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venerdì 19 maggio 2023

SAN PIETRO CELESTINO V Papa

 


PAPA CELESTINO V E LA PERDONANZA CELESTINIANA.

Il rumore della verità è assordante quando si svela all’improvviso.
Non era sprovveduto Celestino e neanche inadatto al compito preposto
e aveva le idee chiare per come ripulire la Chiesa di Gesù.

Dio Padre a Conchiglia


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Dio la benedica +

sabato 12 marzo 2022

L'AMMIRABILE VITA DI SAN CELESTINO V

 

LA VITA DI SAN PIETRO CELESTINO

Undicesimo dei dodici figli di Angelerio e Maria «ambedue giusti presso Dio e molto lodati dagli uomini; … semplici, retti e timorati di Dio; … umili e pacifici e non rendevano male per male, davano elemosine ed ospitalità ai poveri con gran cuore», il piccolo Pietro manifesta alla madre (il padre essendo morto quando egli aveva cinque o sei anni) il proposito di voler essere «un buon servo di Dio» e da questa è avviato allo studio delle lettere, cioè all’apprendimento del Salterio, sovente coadiuvato dalla Santa Vergine e da San Giovanni che il fanciullo vedeva scendere dal dipinto della Croce, dove erano raffigurati, avvicinarsi a lui e con grande dolcezza prendere il libro dei Salmi per cantarli assieme a lui. Sarà proprio la madre a rivelare a Pietro di averlo sognato quale custode di molte pecore bianche come la neve e ad esortarlo a confortarsi nel Signore.

Ben presto si definisce la scelta di Pietro a servire Dio nella vita eremitica. È questa la sua grande vocazione e tale resterà per tutta la vita, come preciserà lo stesso papa Clemente V nella Bolla di canonizzazione. Il momento in cui Pietro tenta di realizzare la fuga mundi arriva sui venti anni suonati. Dopo un primo periodo di esperienza eremitica condotta lontano da casa, probabilmente tra i monti della Maiella (allora conosciuta come una specie di “tebaide” monastica abruzzese) e sotto la guida di un eremita, ritroviamo Pietro vestito dell’abito monastico dall’abate del monastero benedettino di S. Maria di Faifoli (presso Montagano, fino al 1983 in diocesi di Benevento, poi di Campobasso-Boiano). Non pienamente appagato nelle esigenze dello spirito, frà Pietro abbandona la vita cenobitica e si ritira a vita eremitica nei pressi di Castel Di Sangro per ascendere, in tempo posteriore, al monte Palleno/Porrara (presso l’attuale Palena) e trascorrere tre rigorosissimi inverni in una cella da lui stesso scavata, in compagnia di bestie selvatiche, tra studio della Scrittura e penitenze di ogni genere. Circa gli anni 1240-43 (cronologia relativa) Pietro è a Roma ove riceve l’ordinazione presbiterale, per poi far ritorno (circa 1243) alla diletta vita eremitica ancora in Abruzzo, su quel monte che lo renderà noto alla storia: il Morrone, presso Sulmona.

La forte devozione a San Giovanni Battista, anche questa appresa fin da piccolo in casa, lo porta a scegliere questo santo come modello da imitare. Pietro, così, digiuna ogni giorno, eccettuate le domeniche; si astiene sempre dalla carne e dal vino (quando ne beve un poco sempre lo annacqua); pratica sei quaresime l’anno, compresa la maggiore, si cinge di un cilicio di crine di cavallo e di una catena ben stretta sui fianchi mentre, da buon benedettino, alla preghiera unisce il lavoro, ivi compresa la trascrizione e la copiatura di testi sacri. Col crescere della fama della sua santità e dell’accorrere delle folle desiderose di un approdo di salvezza e di pace, Pietro, dopo circa un quinquennio di permanenza al Morrone, è costretto a cambiare dimora. Nuova dimora è l’eremo di S. Spirito sulla Maiella, a 1130 metri di altezza. Sempre ricercato dalle folle, l’uomo di Dio passa di romitorio in romitorio. Secondo le testimonianze, S. Bartolomeo di Legio e S. Giovanni d’Orfente con vari altri luoghi. Diversi anche gli eremiti che lo circondano, costoro vivendo su quelle montagne senza una regola definita e ora dichiaratisi suoi discepoli. Di qui il pensiero di dar vita ad una nuova congregazione monastica la quale associasse alla Regola di S. Benedetto da Norcia lo stile di vita dei Padri del deserto.
Nel 1264 il vescovo di Chieti, Niccolò da Fossa, otteneva da papa Urbano IV il consenso per l’incorporazione della congregazione dei Fratelli dello Spirito Santo –tale fu il nome scelto- all’Ordine benedettino, e definitivamente confermerà questa appartenenza il 21 marzo 1274 il papa Gregorio X con la Bolla Religiosam vitam, al termine del concilio di Lione, città ove frà Pietro si era personalmente recato per lo scopo.
Circa gli anni 1276-1278 il Nostro è nel monastero di Faifoli, in qualità di abate, richiestovi dal vescovo di Benevento Capoferro de’ Capoferri, stanti le difficili condizioni di disciplina monastica, di disagi economici e angherie esterne che quel cenobio pativa ad opera del famigerato Simone di Sant’Angelo. Il 1 ottobre 1289 il 
Vescovo di Isernia Roberto – quello stesso che il 25 agosto 1288 figurava tra i conconsacranti della basilica aquilana di Collemaggio – approvava gli statuti della «Fraterna», ossia di una associazione di fedeli laici ed ecclesiastici (risorta ai nostri giorni), iserniani e non, che intendono vivere i valori cristiani della fraternità e del mutuo soccorso, condividendo la fede nella comunione dei santi anche a favore dei defunti, sull’incitamento e l’esempio -si noti per la peculiarità, in un tempo in cui non mancavano esperienze consimili su larga scala nella vita della Chiesa- di frà Pietro del Morrone huius civitatis Ysernię civis.

In età ormai veneranda (difficile precisare a quanti anni) il Morronese dalla dura vita è eletto sommo pontefice. Quel 5 luglio 1294, data della elezione, poneva fine ad un penoso stato di vedovanza della Sede di Pietro durato circa due anni, dalla morte cioè del papa Niccolò IV avvenuta il 4 aprile 1292. Ai messi del conclave cui, il 18 luglio 1294, toccò l’incarico di notificare l’avvenuta elezione, assieme alla fatica della salita all’eremo di Sant’Onofrio, si presentò uno spettacolo a dir poco disarmante, se si deve dar credito alle parole del cardinale Stefaneschi: “Videro, attraverso la finestrella [della cella eremitica, n.d.r.], il vecchio dai molti anni, che meditava attonito su questa nuova, pallido, con la barba irsuta, magrissimo per sua natura e per i digiuni, gli occhi neri, profondi, velati di lacrime, che il volto sì venerando e la veste rigavan”. Dopo intensa riflessione –prima concepita, poi abbandonata, l’idea di sottrarsi alla nomina fuggendo col fido compagno frà Roberto da Salle per gli impervi monti abruzzesi- Pietro accetta la nomina a papa. A Collemaggio dell’Aquila, il 29 agosto 1294, il cardinale Ugo Aycelin de Billion, nuovo decano del sacro collegio, consacra frà Pietro vescovo di Roma e Matteo Rosso Orsini, cardinale protodiacono, gli pone in capo il diadema (frigium gemmis auroque coruscum), ammantandolo poi con pallio e manto papale. Liturgicamente si celebrava la festa del martirio di San Giovanni Battista, verso cui il papa, come si ricorderà, ad imitazione del vecchio Angelerio padre e dei grandi eremiti, aveva speciale devozione. Questo giorno il neoeletto pontefice intese subito solennizzare concedendo una particolare indulgenza plenaria per quanti «veramente pentiti e confessati» entrassero nella chiesa di Collemaggio «dai vespri della vigilia della festività, fino ai vespri immediatamente seguenti la festività stessa».

Lasciata L’Aquila il 6 ottobre 1294, tra il 7 e l’11 dello stesso mese il papa è a Sulmona. Di qui il viaggio non prosegue per la valle di Sora –come era stato annunziato ufficialmente da re Carlo II d’Angiò (detto lo sciancato)- ma piega improvvisamente in direzione di Castel Di Sangro (12 ottobre). Il 13 il papa è nell’Abbazia di S. Vincenzo al Volturno (ove impone come abate un suo monaco, tale Nicola) quindi, il 14 e il 15 ottobre è in Isernia, ove sono il fratello Nicola e i due nipoti Guglielmo e Pietro (figli del defunto fratello Roberto), in favore dei quali il re assegnerà una pensione annua (Cf. Cantera, 55; Perrella, 105/106). La tradizione storico-ecclesiale locale lega a questo momento il dono fatto dal pontefice al capitolo cattedrale di due preziose croci, tuttora gelosamente custodite. Proseguendo per Venafro (probabilmente vi fece sosta il 16 nel locale monastero detto di S. Spirito a Maiella), dopo varie soste a S. Germano-Cassino, Teano, Capua, Aversa, finalmente, il 5 novembre il papa è in Napoli festosamente accolto dai Napoletani. Miracoli e segni celesti, assieme all’entusiasmo e al tripudio delle popolazioni regnicole e alla “devozione” dello Sciancato e di suo figlio Carlo Martello, avevano accompagnato il povero cristiano durante tutto il percorso. Ma nella sede di Castelnuovo, dove è alloggiato in compagnia dei suoi fedelissimi monaci Angelo da Caramanico e Bartolomeo da Trasacco, nella preghiera e nella meditazione, il papa avverte sempre più il peso della sua vecchiaia e la poca sua dimestichezza col grave compito che gli era stato affidato. Dopo segrete consultazioni con i suoi consiglieri e con qualcuno dei cardinali esperti in diritto canonico (molto probabilmente il card. Caetani) e dopo aver fatto redigere una costituzione apostolica nella quale dichiarava che un papa può rinunziare alla sua carica (Cf. Sext. Decr. I.7.1), nel pubblico concistoro del 13 dicembre 1294 Papa Celestino V rinunciava al papato, ritornando ad essere Pietro del Morrone con addosso non più le insegne pontificali ma l’antica veste lacera e stinta e munita di cappuccio. La Bolla di canonizzazione di S. Pietro Celestino riconosce che la rinunzia fu effettuata per il bene della Chiesa : “affinché dal suo governo non potesse provenire qualche pericolo alla Chiesa universale”.

Le spoglie di Papa Celestino VObbedendo al volere del suo successore, Pietro del Morrone, non assieme al corteo pontificio, ma scortato da apposita comitiva, dopo la rinuncia prende la via di Roma: qui papa Bonifacio avrebbe finalmente deliberato il da farsi. Giunto però a San Germano di Cassino, il venerando eremita pensò bene di ripiegare verso il sospirato Morrone, fuggendo di notte. Ma le delizie dell’eremo di Sant’Onofrio non erano più per lui. Reso insicuro dalla ricerca avviata da papa Bonifacio –timoroso di scisma e di strumentalizzazioni politiche, specie da parte dei francesi- Pietro Celestino fugge nuovamente nelle Puglie, dapprima cercando riparo nella zona del Gargano, ove pure esistevano fondazioni celestiniane (S. Giovanni in Piano), poi a Vieste attendendo nove giorni per il traghettamento in Grecia. All’incirca il 10 maggio 1295, il vecchio eremita è riconosciuto e catturato dal capitano di città. Da questi è consegnato nelle mani di Carlo II d’Angiò il quale lo fa ricondurre a Bonifacio VIII in Anagni circa il 14/15 giugno successivi. Nei circa due mesi di permanenza ad Anagni, papa Bonifacio provvide ad approntare un posto più sicuro per il vecchio predecessore: la Rocca di Fumone, a sud-est di Anagni. Qui Pietro Celestino è condotto circa la metà di agosto 1295. Luogo angusto, secondo la Vita C, prigione severa, ma onorevole, secondo Tolomeo da Lucca. Il radicale restauro cui l’edificio andò soggetto nel 1710 ha notevolmente alterato anche il luogo della custodia di Pietro Celestino e del piccolo oratorio in cui celebrava l’Eucarestia, non consentendo più all’odierno visitatore la visione completa dell’impianto originale. A Fumone sorella morte lo raggiunge alla sera del 19 maggio 1296, sabato dell’ottava di Pentecoste. Il corpo venne portato nella vicina chiesa di Sant’Antonio Abate, fuori le mura di Ferentino, officiata dai monaci celestini, per le esequie e per la sepoltura, mentre papa Bonifacio tenne analoga celebrazione pochi giorni dopo in S. Pietro a Roma (25 maggio). Il 5 maggio 1313 papa Clemente V elevava l’Eremita del Morrone (e non il Pontefice) agli onori degli altari, dopo un meticoloso procedimento canonico. Fino agli inizi del 1327 il corpo di Pietro Celestino rimase a sant’Antonio di Ferentino. Resa insicura questa permanenza per una guerra scoppiata tra Ferentino ed Anagni, lo si spostò all’interno della cittadina nella chiesa di Sant’Agata officiata dai francescani, per trovare poi definitiva collocazione -dopo furtivo trasferimento- nella basilica celestiniana di Collemaggio ove nel 1517 Girolamo da Vicenza erigerà il magnifico monumento, rimasto miracolosamente illeso dal devastante sisma del 6 aprile 2009 che ha funestato la città dell’Aquila e dell’Abruzzo aquilano.

Mons. Prof. Claudio Palumbo

giovedì 17 ottobre 2019

Celestino accoglie i Francescani “spirituali” separati dai “conventuali”. Celestino V fu un gigante.

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Celestino accoglie i Francescani “spirituali”

separati dai “conventuali”

-Li accolse sotto la sua protezione perchè zelatori della stretta povertà accorpandoli all'interno della Congregazione dei Celestiniani, e volle che si chiamassero Poveri Romiti Celestini. I due capi della “dissidenza” cambiarono anche il nome: Pietro da Fossombrone diventò Angelo Clareno mentre Pietro da Macerata assunse il nome di fra' Liberato.

Altro che giramento di spalle!

-Quanto a Jacopone da Todi, da Lei citato, fu un grande estimatore di Pietro da Morrone (per non parlare del Petrarca che lo adorava) e trepidò per lui quando divenne papa Celestino V. Gli inviò una struggente missiva per allertarlo sui gravi pericoli che avrebbe corso, lui, ingenuo e sprovveduto, caduto nel tritacarne del Potere.

Se la ricorda? Comincia così: Che farai Pier da Morrone…?

-Lei parla di Celestino V come di un volgare politicante, un uomo di potere coinvolto nelle manfrine della politica, delle correnti, delle alleanze e via vomitando.

Ma questo non è Celestino V. Questa è la caricatura di un uomo che ha avuto il grave torto di essere pulito, onesto, e se può essere utile, timorato di Dio.

- ...“Capì che per governare la Chiesa non serviva un sant'uomo”

-Lo aveva capito così bene che fin da quando gli imposero il Governo della Chiesa aveva supplicato i suoi elettori di esonerarlo.

Lui detestava il potere, la ricchezza, gli onori e la gloria.

-E dunque? Un giorno, il più illustre rappresentante della vasta categoria dei malvagi offrì a Gesù terre, palazzi, ricchezze e gloria, e lui gli rispose: “Sta scritto adorerai il Signore Dio tuo e servirai a lui solo”.

Gesù era un ignavo rinunciatario e codardo?

-Pietro da Morrone detestava i riflettori, i decibel, le interviste e le comparsate sui network, le escort, il mibtel, le auto blu (il suo mezzo preferito era l’asinello) gli intrighi di corte, i comizi, le manovre pre e post elettorali, i talk show e soprattutto i carri armati.

E’ grave?

Non amava impartire ordini, non amava imporre la sua volontà sugli altri, detestava il comando.

E’ un reato?

Detestava la ricchezza, i soldi, il lusso. Portava solo ed esclusivamente tunica e calzari. Glielo aveva detto un suo carissimo amico che si chiamava Gesù.

En passant: cosa serve per governare la Chiesa: Gengis Khan? Un evasore fiscale? Uno scassinatore di banca? Un palazzinaro?


-... lasciò il soglio all'avveduto e solido Bonifacio VIII...”

Ma non è così! Come la narra Lei, sembra che Celestino, un bel giorno, dopo aver deciso di andarsene in pensione, designasse il suo successore.

Lui voleva solo ed esclusivamente andarsene. Punto e basta.

Benedetto Caetani salì poi al Trono, non perchè da lui designato, ma solo perchè Matteo Rosso degli Orsini rifiutò. Altrimenti nulla esclude che del focoso anagnino [Caetani] se ne sarebbe parlato solo come di un cardinale di spicco vissuto a cavallo fra il XIII e il XIV Secolo.

Che Bonifacio fosse solido o liquido, e quanto la sua eventuale solidità fu utile alla Chiesa, sarà la Storia, e per l’esattezza, la Storia della Chiesa che lo deciderà.

Di certo, Pietro da Morrone era solidissimo: una roccia! Un inflessibile campione di onestà.


-“...malgrado le leggende nere, non ebbe alcun bisogno di farlo avvelenare visto che aveva 85 anni e morì poco tempo dopo".

-La “leggenda nera” dell’avvelenamento non è mai esistita.

-Quella che circolava, fino al 1996, era l’accusa -circostanziata- formulata dal “principe” dei biografi di Celestino V, l’Abate Lelio Marini, che nel XVII Secolo indicò Bonifacio VIII quale mandante dell’omicidio di Celestino V, perpetrato da un killer che gli avrebbe conficcato un chiodo nel cervello.

In una corposa ricerca pubblicata dalle Edizioni Tommaso Marotta, in Napoli, appunto nel 1996, sepolta in un assordantissimo silenzio, intitolata La leggenda del chiodo assassino è svelata la verità.

Se vuole posso procurargliene una copia.

-Il movente per ucciderlo -a parte il modo, che non è comunque quello da Lei ventilato- era grande come una casa: le dimissioni di Celestino V non erano canonicamente valide e quindi Bonifacio VIII non era Papa legittimo. Per quanto ci possa interessare, questa drammatica contraddizione interna alla Chiesa, fu cavalcatissima dai “cristiani” “Colonnesi” e dallo scomunicatissimo Filippo IV di Francia (a causa di certe “decime” contese) feroci avversari di Benedetto Caetani.

Se lo avessero catturato lo avrebbero portato in Francia, rinominato Papa e sarebbe stato lo scisma.

Quel povero vecchio era, suo malgrado, una mina vagante!

Una mina vagante che insidiava il Trono di Bonifacio VIII.

Doveva morire o sparire. Questi sono i fatti.

-Sparì.

-E non morì, guarda caso, “poco tempo dopo”, come Lei afferma, ma dopo dieci lunghissimi mesi di carcere duro nella fortezza di Fumone dove fu tenuto prigioniero da Bonifacio VIII. Da prigioniero dello Stato (Carlo II) a prigioniero della Chiesa (Bonifacio VIII).

-E c’è chi osa ancora bestemmiare sulla tomba di quel martire!

-Fu catturato dopo una rocambolesca fuga verso la Grecia, dalle milizie di Carlo II D’Angiò, che lo consegnarono alle milizie di Bonifacio VIII in esito al patto scellerato (questo sì, scellerato e luciferino) fra i due.

Le dimissioni da pontefice: Celestino V e Benedetto XVI. La rinuncia al potere: una festa mai celebrata

-“La storia parla chiaro. Tra interessi contrastanti e pressioni dei re Angioini di Napoli legati alla corona francese, il molisano Celestino V fu eletto in conclave a Perugia, si fece incoronare a L’Aquila (dove aveva fondato un ordine religioso poi sciolto) proprio per riposizionare la Chiesa sotto l’asfissiante controllo napoletano-francese”.

Quale storia? Quella che Lei narra in questa intervista, mi perdoni, non è la storia di Pietro da Morrone.

La storia di Pietro da Morrone è un’altra.

“...si fece incoronare a L’Aquila...per riposizionare...!”.

Lui? Celestino V, riposizionatore di equilibri politici...?! Ma siamo sicuri di parlare della stessa persona? E dove le trae queste notizie?. Posso umilmente pregarLa di rendermi edotto, di inviarmi uno straccio di bibliografia in merito?

-Ma guardi che lui non si fece incoronare a L’Aquila: fu incoronato a L’Aquila per assoluto volere del suo carceriere Carlo II, che dominava sulla Chiesa, e quindi col consenso (vile e rinunciatario) del Conclave. C’erano tutti alla corte di Carlo II in L’Aquila, mentre Celestino veniva inchiodato sulla croce. Tutti!”

E nessuno si oppose.

-E quando il “ciotto” lo trascinò quasi in manette a Napoli, i coraggiosissimi cardinali, tutti!, si raccolsero la coda fra le gambe e obbedirono al dictat del Re, abbandonarono Roma e si trasferirono armi e bagagli in Castel Nuovo.

-Questa è la vera Storia di quella mattanza consumata sul corpo e sull’anima di Pietro da Morrone.

Lei sa fin troppo bene che la Chiesa, segnatamente nell’ultimo quarto del XIII Secolo, era sotto l’asfissiante controllo della dinastia Angioina. Non ci si aspettava certo l’intervento di un povero eremita per posizionare o riposizionare alcunchè.

A volte, Stato e Chiesa, scendevano a compromessi più o meno indecorosi. Altre volte erano in lotta. Lotta dura per la conquista del Potere Temporale. Sta in ciò la spiegazione del suo martirio.



-Di quale Ordine Religioso parla?

-Celestino V non ha mai fondato ordini religiosi. Lui fondò una Congregazione, che fu associata all’Ordine dei Benedettini.

E’ tutta un’altra cosa, e non credo di doverLe spiegare la differenza fra Ordine e Congregazione.

E non fu sciolta se non 600 anni dopo, dai francesi.



-“Anche l’indulgenza plenaria (la perdonanza) aveva
l’intento, più politico che morale, di avversare la corte pontificia”.

-Qui, se me lo consente, Prof. Cardini, siamo al diabolico: Celestino V fa la “Perdonanza” per far dispetto alla Chiesa!?

E la calata dei barbari, la guerra dei trent’anni, l’attentato di Sarajevo, la marcia su Roma, il crollo delle due Torri, non ce le vogliamo mettere fra gli intrighi e le subdole trame politiche di questo Rasputin tardo medievale?



-“Dunque è pericoloso riabilitarlo”.

Ma Pietro da Morrone non deve essere riabilitato da un bel niente! Si riabilitano i delinquenti, non i galantuomini. Semmai è da ripristinare la Verità vera sul suo martirio. Questo è un debito verso Celestino V, che deve essere onorato.

Trovo davvero stupefacente questo approccio alla vicenda umana e spirituale di Pietro da Morrone: una lettura puramente ideologica dei fatti, una gratuita cattiveria.

Credo che tutti gli uomini di buona volontà, credenti e “miscredenti, dovrebbero adoperarsi per ripristinare la Verità.

-“... tanto più, che come oltraggio a Roma, Celestino V fu canonizzato ad Avignone dal papa-burattino francese Clemente V per volontà di Filippo IV, il re di Francia che aveva azzerato i Templari e arrestato Bonifacio VIII”.

-E chi lo fece l’oltraggio? Celestino?

-Intanto occorre precisare che Celestino V non fu mai canonizzato, né ad Avignone, né altrove.

-Fu canonizzato Pietro da Morrone, non Celestino V.

-Non devo certo spiegarLe la differenza.

-Ma poi, Celestino o Pietro, possibile che Lei non ricordi che nel XIV Secolo, la Sede Papale era ad Avignone e non a Roma?!

E dove vuole che si canonizzasse un sant’uomo? A Catanzaro?

-Clemente V, -il francesce Bertrand De Got- era condizionato dal francese Filippo IV, è vero, ma che cosa c’entra Celestino V? E cosa c’entra il fatto che Filippo quarto (e Clemente V al suo seguito) aveva un conto da regolare con i templari?

-Qui si vuole fare un minestrone, piuttosto indigesto, al solo scopo di sollevare polveroni e gettar fango su Celestino V. Ma perchè? Perchè tanto livore?

Chi ha paura di Celestino V?

-Professor Cardini, ma Lei si rende conto che sta accusando Celestino V di brogli e di intrighi “antiromani”, quando lui era morto?!

-All’epoca dei fatti che lei narra Celestino V era morto! Lei sta accusando Celestino V di aver oltraggiato Roma (?) quando era nella tomba da 16 anni!!!

Se poi intende rivolgere l’accusa al “papa burattino francese...”, per quanto mi è dato di sapere, non mi risulta che avesse tanta voglia di oltraggiare Roma. E in ogni caso, cosa c’entra Celestino?



Papa Ratzinger è un fine intellettuale e doveva riflettere di più prima di esaltare la memoria di Celestino V, suo debole predecessore”-

-Se la forza della Chiesa riposa nella sua spiritualità, Celestino V fu uno fra i più forti papi della Storia della Chiesa, forse il più forte.

Celestino V fu un gigante.

Gesù fu stritolato dai “poteri forti” del suo tempo. Fu un debole?


“Fu ostaggio di giochi dinastici”

-E allora? Essere ostaggio è una colpa? Essere prigioniero è una colpa?

-A Suo modo di vedere, Papa Ratzinger, non ne ha azzeccata una su Celestino. E sia.

E Giovanni Paolo II ? Anche lui, superficiale e approssimativo? A Fumone, nel ’96, se non vado errato, spiegò che Celestino capì di essere “ingannato da quelli che lo circondavano (era circondato dai Cardinali! N.d.A.) che profittavano della sua inesperienza per strappargli benefici. Ed ecco rifulgere la santità sulle manchevolezze umane:... come per dovere aveva accettato il Pontificato supremo, così, per dovere, vi rinuncia (rinuncia!!! N.d.A); non per viltà, come Dante scrisse -se le sue parole si riferiscono veramente a Celestino!!!- ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere".

Un vero e proprio compendio delle cose che ho provato a narrare in questa mia lettera. Da solo potrebbe sostituire le mie lunghe pagine.

Anche Giovanni Paolo II ha idee poche ma confuse sulla vicenda umana e spirituale di Celestino V?



-Nel salutarLa, vorrei ricordarLe che in quel mesto tramonto del XIII Secolo, fu combattuta l’ultima battaglia fra la Ecclesia Carnalis, egregiamente rappresentata da Bonifacio e la Ecclesia Spiritualis divinamente rappresentata da Celestino (il Papa Angelicus preconizzato da Gioacchino da Fiore, il calabrese di spirito profetico dotato).

Non fu una guerra, come si vuol far credere, fra la Chiesa-agnello e lo Stato-lupo. Furono due Potenze Temporali, armate fino ai denti, che si contesero fino allo spasimo, soldi, feudi, terreni, case, decime e soprattutto potere. Potere economico e potere politico.

-Vinse la prima, quella del Potere Temporale, e da allora la Chiesa chiude un occhio e pure due su quegli sciacalli che ostentano lo scalpo del Vinto, dimenticando che così, offre il destro agli sciacalli della Vinta del XIII Secolo, la Ecclesia Spiritualis.



-I Have a Dream 
(«Io ho un sogno»): spero che un giorno un Papa faccia strame di questa mattanza della Verità.

Furono tanti i Papi, ben compreso quello vivente, che hanno compiuto atti estremi di cristiana umiltà, riconoscendo gli umanissimi errori degli uomini di Chiesa.

Hanno chiesto scusa e perdono alle tante vittime di questa o quella dèfaillance della Chiesa.

Sogno che un giorno un Papa si inginocchi ai piedi di Celestino V e gli chieda perdono.

E riconosca che fu l’agnello sacrificale di una politica errata della Chiesa del XIII Secolo.

Che fu vittima degli inquietanti errori degli undici Cardinali che in Perugia, nel lontano giugno del 1294, gli imposero il Soglio di Pietro.

Conceda loro le attenuanti generiche, se lo ritiene utile, ma li condanni.

Furono quegli undici peccatori che macchiarono l’onore della Chiesa di Cristo, non Pietro da Morrone!

Furono loro i vili che commisero il vile atto di scaricare le loro contraddizioni, gli esiti delle loro feroci beghe di potere interne, sulle spalle stanche di un «povero cristiano» di 85 anni!, che null’altro chiedeva se non riportare la sua bell’anima a Dio, vergine e immacolata come il Suo Dio gliel’aveva consegnata.

Io temo che fino a quando non sarà conclamata questa durissima Verità, continueremo, spesse volte impotenti, ad assistere allo scempio che gli avvoltoi della Storia compiono sulla memoria di questo martire.

Questa è la Verità. Se si avverasse, sarebbe un ennesimo nobile tributo alla «bella immortal benefica Fede, ai trionfi avvezza».

Un miracolo!

Ma io ai miracoli non ci credo.



Con stima sincera, scusandomi per qualche intemperanza... filo-celestiniana, Le invio i miei più cordiali e distinti saluti.

Antonio Grano

www.antoniograno.it

14 luglio 2010



“ Celestino V: egli seppe agire secondo coscienza in obbedienza a Dio, e perciò senza paura e con grande coraggio, anche nei momenti difficili, come quelli legati al suo breve Pontificato, non temendo di perdere la propria dignità, ma sapendo che questa consiste nell’essere nella verità. E il garante della verità è Dio. - Papa Benedetto XVI, 4 luglio 2010 ”
“ Pietro di Morrone, l’eremita della montagna, che dagli spettacoli naturali traeva spinta per elevarsi alle vette della pura contemplazione, e che, divenuto Celestino V, rimase sempre avvinto - mente e cuore - al fascino della solitudine contemplativa -S.Giovanni Paolo II, 30 giugno 1985”
1966: Papa Paolo VI: 
 https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1966/documents/hf_p-vi_spe_19660901_s-celestino-v.html


AMDG et DVM