giovedì 4 gennaio 2018

Mio Dio e mio Tutto, che cosa mi potrà mancare, se possiedo voi?

DEUS MEUS ET OMNIA!

PIO ESERCIZIO QUOTIDIANO 

-RIDOTTO IN FORMA DI PREGHIERA- 

PER MANTENERSI CONTINUAMENTE ALLA PRESENZA ATTUALE DI DIO 


Pensa di aggiungere a quanto è stato detto una formula di preghiera adatta all’esercizio giornaliero di cui si è parlato, per un maggior progresso dell’anima.

L’uomo si riconosce peccatore

O Gesù, mio Signore e mio Dio! che vi dirò? Io piego, in spirito le ginocchia dinanzi a voi, depongo il mio cuore ai vostri piedi e riconosco i miei falli.
Ho peccato, o mio Dio, ho fatto il male in vostra presenza, ho peccato contro il mio Creatore, contro il mio Redentore, contro il mio Benefattore e Padre.
Ahimè! sono sempre stato troppo ingrato e infedele verso voi; io sono tutto ciò che vi è di più miserabile e spregevole, sono cenere, polvere; non sono niente, Signore.
O Signore, abbiate pietà di me!

2. L’uomo domanda la grazia e il perdono

Io vengo a deporre tutte le mie iniquità, le mie negligenze, le mie mancanze (e voi sapete, Signore, quale ne sia l’enormità e il numero) nelle vostre piaghe adorabili.
Vengo a gettarle nell’immenso braciere del vostro amore, a inabissarle nell’oceano infinito della vostra misericordia.
Perché, o Signore, vi ho offeso?
Perché ho messo un ostacolo alla vostra grazia?
Come mi dolgo di non aver sempre cercato di piacervi, di obbedire alle vostre sante ispirazioni e alla vostra divina volontà in tutte le cose!

3. Egli si propone di essere più fedele in avvenire

Io mi propongo, con l’aiuto della vostra grazia, di evitare d’ora in avanti tutto ciò che vi dispiace, pronto a morire mille volte piuttosto che volere qualcosa che possa offendervi.
O dolce Gesù, siatemi propizio, per i meriti della vostra santa umanità, per quelli della vostra beatissima Madre e di tutti i vostri santi.
Lavatemi nel vostro sangue prezioso, purificatemi completamente, guaritemi e santificatemi senza riserva.

Il peccatore benedice e glorifica Gesù Cristo per le sue infinite misericordie
Vi adoro, vi lodo, vi glorifico, vi benedico, vi ringrazio, mio Signore Gesù, per tutte le vostre misericordie e i vostri benefici. Vi ringrazio, o Figlio del Dio vivente, Altissimo Dio, che nell’eccesso della vostra carità per me, vi siete degnato di farvi uomo.
Per me, siete nato in una stalla, siete stato avvolto in povere fasce, avete riposato in una mangiatoia, avete avuto per nutrimento il latte verginale della vostra Santa Madre, avete sopportato la povertà, l’indigenza, e per trent’anni siete stato aggravato di una infinità di lavori e di fatiche; per me avete voluto che un sudore di sangue stillasse dalle vostre membra fra tante angosce; per me siete stato preso ignominiosamente e caricato d’indegni ferri, avete voluto soggiacere al peso di una ingiusta condanna, siete stato coperto di vergognosi sputi, avete ricevuto schiaffi, siete stato rivestito in segno di scherno di una veste bianca, il cui uso rendeva ridicoli, siete stato esposto ad ogni specie di scherni, avete voluto essere crudelmente lacerato a colpi di frusta, e spietatamente coronato di spine, inumanamente inchiodato a una croce e abbeverato di fiele e aceto.
Voi, o mio Dio, che avete rivestito gli astri di tanto splendore, siete stato disprezzato, denudato, coperto di ferite, abbattuto da dolori immensi, sospeso ad una croce infame.
Per me voi avete sparso il vostro sangue così prezioso; per me infine siete morto!...

4. Il peccatore chiede a Gesù Cristo la grazia di amarlo

O mio dolce Gesù, unica salvezza della mia anima! fate ch’io vi ami col più ardente amore e che dal più profondo del cuore compatisca i vostri dolori.
Io abbraccio la vostra croce adorabile e la bacio per amor vostro e per la vostra gloria.
Io saluto le piaghe da voi sofferte per me e nelle quali è inciso il mio nome.
Vi saluto, mille volte vi saluto, o piaghe benefiche del mio Salvatore, del Dio che mi ha tanto amato!

5. Buoni proponimenti del peccatore

O mio adorabile Salvatore! io, il più miserabile dei peccatori, mi metto in vostra presenza al disotto di ogni creatura.
Io non merito che la terra mi sopporti. Fra tutti gli uomini non ve n’è uno che non debba essere preferito a me.
Io mi metto al disotto di tutti, e mi faccio volontariamente il servitore di tutti. Nei trasporti di una sincera carità, abbraccio tutti gli uomini, specialmente quelli che mi tormentano e mi perseguitano.
Per amor vostro rinuncio ad ogni peccato, ad ogni vanità, a tutti i piaceri mondani, a tutto ciò che è contrario all’ordine; rinuncio anche alla mia propria volontà, abbandono e disdegno tutto ciò che è meno di voi e vi preferisco a tutto.
Accetto i vostri disegni sopra di me.
Io desidero che la vostra santa volontà si compia sempre in me, nel tempo e nella eternità.
Io mi offro a voi, pronto a soffrire, con l’aiuto della vostra grazia e per la gloria del vostro nome, ogni specie d’ignominia, d’ingiuria, di disprezzo e di obbrobri, ogni specie di tribolazione e di dolori.
Io sono pronto a soffrire la privazione assoluta di ogni consolazione sensibile.
Io non mi rifiuto di vivere, se tale è la vostra volontà, in quella povertà e fra quelle afflizioni in cui voi stesso siete vissuto.

6. Il peccatore domanda le virtù cristiane

O amabilissimo Gesù, fate morire in me tutto ciò che vi dispiace.
Ornate la mia anima delle vostre virtù e dei vostri meriti.
Datemi la vera umiltà, la vera obbedienza, la vera dolcezza, la vera pazienza, la vera carità.
Datemi un assoluto impero sulla mia lingua, su tutte le mie membra, su tutti i miei sensi.
Datemi la libertà interiore, lo spirito di povertà, la purezza e la perfetta contemplazione di voi stesso.
Rendete la mia anima conforme all’anima umana che faceva parte della vostra santa umanità, e il mio corpo conforme a quel corpo così puro e così privo di ogni macchia, che voi avete rivestito.
Spandete in me la luce serena e brillante della vostra divinità.

7. Egli desidera di essere trasformato in Cristo

Io credo fermamente che abitate in me con la vostra divinità.
Degnatevi dunque di vedere coi miei occhi, di udire con le mie orecchie, di parlare con la mia bocca, di agire, insomma, con tutto il mio essere, per operare in me ciò che vi piace.
Liberatemi da tutto ciò che mi imbarazza e mi impedisce di essere unito a voi perfettamente (83).
Per mezzo delle vostre piaghe adorabili introducetemi fino al fondo della mia anima, affinché conoscendomi, io conosca voi stesso e vi ami e vi sia intimamente unito e mi riposi tranquillamente nel godimento delle vostre perfezioni, per la gloria del vostro nome.
Esauditemi, o Signore, non in ragione della mia volontà ma della vostra.
Esauditemi nella misura che vi sembra conveniente alla vostra gloria e alla mia salvezza.

8. Preghiera alla Vergine Maria e ai Santi

O Maria, o tenera Madre di Dio, o gloriosa Regina del cielo, abbiate pietà di me.
Intercedete per me, voi, ch’io posso chiamare un giglio puro e profumato, opera perfetta della risplendente e pacifica Trinità.
Ottenetemi la grazia di amare il vostro divin Figlio Gesù Cristo d’un amore perfetto, e di diventare un’anima secondo il suo cuore.
O voi tutti, Santi e Sante di Dio! voi, Angeli beati, soccorretemi.
Pregate per me, immortali abitanti della patria celeste, affinché io possa col vostro aiuto, piacere al supremo Re, la cui contemplazione immediata e piena di dolcezza vi inonda di una gioia inesauribile.

9. Preghiera per tutti gli uomini

O Gesù, salvatore misericordioso, abbiate pietà della vostra Chiesa; abbiate pietà di tutti quelli per i quali avete versato il vostro sangue.
Convertite i poveri peccatori, richiamate gli eretici e gli scismatici, illuminate gli infedeli che non vi conoscono. Soccorrete tutti coloro che sono in preda a qualche difficoltà o a qualche tribolazione.
Soccorrete quanti si sono raccomandati alle mie preghiere o desiderano di raccomandarvisi.
Soccorrete i miei parenti, i miei amici, i miei benefattori; rendeteli tutti graditi ai vostri occhi.
Concedete il perdono e la vostra grazia ai vivi e il riposo e la luce eterna ai defunti.
Per tutti, Signore, io vi offro il vostro sangue prezioso e tutto ciò che avete voluto fare e soffrire per la nostra salvezza, vi offro tutti i meriti della vostra umanità.

10. Preghiera alla Trinità

O Trinità! Dio altissimo, clementissimo, misericordiosissimo, Padre, Figlio, Spirito Santo, Dio uno, voi lo vedete, io spero in voi. Istruitemi, dirigetemi, sostenetemi.
O Padre, con la vostra infinita potenza, fissate in voi la mia memoria e riempitela di santi e divini pensieri.
O Figlio, con la vostra eterna sapienza, illuminate il mio intelletto, accordategli la conoscenza della vostra suprema verità e della mia bassezza.
O Spirito Santo, che siete l’amore del Padre e del Figlio, con la vostra incomprensibile bontà, trasportate la mia volontà in voi e infiammatela del fuoco inestinguibile della vostra carità.
Perché non posso io, adorabile Trinità, lodarvi e amarvi così perfettamente come i santi e gli angeli del cielo? Almeno, o Signore, ch’io glorifichi come mi è possibile la vostra saggia e benefica potenza.
Io benedico la vostra onnipotente e benefica saggezza; e glorifico la vostra saggia e onnipotente misericordia.
Ma poiché io non posso abbastanza lodarvi, degnatevi, ve ne scongiuro, di lodarvi voi stesso in me, con tutta la perfezione che meritate.
Oh! se avessi tutto l’amore di tutte le creature, con quanta gioia mi affretterei a volgerlo verso di voi e ad impiegarlo per amarvi!

11. L’uomo chiede a Dio di immergerlo in lui

O mio Signore e mio Dio! mio principio e mio fine, o essenza supremamente semplice, supremamente tranquilla e supremamente amabile, o abisso di dolcezze e di delizie! o mia amabile luce, e suprema felicità della mia anima! o torrente d’ineffabile diletto! oceano di gioie inesprimibili! pienezza perfetta di ogni bene, mio Dio e mio Tutto, che cosa mi potrà mancare, se possiedo voi?
Voi siete il mio bene unico ed immutabile. Io non devo cercare che voi.
Io non cerco e non desidero che voi solo. O Signore, attiratemi a voi.
Infuocatemi del fuoco del più cocente amore.
Considerate tutta la mia povertà, la mia inanità, la mia ignoranza, la mia cecità. Io busso, apritemi!

Aprite ad un orfano che vi implora. Immergetemi nell’abisso della vostra divinità; rendetemi un solo spirito con voi, affinché io possa un giorno possedere in me le vostre soavi e sante delizie.

Alberto Magno, "L'UNIONE CON DIO
IHS
Gesù Gesù Gesù aiutami Tu!
Gesù Gesù Gesù soccorrimi Tu!

Santissimo Nome di Gesù

IHS 

Santissimo Nome di Gesù


Il Santissimo Nome di Gesù fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel secolo XIV cominciò ad avere culto liturgico. San Bernardino, aiutato da altri confratelli, sopratutto dai beati Alberto da Sarteáno e Bernardino da Feltre, diffuse con tanto slancio e fervore tale devozione che finalmente venne istituita la festa liturgica. Nel 1530 Papa Clemente VII autorizzò l'Ordine francescano a recitare l'Ufficio del Santissimo Nome di Gesù. Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Martirologio Romano: Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina. 




Il significato e la proprietà del nome

Anzitutto i nomi hanno un loro significato intrinseco, come appare dai nomi teofori (evocatori della divinità) e da quelli di alcuni eroi, che sono il simbolo della missione adempiuta da costoro nella storia. 
In secondo luogo, il nome ha un contenuto dinamico; rappresenta e in qualche modo racchiude in sé una forza. Esso designa l’intima natura di un essere, poiché contiene una presenza attiva di quell’essere. 
Platone diceva che “Chiunque sa il nome, sa anche le cose”; conoscerlo vuol dire conoscere la ‘cosa’ in se stessa. Il nome “occupa” uno spazio, ha la “proprietà” della cosa e la spiega. 
Il nome di nascita indica in primo luogo, l’”essenza” di una persona, le sue prerogative, le qualità e i difetti; pronunciandolo si è come in presenza di colui che si nomina, si dà ad esso una precisa dimensione. 

Così come fra i ‘primitivi’ che cercavano di conoscere il nome al fine di esercitare un potere su una persona o su qualsiasi cosa vivente, il nome è ancora indispensabile nel praticare un incantesimo; infatti i cosiddetti ‘maghi’ vogliono conoscerlo, per inciderlo su amuleti e talismani, accanto a quello delle Entità Invisibili. 

Il nome nelle società antiche



Nell’antica Grecia i nomi provenivano da due categorie: 1) nomi di un dio o derivati da quello portato dalla divinità (Apollodoro, Apollonio, Eròdoto, Isidoro, Demetrio, Teodoro, ecc.); 2) nomi scelti come augurio per la futura vita del bambino, seguiti da quello della località di residenza o provenienza. 
I Romani imponevano ai neonati tre nomi: Il prenome scelto fra i diciotto più usati, che si abbreviava con la lettera iniziale, es. P = Publius (Publio), C = Caius (Caio), ecc. Il nome indicava la gens di appartenenza, es. Julius (della gens Julia). Il cognome indicante la famiglia, quando la gens d’origine si divideva in molte famiglie. 
Nei nomi di origine ebraica, particolarmente quelli maschili, si nota quasi sempre una invocazione a Dio, l’eterno creatore, dal quale il popolo ebraico trasse sempre forza nella sua travagliata esistenza. 

Il nome nella mentalità semitica



Per i semiti i nomi propri avevano un significato intrinseco; questo era indicato dalla loro stessa composizione, dalla etimologia od era evocato dalla pronuncia. 
Nel costume popolare, due usanze sembrano comunemente diffuse; in primo luogo l’imposizione di nomi teofori, con cui si voleva porre il bambino sotto la protezione della divinità, oppure si intendeva ringraziare e pregare la divinità per il lieto evento (es. Isaia = Iahvé salva; Giosuè = Iahvé è salvezza, ecc.). 

In secondo luogo, l’attribuzione di nomi che esprimono qualche circostanza o particolarità della nascita dei bambini, es. (Gen. 35, 16-18) “… Rachele, sul punto in cui le sfuggiva l’anima, perché stava morendo a causa del penoso parto, chiamò il figlio appena nato, col nome di Ben-Oni (figlio del mio dolore)…”. 

Così pure, per gli ebrei c’era la tendenza a fare del nome, il simbolo del significato religioso o politico degli eroi nazionali e religiosi; così interpretato, il nome era in un rapporto molto più significativo con la persona che caratterizzava; Eva è “la madre di tutti i viventi”, Abramo è “il padre di una moltitudine”, Giacobbe è “colui che soppianta”, ecc. 

Nella concezione semitica, il nome ha anche un aspetto dinamico, che corrisponde alla forza, alla potenza che il nome rappresenta e in qualche modo include; dove c’è il nome c’è la persona, con la sua forza, pronta a manifestarsi. 

Conoscere qualcuno per nome, vuol dire conoscerlo fino in fondo e poter disporre della sua potenza. Questo concetto svolge un ruolo importante applicato agli esseri superiori, che non sono conoscibili normalmente da parte dell’uomo; la sola conoscenza che si può avere di essi è quella del loro nome. 

Il nome del dio nasconde la sua presenza misteriosa e rappresenta il mezzo più accessibile di comunicazione tra l’uomo e lui. Quindi nella sfera del ‘mistero’ sia esso magico che religioso, chi conosce il nome del dio e lo pronunzia, ha la forza di farsi ascoltare da lui e di farlo intervenire a suo favore. 

Infine nella Tradizione semitica c’è inoltre il concetto, che chi impone a qualcuno il nome che deve portare o gli cambia il nome che possiede, esprime il potere assoluto, la sovranità, che detiene su quello (Ge. 2), così come Adamo impose i nomi a tutto il bestiame di cui poteva usufruire. 

Anche il Dio degli Ebrei esprime il suo dominio assoluto, imponendo e mutando i nomi di Abram in Abraham e Sarai in Sara (Ge. 17, 5-15) e di Giacobbe in Israel (Ge. 32, 29), acquistando così tali nomi nuovi significati. 

Il nome di Dio nella Bibbia



L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”. 
Quindi quando Mosè (Es. 3) viene chiamato da Dio alla sua missione fra il popolo ebraico, logicamente gli chiede il suo Nome da poter comunicare al popolo, che senz’altro gli chiederà “Chi ti ha riconosciuto principe su di noi?”. E il Dio di Israele, conosciuto inizialmente come il “Dio degli antenati”, il “Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe”, oppure con espressioni particolari: “El Shaddai”, “Terrore di Isacco”, “Forte di Giacobbe”, rivela il suo nome “Iahvé”, che significa “Egli è”; e questo Nome entrò così a far parte della vita religiosa degli israeliti, e mediante gli interventi sovrani nella storia, il nome di Iahvé divenne famoso e noto. 

I profeti ed i sommi sacerdoti, lungo tutta la storia d’Israele, posero al centro della liturgia il nome di Iahvé, con la professione di fede del profeta, l’invocazione solenne di Dio, la fede e la glorificazione di tutto il popolo (Commemorazione, invocazione, glorificazione del suo Nome). 
Nel tardo giudaismo però, per il bisogno di sottolineare la trascendenza divina, il nome di Iahvé non è stato più pronunciato e Dio è stato designato col termine Nome e con altri appellativi, come Padre a sottolineare lo speciale rapporto che lega Dio e il suo popolo. 

Il nome del Padre



Ma solo nel Nuovo Testamento, sulla bocca di Gesù e dei credenti, il nome di Padre attribuito a Dio, assume il suo vero significato.
Solo Gesù, infatti conosce il Padre e può efficacemente rivelarlo (Mt.11, 27-28). Gesù si è riferito spesso a Dio chiamandolo Padre, nel Vangelo di s. Giovanni, Padre viene usato addirittura come sinonimo di Dio e secondo l’evangelista questa è la sua vera definizione, questo è il nome che esprime più profondamente l’essere divino. Tale nome è stato manifestato agli uomini da Gesù, ed essi ora sanno che, se credono, sono figli insieme a lui. 
Inoltre Gesù ha anche insegnato a pregare Dio con questo titolo “Padre nostro…” e questa è diventata la preghiera per eccellenza della comunità cristiana. 

Gesù aveva chiesto al Padre di glorificare il suo nome (Giov. 12, 28) e aveva invitato i discepoli a pregare così: “Sia santificato il tuo nome”; Dio ha risposto a queste preghiere, manifestando la potenza del suo nome e glorificando il proprio figlio. 
Ai credenti è affidato il compito di prolungare questa azione di glorificazione; essi lodano, testimoniano il nome di Dio e devono comportarsi in modo che il nome divino non riceva biasimo e bestemmie (Rom. 2, 24). 

Il nome del Signore Gesù



Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25). 
Quindi il significato del nome Gesù è quello di salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche, citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio. 

Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli, appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono ogni sorta di prodigi: 
Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7, 22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”. 
Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”. 

Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio “gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio. 
Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (Fil. 2, 10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù, gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio. 
Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo del Nome”. 

La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (Rom. 10, 9-13). 
I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore. 

L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. 





Il culto liturgico del Nome di Gesù



Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico. 
Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494). 

Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721. 
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa. 
Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano. 

Il trigramma di san Bernardino da Siena

Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro. 

Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato. 
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli. 

Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”. 

Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità. 
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore. 
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H. 

Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti. 
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti. 

Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione. 

In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.

La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss. Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo. 
Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.



Autore: Antonio Borrelli
AMDG et DVM