giovedì 30 novembre 2017

VITA DI SAN FRANCESCO


IL DONO DEI FRATELLI 

Il lungo cammino di conversione di Francesco lo portò, pian piano, a scoprire la volontà del Signore, espressa in modo del tutto particolare nel Vangelo. 
Possiamo affermare che il contatto fisico con il “libro dei vangeli” può essere messo accanto al contatto fisico con la prigionia, la malattia, la grotta, i poveri, i lebbrosi, le chiese, i sacerdoti, il crocifisso di San Damiano, che diventano come dei quadri che parlano di una esperienza viva di ricerca inconscia di Cristo, che accompagnò Francesco almeno dal 1202 fino al 1208-09. 

Nel suo Testamento egli parla in modo molto sincero di questi immagini che lo hanno spinto a decifrare la presenza del Signore nei segni visibili, che prima non lo attiravano, ma che ora diventarono il suo programma di vita. 
L’episodio del 24 febbraio 1208 alla Porziuncola mise Francesco, per la prima volta, davanti alla parola scritta del Signore, che viene proclamata per echeggiare nelle orecchie del cuore. 
Tommaso da Celano ci dice che ogni tanto leggeva nei Libri Sacri, e scolpiva indelebilmente nel cuore ciò che anche una volta sola aveva immesso nell’animo. Per lui, la memoria teneva il posto dei libri, perché il suo orecchio, anche in una volta sola, afferrava con sicurezza ciò che l’affetto andava meditando con devozione (2C 102). 
Il Signore gli aveva parlato chiaramente nel testo evangelico che scoprì quel giorno alla Porziuncola. Tuttavia, Francesco era solo. Il suo progetto lo realizzava di giorno in giorno, prima con il restauro delle chiese povere e il chiedere l’elemosina come i poveri, e adesso con un nuovo stile di vestirsi, andando a predicare la buona novella a tutti. Ma era evidente che mancava il supporto umano, di cui ogni progetto ha bisogno per riuscire. 

Il Signore premiò la sua fede e aspettativa poco dopo l’episodio che abbiamo appena visto. Un numero crescente di persone veniva attirato dalla schiettezza e veracità dell’insegnamento e della vita di Francesco. Due anni dopo la sua conversione, alcuni uomini si sentirono stimolati dal suo esempio a fare penitenza e a unirsi a lui, rinunziando a tutto, indossando lo stesso saio e conducendo la stessa vita. 

Il primo fu Bernardo, di santa memoria. Considerando egli la perseveranza e il fervore di Francesco nel servire Dio, e come restaurava con dura fatica le chiese diroccate, conducendo un’esistenza così aspra, lui che in precedenza era vissuto nella comodità, prese la risoluzione in cuor suo di distribuire ai poveri ogni suo avere e di condividere fermamente l’ideale e la vita di Francesco. Un giorno, dunque, andò di nascosto dall’uomo di Dio, gli palesò la sua decisione, e si accordò con lui che venisse a trovarlo in una sera determinata. Francesco rese grazie a Dio e fu invaso dalla gioia: non aveva ancora nessun compagno e sapeva che messer Bernardo era un sant’uomo (L3C 27). 
Bernardo da Quintavalle era un riccho giovane di Assisi, che certamente conosceva molto bene Francesco. La sua casa si vede tuttora, nell’area che sta sotto la Piazza del Comune, vicino alla chiesa di Santa Maria Maggiore, in una strada che si chiama, appunto, Via Bernardo da Quintavalle. È una casa di apparenza nobile, con una facciata che ancora forse è quella medievale che ha visto Francesco, quando è andato quella sera a cenare e dormire dal suo amico.  
Alla sera convenuta, Francesco si recò alla casa di Bernardo con grande esultanza di cuore, e vi trascorse tutta quella notte. Tra le altre cose, messer Bernardo gli disse: “Se qualcuno per lunghi anni tenesse con sé i beni, molti o pochi, del suo padrone e poi non avesse più voglia di possederli, quale sarebbe il miglior modo di comportarsi?” Francesco rispose che dovrebbe restituire al padrone quello che aveva ricevuto da lui. Messer Bernardo seguitò: “E perciò, fratello, io voglio distribuire, nel modo che parrà a te più appropriato, tutti i miei beni temporali, per amore del mio Signore che me li ha dati”. Il Santo concluse: “Di buon mattino andremo in chiesa e consulteremo il libro dei Vangeli, per sapere quello che il Signore insegnò ai suoi discepoli”. Sul fare del giorno si alzarono, presero con sé un altro uomo di nome Pietro, che egualmente desiderava diventare loro fratello, ed entrarono nella chiesa di San Nicolò, vicina alla piazza della città di Assisi. 

Essendo dei semplici, non sapevano trovare le parole evangeliche riguardanti la rinuncia al mondo, e perciò pregavano devotamente il Signore affinché mostrasse la sua volontà alla prima apertura del libro (L3C 28). La chiesetta di San Nicolò l’abbiamo già incontrata, parlando della casa di Pietro di Bernardone, che si trovava probabilmente vicinissima. Oggi la chiesa non c’è più, ma esiste ancora la sua cripta romanica, dove c’è il museo del forum romano. La chiesa si trovava all’estremità della piazza, tra la Via Portica e Via di San Paolo, e si affacciava sulla Piazza del Comune di Assisi. 
Francesco conosceva bene quella chiesa, così vicina a casa sua, e dedicata a San Nicola, patrono dei commercianti. Finita la preghiera, Francesco prese il libro dei Vangeli ancora chiuso e, inginocchiandosi davanti all’altare, lo aprì. E subito gli cadde sott’occhi il consiglio del Signore: “Se vuoi essere perfetto, va’ e vendi tutti i tuoi beni e distribuiscili ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo” (Mt 19,21). 
Francesco, dopo aver letto il passo, ne fu molto felice e rese grazie a Dio. Ma, vero adoratore della Trinità, volle l’appoggio di tre testimoni; per cui aprì il libro una seconda e una terza volta. Nella seconda, incontrò quella raccomandazione: “Non portate nulla nei vostri viaggi” (Lc 9,3); e nella terza: “Chi vuole seguirmi, rinunzi a sé stesso” (Lc 9,23), ecc. Ad ogni apertura del libro, Francesco rendeva grazie a Dio, che approvava l’ideale da lui lungamente vagheggiato. Alla terza conferma che gli fu mostrata, disse a Bernardo e a Pietro: “Fratelli, ecco la vita e la regola nostra, e di tutti quelli che vorranno unirsi a noi. Andate dunque e fate quanto avete udito” (L3C 28-29). 
Il libro dei vangeli che consultò Francesco probabilmente era propriamente un Messale che esiste ancora nella collezione dei manoscritti di Walters Art Gallery a Baltimore, negli Stati Uniti, che risale all’epoca in cui visse Francesco, secondo studi appositamente compiuti su questo documento. Di nuovo, il contatto fisico con la parola di Cristo nel Vangelo, indica a Francesco il cammino da seguire. 

Il Signore gli aveva dato due nuovi fratelli: Bernardo da Quintavalle, e Pietro (non sappiamo se si trattasse di Pietro Cattanio), che avrebbero avuto molta importanza nel contesto della primitiva fraternità. Toccava adesso mettere in atto questo programma di vita. 
Andò messer Bernardo, che era assai ricco, e vendette ogni suo avere, ricavandone molto denaro, che distribuì interamente ai poveri della città. Anche Pietro eseguì il consiglio divino come gli fu possibile. Privatisi di tutto, entrambi indossarono l’abito che il Santo aveva preso poco dinanzi, dopo aver lasciato quello di eremita. E da quell’ora, vissero con lui secondo la forma del santo Vangelo, come il Signore aveva indicato loro. E così Francesco potè scrivere nel suo Testamento: “Il Signore stesso mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo” (L3C 29). Da questo momento nasce la prima fraternità intorno a Francesco d’Assisi. 

Dopo qualche tempo, fu arricchita con l’arrivo di un sacerdote, di nome Silvestro, che fece una vera e propria conversione, come ci raccontano i Tre Compagni. Il giorno che messer Bernardo stava distribuendo, come già abbiamo detto, i suoi beni ai poveri, Francesco era presente e mirava quell’opera stupenda del Signore, glorificandolo e lodandolo in cuor suo. 

Capitò colà un sacerdote, di nome Silvestro, da cui Francesco aveva comprato pietre per il restauro di San Damiano. Vedendo distribuire tutto quel denaro per consiglio dell’uomo di Dio, Silvestro fu preso da morbosa cupidigia e gli disse: “Francesco, non mi hai pagato come dovevi le pietre acquistate da me”. Udendo la recriminazione ingiusta, il Santo, che abominava l’avarizia, si accostò a messer Bernardo, affondò la mano nel suo mantello gremito di monete, e la tirò fuori piena di soldi, che versò al prete borbottone. Ne agguantò poi un’altra manciata, dicendo: “Sei pagato a dovere, adesso, messer sacerdote?” Rispose Silvestro: “Oh, sì, fratello”. E tutto gongolante tornò a casa col denaro. Ma pochi giorni dopo, il prete Silvestro, ispirato dal Signore, si mise a riflettere sul gesto di Francesco. 
E diceva fra sé: “Sono proprio un miserabile! Eccomi vecchio, e ancora a concupire e cercare insaziabilmente le cose di questo mondo; mentre questo giovane le disprezza e calpesta per amore di Dio”. La notte seguente, vide in sogno una immensa croce, la cui sommità toccava il cielo e il cui piede stava appoggiato alla bocca di Francesco, e i bracci si stendevano da una parte e dall’altra del mondo. Svegliatosi, il sacerdote capì e fermamente credette che Francesco era vero amico e servo di Cristo, e il suo movimento religioso si sarebbe dilatato prodigiosamente in tutto il mondo. Cominciò a temere Dio e a fare penitenza a casa sua. E poco tempo dipoi entrò nel nuovo Ordine, vi condusse una vita santa e finì con una morte gloriosa (L3C 30-31). 
I tre nuovi compagni, cioè, Bernardo da Quintavalle, Pietro (Cattanio?) e Silvestro, andarono con Francesco a vivere accanto alla cappellina di Santa Maria della Porziuncola. In questo luogo si potrebbe affermare che è nato l’Ordine dei Frati Minori, perché era qui che, da principio, i frati trovarono rifugio e potevano pregare nella cappella della Vergine degli Angeli, che Francesco aveva restaurato con le proprie mani. 

Sull’importanza della Porziuncola nella vita di Francesco e dei primi frati torneremo più tardi. Il giorno 23 aprile 1208, la nuova fraternità viene di nuovo arricchita con il dono di un fratello. Alcuni giorni più tardi, un assisano, Egidio, scese da loro, e con sincero rispetto e devozione, in ginocchio, pregò l’uomo di Dio di riceverlo con sé. Francesco, toccato dalla fede e bontà di lui e presagendo che potrebbe ottenere da Dio molta grazia (come poi accadde in effetto), lo ricevette lietamente (L3C 32). Egidio doveva essere uno dei frati più noti nella storia della prima generazione francescana. Francesco, a voce alta e chiara, cantava in francese le lodi del Signore, benedicendo e glorificando la bontà dell’Altissimo. Tanta era la loro gioia, che pareva avessero scoperto un magnifico tesoro nel podere evangelico della signora Povertà, per amore del quale si erano generosamente e spontaneamente sbarazzati di ogni avere materiale, considerandolo alla stregua di rifiuti. L’uomo di Dio non teneva ancora delle prediche al popolo ma, attraversando città e castelli, tutti esortava ad amare e temere Dio, a fare penitenza dei loro peccati. Egidio esortava gli uditori a credere nelle parole di Francesco, dicendo che dava ottimi consigli (L3C 33). Questa era la prima iniziativa di evangelizzazione della piccola fraternità. 
Egli è rimasto uno dei legami più forti con Francesco, particolarmente dopo la morte del santo, quando egli si era ritirato nel convento di Monteripido, presso Perugia, dove morì nell’aprile 1262. Dal primo istante, Francesco dimostrò un affetto del tutto particolare verso frate Egidio, forse per causa della sua semplicità e umiltà. 31 Francesco aveva ormai capito che la vocazione sua e dei frati era quella di annunziare il vangelo sul modello di Cristo e degli apostoli, conducendo una vita itinerante e povera. Appena il Signore gli donò i fratelli, si mise subito all’opera il suo grande progetto di evangelizzazione. Francesco, unitamente a Egidio andò nella Marca di Ancona, gli altri due si posero in cammino verso un’altra regione. Andando verso la Marca, esultavano giocondamente nel Signore.

Francesco ed Egidio partivano da Assisi dalla strada vecchia che, dalla Porta Parlascio, andava nella Marca di Ancona. Fu questa una delle regioni che ascoltò per prima il messaggio di pace e di gioia del poverello di Assisi. 
Sul modello dei discepoli che andarono a due a due per predicare, Francesco e i primi compagni si misero subito all’opera di evangelizzazione. 

La reazione iniziale della gente era una di sospetto di fronte a questi girovaghi giullari di Dio. Gli ascoltatori si domandavano l’un l’altro: “Chi sono questi due? Cosa ci stanno dicendo?” A quei tempi l’amore e il timor di Dio erano come spenti nei cuori, quasi dappertutto; la penitenza era ignorata, anzi la si riteneva una insensataggine ... Su questi uomini evangelici correvano perciò opinioni contrastanti. Alcuni li consideravano dei pazzoidi e dei fissati; altri sostenevano che i loro discorsi provenivano tutt’altro che da demenza. Uno degli uditori osservò: “Questi qui o sono uniti a Dio in modo straordinariamente perfetto, o sono dei veri insensati, poiché menano una vita disperata: non mangiano quasi niente, camminano a piedi nudi, hanno dei vestiti miserabili”. 
Ciò nonostante, vedendo quel modo di vivere così austero eppure così lieto, furono presi da trepidazione. Nessuno però osava seguirli. Le ragazze, al solo vederli da lontano, scappavano spaventate, nella paura di restare affascinate dalla loro follia. Percorsa che ebbero quella provincia, fecero ritorno al luogo di Santa Maria (L3C 34). 

La fraternità di questi poveri continava a crescere di giorno in giorno. Le Fonti non sono tutti concordi sui nomi degli altri fratelli che si univano a Francesco, Bernardo, Pietro, Silvestro ed Egidio. I Tre Compagni parlano di altri tre fratelli, Sabbatino, Morico, e Giovanni da Cappella, che si unirono alla fraternità quando Francesco e gli altri tornarono dalla loro prima missione e si stabilirono alla Porziuncola. La reazione dei cittadini di Assisi di fronte alla nuova fraternità non era inizialmente accogliente. Nessuno poteva capire come mai questi giovani, molti dei quali prima erano ricchi, adesso conducevano una vita da miserabili e, cosa ancora più grave, andavano in città a chiedere elemosina. Da parte loro, i genitori e i consanguinei, non li potevano vedere; gli altri concittadini li schernivano come eccentrici scervellati. A quei tempi infatti nessuno osava abbandonare i propri averi e andare a chiedere la carità di porta in porta (L3C 35). 

Per Francesco, l’avventura iniziale, anche se era molto bella, doveva essere mitigata con un certo stile di vita, man mano che la fraternità cresceva di numero. Certo, non si poteva continuare a vivere allo sbando, con il pericolo molto grave di essere ritenuti degli eretici e cacciati da ogni luogo in cui andavano a predicare e chiedere elemosina. 
Per questo, è impensabile che Francesco avrebbe potuto accogliere nuovi fratelli e associarli al suo progetto di vita, senza il permesso, o almeno la conoscenza, di qualcuno che era responsabile del gruppo agli inizi. Questa persona, stando ai Tre Compagni, era il vescovo Guido di Assisi.

Solo il vescovo di Assisi, al quale l’uomo di Dio ricorreva di frequente per consigliarsi, lo riceveva con benevolenza. Una volta gli ebbe a dire: “La vostra vita mi sembra dura e aspra, poiché non possedete nulla a questo mondo”. Rispose il Santo: “Messere, se avessimo dei beni, dovremmo disporre anche di armi per difenderci. È dalla ricchezza che provengono questioni e liti, e così viene impedito in molte maniere tanto l’amore di Dio quanto l’amore del prossimo. Per questo non vogliamo possedere alcun bene materiale a questo mondo” (L3C 35). 

Nell’estate del 1208 si unì alla fraternità Filippo Longo. Finalmente il loro numero divenne sette con frate Filippo, al quale il Signore aveva toccato e purificato le labbra con il carbone ardente, così che parlava di Dio con mirabile dolcezza. Interpretava la Scrittura, spiegando il significato più recondito, senza aver studiato nelle scuole (1C 25). Filippo Longo fu noto visitatore generale delle Clarisse nel 1219-1220 e nel 1228-1246. 

Alla fine dell’estate Francesco decise di mandare i nuovi fratelli in una nuova missione evangelizzatrice. 
I Tre Compagni ci riportano le parole di incoraggiamento che il santo disse ai suoi frati prima di accomiatarli. Francesco, pieno della grazia dello Spirito Santo, ai sei frati sopra citati, convocandoli presso di sé dalla selva che si estendeva presso la Porziuncola, nella quale entravano spesso per pregare, predisse quello che sarebbe avvenuto. 

Disse: “Fratelli carissimi, consideriamo la nostra vocazione. Dio, nella sua misericordia, ci ha chiamati non solo per la nostra salvezza, ma anche per quella di molti altri. Andiamo dunque per il mondo, esortando tutti, con l’esempio più che con le parole, a fare penitenza dei loro peccati e a ricordare i comandamenti di Dio”. 
E proseguì: “Non abbiate paura di essere ritenuti insignificanti o squilibrati, ma annunciate con coraggio e semplicità la penitenza. Abbiate fiducia nel Signore, che ha vinto il mondo! Egli parla con il suo Spirito in voi e per mezzo di voi, ammonendo uomini e donne a convertirsi a Lui e ad osservare i suoi precetti. Incontrerete alcuni fedeli, mansueti e benevoli, che riceveranno con gioia voi e le vostre parole. Molti di più saranno però gli increduli, orgogliosi, bestemmiatori, che vi ingiurieranno e resisteranno a voi e al vostro annunzio. Proponetevi, in conseguenza, di sopportare ogni cosa con pazienza e umiltà”. Udendo l’esortazione, i fratelli cominciarono ad aver paura. 
Ma il Santo seguitò: “Non abbiate timore, poiché fra non molto verranno a noi parecchi dotti e nobili, e si uniranno a noi nel predicare ai re, ai principi e ai popoli. In gran numero si convertiranno al Signore, che moltiplicherà e aumenterà la sua famiglia nel mondo intero” (L3C 36). 

In questa seconda missione, Francesco scelse la regione della valle di Rieti, che doveva rimanere uno dei luoghi più sacri della tradizione francescana. Secondo una tradizione locale, il santo arrivò nel paese di Poggio Bustone, salutando la popolazione locale con le parole: buon giorno, buona gente! Era un saluto che augurava la pace secondo lo stile evangelico che Francesco abbracciò. Ed era proprio a Poggio Bustone che Francesco, dopo una preghiera angosciosa in cui chiede perdono dei suoi peccati passati, si sente pienamente perdonato e sperimenta una pace interiore mai sentita prima di quel giorno. 

Tommaso da Celano ci racconta questo fatto, che viene ancora ricordato nello speco che i frati dimostrano a poca distanza dal convento di Poggio Bustone. Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo: “O Dio, sii propizio a me peccatore!” A poco a poco si sentì inondare nell’intimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l’angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell’animo per timore del peccato, scomparvero, e gli fu infusa la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi, come rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente, poté contemplare liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro (1C 26). 
Era il punto di liberazione dalle angoscie passate nella cripta vicino ad Assisi, quando con lacrime invocava il Signore di rivelargli la sua volontà. Anche se Francesco adesso ebbe una risposta assai chiara da parte di Cristo, con l’invito del crocifisso di San Damiano, con la scoperta dei testi del vangelo, con l’arrivo dei fratelli, sentì un intimo bisogno di essere pienamente riconciliato con il suo passato, e di aprirsi con fiducia incondizionata al futuro. Allora fece ritorno ai suoi frati e disse loro pieno di gioia: 
“Carissimi, confortatevi e rallegratevi nel Signore: non vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, Egli ci renderà una innumerevole moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Sono costretto a raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; sarebbe più opportuno conservare il segreto, se la carità non mi costringesse a parlarne. Ho visto una gran quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l’abito della santa Religione e secondo la Regola del nostro beato Ordine. Risuona ancora nelle mie orecchie il rumore del loro andare e venire conforme al comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro, provenienti da quasi tutte le nazioni: accorrono francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi; sopraggiunge la folla di altre varie lingue” (2C 27). 

Certamente, è una visione che non poteva essere possibile storicamente nel lontano 1208, quando i primi fratelli erano soltanto otto, ma va vista alla luce dello sviluppo ulteriore dell’Ordine. Sta di fatto che Francesco ebbe una assicurazione che il piccolo gruppo di frati era destinato a crescere e ad abbracciare membri provenienti da tutte le nazioni. 
È assai probabile che ci fosse anche una terza missione dei frati. Francesco decide di mandare i frati a due a due nelle quattro direzioni, secondo il precetto evangelico. Nello stesso tempo entrò nell’Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro numero fu portato a otto. 

Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno, e disse loro: 
“Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno”. Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano davanti al beato padre, che, abbracciandoli con tenerezza e devozione, diceva ad ognuno: “Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te” (Sal 54,23). Questa frase egli ripeteva ogni volta che mandava qualche frate ad eseguire l’obbedienza. 
Allora frate Bernardo con frate Egidio partì per Compostella, al santuario di San Giacomo, in Galizia; 
san Francesco con un altro compagno scelse un’altra parte; gli altri quattro, a due a due, si incamminarono verso le altre direzioni (1C 29-30). 

Questa missione faceva sperimentare tutte le conseguenze del precetto evangelico di andare a due a due per annunziare il regno di Dio senza portare niente lungo la strada. La reazione iniziale della gente era, naturalmente, una di sospetto verso questi uomini che sembravano, stando ai Tre Compagni, degli “esseri boschivi”. Ognuno che li vedeva, ne era fortemente meravigliato, per quel loro modo di vestire e di vivere così differente da qualunque altro: sembravano proprio degli esseri boschivi. Dove entravano, fosse una città, un castello, un villaggio, un’abitazione, annunziavano la pace, esortando uomini e donne a temere e amare il Creatore del cielo e della terra, e ad osservare i suoi comandamenti (L3C 37). 
In questo contesto di incomprensione, i primi frati dovevano pur presentarsi agli altri. Non potevano certo dire che erano un Ordine religioso approvato dalla chiesa. Di fatto, stando alle leggi ecclesiastiche, erano soltanto un gruppo di penitenti che avevano il beneplacito del vescovo Guido di Assisi. Quando Francesco mandava i suoi frati fuori della diocesi di Assisi, stava rischiando grosso sulla sua e la loro reputazione. Tutto questo fa vedere anche quanto Francesco fosse inizialmente inesperto nella organizzazione del suo gruppo, e certamente che non aveva mai in testa di formare un Ordine religioso. Lo studioso Francescano Kajetan Esser parla di un periodo iniziale in cui i primi frati con Francesco erano semplicemente una fraternitas di penitenti, e che solo dopo, con l’approvazione papale, loro divennero un ordo. 

La distinzione tra fraternitas e ordo è molto importante per capire lo sviluppo storico di quello che poi divenne l’Ordine dei Frati Minori
I Tre Compagni sembrano confermare questa affermazione quando scrivono: C’era chi li stava ad ascoltare volentieri e chi al contrario li beffava. Per lo più venivano bersagliati di una tempesta di domande. Dicevano alcuni: “Da dove venite?” Altri chiedevano a che Ordine appartenessero. Benché riuscisse fastidioso rispondere a tante interrogazioni, essi confessavano con semplicità di essere dei penitenti, oriundi di Assisi. Infatti, il loro Ordine non era ancora detto Religione (L3C 37). La distinzione tra una semplice fraternitas di penitenti e una religio (ordine religioso) appare chiara in questo contesto. I primi frati erano consci di vivere una vita di penitenti, proprio come vivevano tanti altri movimenti laicali nel medioevo, come abbiamo già dimostrato sopra. Forse il nome viri poenitentiales de civitate Assisi oriundi costituisce il primo appellattivo che i frati davano a sé stessi. 

Questo stato di cose naturalmente metteva i frati in pericolo di essere perseguitati. Così avvenne, stando sempre ai Tre Compagni, a Bernardo e Egidio quando questi si fermarono a Firenze, e chiesero un alloggio per la notte vicino ad un forno. Furono cacciati via, ma l’indomani mattina la padrona di casa li trovò in chiesa che pregavano devotamente. 
Fu più impressionata quando vide che loro rifiutavano con dolcezza le elemosine in denaro che un uomo di nome Guido li elargiva. Anche lui rimase stupito che non si comportavano come gli altri poveri, ma Bernardo spiegò a lui che loro avevano lasciato tutte le ricchezze del mondo di spontanea volontà per vivere il vangelo. Fu così che la donna si avvicinò ad essi e si convinse della loro santità, mentre Guido li accolse a casa sua. 

Queste prime esperienze di evangelizzazione missionaria erano la prova della vocazione dei primi frati. Ogni volta che Francesco mandava i frati in missione, pregava che ritornassero alla Porziuncola sani e salvi per ringraziare il Signore per il suo aiuto nella loro impresa. Passato breve tempo, san Francesco, desiderando di rivederli tutti, pregò il Signore, il quale raccoglie i figli dispersi d’Israele, che si degnasse nella sua misericordia di riunirli presto. E tosto, secondo il suo desiderio e senza che alcuno li chiamasse, si ritornarono insieme e resero grazie a Dio. Prendendo il cibo insieme manifestano calorosamente la loro gioia nel rivedere il pio pastore e la loro meraviglia per aver avuto il medesimo pensiero (1C 30). 

Durante questo tempo si aggregarono a loro e si fecero discepoli di Francesco altri quattro uomini degni e virtuosi (1C 31). Tommaso da Celano sembra alludere a Giovanni da San Costanzo, Barbaro, Bernardo di Vigilante e Angelo Tancredi, anche se non c’è nessun accordo riguardo all’identità esatta dei primi dodici compagni. Tuttavia, con questi quattro, il numero dei fratelli diventò dodici, e preparò così la decisione di Francesco di portare il gruppo a Roma dal Papa Innocenzo III. 

L’esperienza della prima fraternità era per Francesco un richiamo all’umiltà delle origini, in modo tale che nel suo Testamento, parla chiaramente di questo momento come un periodo d’oro nella vita dell’Ordine. E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più. Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i ‘Pater noster’; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti. Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta. Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: “Il Signore ti dia la pace” (Testamento, 16-23). 

Questo ritratto della vita dei primi frati è confermato dalle Fonti Francescane. I Tre Compagni scrivono: Occupavano la giornata nell’orazione e lavorando con le loro mani, in maniera da evitare risolutamente l’ozio, nemico dell’anima. A mezza notte si alzavano per la preghiera, animata da gemiti e lacrime. 

Si amavano l’un l’altro con un  affetto profondo, e a vicenda si servivano e procuravano il necessario, come farebbe una madre col suo unico figlio teneramente amato. Tale era l’affetto che ardeva loro in cuore, che erano pronti a consegnarsi alla morte senza esitare, non solo per amore di Cristo, ma anche per salvare l’anima o il corpo dei fratelli (L3C 41). Pian piano i fratelli guadagnavano la simpatia delle persone che prima li avevano perseguitati e ritenuti come pazzi. Molte persone, vedendo i frati sereni nelle tribolazioni, alacri e devoti nella preghiera, non avere ne ricevere denaro, coltivare tra loro amore fraterno, da cui si riconosceva che erano veramente discepoli del Signore, impressionate e dispiaciute, venivano da loro, e domandavano scusa delle offese fatte. Essi perdonavano di cuore, dicendo: “Il Signore vi perdoni!”, e davano consigli utili alla loro salvezza (L3C 41). 

Così, i primi frati si erano organizzati come una vera e propria famiglia evangelica. Tuttavia, mancava un programma ben definito. Francesco si rese conto che la scoperta del vangelo come norma di vita aveva bisogno di essere, in un certo modo, codificata, per dare più consistenza al piccolo gruppo di fratelli. Non sapeva affatto come avrebbe affrontato questa nuova esigenza. Sapeva soltanto che aveva bisogno di un appoggio forte per continuare in quella avventura evangelica, senza mettere i fratelli in un grave pericolo di essere presi per eretici. Per questo decise di andare a Roma dal Papa Innocenzo III. 

Una decisione coraggiosa e, in un certo modo, troppo ardita. Tuttavia, non era il primo ad affrontare un Papa così grande come Innocenzo III, e probabilmente sapeva che il Papa aveva già dato la sua benedizione, se non anche l’approvazione, ad altre simili forme di vita, come quella degli Umiliati in Lombardia. Francesco prese il rischio e, probabilmente di propria iniziativa, decise di portare i dodici fratelli a Roma da Innocenzo III. 
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AMDG et BVM

Sant’Andrea

DA “PESCATORE DI GALILEA” A “PESCATORE DI UOMINI”

Andrea, nato a Bethsaida, fratello di Pietro, è definito "l’apostolo dei Greci". La sua predicazione, come quella degli altri discepoli di Gesù Cristo, prese il via proprio dopo la Pentecoste e si rivolse alla Scizia, la regione posta fra il Danubio e il Don. Fu così che il pescatore di Galilea, definito il "Protocleto" (primo chiamato), diventò "pescatore di uomini". «Dopo essere restato con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, Andrea non tenne chiuso in sé il tesoro - sottolineava san Giovanni Crisostomo (citazione in www.enrosadira.it/santi/a/andrea.htm) -, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse: "Abbiamo trovato il Messia" (Giovanni 1, 41). Vedi in che maniera notifica ciò che aveva appreso in poco tempo? Da una parte mostra quanta forza di persuasione aveva il Maestro sui discepoli, e dall’altra rivela il loro interessamento sollecito e diligente circa il suo insegnamento. Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettò a comunicare agli altri la grande notizia. Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente li amasse e come fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale. Guarda anche l’animo di Pietro, fin dall’inizio docile e pronto alla fede: immediatamente corre senza preoccuparsi di nient’altro. Infatti dice: "Lo condusse da Gesù" (Giovanni 1, 42)».
Nel link segnalato "Gli Atti di Andrea":
Dunque, Andrea scelse per la missione assegnatagli da Gesù l’Oriente. Dalla Scizia passò all’Acaia, dove ricevette il martirio. Anche lui in croce, seppure una croce decussata (a forma di X), scelta certamente per umiltà - non voleva essere equiparato al Maestro - e per rendere più atroce la sofferenza del supplizio. 
La morte di Andrea avvenne a Patrasso, verso l’anno 60, sotto il proconsole romano Egea. Ecco come gli ultimi momenti della sua vita sono stati ricostruiti sulla base di antichi testi, apocrifi: «Dopo la passione e la risurrezione, Andrea andò a predicare la fede cristiana nella provincia che gli era toccata in sorte, la Scizia d’Europa; quindi percorse l’Epiro e la Tracia e con la predicazione e i miracoli convertì a Gesù Cristo una moltitudine innumerevole. Giunto a Patrasso, città dell’Acaia, fece abbracciare a molti la verità del Vangelo, e non esitò a riprendere coraggiosamente il proconsole Egeo, che resisteva alla predicazione evangelica, rimproverandogli di voler essere il giudice degli uomini, mentre i demoni lo ingannavano fino a fargli misconoscere il Cristo Dio, Giudice di tutti gli uomini. Egeo adirato gli dice: "Finiscila di esaltare il tuo Cristo che simili propositi non hanno impedito che venisse crocifisso dai Giudei". E siccome Andrea continuava tuttavia a predicare intrepido che Gesù Cristo s’era lui stesso offerto alla Croce per la salvezza del genere umano, Egeo lo interrompe con un discorso empio, e lo avverte di pensare alla sua salvezza, sacrificando agli dei. Andrea gli dice: "Per me, c’è un Dio onnipotente, solo e vero Dio, al quale sacrifico tutti i giorni, non già le carni dei tori né il sangue dei capri, ma l’Agnello senza macchia immolato sull’altare; e tutto il popolo partecipa alla sua carne, e l’Agnello che è sacrificato rimane integro e pieno di vita". Perciò Egeo, fuor di sé dalla collera, lo fa gettare in prigione. Il popolo ne avrebbe facilmente tratto fuori il suo Apostolo, se quest’ultimo non avesse calmato la folla, scongiurandola di non impedirgli di giungere alla corona del martirio. Poco dopo, condotto davanti al tribunale, siccome esaltava il mistero della Croce e rimproverava ancora al Proconsole la sua empietà, Egeo esasperato ordinò che lo si mettesse in croce, per fargli imitare la morte di Cristo. Fu allora che, giunto sul luogo del martirio e vedendo la croce, Andrea esclamò da lontano: "O buona Croce che hai tratto la tua gloria dalle membra del Signore, Croce lungamente bramata, ardentemente amata, cercata senza posa e finalmente preparata ai miei ardenti desideri, toglimi di mezzo agli uomini, e restituiscimi al mio Signore, affinché per te mi riceva Colui che per te mi ha riscattato". Fu dunque infisso alla croce, sulla quale rimase vivo per due giorni, senza cessar di predicare la fede di Gesù Cristo, e passò a Colui del quale si era augurato di imitare la morte» (Atti di Andrea).


Nel Vangelo i riferimenti ad Andrea non sono molti, ma estremamente significativi. Giovanni ce lo presenta, insieme con un amico [Giovanni medesimo che scrive], mentre segue la predicazione del Battista, che, vedendo passare Gesù, battezzato il giorno prima nel Giordano, esclama: «Ecco l’Agnello di Dio!». E «i due discepoli, avendolo sentito dire questo, tennero dietro a Gesù» (Giovanni 1, 35-37). «Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due che avevano udite le parole di Giovanni e avevan seguito Gesù. Il primo in cui Andrea s’imbatté fu suo fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia", che vuol dire il Cristo. E lo condusse da Gesù» (Giovanni 1, 40-42).


Episodio successivo. «Mentre [Gesù] camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli: Simone, detto Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano in mare una rete, poiché erano pescatori. E disse loro: "Venite, vi farò pescatori di uomini". Essi, lasciate subito le reti, lo seguirono» (Matteo 4, 18-20).
«Appena usciti dalla sinagoga - scrive Marco riferendo l’episodio della guarigione della suocera di Pietro ( Marco 1, 29) -, si diressero verso la casa di Simone e di Andrea...». 


Ancora. «Nell’uscire dal Tempio, uno dei suoi discepoli, rivolto a Gesù, esclama: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!". Ed egli risponde: "Vedi tu queste grandi costruzioni? Non resterà pietra sopra pietra che non sia diroccata"». Poi, sul Monte degli Ulivi, Andrea, con Pietro, Giacomo e Giovanni, fa parte del gruppetto di apostoli che, "in disparte", interroga Gesù: «Vuoi dirci quando ciò accadrà, e quale sarà il segno che tutto questo starà per avversarsi?». La risposta è nota come il "discorso escatologico" del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’Uomo "con grande potenza e gloria" (Marco 13, 26).
Nel vangelo di Luca Andrea è citato, insieme agli altri undici, quando essi sono scelti da Gesù (Luca 6, 12-16).


Nell’episodio della moltiplicazione dei pani, riportato da Giovanni, è ancora Andrea che, vista la moltitudine di gente, e la scarsità delle risorse alimentari, va da Gesù e lo avverte, quasi presagendo il miracolo che sta per avvenire: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che è questo per tanta gente?» (Giovanni 6, 8-10).


Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’Ascensione (Atti degli Apostoli 1, 13).
«E poi la Scrittura non dice altro di lui - nota Domenico Agasso (in Famiglia Cristiana, ved. www.santibeati.it) -, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: ‘Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen’. 

Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi "croce di sant’Andrea". Questo accade intorno all’anno 60, un 30 novembre».

Sigismondo Nastri

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ED ORA GODIAMOCI QUESTE PAGINE VALTORTIANE
PIU' ... ALATE E SUBLIMI 
delle precedenti

VOLUME I CAPITOLO 49

XLIX. L'incontro con Pietro e Andrea dopo un discorso nella sinagoga. Giovanni di Zebedeo grande anche nell'umiltà. 

   13 ottobre 1944.
   Alle 14 vedo questo:
 1 Gesù viene avanti per una piccola stradetta, un sentiero fra due campi. È solo. Giovanni procede verso di Lui da tutt'altro viottolo fra i campi e lo raggiunge infine, passando per un varco fra la siepe.
   Giovanni, tanto nella visione di ieri come oggi, è tutt'affatto giovanetto. Un volto roseo e imberbe di uomo appena fatto, e biondo per giunta. Perciò non un segno di baffi o di barba, ma solo il rosato delle guance lisce e delle rosse labbra e la luce ridente del suo bel sorriso e dello sguardo puro, non tanto per il suo colore di turchese cupa, quanto per la limpidità dell'anima vergine che vi traspare. I capelli biondo castani, lunghi e soffici, ondeggiano nel passo, veloce quasi quanto una corsa. 
   Chiama, quando sta per passare la siepe: «Maestro!».
   Gesù si arresta e si volge con un sorriso.
   «Maestro, ti ho tanto desiderato! Mi hanno detto, nella casa dove stai, che eri venuto verso la campagna... Ma non dove. E temevo non vederti». Giovanni parla lievemente curvo per il rispetto. Eppure è pieno di confidente affetto nella sua attitudine e nello sguardo che, stando col capo lievemente piegato sulla spalla, eleva verso Gesù.
   «Ho visto che mi cercavi e sono venuto verso di te».
   «Mi hai visto? Dove eri, Maestro?».
   «Là ero» e Gesù accenna ad un ciuffo d'alberi lontani che, per la tinta della chioma, direi ulivi. «Là ero. Pregavo e pensavo a quanto dirò questa sera nella sinagoga. Ma ho lasciato subito non appena ti ho visto».
   «Ma come hai fatto a vedermi se io appena vedo quel luogo, nascosto come è dietro quel ciglio?».
   «Eppure lo vedi! Ti sono venuto incontro perché ti ho visto. Ciò che non fa l'occhio, fa l'amore».
« Sì, fa l'amore.
 2 Mi ami dunque, Maestro?».
   «E tu mi ami, Giovanni, figlio di Zebedeo?».
   «Tanto, Maestro. Mi pare di averti sempre amato. Prima di averti conosciuto, prima ancora, l'anima mia ti cercava, e quando ti ho visto essa mi ha detto: " Ecco Quello che cerchi ". Io credo che ti ho incontrato perché la mia anima ti ha sentito».
   «Tu lo dici, Giovanni, e dici giusto. Io pure ti sono venuto incontro perché la mia anima ti ha sentito. Per quanto mi amerai?».
   «Per sempre, Maestro. Non voglio amare più altri che Tu non sia».
   «Hai padre e madre, fratelli, sorelle, hai la vita, e con la vita la donna e l'amore. Come farai a lasciare tutto per Me?».
   «Maestro... non so... ma mi pare, se non è superbia dirlo, che la tua predilezione mi terrà posto di padre e madre e fratelli e sorelle e anche della donna. Di tutto, si, di tutto mi terrò sazio se Tu mi amerai».
   «E se il mio amore ti procurerà dolori e persecuzioni?».
   «Nulla sarà, Maestro; se Tu mi amerai».
   «E quel giorno che Io avessi a morire... »
   «No! Sei giovane, Maestro... Perché morire?».
   «Perché il Messia è venuto per predicare la Legge nella sua verità e per compiere la Redenzione. E il mondo abborre la Legge né vuole redenzione. Perciò perseguita i messi di Dio».
   «Oh! ciò non sia! Non lo dire a chi ti ama, questo pronostico di morte!... Ma se Tu avessi a morire, amerò ancora Te. Lascia che io ti ami». Giovanni ha sguardo supplice. Più chinato che mai, cammina a fianco di Gesù e par che mendichi amore.
   Gesù si ferma. Lo guarda, lo trapana collo sguardo del suo occhio profondo, e poi gli pone la mano sul capo chino. «Voglio che tu mi ami».
   «Oh! Maestro!». Giovanni è felice. Per quanto la sua pupilla sia lucida di pianto, ride con la giovane bocca ben disegnata, e prende la mano divina e la bacia sul dorso e se la stringe al cuore. 
 3 Riprendono il cammino.
   «Hai detto che mi cercavi... »
   «Sì. Per dirti che i miei amici ti vogliono conoscere... e perché, oh! come avevo voglia di stare con Te ancora! Ti ho lasciato da poche ore... ma non potevo già più stare senza di Te».
   «Sei stato dunque un buon annunziatore del Verbo?».
   «Ma anche Giacomo, Maestro, ha parlato di Te in modo da... convincere».
   «In modo che anche chi diffidava - né è colpevole, perché prudenza era causa del suo riserbo - si è persuaso. Andiamo a farlo del tutto sicuro».
   «Aveva un poco paura... »
   «No! Non paura di Me! Sono venuto per i buoni e più per chi è in errore. Io voglio salvare. Non condannare. Con gli onesti sarò tutto misericordia».
   «E coi peccatori?».
   «Anche. Per disonesti intendo quelli che hanno la disonestà spirituale e ipocritamente si fingono buoni mentre fanno opere malvagie. E tali cose fanno e in tal modo per avere utile proprio e ricavare utile dal prossimo. Con questi sarò severo».
   «Oh! Simone, allora, può star sicuro. È schietto come nessun altro».
   «Così mi piace e voglio siate tutti».
   «Vuol dirti tante cose Simone».
   «Lo ascolterò dopo aver parlato nella sinagoga. Ho fatto avvisare poveri e malati oltre che ricchi e sani. Tutti hanno bisogno della Buona Novella».
 4 Il paese si avvicina. Dei bambini giocano sulla strada e uno, correndo, viene a sbattere fra le gambe di Gesù e cadrebbe se Egli non fosse sollecito ad afferrarlo. Il bambino piange lo stesso, come se si fosse fatto male, e Gesù gli dice tenendolo in braccio: «Un israelita che piange? Che avrebbero dovuto fare i mille e mille bambini che sono divenuti uomini valicando il deserto dietro a Mosè? Eppure più per loro che per gli altri - perché l'Altissimo ha amore degli innocenti e provvede a questi angiolini della terra, a questi uccellini senza ali, come provvede ai passeri del bosco e della gronda - proprio per questi ha fatto scendere la manna tanto dolce. Ti piace il miele? Si? Ebbene, se sarai buono mangerai un miele più dolce di quello delle tue api».
   «Dove? Quando?».
   «Quando, dopo una vita di fedeltà a Dio, andrai a Lui».
   «Io so che non vi andrò se non viene il Messia. La mamma mi dice che per ora noi di Israele siamo come tanti Mosè e moriamo in vista della Terra Promessa. Dice che stiamo lì ad aspettare di entrarvi e che solo il Messia ci farà entrare».
   «Ma che bravo piccolo israelita! Ebbene, Io ti dico che quando tu morrai entrerai subito in Paradiso, perché il Messia avrà già aperto le porte del Cielo. Però devi essere buono».
«Mamma! Mamma!». Il bambino scivola dalle braccia di Gesù e corre incontro ad una giovane sposa, che rientra con un'anfora di rame. «Mamma! Il nuovo Rabbi mi ha detto che io andrò subito in Paradiso quando morirò e mangerò tanto miele... ma se sono buono. Sarò buono!».
   «Lo voglia Dio! Scusa, Maestro, se ti ha dato noia. È tanto vivace!».
   «L'innocenza non dà noia, donna. Dio ti benedica, perché sei una madre che alleva i figli nella conoscenza della Legge».
   La donna si fa rossa alla lode e risponde: «A Te pure la benedizione di Dio» e scompare col suo piccolo.
 5 «Ti piacciono i bambini, Maestro?».
   «Si, perché sono puri... e sinceri... e amorosi».
   «Hai dei nipoti, Maestro?». 
   «Non ho che una Madre... Ma in Lei c'è la purezza, la sincerità, l'amore dei pargoli più santi, insieme alla sapienza, giustizia e fortezza degli adulti. Ho tutto in mia Madre, Giovanni».
   «E l'hai lasciata?».
   «Dio è sopra anche alla più santa delle madri».
   «La conoscerò io?».
   «La conoscerai».
   «E mi amerà?».
   «Ti amerà perché Ella ama chi ama il suo Gesù».
   «Allora non hai fratelli?».
   «Ho dei cugini da parte del marito di mia Madre. Ma ogni uomo mi è fratello e per tutti sono venuto.
 6 Eccoci davanti alla sinagoga. Io entro, e tu mi raggiungerai coi tuoi amici».
   Giovanni se ne va, e Gesù entra in una stanza quadrata col solito apparato di lumi a triangolo e di leggii con rotoli di pergamena. Vi è già folla in attesa e in preghiera. Anche Gesù prega. La folla bisbiglia e commenta dietro a Lui, che si curva a salutare il capo della sinagoga e poi si fa dare a caso un rotolo.
   Gesù inizia la lezione.
    Dice: «Queste cose lo Spirito mi fa leggere per voi. Nel capo settimo del libro di Geremia si legge: (Geremia 7, 3-7) “Queste cose dice il Signore degli eserciti, il Dio d'Israele: 'Emendate i vostri costumi e i vostri affetti e allora abiterò con voi in questo luogo. Non vi cullate nelle parole vane da voi ripetute: c'è qui il Tempio del Signore, il Tempio del Signore, il Tempio del Signore. Perché, se voi migliorerete i vostri costumi e i vostri affetti, se renderete giustizia fra l'uomo e il suo prossimo, se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non spargerete in questo luogo il sangue innocente, se non andrete dietro agli dèi stranieri, per vostra sventura, allora Io abiterò con voi in questo luogo, nella terra che Io diedi ai vostri padri per secoli e secoli’ ”.
   Udite, o voi di Israele. Ecco che Io vengo a illuminarvi le parole di luce che la vostra anima offuscata non sa più vedere e capire. Udite. Molto pianto scende sulla terra del popolo di Dio e piangono i vecchi che ricordano le antiche glorie, piangono gli adulti piegati al giogo, piangono i fanciulli che non hanno avvenire di futura gloria. Ma la gloria della terra è nulla rispetto ad una gloria che nessun oppressore, che non sia Mammona e la mala volontà, possono strappare.
   Perché piangete? Come l'Altissimo, che fu sempre buono per il popolo suo, ora ha girato altrove il suo sguardo e nega ai suoi figli di vederne il Volto? Non è più il Dio che aperse il mare e ne fece passare Israele e per arene lo condusse e nutrì, e contro nemici lo difese e, perché non smarrisse la via del Cielo, come diede ai corpi la nuvola, diede alle anime la Legge? Non è più il Dio che addolcì le acque e fece venire manna agli sfiniti? Non è il Dio che vi volle stabilire in questa terra e con voi strinse alleanza di Padre a figli? E allora perché ora lo straniero vi ha percossi? 
   Molti fra voi mormorano: "Eppure qui è il Tempio!". Non basta avere il Tempio e in quello andare a pregare Iddio. Il primo tempio è nel cuore di ogni uomo, e in quello va fatta preghiera santa. Ma santa non può essere se prima il cuore non si emenda e col cuore non si emendano i costumi, gli affetti, le norme di giustizia verso i poveri, verso i servi, verso i parenti, verso Dio.
   Ora guardate. Io vedo ricchi dal cuore duro, che fanno ricche offerte al Tempio ma non sanno dire al povero: "Fratello, ecco un pane e un denaro. Accettalo. Da cuore a cuore, e non t'avvilisca l'aiuto come a me non dia superbia il dartelo". Ecco, Io vedo oranti che si lamentano con Dio che non li ascolta prontamente, ma poi al misero, e talora è loro sangue, che gli dice: "Ascoltami ", rispondono con cuore di selce: "No". Ecco, Io vedo che voi piangete perché la vostra borsa è spremuta dal dominatore. Ma poi voi spremete sangue a chi odiate, e di far vuoto un corpo di sangue e vita non avete orrore.
   O voi di Israele! Il tempo della Redenzione è giunto. Ma preparatene le vie in voi con la buona volontà. Siate onesti, buoni, amatevi gli uni con gli altri. Ricchi, non sprezzate; mercanti, non frodate; poveri, non invidiate. Siete tutti di un sangue e di un Dio. Siete tutti chiamati ad un destino. Non chiudetevi il Cielo, che il Messia vi aprirà, con i vostri peccati. Avete sin qui errato? Ora non più. Ogni errore cada. 
   Semplice, buona, facile è la Legge che torna ai dieci comandi iniziali ma tuffati in luce d'amore. Venite. Io ve li mostrerò quali sono: amore, amore, amore. Amore di Dio a voi, di voi a Dio. Amore fra prossimo. Sempre amore, perché Dio è Amore e figli del Padre sono coloro che sanno vivere l'amore. Io sono qui per tutti e per dare a tutti la luce di Dio. Ecco la Parola del Padre che si fa cibo in voi. Venite, gustate, cambiate il sangue dello spirito con questo cibo. Ogni veleno cada, ogni concupiscenza muoia. Una gloria nuova vi è porta, quella eterna, e a lei verranno coloro che faranno la Legge di Dio vero studio del loro cuore. Iniziate dall'amore. Non vi è cosa più grande. Ma, quando saprete amare, saprete già tutto, e Dio vi amerà, e amore di Dio vuol dire aiuto contro ogni tentazione.
   La benedizione di Dio sia su chi volge a Lui cuore pieno di buona volontà».
Gesù tace. La gente bisbiglia. L'adunanza si scioglie dopo inni cantati molto salmodiandoli.
 7 Gesù esce sulla piazzetta. Sulla porta sono Giovanni e Giacomo con Pietro e Andrea.
«La pace sia con voi» dice Gesù e aggiunge: «Ecco l'uomo che, per esser giusto, ha bisogno di non giudicare senza prima conoscere. Ma che però è onesto nel riconoscere il suo torto. Simone, hai voluto vedermi? Eccomi. E tu, Andrea, perché non sei venuto prima?».
   I due fratelli si guardano imbarazzati. Andrea mormora: «Non osavo...».
   Pietro, rosso, non dice nulla. Ma, quando sente che Gesù dice al fratello: «Facevi del male a venire? Solo il male non si deve osare di farlo», interviene schietto: «Sono stato io. Lui voleva condurmi subito da Te. Ma io... io ho detto... Si. Ho detto: " Non ci credo ", e non ho voluto. Oh! ora sto meglio!...»
   Gesù sorride. E poi dice: «E per la tua sincerità Io ti dico che ti amo».
   «Ma io... io non sono buono... non sono capace di fare quello che Tu hai detto nella sinagoga. Io sono iracondo, e se qualcuno mi offende... eh!... Io sono avido e mi piace aver denaro... e nel mio mercato di pesce... eh!... non sempre... non sempre sono stato senza frode. E sono ignorante. E ho poco tempo da seguirti per avere la luce. Come farò? Io vorrei diventare come Tu dici... ma... » 
  «Non è difficile, Simone. Sai un poco la Scrittura? Sì? Ebbene, pensa al profeta Michea. Dio da te vuole quello che dice Michea (Michea 6, 8). Non ti chiede di strapparti il cuore, né di sacrificare gli affetti più santi. Per ora non te lo chiede. Un giorno tu, senza richiesta da Dio, darai a Dio anche te stesso. Ma Egli attende che un sole e una rugiada, di te, filo di erba, abbiano fatto palma robusta e gloriosa. Per ora Egli ti chiede questo: praticare giustizia, amare la misericordia, mettere ogni cura nel seguire il tuo Dio. Sforzati a fare questo, e, il passato di Simone sarà cancellato e tu diverrai l'uomo nuovo, l'amico di Dio e del suo Cristo. Non più Simone. Ma Cefa. Pietra sicura a cui mi appoggio».
   «Questo mi piace! Questo lo capisco. La Legge è così... è così... ecco, io quella non la so più fare come l'hanno fatta i rabbini!... Ma questo che Tu dici, sì. Mi pare che ci riuscirò. E Tu mi aiuterai. Stai qui di casa? Conosco il padrone».
   «Qui sto. Ma ora andrò a Gerusalemme e poi predicherò per la Palestina. Sono venuto per questo. Ma verrò qui sovente».
   «Io verrò a udirti ancora. Voglio esser tuo discepolo. Un poco di luce entrerà nella mia testa».
   «Nel cuore soprattutto, Simone. Nel cuore. E tu, Andrea, non parli?».
   «Ascolto, Maestro».
   «Mio fratello è timido».
   «Diverrà un leone. La sera scende. Dio vi benedica e vi dia buona pesca. Andate».
   «La pace a Te». Se ne vanno.
 8 Appena fuori, Pietro dice: «Ma che avrà voluto dire prima, quando diceva che pescherò con altre reti e farò altre pesche?». (Ciò che Giovanni gli ha riferito al Cap 48)
   «Perché non glielo hai chiesto? Volevi dire tanto e poi quasi non parlavi».
   «Mi... vergognavo. È così diverso da tutti i rabbi!».
   «Ora va a Gerusalemme...». Giovanni dice questo con tanto desiderio e nostalgia. «Io volevo dirgli se mi lasciava andare con Lui... e non ho osato... ».
   «Vaglielo a dire, ragazzo» dice Pietro. «Lo abbiamo lasciato così... senza una parola di amore... Almeno sappia che lo ammiriamo. Va', va'. A tuo padre dico io».
   «Vado, Giacomo?».
   «Va'».
   Giovanni parte di corsa... e di corsa torna giubilante. «Gli ho detto: "Mi vuoi con Te a Gerusalemme? ". Mi ha risposto: "Vieni, amico". Amico, ha detto! Domani a quest'ora verrò qui. Ah! A Gerusalemme con Lui!...»
   ...la visione ha fine.

 9 In merito a questa visione, mi dice questa mattina (14 ottobre) Gesù:
   
«Voglio che tu e tutti rileviate il contegno di Giovanni. In un suo lato che sfugge sempre. Voi lo ammirate perché puro, amoroso, fedele. Ma non notate che fu grande anche in umiltà.
   Egli, artefice primo della venuta a Me di Pietro, modestamente tace questo particolare. 
L'apostolo di Pietro, e perciò il primo degli apostoli miei, fu Giovanni. Primo nel riconoscermi, primo nel rivolgermi la parola, primo nel seguirmi, primo nel predicarmi. Eppure, vedete che dice? Dice: (Giovanni 1, 40-42) "Andrea, fratello di Simone, era uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù. Il primo in cui si imbatté fu suo fratello Simone, a cui disse: 'Abbiamo trovato il Messia 'e lo menò da Gesù".
   Giusto, oltre che buono, sa che Andrea si angustia di non aver che un carattere chiuso e timido, che tanto vorrebbe fare ma che non riesce a fare, e vuole che a lui vada, nella memoria dei posteri, il riconoscimento del suo buon volere. Vuole appaia Andrea il primo apostolo di Cristo presso Simone, nonostante che timidezza e soggezione di lui presso il fratello abbiano dato a lui sconfitta di apostolato
10 Quali, fra quelli che fanno qualcosa per Me, sanno imitare Giovanni e non si autoproclamano insuperabili apostoli, senza pensare che il loro riuscire viene da un complesso di cose, che non sono solo santità, ma anche audacia umana, fortuna, e occasionale trovarsi presso altri meno audaci e fortunati, ma forse più santi di loro?
   Quando riuscite nel bene, non gloriatevene come di un merito tutto vostro. Date lode a Dio, padrone degli apostolici operai, e abbiate occhio limpido e cuor sincero per vedere e dare ad ognuno il plauso che gli spetta. Occhio limpido a discernere gli apostoli che compiono olocausto, e sono le prime, vere leve nel lavoro degli altri. Solo Dio li vede questi che, timidi, paiono nulla fare e sono invece i rapitori al Cielo del fuoco che investe gli audaci. Cuor sincero nel dire: “Io opero. Ma costui ama più di me, prega meglio di me, si immola come io non so fare e come Gesù ha detto: (Matteo 6, 6; Vol 3 Cap 172) '...entro la propria camera con uscio chiuso per orare in segreto '. Io, che intuisco la sua umile e santa virtù, voglio farla nota e dire: 'Io, strumento attivo; costui, forza che mi dà moto, perché, innestato come è a Dio, m'è canale di celeste forza’ ”.
   E la benedizione del Padre, che scende a ricompensare l'umile che in silenzio si immola per dar forza agli apostoli, scenderà anche sull'apostolo che sinceramente riconosce il soprannaturale e silenzioso aiuto, che a lui viene dall'umile, e il suo merito che la superficialità degli uomini non nota.
   Imparate tutti. 
11 È il mio prediletto? Sì. Ma non ha anche questa somiglianza con Me? Puro, amoroso, ubbidiente, ma anche umile. Io mi specchiavo in lui e vedevo in lui le virtù mie. Lo amavo perciò come un secondo Me. Vedevo su lui lo sguardo del Padre che lo riconosceva un piccolo Cristo. E mia Madre mi diceva: "In lui io sento un secondo figlio. Mi par di vedere Te, riprodotto in un uomo".
   Oh! la Piena di Sapienza come ti ha conosciuto, o mio diletto! E i due azzurri dei vostri cuori di purezza si sono fusi in un unico velario per farmi protezione d'amore, e un solo amore sono divenuti, prima ancora che Io dessi la Madre a Giovanni e Giovanni alla Madre. S'erano amati perché s'erano riconosciuti simili: figli e fratelli del Padre e del Figlio».

AMDG et BVM

mercoledì 29 novembre 2017

UN AIUTO SICURO

NOVENA 
DELL'IMMACOLATA
Il gioioso mistero 
della divina maternità di Maria 
fonte della nostra fiducia 
e della nostra speranza
30.XI.2017 (II)

1 gennaio 1980. 
Festa della Maternità divina di Maria Santissima.


La vostra Madre vittoriosa

«Sacerdoti, che Io chiamo da ogni parte del mondo ad entrare nel rifugio del mio Cuore Immacolato, figli da Me tanto amati e tanto esposti ai pericoli, iniziate questo nuovo anno con grande fiducia nella vostra Mamma Celeste.

Oggi la Chiesa vi invita a guardare a Me e a venerarmi come la Madre. Sono vera Mamma di Gesù e sono vera Mamma vostra. Sono vostra Mamma, perché vi ho donato il mio Figlio Gesù.
È così che la festa di Natale diventa veramente la festa di tutta la vostra vita.

Perché sono Mamma di Gesù sono potuta diventare anche vostra Mamma. E, come ho adempiuto bene il mio compito materno verso il mio Divin Figlio, così ora devo adempiere bene il mio compito materno verso tutti voi, miei figli.

È nel gioioso mistero della mia maternità che deve trovarsi la fonte della vostra fiducia e della vostra speranza all'inizio di questo nuovo anno. Siete chiamati ormai ad entrare in un tempo in cui grandi sofferenze vi attendono.

Anzitutto dovrà soffrire la mia Chiesa, che sarà chiamata ad una più intensa e dolorosa opera di purificazione.

Io le sono vicina in ogni momento per aiutarla e per confortarla; quanto più la Chiesa dovrà salire il Calvario, tanto più sentirà il mio aiuto e la mia straordinaria presenza.

Ormai deve entrare nel momento prezioso della sua passione redentrice, per la sua più bella rinascita.

È per questo momento che, nel mio Cuore Immacolato, vi è preparato un aiuto sicuro: è il Vicario di Gesù, il Papa,[papaGPII] che Io vi ho donato, perché sia da voi amato, ascoltato e seguito.

Ormai anche per Lui si avvicinano le ore del Getsemani e del Calvario e voi, miei figli prediletti, dovrete essere il suo conforto e la sua difesa.
Anche il mondo incomincia a vivere le sue ore più drammatiche e più dolorose.

In questo nuovo anno, molte cose di quanto vi ho predetto a Fatima avranno già compimento.

Non temete: abbiate fiducia. Nell'ora più tremenda della bufera vedrete la mia grande Luce farsi più forte e manifesta: la Donna vestita di sole, con la luna ai suoi piedi e intorno al suo capo una corona di dodici stelle.

Ecco il segno della mia e della vostra vittoria. È la vostra Madre vittoriosa che oggi, col Papa, primo figlio prediletto, tutti vi racchiude nel suo Cuore Immacolato e vi benedice».
SPES NOSTRA, SALVE!
AMDG et BVM

Un invito a riflettere seriamente e difendere la verità con la testimonianza piena. Finché abbiamo tempo

GESU' MARIA AMORE
VENITE INSIEME NEL MIO CUORE



Fuga in Egitto. Insegnamenti sull'ultima visione legata all'avvento di Gesù--- http://scrittivaltorta.altervista.org/01/01035.pdf

VOLUME I CAPITOLO 35

XXXV. Fuga in Egitto. Insegnamenti sull'ultima visione legata all'avvento di Gesù. 

  9 giugno 1944
  1Il mio spirito vede la seguente scena.
  È notte. Giuseppe dorme sul suo lettuccio nella minuscola stanzetta. Un placido sonno di chi si riposa dal molto lavoro compiuto con onestà e solerzia.
  Lo vedo nell’oscurità dell’ambiente, che è appena rotta da un filo di luce lunare che penetra da una fessura dell’impannata lasciata accostata ma non serrata del tutto, come se Giuseppe avesse caldo nella piccola stanza o volesse avere quel filo di luce per sapersi regolare all’alba e alzarsi sollecito. È volto su un fianco e nel sonno sorride a chissà quale visione che vede nel sogno.
  Ma il sorriso si cambia in affanno. Sospira profondamente, come fa chi è preso da un incubo, e si sveglia con un soprassalto. Si siede sul letto, si stropiccia gli occhi e si guarda intorno. Guarda verso la finestrella da cui viene quel filo di luce. È notte alta, ma egli afferra la veste stesa ai piedi del letto e, sempre stando seduto sul letto, se la infila sulla tunica bianca dalle corte maniche che aveva sulla pelle. Scosta le coperture, mette i piedi a terra e cerca i sandali. Se li mette e allaccia. Si alza in piedi e si dirige alla porta di fronte al suo letto, non a quella che ha al fianco dello stesso e che conduce nello stanzone dove furono accolti i Magi.
  Picchia piano, appena un tic-tic, con la punta delle dita. Deve sentire che lo si invita ad entrare, perché apre con attenzione la porta e la riaccosta senza rumore. Prima di andare alla porta ha acceso un piccolo lume ad olio, ad una sola fiamma, e si fa perciò lume con questo. Entra. Ma in una camera, di poco più vasta della sua e nella quale vi è un basso lettino presso una cuna, vi è già un lumino che arde, e la fiammella oscillante in un angolo pare una stellina dalla luce tenue e dorata che permetta di vedere senza dar noia a chi dorma.
  2Ma Maria non dorme. È inginocchiata presso la cuna nella sua veste chiara e prega, vegliando Gesù che dorme tranquillo, Gesù che ha l’età che gli vidi nella visione dei Magi. Un infante di circa un anno, bello, roseo e biondo, che dorme con la testolina ricciuta affondata nel guanciale e una manina serrata a pugno sotto la gola.
    «Non dormi?», chiede Giuseppe a voce bassa e stupita. «Perché? Gesù non sta bene?».
  «Oh, no! Egli sta bene. Io prego. Ma per certo che poi dormirò. Perché sei venuto, Giuseppe?». Maria parla rimanendo inginocchiata dove era.
  Giuseppe parla a voce bassissima per non svegliare il Bambino, ma concitata. «Bisogna andare via subito di qui. Ma subito. Prepara il cofano e un sacco con quanto puoi mettervi. Io preparerò il resto, porterò più che posso… All’alba fuggiremo. Lo farei anche prima, ma devo parlare alla padrona di casa…».
  «Ma perché questa fuga?».
  «Ti dirò poi meglio. È per Gesù. Un angelo me l’ha detto: “Prendi il Fanciullo e la Madre e fuggi in Egitto”. Non perdere tempo. Io vado a preparare ciò che posso».
  3Non c’è bisogno di dire a Maria di non perdere tempo. Appena ha sentito parlare di angelo, di Gesù e di fuga, ha compreso che vi è un pericolo per la sua Creatura ed è balzata in piedi più bianca in viso di una cera, tenendosi una mano sul cuore, angosciata. E ha subito cominciato a muoversi lesta e leggera ed a sistemare gli indumenti nel cofano e in un ampio sacco, che ha steso sul suo letto ancora intatto. È certo angosciata, ma non perde la testa e fa le cose sollecitamente ma con ordine. Ogni tanto, passando presso la cuna, guarda il Bambino che dorme ignaro.
  «Hai bisogno di aiuto?», chiede di tanto in tanto Giuseppe mettendo il capo dentro la porta rimasta socchiusa.
  «No, grazie», risponde sempre Maria.
  Solamente quando il sacco è pieno, e deve essere pesante, chiama Giuseppe perché l’aiuti a chiuderlo e a levarlo dal letto. Ma Giuseppe non vuole essere aiutato e fa da sé, prendendo il lungo involto e portandolo nella sua cameretta.
  «Prendo anche le coperte di lana?», chiede Maria.
 «Più che puoi prendi. Il resto lo perderemo. Ma più che puoi prendilo. Ci farà comodo perché… perché dobbiamo stare via molto, Maria!…». Giuseppe è molto addolorato nel dire questo. E Maria si può pensare come è. Piega sospirando le coltri sue e di Giuseppe, e questi le lega con una fune. «Lasceremo i trapunti e le stuoie», dice mentre lega le coltri. «Anche se prendo tre asinelli, non posso gravarli troppo. Dobbiamo fare lunga e disagevole via, parte fra montagne e parte nel deserto. Copri bene Gesù. Le notti saranno fredde, tanto nelle montagne che nel deserto. Ho preso i doni dei Magi perché ci faranno comodo laggiù. Quanto ho lo spendo tutto per comperare i due asinelli. Non possiamo rimandarli indietro e devo acquistarli. Io vado senza attendere l’alba. So dove cercarli. Tu finisci di preparare tutto». Ed esce.
  Maria raccoglie ancora qualche oggetto, poi, dopo avere osservato Gesù, esce e torna con delle piccole vesti che paiono ancora umide, forse lavate nel giorno avanti. Le piega e avvolge in un telo e le unisce alle altre cose. Non c’è più nulla.
  Si volge intorno e vede in un angolo un giocattolo di Gesù: una pecorina intagliata nel legno. La prende con un singhiozzo e la bacia. Il legno porta le tracce dei dentini di Gesù, e le orecchie della pecorina sono tutte morsicchiate. Maria carezza quell’oggetto senza valore, di un povero legno chiaro, ma di tanto valore per Lei, perché le dice l’affetto di Giuseppe per Gesù e le parla del suo Bambino. Mette anche quello presso le altre cose sul cofano chiuso.
  4Ora non c’è proprio più nulla. Solo Gesù nella sua cunella. Maria pensa che sia bene preparare anche il Bambino. Va alla cuna e la scuote un poco per svegliare il Piccino. Ma Egli ha solo un breve mugolio e si volta, continuando a dormire. Maria lo carezza piano sui ricciolini. Gesù apre la bocchina ad uno sbadiglio. Maria si curva e lo bacia sulla gota. Gesù finisce di destarsi. Apre gli occhi. Vede la Mamma e sorride, e tende le manine al seno di Lei.
  «Sì, amore della tua Mamma. Sì, il latte. Prima dell’ora solita… Ma Tu sei sempre pronto a succhiare la tua Mamma, agnellino mio santo!».
  Gesù ride e scherza agitando i piedini fuori delle coperte, agitando le braccia con una di quelle allegrie degli infanti, così belle a vedersi. Punta i piedini contro lo stomaco della Mamma, si curva ad arco e appoggia anche il capino biondo sul seno di Lei, e poi si butta indietro e ride con le manine afferrate ai cordoncini che stringono al collo la veste di Maria, tentando di aprirla. Nella sua camicina di lino Egli appare bellissimo, grassottello, roseo come un fiore.
  Maria si curva e, stando così, attraverso la cuna come una protezione, piange e sorride insieme, mentre il Bambino cinguetta quelle parole, che non son parole, di tutti i bambinelli e nelle quali è netta e ripetuta la parola «mamma». La guarda, stupito di vederla piangere. Stende una manina verso le righe lucide del pianto e se la bagna nella carezza. E, vezzoso, si riappoggia al seno materno e ci si raccoglie tutto contro, carezzandolo con la manina.
  Maria lo bacia fra i capelli e se lo prende in collo, si siede, lo veste. Ecco, la vestina di lana è infilata, ed ecco messi i sandaletti minuscoli. Gli dà il latte e Gesù succhia avido il buon latte della sua Mamma e, quando gli sembra che da destra ne venga più poco, va a cercare a sinistra, e ride nel farlo, guardando da sotto in su la Mamma. Poi si addormenta da capo sul seno di Lei, la gotina rosea e tonda ancora contro la mammella bianca e tonda.
  Maria si alza piano piano e lo depone sulla trapunta del suo letto. Lo copre con il suo mantello. Torna alla cuna e piega le piccole coperture. Riflette se sia bene prendere anche il materassino. È tanto piccino! Lo si può prendere. Lo mette, insieme al cuscino, presso le cose già messe sul cofano. E piange sulla cuna vuota, povera Mamma, perseguitata nella sua Creatura.
  5Torna Giuseppe. «Sei pronta? È pronto Gesù? Hai preso le sue coperte, il suo lettino? Non possiamo portare la cuna, ma almeno Egli abbia il suo materassino, povero Piccino che cercano a morte!».
   «Giuseppe!». Maria ha un grido mentre si afferra al braccio di Giuseppe.
   «Si, Maria, a morte. Erode lo vuole morto... perché ne ha paura... per il suo regno umano ha paura di questo Innocente, quella belva immonda. Cosa farà quando capirà che Egli è fuggito, non so. Ma noi saremo lontani, ormai. Non credo che si vendicherà cercandolo sino in Galilea. Già sarebbe troppo difficile per lui scoprire che noi siamo galilei e tanto meno di Nazareth e chi siamo, di preciso. A meno che Satana non lo aiuti per ringraziarlo d'essergli servo fedele. Ma... se ciò avvenisse... Dio ci aiuterà lo stesso. Non piangere, Maria. Vederti piangere mi è un dolore ben più forte di quello di dover andare in esilio».
   «Perdonami, Giuseppe! Non è per me che piango, né per il poco bene che perdo. Piango per te... Hai già dovuto sacrificarti tanto! Ed ora torni a non avere più clienti, né casa. Quanto ti costo, Giuseppe!».
   «Quanto? No, Maria. Non mi costi. Mi consoli. Sempre. Non pensare al domani. Abbiamo le ricchezze dei Magi. Ci aiuteranno nei primi tempi. Poi troverò lavoro. Un operaio onesto e capace si fa subito strada. Hai visto qui. Non mi bastano le ore al lavoro che ho».
   «Lo so. Ma chi ti solleverà dalla nostalgia?».
   «E tu, chi ti solleverà dalla nostalgia di quella casa che ti è così cara?».
   «Gesù. Avendo Lui, ho ancora quello che là ho avuto».
   «E io, avendo Gesù, ho la patria, sperata fino a pochi mesi or sono. Ho il mio Dio. Lo vedi che non perdo nulla di ciò che mi è caro sopra ogni cosa. Basta salvare Gesù e allora tutto ci resta. Anche non dovessimo più vedere questo cielo, queste campagne, né quelle ancor più care di Galilea, avremo sempre tutto, perché avremo Lui. Vieni, Maria, ché l'alba si inizia. È tempo di salutare l'ospite e di caricare la roba nostra. Tutto andrà bene».
  6Torna Giuseppe. «Sei pronta? È pronto Gesù? Hai preso le sue coperte, il suo lettino? Non possiamo portare la cuna, ma almeno Egli abbia il suo materassino, povero Piccino che cercano a morte!».
  «Giuseppe!». Maria ha un grido mentre si afferra al braccio di Giuseppe.
  «Sì, Maria, a morte. Erode lo vuole morto… perché ne ha paura… per il suo regno umano ha paura di questo Innocente, quella belva immonda. Cosa farà quando capirà che Egli è fuggito, non so. Ma noi saremo lontani, ormai. Non credo che si vendicherà cercandolo sino in Galilea. Già sarebbe troppo difficile per lui scoprire che noi siamo galilei e tanto meno di Nazareth e chi siamo, di preciso. A meno che Satana non lo aiuti per ringraziarlo d’essergli servo fedele. Ma… se ciò avvenisse… Dio ci aiuterà lo stesso. Non piangere, Maria. Vederti piangere mi è un dolore ben più forte di quello di dover andare in esilio».
  «Perdonami, Giuseppe! Non è per me che piango, né per il poco bene che perdo. Piango per te… Hai già dovuto sacrificarti tanto! Ed ora torni a non avere più clienti, né casa. Quanto ti costo, Giuseppe!».
  «Quanto? No, Maria. Non mi costi. Mi consoli. Sempre. Non pensare al domani. Abbiamo le ricchezze dei Magi. Ci aiuteranno nei primi tempi. Poi troverò lavoro. Un operaio onesto e capace si fa subito strada. Hai visto qui. Non mi bastano le ore al lavoro che ho».
  «Lo so. Ma chi ti solleverà dalla nostalgia?».
  «E tu, chi ti solleverà dalla nostalgia di quella casa che ti è così cara?».
  «Gesù. Avendo Lui, ho ancora quello che là ho avuto».
  «E io, avendo Gesù, ho la patria, sperata fino a pochi mesi or sono. Ho il mio Dio. Lo vedi che non perdo nulla di ciò che mi è caro sopra ogni cosa. Basta salvare Gesù e allora tutto ci resta. Anche non dovessimo più vedere questo cielo, queste campagne, né quelle ancor più care di Galilea, avremo sempre tutto, perché avremo Lui. 35.6Vieni, Maria, ché l’alba si inizia. È tempo di salutare l’ospite e di caricare la roba nostra. Tutto andrà ­bene».
  Maria si alza in piedi, ubbidiente. Si avvolge nel mantello, mentre Giuseppe fa un ultimo fagotto ed esce carico di quello.
  Maria solleva delicatamente il Bambino e lo avvolge in uno scialle e se lo stringe al cuore. Guarda le pareti che l’hanno ospitata per dei mesi e con una mano le sfiora. Beata casa, che ha meritato di essere amata e benedetta da Maria!
  Esce. Traversa la stanzetta che era di Giuseppe, entra nello stanzone. La padrona di casa, in lacrime, la bacia e saluta e, sollevando un lembo dello scialle, bacia sulla fronte il Bambino, che dorme tranquillo. Scendono per la scaletta esterna.
  Vi è un primo chiarore d’alba che dà appena modo di vedere. Nella poca luce si vedono tre somarelli. Il più robusto, carico delle masserizie. Gli altri, con la sella. Giuseppe si dà da fare ad assicurare per bene cofano e involti sul basto del primo. Vedo legati a mazzo, e posti sulla cima del sacco, i suoi arnesi da falegname.
  Ancora saluti e lacrime e poi Maria monta sul suo ciuchino, mentre la padrona tiene Gesù in collo e lo bacia ancora, poi lo rende a Maria. Monta anche Giuseppe, che ha legato il suo asino con l’asino carico dei bagagli per esser libero di tenere a cavezza l’asinello di Maria.
 La fuga ha inizio mentre Betlemme, che sogna ancora la fantasmagorica scena dei Magi, dorme quieta, inconscia di quanto l’attende.
 E la visione cessa così.

   7Dice Gesù:
   «E anche questa serie di visioni cessano così. Con buona pace dei dottori difficili siamo andati mostrandoti le scene che hanno preceduto, accompagnato e seguito il mio Avvento, non per esse stesse, che sono molto note per quanto svisate da elementi sovrapposti nei secoli, sempre per quel modo di vedere umano che, per dare maggior lode a Dio — e perciò è perdonato — rende irreale ciò che è tanto bello lasciare reale. Perché la mia Umanità e quella di Maria non ne escono sminuite, come non viene offesa la mia Divinità e la Maestà del Padre e l’Amore della Trinità Ss. da questo vedere le cose nella loro realtà, ma anzi ne splendono i meriti della Madre mia e la mia umiltà perfetta, come ne folgora la bontà onnipotente dell’eterno Signore. Ma ti abbiamo mostrato queste scene per potere applicare a te e ad altri il senso soprannaturale che ne esce e darvelo a norma di vita.
  Il Decalogo è la Legge; e il mio Vangelo è la dottrina che vi rende più chiara questa Legge e più cara a seguirsi. Basterebbero questa Legge e questa Dottrina a fare, degli uomini, dei santi.
  Ma siete così intralciati dalla vostra umanità — che, in verità, soverchia di troppo in voi lo spirito — che non potete seguire queste vie e cadete; o vi fermate scoraggiati. Dite a voi e a chi vi vorrebbe portare avanti citandovi gli esempi del Vangelo: “Ma Gesù, ma Maria, ma Giuseppe (e giù, giù per tutti i santi) non erano come noi. Erano forti, sono stati subito consolati nel dolore, anche di quel poco dolore che hanno avuto, non sentivano le passioni. Erano già esseri fuori della Terra”.
  Quel poco dolore! Non sentivano le passioni!
  8Il dolore ci è stato l’amico fedele ed ebbe tutti i più vari aspetti e nomi.
  Le passioni… Non usate un vocabolo malamente, chiamando “passioni” i vizi che vi traviano. Chiamateli sinceramente “vizi”, e capitali per giunta. Quelli non è che li ignorassimo. Avevamo occhi e orecchi per vedere e udire, e Satana ci faceva danzare davanti e intorno questi vizi, mostrandoceli col loro lordume in opera, o tentandoci con le sue insinuazioni. Ma, la volontà essendo tesa a voler essere graditi a Dio, questo laidume e queste insinuazioni, in luogo di ottenere lo scopo prefissosi da Satana, otteneva il contrario. E tanto più esso lavorava e tanto più noi ci rifugiavamo nella luce di Dio, per schifo della tenebra fangosa che esso ci mostrava agli occhi del corpo o dello spirito.
  Ma le passioni, nel senso filosofico, non le ignorammo in noi. Abbiamo amato la patria, e nella patria la nostra piccola Nazareth più di ogni altra città di Palestina. Abbiamo sentito gli affetti per la nostra casa, i parenti, gli amici. Perché non avremmo dovuto sentirli? Non ce ne siamo fatti schiavi perché niente deve esserci padrone fuorché Dio. Ma dei buoni compagni ce ne siamo fatti.
  Mia Madre ha avuto un grido di gioia quando, dopo quattro anni circa, è tornata a Nazareth ed ha messo piede nella sua casa, ed ha baciato quelle pareti in cui il suo “Sì” le aperse il seno a ricevere il Germe di Dio. Giuseppe ha salutato con gioia i parenti e i nipotini, cresciuti di numero e di anni, ed ha goduto di vedersi ricordato dai concittadini e subito cercato per la sua capacità. Io sono stato sensibile alle amicizie ed ho sofferto come di una morale crocifissione per il tradimento di Giuda. E che perciò? Né mia Madre né Giuseppe anteposero il loro amore alla casa o ai parenti alla volontà di Dio.
  9Ed Io non risparmiai parola, se era da dire, atta ad attirarmi l’astio degli ebrei e il malanimo di Giuda. Sapevo, e avrei potuto farlo, che sarebbe bastato del denaro per asservirlo a Me. Non a Me Redentore; a Me ricco. Io che ho moltiplicato i pani potevo moltiplicare anche il denaro, se volevo. Ma non ero venuto per procurare soddisfazioni umane. A nessuno. Tanto meno ai miei chiamati. Avevo predicato sacrificio, distacco, vita casta, umili posti. Che Maestro sarei stato e che Giusto, se ad uno, solo perché era quello il mezzo di tenerlo, avessi dato denaro per il suo sensualismo mentale e fisico?
  Grandi nel mio Regno si diviene facendosi “piccoli”. Chi vuole esser “grande” agli occhi del mondo non è atto a regnare nel mio Regno. È paglia per il letto dei demoni. Perché la grandezza del mondo è in antitesi con la Legge di Dio.
  Il mondo chiama “grandi” coloro che, con mezzi quasi sempre illeciti, sanno prendere i posti migliori e, per farlo, fanno del prossimo uno sgabello sul quale salgono schiacciandolo. Chiama “grandi” coloro che sanno uccidere per regnare, moralmente o materialmente uccidere, ed estorcono posti e paesi ed impinguano sé svenando altri nelle ricchezze singole e collettive. Il mondo chiama sovente “grandi” i delinquenti. No. La “grandezza” non è nella delinquenza. È nella bontà, nel­l’onestà, nell’amore, nella giustizia. Vedete i vostri “grandi” quali attossicanti frutti vi offrono, colti nel loro malvagio demoniaco giardino interiore!
 10L’ultima visione, poiché voglio parlare di essa e trascurare di parlare d’altro — ché tanto è inutile, perché il mondo non vuole udire la verità che lo riguarda — illumina un particolare citato due volte nel Vangelo di Matteo, una frase ripetuta due volte: “Levati, prendi il Fanciullo e sua Madree fuggi in Egitto”; “Levati, prendi il Fanciullo e la Madre di Lui e torna nella terra di Israele”. E tu hai visto che Maria era sola nella sua stanza col Bambino.
  Molto è combattuta, da coloro che per esser fango putrido non ammettono che uno di loro possa esser ala e luce, la verginità di Maria dopo il parto e la castità di Giuseppe. Sono disgraziati dall’animo tanto corrotto e dalla mente tanto prostituita alla carne, da essere incapaci di pensare che uno come loro possa rispettare la donna vedendo in lei l’anima e non la carne, ed elevare se stessi vivendo in un’atmosfera soprannaturale, appetendo non a ciò che è carne, ma a ciò che è Dio.
  Ebbene, a questi negatori del più bello, a questi vermi incapaci di divenire farfalla, a questi rettili coperti dalla bava della loro libidine, incapaci di comprendere la bellezza di un giglio, Io dico che Maria fu e rimase vergine, e che l’anima sola fu sposata a Giuseppe, come lo spirito suo fu congiunto unicamente allo Spirito di Dio e per opera di Lui concepì l’Unico suo portato: Io, Gesù Cristo, Unigenito di Dio e di Maria.
  Non è questa una tradizione fiorita dopo, per un amoroso rispetto della Beata che mi fu Madre. È verità, e fin dai primi tempi fu nota.
  Matteo non nacque secoli dopo. Era contemporaneo di Maria. Matteo non era un povero ignorante vissuto nelle selve e facile a credere ad ogni fandonia. Era un impiegato alle imposte, direste ora voi; un gabelliere, dicevamo noi allora. Sapeva vedere, udire, capire, scegliere il vero dal non vero. Matteo non udì le cose per sentito dire da terzi. Ma le raccolse dal labbro di Maria, alla quale il suo amore per il Maestro e per la verità lo aveva spinto a fare domande.
  Non penso già che codesti negatori della inviolabilità di Maria pensino che Ella abbia potuto mentire. Gli stessi parenti miei l’avrebbero potuta smentire, se vi fossero stati altri figli. Giacomo, Giuda, Simone e Giuseppe erano condiscepoli di Matteo. Perciò facile a questo confrontare le versioni, se più versioni vi fossero state. E Matteo non dice mai: “Levati e prendi tua moglie”; dice: “Prendi la Madre di Lui”. Prima dice: “Vergine sposata a Giuseppe”; “Giuseppe suo sposo”.
 11Né mi dicano, costoro, che ciò era un modo di dire degli ebrei, quasi che dire "moglie" fosse un'infamia. No, negatori della Purezza. Dalle prime parole del Libro(Mt 1,16.19; 2, 13.20; Gn 2,24; 3,17; 17,15; 19,15; Rut 4, 10; 1 Sam 1,1-2.19; 2,20; 2 Sam 11,27; Tb 1,9.20) si legge: "…e si unirà a sua moglie". È detta "compagna" sino al momento della consumazione sensuale del coniugio, e poi viene chiamata " moglie " in diverse riprese e in diversi capitoli. E così delle spose dei figli di Adamo. E così di Sara, chiamata "moglie" di Abramo: "Sara, tua moglie"; e "Prendi tua moglie e le tue due figlie" è detto a Lot. E nel libro di Rut è scritto: "La Moabita, moglie di Mahalon". E nel primo libro dei Re è detto: "Elcana ebbe due mogli"; e oltre: "Elcana poi conobbe sua moglie Anna"; e ancora: "Eh benedisse Elcana e la moglie di lui". E sempre nel libro dei Re è detto: "Betsabea, moglie di Una Eteo, divenne moglie di Davide e gli partorì un figlio". E che si legge nell'azzurro libro di Tobia, quello che la Chiesa vi canta alle vostre nozze per consigliarvi di esser santi nel matrimonio? Si legge: "Or quando Tobia con la moglie e col figlio arrivò..."; e ancora: "Tobia riuscì a fuggire col figlio e con la sua moglie".
    E nei Vangeli, ossia in tempi contemporanei a Cristo, in cui perciò si scriveva con linguaggio moderno, rispetto a quei tempi, e perciò non è da sospettare errori di trascrizioni, è detto, e proprio da Matteo nel cap. 22°: "...e il primo, presa moglie, morì e lasciò la moglie al fratello". E Marco al capo 10: "Chi ripudia la moglie...". E Luca chiama Elisabetta moglie di Zaccaria per quattro volte di fila, e nell'ottavo capitolo dice: "Giovanna, moglie di Cusa".
    Come vedete, non era questo nome un vocabolo proscritto da chi era nelle vie del Signore, un vocabolo immondo che non era degno d'esser proferito e tanto meno scritto dove si tratta di Dio e delle sue opere mirabili. E l'angelo, dicendo: "il Fanciullo e la Madre di Lui", vi dimostra che Maria gli fu Madre vera, ma non fu moglie a Giuseppe. Rimase sempre: la Vergine sposata a Giuseppe.
    E questo è l’ultimo insegnamento di queste visioni. Ed è una aureola che splende sul capo di Maria e di Giuseppe. La Vergine inviolata. L’uomo giusto e casto. I due gigli fra cui crebbi udendo solo fragranze di purezza.
  12A te, piccolo Giovanni, potrei parlare sul dolore di Maria per il suo duplice strappo dalla casa e dalla patria. Ma non vi è bisogno di parole. Comprendi che sia e ne muori. Dàmmi il tuo dolore. Non voglio che questo. È più di ogni altra cosa tu possa darmi. È venerdì, Maria. Pensa al mio dolore e a quello di Maria sul Golgota per potere sopportare la tua croce.
  La pace e l’amore nostro restano con te».
AMDG et BVM