LA VITA DI SAN PIETRO CELESTINO
Undicesimo dei dodici figli di Angelerio e Maria «ambedue giusti presso Dio e molto lodati dagli
uomini; … semplici, retti e timorati di Dio; … umili e pacifici e non rendevano
male per male, davano elemosine ed ospitalità ai poveri con gran cuore»,
il piccolo
Pietro manifesta alla madre (il padre
essendo morto quando egli aveva cinque o sei anni) il proposito di voler essere
«un buon servo di Dio» e da questa è avviato allo studio delle lettere, cioè
all’apprendimento del Salterio, sovente coadiuvato dalla Santa Vergine e da San
Giovanni che il fanciullo vedeva scendere dal dipinto della Croce, dove erano
raffigurati, avvicinarsi a lui e con grande dolcezza prendere il libro dei
Salmi per cantarli assieme a lui. Sarà proprio la madre a rivelare a Pietro di averlo
sognato quale custode di molte pecore bianche come la neve e ad esortarlo a
confortarsi nel Signore.
Ben presto si definisce la scelta di
Pietro a servire Dio nella vita eremitica. È questa la sua grande vocazione e
tale resterà per tutta la vita, come preciserà lo stesso papa Clemente V nella
Bolla di canonizzazione. Il momento in cui Pietro tenta di realizzare la fuga
mundi arriva sui venti anni suonati. Dopo un primo periodo di esperienza
eremitica condotta lontano da casa, probabilmente tra i monti della Maiella
(allora conosciuta come una specie di “tebaide” monastica abruzzese) e sotto la
guida di un eremita, ritroviamo Pietro vestito dell’abito monastico dall’abate
del monastero benedettino di S. Maria di Faifoli (presso Montagano, fino al 1983
in diocesi di Benevento, poi di Campobasso-Boiano). Non pienamente appagato
nelle esigenze dello spirito, frà Pietro abbandona la vita cenobitica e si
ritira a vita eremitica nei pressi di Castel Di Sangro per ascendere, in tempo
posteriore, al monte Palleno/Porrara (presso l’attuale Palena) e trascorrere
tre rigorosissimi inverni in una cella da lui stesso scavata, in compagnia di
bestie selvatiche, tra studio della Scrittura e penitenze di ogni genere. Circa
gli anni 1240-43 (cronologia relativa) Pietro è a Roma ove riceve l’ordinazione presbiterale, per poi far ritorno (circa 1243) alla diletta vita eremitica ancora in
Abruzzo, su quel monte che lo renderà noto alla storia: il Morrone, presso
Sulmona.
La forte devozione a San Giovanni Battista, anche questa appresa fin da piccolo in casa, lo porta a scegliere questo
santo come modello da imitare. Pietro, così, digiuna ogni giorno, eccettuate le
domeniche; si astiene sempre dalla carne e dal vino (quando ne beve un poco
sempre lo annacqua); pratica sei quaresime l’anno, compresa la maggiore, si
cinge di un cilicio di crine di cavallo e di una catena ben stretta sui fianchi
mentre, da buon benedettino, alla preghiera unisce il lavoro, ivi compresa la
trascrizione e la copiatura di testi sacri. Col crescere della fama della sua
santità e dell’accorrere delle folle desiderose di un approdo di salvezza e di
pace, Pietro, dopo circa un quinquennio di permanenza al Morrone, è costretto a
cambiare dimora. Nuova dimora è l’eremo di S. Spirito sulla Maiella, a 1130 metri
di altezza. Sempre ricercato dalle folle, l’uomo di Dio passa di romitorio in
romitorio. Secondo le testimonianze, S. Bartolomeo di Legio e S. Giovanni
d’Orfente con vari altri luoghi. Diversi anche gli eremiti che lo circondano,
costoro vivendo su quelle montagne senza una regola definita e ora dichiaratisi
suoi discepoli. Di qui il pensiero di dar vita ad una nuova congregazione
monastica la quale associasse alla Regola di S. Benedetto da Norcia lo stile di
vita dei Padri del deserto.
Nel 1264 il vescovo di Chieti, Niccolò da Fossa, otteneva da papa Urbano IV il
consenso per l’incorporazione della congregazione dei Fratelli dello Spirito
Santo –tale fu il nome scelto- all’Ordine benedettino, e definitivamente
confermerà questa appartenenza il 21 marzo 1274 il papa Gregorio X con la Bolla
Religiosam vitam, al termine del concilio di Lione, città ove frà Pietro si era
personalmente recato per lo scopo.
Circa gli anni 1276-1278 il Nostro è nel monastero di Faifoli, in qualità di
abate, richiestovi dal vescovo di Benevento Capoferro de’ Capoferri, stanti le
difficili condizioni di disciplina monastica, di disagi economici e angherie
esterne che quel cenobio pativa ad opera del famigerato Simone di Sant’Angelo.
Il 1 ottobre 1289 il Vescovo di
Isernia Roberto – quello stesso che il 25 agosto
1288 figurava tra i conconsacranti della basilica aquilana di Collemaggio –
approvava gli statuti della «Fraterna», ossia di una associazione di fedeli
laici ed ecclesiastici (risorta ai nostri giorni), iserniani e non, che
intendono vivere i valori cristiani della fraternità e del mutuo soccorso,
condividendo la fede nella comunione dei santi anche a favore dei defunti,
sull’incitamento e l’esempio -si noti per la peculiarità, in un tempo in cui
non mancavano esperienze consimili su larga scala nella vita della Chiesa- di
frà Pietro del Morrone huius
civitatis Ysernię civis.
In età ormai veneranda (difficile
precisare a quanti anni) il Morronese dalla dura vita è eletto sommo pontefice. Quel 5 luglio 1294, data della elezione, poneva fine ad un penoso stato di vedovanza della
Sede di Pietro durato circa due anni, dalla morte cioè del papa Niccolò IV
avvenuta il 4 aprile 1292. Ai messi del conclave cui, il 18 luglio 1294, toccò
l’incarico di notificare l’avvenuta elezione, assieme alla fatica della salita
all’eremo di Sant’Onofrio, si presentò uno spettacolo a dir poco disarmante, se
si deve dar credito alle parole del cardinale Stefaneschi: “Videro, attraverso
la finestrella [della cella eremitica, n.d.r.], il vecchio dai molti anni, che
meditava attonito su questa nuova, pallido, con la barba irsuta, magrissimo per
sua natura e per i digiuni, gli occhi neri, profondi, velati di lacrime, che il
volto sì venerando e la veste rigavan”. Dopo intensa riflessione –prima
concepita, poi abbandonata, l’idea di sottrarsi alla nomina fuggendo col fido
compagno frà Roberto da Salle per gli impervi monti abruzzesi- Pietro accetta
la nomina a papa. A Collemaggio dell’Aquila, il 29 agosto 1294, il cardinale Ugo Aycelin de
Billion, nuovo decano del sacro collegio, consacra frà Pietro vescovo di Roma e
Matteo Rosso Orsini, cardinale protodiacono, gli pone in capo il diadema (frigium gemmis auroque coruscum), ammantandolo poi con pallio e manto papale. Liturgicamente si celebrava
la festa del martirio di San Giovanni Battista, verso cui il papa, come si
ricorderà, ad imitazione del vecchio Angelerio padre e dei grandi eremiti,
aveva speciale devozione. Questo giorno il neoeletto pontefice intese subito
solennizzare concedendo una particolare indulgenza plenaria per quanti
«veramente pentiti e confessati» entrassero nella chiesa di Collemaggio «dai
vespri della vigilia della festività, fino ai vespri immediatamente seguenti la
festività stessa».
Lasciata L’Aquila il 6 ottobre 1294, tra
il 7 e l’11 dello stesso mese il papa è a Sulmona. Di qui il viaggio non
prosegue per la valle di Sora –come era stato annunziato ufficialmente da re
Carlo II d’Angiò (detto lo sciancato)- ma piega improvvisamente in direzione di
Castel Di Sangro (12 ottobre). Il 13 il papa è nell’Abbazia di S. Vincenzo al
Volturno (ove impone come abate un suo monaco, tale Nicola) quindi, il 14 e il
15 ottobre è in Isernia, ove sono il fratello Nicola e i due nipoti Guglielmo e Pietro (figli del
defunto fratello Roberto), in favore dei quali il re assegnerà una pensione
annua (Cf. Cantera, 55; Perrella, 105/106). La tradizione storico-ecclesiale
locale lega a questo momento il dono fatto dal pontefice al capitolo cattedrale
di due preziose croci, tuttora gelosamente custodite. Proseguendo per Venafro
(probabilmente vi fece sosta il 16 nel locale monastero detto di S. Spirito a
Maiella), dopo varie soste a S. Germano-Cassino, Teano, Capua, Aversa,
finalmente, il 5 novembre il papa è in Napoli festosamente accolto dai
Napoletani. Miracoli e segni celesti, assieme all’entusiasmo e al tripudio
delle popolazioni regnicole e alla “devozione” dello Sciancato e di suo figlio
Carlo Martello, avevano accompagnato il povero cristiano durante tutto il percorso. Ma
nella sede di Castelnuovo, dove è alloggiato in compagnia dei suoi fedelissimi
monaci Angelo da Caramanico e Bartolomeo da Trasacco, nella preghiera e nella
meditazione, il papa avverte sempre più il peso della sua vecchiaia e la poca
sua dimestichezza col grave compito che gli era stato affidato. Dopo segrete
consultazioni con i suoi consiglieri e con qualcuno dei cardinali esperti in
diritto canonico (molto probabilmente il card. Caetani) e dopo aver fatto
redigere una costituzione apostolica nella quale dichiarava che un papa può
rinunziare alla sua carica (Cf. Sext. Decr. I.7.1), nel pubblico concistoro del
13 dicembre 1294 Papa
Celestino V rinunciava al papato, ritornando
ad essere Pietro del Morrone con addosso non più le insegne pontificali ma
l’antica veste lacera e stinta e munita di cappuccio. La Bolla di canonizzazione di S. Pietro Celestino riconosce che la rinunzia fu effettuata per il
bene della Chiesa : “affinché dal suo governo non potesse provenire qualche
pericolo alla Chiesa universale”.
Obbedendo
al volere del suo successore, Pietro del Morrone, non assieme al corteo
pontificio, ma scortato da apposita comitiva, dopo la rinuncia prende la via di
Roma: qui papa Bonifacio avrebbe finalmente deliberato il da farsi. Giunto però
a San Germano di Cassino, il venerando eremita pensò bene di ripiegare verso il
sospirato Morrone, fuggendo di notte. Ma le delizie dell’eremo di Sant’Onofrio
non erano più per lui. Reso insicuro dalla ricerca avviata da papa Bonifacio
–timoroso di scisma e di strumentalizzazioni politiche, specie da parte dei
francesi- Pietro Celestino fugge nuovamente nelle Puglie, dapprima cercando
riparo nella zona del Gargano, ove pure esistevano fondazioni celestiniane (S.
Giovanni in Piano), poi a Vieste attendendo nove giorni per il traghettamento
in Grecia. All’incirca il 10 maggio 1295, il vecchio eremita è riconosciuto e
catturato dal capitano di città. Da questi è consegnato nelle mani di Carlo II
d’Angiò il quale lo fa ricondurre a Bonifacio VIII in Anagni circa il 14/15
giugno successivi. Nei circa due mesi di permanenza ad Anagni, papa Bonifacio
provvide ad approntare un posto più sicuro per il vecchio predecessore: la
Rocca di Fumone, a sud-est di Anagni. Qui Pietro Celestino è condotto circa la
metà di agosto 1295. Luogo angusto, secondo la Vita C, prigione
severa, ma onorevole, secondo Tolomeo da Lucca. Il radicale restauro cui
l’edificio andò soggetto nel 1710 ha notevolmente alterato anche il luogo della
custodia di Pietro Celestino e del piccolo oratorio in cui celebrava
l’Eucarestia, non consentendo più all’odierno visitatore la visione completa
dell’impianto originale. A Fumone sorella morte lo raggiunge alla sera del 19 maggio 1296, sabato dell’ottava di Pentecoste. Il corpo venne portato nella vicina
chiesa di Sant’Antonio Abate, fuori le mura di Ferentino, officiata dai monaci
celestini, per le esequie e per la sepoltura, mentre papa Bonifacio tenne
analoga celebrazione pochi giorni dopo in S. Pietro a Roma (25 maggio). Il 5
maggio 1313 papa Clemente V elevava l’Eremita del Morrone (e non il Pontefice)
agli onori degli altari, dopo un meticoloso procedimento canonico. Fino agli
inizi del 1327 il corpo di Pietro Celestino rimase a sant’Antonio di Ferentino.
Resa insicura questa permanenza per una guerra scoppiata tra Ferentino ed
Anagni, lo si spostò all’interno della cittadina nella chiesa di Sant’Agata
officiata dai francescani, per trovare poi definitiva collocazione -dopo
furtivo trasferimento- nella basilica celestiniana di Collemaggio ove nel 1517
Girolamo da Vicenza erigerà il magnifico monumento, rimasto miracolosamente
illeso dal devastante sisma del 6 aprile 2009 che ha funestato la città
dell’Aquila e dell’Abruzzo aquilano.
Mons. Prof. Claudio Palumbo