al fondo della figlia di Riccardo.
Da sinistra: Riccardo Mortara (il fratello maggiore), la madre Marianna Padovani seduta e il figlio don Pio Edgardo Mortara, a Parigi nel 1878, primo incontro vent’anni dopo il rapimento. Tale immagine inedita è contenuta nel prezioso volume di Germana Volli e appartenente al fondo della figlia di Riccardo.

AMDG et DVM

«Sia il vostro cuore pieno di gioia e di pace, figli prediletti,


Rubbio (Vicenza), 15 aprile 1990. Pasqua di Resurrezione.
La seconda Pasqua nella gloria.

«Sia il vostro cuore pieno di gioia e di pace, figli prediletti, in questo giorno della Pasqua.
Mio figlio Gesù vilipeso, oltraggiato, flagellato, condannato ed ucciso sulla Croce, oggi risorge da morte con la potenza della sua divinità e nello splendore del suo corpo glorioso.
Alla forza divina di questa nuova e gloriosa nascita, l'ombra del sepolcro si muta in fortissima luce; il masso pesante e sigillato è rimosso da improvviso terremoto; le guardie messe a
custodia vengono tramortite da sconfinata potenza; gli Angeli si chinano adorando al suo luminoso passaggio, la natura circostante canta di gioia, pervasa dai fremiti di una vita rinnovata.
Cristo risorto esce dal sepolcro nello splendore divino del suo corpo glorioso.

È la sua Pasqua di resurrezione.
È l'inizio della nuova umanità da Lui redenta e conquistata.
È l'alba del suo nuovo regno.
È il primo giorno del suo regale trionfo.

Sia il vostro cuore pieno di gioia, figli prediletti, perché si prepara per voi la seconda Pasqua nella gloria.
Un oscuro e gelido sepolcro forma questa povera umanità, che cammina nella tenebra del rifiuto di Dio, è consumata dal vento impetuoso delle passioni, viene uccisa dal peccato, dall'egoismo, dall'odio e dall'impurità.

Pare che ora trionfi solo la morte nel mondo.
Ma abbiate fiducia e speranza.
Cristo risorto è vivo fra voi.
Il Cristo vivente è la vostra grande vittoria.

Vicina è la seconda Pasqua nella gloria.
Fra poco si aprirà la porta di questo immenso sepolcro in cui giace tutta l'umanità.
Gesù Cristo, circondato dal coro degli Angeli, sulle nubi del cielo prostrate ai suoi piedi a formare un trono regale, nello splendore della sua divinità, ritornerà per portare l'umanità a nuova vita, le anime alla grazia ed all'amore, la Chiesa al suo più alto vertice di santità ed instaurerà così nel mondo il suo Regno di gloria».


http://roma.andreapollett.com/S2/romac13i.htm

Preghiera: Cristo perdonaci di Giovanni Paolo II.
"O Cristo!
Crocifisso e Risorto!
Ti ringraziamo! Ti chiediamo perdono:
per ogni male, che si afferma nel cuore umano e nel mondo;
per ogni bene trascurato in quest'Anno ti chiediamo perdono!
Ti adoriamo nella tua risurrezione!
Come l'Apostolo Tommaso,
che all'inizio non credette
alla tua risurrezione,
tocchiamo i segni
della nostra Redenzione
sulle tue mani,
sui tuoi piedi,
nel tuo costato,
mentre con viva fede
esclamiamo:
«Mio Signore e mio Dio!»
(Gv 20,28).
Accogli questo grido:
questo messaggio pasquale
della Chiesa.
Che esso risuoni con una vasta eco
nei saluti di gioia
pronunciati nelle diverse lingue,
nelle quali i tuoi seguaci per tutto l'orbe terrestre
professano e proclamano-la fede
  nella Risurrezione"


AMDG et DVM

Predicò con tanto fervore, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per devozione gli vollero andare dietro e abbandonare il castello


Capitolo 9 
SAN FRANCESCO 
AL CONCILIO LATERANENSE IV 

Sorella Chiara e le Povere Dame di San Damiano erano la seconda famiglia fondata da Francesco d’Assisi nel 1211/12. 
San Francesco, tuttavia, è anche il fondatore di una terza famiglia, quella dei Fratres et Sorores de Poenitentia, l’Ordine dei Fratelli e Sorelle della Penitenza, noto più tardi con il nome Terz’Ordine Francescano e nei nostri giorno come Ordine Francescano Secolare. 

Ma, se nel caso del Primo e del Secondo Ordine abbiamo delle notizie abbastanza sicure circa la fondazione da parte di Francesco, non è così chiaro il discorso per il Terz’Ordine. L’Ordine della Penitenza era un fenomeno abbastanza diffuso nel medioevo, e accoglieva diverse persone con diversi tipi di vita e impegno penitenziale cristiano. Ci sono delle allusioni nelle Fonti che Francesco ha raccolto intorno a se un gruppo di penitenti, forse già nel 1211, ma i racconti sono molto tardivi. Riportiamo il più noto, quello dei Fioretti, che ambienta la cosiddetta “fondazione” del Terz’Ordine Francescano nei pressi di Bagnara e di Cannara, una località tra Assisi e Montefalco, che i Fioretti chiamano Savurniano: 

Giunsero a uno castello che si chiamava Savurniano. E santo Francesco si puose a predicare, e comandò prima alle rondini che tenessino silenzio infino a tanto ch’egli avesse predicato. E le rondini l’ubbidirono. Ed ivi predicò con tanto fervore, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per devozione gli vollero andare dietro e abbandonare il castello; ma santo Francesco non lasciò, dicendo loro: “Non abbiate fretta e non vi partite, ed io ordinerò quello che voi dobbiate fare per salute delle anime vostre”. E allora pensò di fare il terzo Ordine per universale salute di tutti. E così lasciandoli molto consolati e bene disposti a penitenza, si partì quindi e venne tra Cannara e Bevagna (Fioretti XVI). 

Francesco sembra che, in questo periodo dopo la sistemazione delle Povere Dame nel monastero di San Damiano, abbia rivolto di nuovo l’attenzione all’Ordine dei frati, che aumentava di giorno in giorno. Durante il 1212 probabilmente si recò di nuovo a Roma. Non abbiamo notizie chiare riguardo a questa visita, se non che, a Roma, Francesco incontrò un personaggio che doveva giocare un ruolo importante nella sua vita, e particolarmente nell’ora della morte. Questa persona si chiamava Donna Giacoma o Jacopa dei Sette Soli (o meglio, Sette Sogli, dal nome latino Iacopa Septem Soliis). Era una nobbildonna romana, della famiglia dei Normanni, sposa del patrizio romano Graziano Anicio Frangipani, conte di Marino e proprietario del Septizonium. Da lui ebbe due figli: Giovanni e Graziano (Giacomo?). Era già vedova nel 1217, ma non si hanno notizie precise della sua nascita, né della sua morte. Nella Legenda Maior, S. Bonaventura dice come Francesco conobbe questa donna, che doveva assisterlo prima di morire: 

Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a Cristo, amatissimo agnello. Nel partire, lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua. E l’agnello, quasi ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito, non si staccava mai dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne ritornava. Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, l’agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi alla 58 chiesa. Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell’agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione (LM VIII,7)

L’anno 1213 è segnato da due avvenimenti importanti nella vita di Francesco. Il primo, successo l’8 maggio 1213, doveva segnare l’inizio di un soggiorno annuale nella solitudine della contemplazione, una tradizione conclusa nel soggiorno del settembre 1224. Ci riferiamo al soggiorno di Francesco sul Monte della Verna. La notizia circa la donazione di questo monte a Francesco e ai suoi frati ci viene dal racconto dei Fioretti nelle Considerazioni della Sacre Stimmate. L’8 maggio 1213 c’era una festa dell’investitura di un nuovo cavaliere nel castello di San Leo in Montefeltro. 

Santo Francesco ... ispirato da Dio si mosse dalla valle di Spoleto per andare in Romagna con frate Leone suo compagno; e andando passò ai piedi del castello di Montefeltro, nel quale castello si faceva allora un grande convito e corteo per la cavalleria nuova d’uno di quei conti di Montefeltro. E udendo santo Francesco questa solennità che si faceva, e che ivi erano radunati molti gentiluomini di diversi paesi, disse a frate Leone: “Andiamo quassù a questa festa, però, che con l’aiuto di Dio noi faremo alcun frutto spirituale”. 

Tra gli altri gentiluomini che vi erano venuti di quella contrada a quel corteo, vi era uno grande e anche ricco gentiluomo di Toscana, e aveva nome messere Orlando da Chiusi di Casentino, il quale per le meravigliose cose ch’egli aveva udito della santità e dei miracoli di santo Francesco, sì gli portava grande devozione e aveva grandissima voglia di vederlo e di udirlo predicare. 

Giunge santo Francesco a questo castello ed entra e va in sulla piazza, dove era radunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, e in fervore di spirito montò in su uno muricciuolo e cominciò a predicare proponendo per tema della sua predica questa parola in volgare: Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto ... Tra i quali il detto messere Orlando, toccato nel cuore da Dio per la meravigliosa predicazione di santo Francesco, si pose in cuore d’ordinare e ragionare con lui, dopo la predica, dei fatti dell’anima sua. 

Onde, compiuta la predica, egli trasse santo Francesco da parte e gli disse: “O padre, io vorrei ordinare teco della salute dell’anima mia” ... In fine disse questo messere Orlando a santo Francesco: “Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama il monte della Verna, lo quale è molto solitario e selvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalla gente, o a chi desidera vita solitaria. S’egli ti piacesse, volentieri lo ti donerei a te e ai tuoi compagni per salute dell’anima mia”. 

Udendo santo Francesco così liberale profferta di quella cosa che egli desiderava molto, ne ebbe grandissima allegrezza, e laudando e ringraziando in prima Iddio e poi il predetto messer Orlando, sì gli disse così: “Messere, quando voi sarete tornato a casa vostra, io sì manderò a voi dei miei compagni e voi sì mostrerete loro quel monte” ... E detto questo, santo Francesco si parte: e compiuto che egli ebbe il suo viaggio, si ritornò a Santa Maria degli Angeli; e messere Orlando similmente, compiuta ch’egli ebbe la solennità di quello corteo, sì ritornò al suo castello che si chiamava Chiusi, il quale era presso alla Verna a un miglio (Fioretti, I Considerazione sulle Stimmate). 

I ruderi del castello del Conte Orlando a Chiusi della Verna si trovano ancora, con la cappella medievale di San Michele Arcangelo, ai piedi della sacra montagna delle stimmate. Il Conte rimase un grande benefattore di Francesco e dei suoi frati, costruì per 59 loro la cappellina di Santa Maria degli Angeli sul Monte della Verna, dove volle essere sepolto e dove i suoi resti riposano fino ad oggi. Il secondo avvenimento che avvenne verso il 1213 si ricollega al desiderio di Francesco di subire il martirio per convertire i Saraceni. Abbiamo visto che il primo tentativo finì in un fallimento. 

Il secondo tentativo, che raccontiamo qui, pure non approdò. Questa volta Francesco voleva andare ad occidente, e precisamente nel Marocco, dal Sultano Emir-el-Mumenin (cioè, capo dei credenti), conosciuto in occidente come “Miramolino”. Il nome proprio del Sultano era Mohamed-ben-Nasser, che era stato vinto nella battaglia di Las Navas in Spagna nel 1212 e respinto in Africa. Tommaso da Celano ci da il racconto, con una importante nota autobiografica alla fine. 

Dopo poco tempo intraprese un viaggio missionario verso il Marocco, per annunciare al Miramolino e ai suoi correligionari la Buona Novella. Era talmente vivo il suo desiderio apotolico, che gli capitava a volte di lasciare indietro il compagno di viaggio affrettandosi nell’ebbrezza dello spirito ad eseguire il suo proposito. Ma il buon Dio, che si compiacque per sua sola benignità di ricordarsi di me e di innumerevoli altri, fece andare le cose diversamente resistendogli in faccia. Infatti, Francesco, giunto in Spagna, fu colpito da malattia e costretto a interrompere il viaggio. 

Ritornato a Santa Maria della Porziuncola, non molto tempo dopo gli si presentarono alcuni uomini letterati e alcuni nobili, ben felici di unirsi a lui. Da uomo nobile d’animo e prudente, egli li accolse con onore e dignità, dando paternamente a ciascuno ciò che doveva (1C 56). 

Il viaggio verso il Marocco accadde in una data imprecisata tra il 1213-1214. In Spagna Francesco si ammalò e dovette tornare in Italia. Al ritorno troviamo questo gruppo di uomini letterati e nobili che chiedono di entrare nell’Ordine. Molti hanno visto in questo gruppo la presenza del primo e più noto biografo di Francesco, fra Tommaso da Celano che, come si legge nel racconto, vede il ritorno del santo dalla Spagna come un atto di misericordia di Dio verso di lui. Tommaso da Celano dovette essere un personaggio importante, anche se non era del tutto vicino a Francesco fisicamente, perché trascorse molti anni in Germania. Dopo la morte di Francesco, e precisamente per l’occasione della canonizzazione del santo, il Papa Gregorio IX, nel 1228 lo incaricò di stendere una biografia ufficiale, che egli presentò al Papa il 25 febbraio 1229. È la Vita Sancti Francisci di Tommaso da Celano, conosciuta come Vita prima, perché lo stesso Tommaso ne compose altre, come il Memoriale in desiderio animae, o Vita secunda (1246-1247) e il Tractatus de miraculis, o Trattato dei miracoli (1252-1253). Morì nella città di Tagliacozzo, in Abbruzzo, e fu sepolto nella chiesa di San Francesco di Celano nel 1260. 

L’anno 1215 segna una svolta importante nella storia della Chiesa e dell’Ordine dei Frati Minori. Nell’aprile 1213 Papa Innocenzo III aveva promulgato la Bulla Vineam Domini, nella quale annunziò che avrebbe convocato un Concilio al Laterano. Questo grande Concilio, chiamato Lateranense IV, si svolse a Roma nel novembre 1215. Uno degli scopi del Concilio era quello di indire una nuova Crociata per il recupero dei Luoghi Santi, ma di questo parleremo nel capitolo che tratta della visita di Francesco in Oriente. 

Il proliferarsi di Ordini religiosi nella Chiesa era una delle preoccupazioni del Concilio Lateranense IV. Innocenzo III era stato molto indulgente verso i movimenti laicali di pentienza all’inizio del secolo XIII. Nel 1201 aveva approvato il propositum 60 degli Umiliati, nel 1208 quello dei Poveri Cattolici di Durando di Huesca, nel 1210 quello dei Poveri Lombardi di Bernardo Prim. Era il contesto in cui aveva pure approvato il propositum o forma vitae dei Frati Minori nel 1209/10. 
La Chronica XXIV Generalium Ordinis Minorum (Analecta Franciscana III,9) dice che Francesco fu presente al Concilio Lateranense IV. Le fonti del secolo 12 e dell’inizio del secolo 13 non dicono niente riguardo ad una eventuale presenza di Francesco al Concilio. 

La Chronica XXIV Generalium è datata nella seconda metà del secolo 14, ed è perciò tardiva. Quello che potrebbe interessarci di più tocca le decisioni prese dal Concilio Lateranense IV riguardo agli Ordini religiosi. Nel canone 13, il Concilio decise che nessuno avrebbe dovuto scrivere nuove Regole per i nuovi Ordini che si proliferarono nel secolo 13, ma che ogni Ordine che nasceva doveva scegliere una delle Regole antiche della Chiesa, e cioè o quella di San Basilio, o quella di Sant’Agostino, o quella di San Benedetto, o quella di San Bernardo. Che questo canone del Concilio Lateranense IV sia stato applicato rigorosamente ci è dato di saperlo dal caso di San Domenico. Mentre questo fondatore dei Frati Predicatori andò al Concilio con il vescovo Folco di Toulouse, e il suo Ordine fu approvato da Innocenzo III e poi da Onorio III nel 1216, egli dovette accettare la Regola di Sant’Agostino. Francesco fu più fortunato. Siccome Innocenzo III aveva approvato oralmente la sua forma vitae nel 1209/10, Francesco poteva appellarsi a quella approvazione quando, più tardi, presentò la sua Regula Bullata al Papa Onorio III per l’approvazione nel 1223. 

Nel contesto del Concilio Lateranense IV nasce la tradizione del primo incontro tra Francesco d’Assisi e Domenico Guzman da Caleruega, in Spagna, i due grandi fondatori degli Ordini mendicanti principali del secolo 13, uno fondatore dei Frati Minori e l’altro dei Frati Predicatori. Tuttavia, anche in questo caso, le fonti francescane non dicono niente. Invece, dalla Compilazione di Assisi, 49, sappiamo che Francesco e Domenico si sono incontrati nella casa del Cardinale Ugolino dei Conti Segni a Roma, ma probabilmente in un’altra circostanza, e cioè o tra la fine del 1217 e il 7 aprile 1218, oppure tra la fine del 1220 e i primi mesi del 1221. Solo in questi periodi, secondo i dati biografici dei tre personaggi, potevano essere simultaneamente presenti a Roma. Non è neanche sicuro quello che dicono i Fioretti, al capitolo 18, quando parlano del famoso Capitolo delle Stuoie, tenuto, secondo la tradizione, alla Porziuncola il 30 maggio 1221, nel quale pure avrebbero partecipato il Cardinale Ugolino e San Domenico. Sta di fatto, tuttavia, che qualche incontro tra Francesco e Domenico doveva esserci stato, anche perché ambedue condividevano gli stessi ideali di vita evangelica sul modello della vita di Cristo e degli apostoli. 
Quando Dante Alighieri compose i Cantici XI e XI del Paradiso nella Divina Commedia, dedicò il primo a San Francesco e il secondo a San Domenico. Dante paragona Francesco all’ardore del Serafino e Domenico alla sapienza contemplativa del Cherubino, e mette sulla bocca del santo domenicano Tommaso d’Aquino le lodi a San Francesco e sulla bocca del santo francescano Bonaventura da Bagnoregio le lodi a San Domenico. 

La riforma della Chiesa era uno dei grandi temi del Concilio Lateranense IV. Il piano di Innocenzo III era proprio quello di usufruire degli Ordini mendicanti nascenti a condurre questa riforma. Non è senza significato il fatto che, in ambedue i casi, sia di Francesco come di Domenico, i biografi dicono che Innocenzo III ha avuto il sogno della basilica del Laterano che crollava e veniva sostenuta da uno o dall’altro di questi fondatori. I Frati Predicatori si dettero alla predicazione dogmatica contro la eresia degli 61 Albigesi, e presto si insediarono nelle grandi città universitarie d’Europa. Anche i Frati Minori, pur con uno stile diverso, si dettero alla predicazione popolare, ma presto anche essi si immettevano nel discorso dello studio come preparazione per la predicazione. 

Gli scritti di San Francesco fanno vedere anche l’influsso che ha esercitato il Concilio Lateranense IV sul nuovo Ordine. Lo studio della Regola non bollata del 1221 fa vedere due fasi nello sviluppo legislativo dell’Ordine, cioè quello che precede e quello che segue al Concilio Lateranense IV. Le prescrizioni riguardo al rispetto che i frati chierici dovevano mostrare verso il sacramento dell’Eucaristia, presenti nelle Ammonizione 1, nelle Lettere ai Custodi, ai Chierici, a tutto l’Ordine, sono un risultato diretto delle decisioni del Concilio Lateranense IV. Lo stesso si deve dire riguardo alle prescrizioni sul ministero della predicazione presenti nelle Regole scritte da San Francesco. Soprattutto era frutto del Lateranense IV lo slancio missionario di Francesco di andare a convertire i Saraceni alla fede cristiana, tanto che inserisce, per la prima volta nella storia della Chiesa, un intero capitolo nella Regola non bollata, intitolato De euntibus inter saracenos et alios infideles (cap. 16: Di coloro che vanno tra i Saraceni e gli altri infedeli). 

Ormai l’Ordine si avviava ad un suo pieno sviluppo, che inizia proprio dopo il Concilio Lateranense IV. Questo sviluppo, esplicitato particolarmente nella celebrazione dei capitoli generali e nella espansione geografica dell’Ordine, sarà adesso l’oggetto della nostra riflessione. Immediatamente dopo vedremo la novità missionaria di Francesco, che va in Oriente a convertire i Saraceni e incontra il Sultano. Ma prima dobbiamo soffermarci su un capitolo importante nella vita di Francesco, anche se non ci viene riferito dalle Fonti principali a cui facciamo riferimento. Parliamo della vicenda dell’Indulgenza della Porziuncola, nel suo significato storico e spirituale nella vita diFrancesco


AMDG et DVM

martedì 20 febbraio 2018

Come si vincono le tentazioni


46.
 Gesù tentato da Satana nel deserto. Come si vincono le tentazioni. 
Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13 


Vedo la solitudine pietrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al Giordano. Però devo essere molto addentrata in essa, perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell'arteria d'acqua. Qui solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da esser ridotta a polvere giallastra, che ogni tanto il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Molto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura. 

Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma, fatta su per giù così come mi sforzo a disegnarla, fa un embrione di grotta, e seduto su un sasso trascinato nell'incavo, al punto +, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l'interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all'aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E, dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria. 

Gesù è molto magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto solleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso, che gli fa da riparo, come preso da vertigine. 

Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma che noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc. ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone, che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sottili e sinuose, dagli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nelle quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. L'opposto dell'occhio di Gesù, tanto magnetico e fascinatore anche esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. 
L'occhio di Gesù è una carezza sull'anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia. Si avvicina a Gesù: «Sei solo?». 
Gesù lo guarda e non risponde. 
«Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?». 
Gesù lo guarda da capo e tace. 
«Se avessi dell'acqua nella borraccia, te la darei. Ma ne sono senza anche io. M'è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. Vieni con me. Ti guiderò». Gesù non alza più neppure gli occhi. 
«Non rispondi? Sai che, se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni». 
Gesù stringe le mani in muta preghiera. 
«Ah! sei proprio Tu, dunque? È tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l'Eterno? È lontano. Ora sei sulla terra ed in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo, e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa terra che ci è d'intorno. Essi sono aridi più ancora di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui, attendendo di mordere, e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te». 
Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo, e sorride con la sua bocca di serpe. 
Gesù tace sempre e prega mentalmente. 
«Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti posso esser maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l'importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, allora lo si conduce 121 anche dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero. Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. È sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t'insegno, perché c'è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico, e un resto di quell'amore è rimasto 

(giubilo e amore sono riferiti agli angeli, spiriti puri, la cui creazione e la cui funzione (che esclude il privilegio, riservato all’uomo, di poter cooperare alla redenzione, Vol 2 Cap 96) saranno illustrate nel Vol 4 Cap 266 e in nota nel Vol 6 Cap 428. Lucifero, in quanto angelo ribelle, aveva avuto in origine le prerogative angeliche. Della sua caduta o cacciata dal Cielo, che sembra adombrata in Isaia 14, 12, l’opera valtortiana tratta almeno nel Cap 17-69 Vol 2 Cap 96-131 Vol 4 Cap 244-265 Vol 5 Cap 317 Vol 6 Cap 414 Vol 7 Cap 448-483-486-487 (colpa degli angeli ribelli senza speranza di redenzione) Vol 8 Cap 507-515-537.In merito al presente passo delle tentazioni di Gesù, il carattere serpentino di Lucifero si rivela qui in pieno. Ogni parola è menzogna e vorrebbe essere seduzione. Anche il dire che in lui è ancora un resto d’amore, mentre l’odio e l’odio solo, verso Dio, il Cristo e l’uomo, lo spinge a questo tentativo di rovinare e distruggere il frutto dell’incarnazione. Odia tanto che la sua malizia diviene stoltezza: la stoltezza di pensare di poter far peccare il Cristo. Come Michele è il nome del principe degli angeli, nota al Vol 6 Cap 376, così Lucifero è diventato, insieme con Satana e Belzebù, uno dei nomi del principe dei demoni; e nel Vol 4 Cap 243 viene immedesimato con il serpente tentatore. Altri nomi demoniaci sono Mammona, personificazione della ricchezza materiale, e Leviathan, vedi nota nel Vol 4 Cap 254), 


ma Tu ascoltami ed usa della mia esperienza. Fàtti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Adamo: devi avere la tua Eva. E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai che cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l'uomo vuole regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l'allodola. Ha bisogno del luccichìo per essere attirata. L'oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l'uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi della umanità. È bella, sai, la donna! Non c'è nulla di più bello nel mondo. L'uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza è come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani dell'uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori. Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: "Voglio", perché esse divengano pane fragrante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o Figlio di Dio! Tu sei il Padrone della terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame. Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a paro. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire, perché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con la tua preghiera perché io possa... ». «Taci. "Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che viene da Dio"»

Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il digrigno in sorriso. «Comprendo. Tu sei sopra le necessità della terra e hai ribrezzo a servirti di me. L'ho meritato. Ma vieni, allora, e vedi cosa è nella Casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uomini e non angeli. Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di angeli e di' che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è necessario manifestarsi, perché l'uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!». «"Non tentare il Signore Iddio tuo" è detto». 

122 «Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose, e il Tempio continuerebbe ad esser mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana. E allora, vieni. Adorami. Io ti darò la terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te, che avrai tutti i regni della terra sotto il tuo scettro. E, coi regni, tutte le ricchezze, tutte le bellezze della terra, e donne, e cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviranno, perché sarai il Potente, l'Unico, il Signore. Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho d'esser adorato! È quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell'inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l'interno. È il mio inferno, questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo, Tu che sei buono! Un attimo di gioia all'eterno Tormentato! Fàmmi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!». E Satana si butta in ginocchio, supplicando. 
Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono, che si ripercuote contro l'incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata, quando dice: «Va' via, Satana. È scritto: "Adorerai il Signore Iddio tuo e servirai Lui solo"!».

 Satana, con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile, scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.

 Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri angelici vengono ad alitare con le loro ali nell'afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell'aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito. Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli, che fanno una mite luce sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo digiuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi, rapiti in una gioia non di questa Terra. 


Dice Gesù: 

«Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto riposare le tue membra e ti ho fatto fare l'unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria! Hai fatto il mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c'ero. 
Questa mattina, poiché l'ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: "Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem ", e te l'ho fatto ripetere molte volte, e tante te le ho ripetute. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c'era il punto che ti ho mostrato e che ti commenterò. Poi questa sera ti illustrerò quest'altro. 
Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituali contatti con Dio, avvertono quell'avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma se le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da un canale nel cuore dell'uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l'apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile. 

Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l'attacco alla parte superiore. Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l'amore - quello non esiste già più quando l'uomo ha sostituito l'amore divino con altri amori umani - ma anche il timore di Dio. È allora che l'uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre più. 
Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché, se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione. 

È inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c'è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana, unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. (Che Gesù, ribattendo a satana, ha preso da: Deuteronomio 6, 13.16; 8, 3). Egli non la sopporta.  

Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall'odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fedele, con la benedizione che accarezza lo spirito. Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male. 

Va' in pace. Questa sera ti letificherò col resto».


BUONA E SANTA QUARESIMA 
A TUTTI I FIGLI  DI DIO
AMDG et DVM

Egli viene a risollevarvi da questa Terra diventata straniera per quelli che vi sono nati. “Padre, perdonami! Accoglimi nel Tuo Sacro Cuore Misericordioso."

LA POTENZA DEL PERDONO

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23 febbraio 2011 – San Lazzaro
"E Lazzaro usci dal sepolcro!”

JNSR:  Signore, che dobbiamo fare? In che tempi siamo? Che desideri, Signore, per i Tuoi figli?

GESÙ: Dimenticate la durezza dei Tempi e venite a Me che vi aspetto. Il sole scende rapidamente, e la pianura si ricopre di ombra. Gli uccelli volano lontano, e il lupo si nasconde nel folto dei boschi. Nessun rumore si avverte nella pianura, e le montagne hanno interrotto il loro mormorio... Si ode solo la brezza che si alza dopo una calda giornata di estate. Ed ecco che, tra ciò che rimane ancora in piedi, viene avanti
Colui che voi tutti desiderate!

Egli viene a risollevarvi da questa Terra diventata straniera per quelli che vi sono nati. L'Uomo aspetta e DIO lo guarda... L'Uomo ha dimenticato tutto, ma DIO se ne ricorda. L'Uno di fronte all'altro, resta senza voce. DlO aspetta che l’uomo gli chieda perdono.

Lo farà? Avanzerà verso Colui che è suo DIO e Padre, che viene a svegliarlo? Allora, in uno slancio, l'Uomo si fa avanti, e davanti a Lui si inginocchia. Le lacrime scorrono dai suoi occhi, e il Cuore di DIO si mette a battere con più forza, come se quel Cuore che ha tanto sofferto, in quel momento stesso, dovesse rinascere per dare la Sua Vita a colui che sta per perdersi. Perché, dimenticare DIO è già morire alla Vita, e DIO non vuole la sua morte, ma vuole dargli la Sua Vita,

quella Vita che non ha mai fine, vicino a Lui!

Perché continuare questa lotta se l'Uomo ha ritrovato il Padre Suo e Suo DIO, perduto da così tanto tempo? L'uomo ha già dimenticato da dove viene e dove va... mentre si credeva morto, perché, perdendo di vista la propria origine, è l'ombra che invade ogni essere creato dallo stesso DIO e Padre.
Forse, chiedendo al Padre di aprirci semplicemente la porta di quella Conoscenza che manca ad ogni essere, Egli si mostrerà ad ognuno con
il Suo Libro di Vita Aperto.

Allora, anche chi non è destinato ad essere chiamato, all’improvviso, si vede scritto dal dito di DIO su quella lunga lista. È sufficiente un soffio di DIO perché il fiore si raddrizzi e l’Uomo si ritrovi là dove non era; basta che dalla sua bocca esca la “Potenza del Perdono", che è la sua resurrezione.

“Padre, perdonami! Accoglimi nel Tuo Sacro Cuore Misericordioso."

Perché Mi hai abbandonato? - dirà il Padre - Non ti ho dunque dato tutto, dandoti la Vita sulla Croce d’Amore dove, in un giorno di tenebre, ti ho dato la Vita del Figlio Mio, che dimora per sempre nel Padre? Egli è l'Esistenza della Terra intera, del Cielo e di tutto l'Universo. Egli è la VERA VITA.

Uomo, ritorna a Colui che è Vita e Amore !
Io Sono Lui ed Egli è Me. Egli è te in noi, e noi in te.

Alzati e cammina verso il luogo dove vedrai apparire il sole, perché già sta per venire Colui che E’ e che Era da tutta l’Eternità, e che viene per VIVERE sempre con voi.


Allora, non vedrai più il fuoco che avanza né l’acqua che ti invade, perché niente ti sarà di ostacolo. Cammina verso quel sole che arde, fino a bruciare la vita di chi lo guarda, senza capire che è DIO in tutto il Suo splendore:
LA SUA VITA È LUCE.

Vai avanti, non dare ascolto né al rumore del mare né a quello dal vento. Non guardare il suolo coperto di braci infuocate, e non respirare l'aria piena di collera.

Io sono qui, con te! Cammina sui Miei passi.

La Mia dimora è ormai vicina. Se tu Mi dai la mano, sei preservato dal male, perché Io Sono la Misericordia e la Vita. Arriverai a ritrovare la Pace e la Gioia, perché DIO ti tiene tra le Sue braccia e ti porta là, dove comincia la Vita... Sì, quella Vita per cui sei stato creato: la Vita che ottieni oggi, perché, oggi, tu sei nato in Me, il Tuo Signore GESÙ

"Uomo, esci dalla tua tomba”.
Il tuo Signore GESÙ
GESÙ Cristo, il DIO dei VIVENTI