domenica 16 aprile 2017

Novena Divina Misericordia - Terzo giorno


Terzo giorno 
(Domenica di Pasqua)

Meditare sulla grande manifestazione della Divina Misericordia: il dono pasquale del Sacramento della Penitenza che, nell’azione liberatrice dello Spirito Santo, reca risurrezione e pace ai nostri spiriti.
Parole di nostro Signore: "Oggi portami tutte le anime fedeli e pie; immergile nell’oceano della mia Misericordia. Queste anime mi hanno confortato sulla via del Calvario; esse erano una goccia di consolazione in mezzo ad un oceano di amarezze".
Preghiamo per tutti i cristiani fedeli.
Misericordiosissimo Gesù, che concedi abbondantemente le tue grazie a tutti gli uomini, accogli nel tuo Cuore infinitamente buono tutti i cristiani fedeli e non permettere che ne escano mai più. Te lo chiediamo per il tuo profondo amore verso il Padre Celeste.
Pater... Ave... Gloria...
Eterno Padre, volgi uno sguardo compassionevole alle anime fedeli, eredità del Figlio tuo; per i meriti della sua dolorosa Passione, concedi loro la tua benedizione e proteggile sempre, affinché non perdano l’amore e il tesoro della santa fede, ma lodino con tutta la schiera degli Angeli e dei Santi per l’eternità la tua infinita Misericordia. Amen.

AMDG et BVM

sabato 15 aprile 2017

Sapientia Sanctorum

Santa Gertrude ci parla di S. MARIA MADDALENA


Nella festa di S. Maria Maddalena, la grande amante di Cristo apparve a Geltrude durante i primi Vespri adorna di rose d'oro e splendente di tante gemme quanti furono i suoi peccati. Ritta alla destra del Figlio di Dio, diffondeva su tutta la Corte celeste il meraviglioso splendore della sua gloria, e il Salvatore Gesù, prodigandole familiari carezze, le diceva tenerissime parole. Geltrude comprese che i fiori d'oro rappresentavano la divina clemenza che aveva rimessi i peccati di S. Maria Maddalena, le gemme preziose simboleggiavano la penitenza con cui ella, aiutata dalla divina grazia, aveva cancellato tutte le sue colpe.

Durante il Mattutino Geltrude applicò la sua divozione alle parole ed ai neumi che erano cantati in onore di S. Marria Maddalena, e la pregò d'intercedere per lei e per le persone che le erano state raccomandate. La Santa penitente s'avanzò, si prostrò ai piedi del Signore, li baciò con amore e li offerse, in virtù dei suoi meriti, a tutti coloro che desideravano avvicinarsi ad essi con sincera penitenza. Geltrude venne a baciare teneramente quei sacratissimi piedi, dicendo: « Ecco, o amatissimo Gesù, che ti offro le pene di tutte le persone che mi sono affidate e in loro compagnia, lavo i tuoi santissimi piedi ». Rispose il Signore: « Con ragione mi hai lavato i piedi in nome loro, adesso di' a coloro per i quali tu preghi che me li asciughino coi loro capelli, che li bacino e li profumino con preziosi aromi ». Geltrude comprese che quelle persone dovevano fare tre cose: per asciugare i piedi di Gesù era necessario che si esaminassero accuratamente se nei dolori da loro sofferti, nulla vi fosse di opposto a Dio, o che impedisse la loro unione col Signore; in caso affermativo dovevano proporre di vincere ogni ostacolo, a prezzo di qualsiasi sacrificio. Per baciare i piedi di Gesù dovevano confidare ciecamente nella bontà infinita di Dio, sempre pronto a perdonare le colpe dei cuori sinceramente pentiti. Infine per profumare quei santi piedi dovevano proporre di fuggire, per quanto è possibile, la minima offesa di Dio.

Aggiunse il Signore: « Se vuoi offrirmi il profumo che, secondo il Vangelo, quella grande penitente versò sul mio capo, spezzando il vaso che lo conteneva, così che « la casa fu tutta piena di quella fragranza: et domus impleta est ex odore unguenti (Giov. XII, 3), devi amare la verità. Infatti colui che, per amore della verità e per difenderla si espone ad avere sofferenze, a perdere amici, a compiere gravi rinunce, colui, dico, spezza realmente il vaso d'alabastro e profuma il mio capo, sì che tutta la casa è fragrante di quest'olezzo. Egli dà realmente buon esempio e mentre si sforza di correggere gli altri, migliora se stesso, cercando di evitare le colpe che biasima nel prossimo. Così il buon odore si diffonde per l'esempio edificante e le opportune correzioni al prossimo. Se mai poi, nel suo amore alla verità, cadesse in qualche difetto, sia correggendo con asprezza e zelo eccessivo, sia mostrandosi negligente o troppo rigido, io lo scuserò davanti al Padre celeste e a tutti gli eletti, come seppi difendere Maria Maddalena; di più soddisferò a tutte le sue colpe ».

Geltrude chiese: « Amorosissimo Gesù, si dice che Maria abbia comperato quell'unguento odoroso, come potrei anch'io, (sia pure a prezzo grande), renderti un omaggio così gradito? ». Egli rispose: « Colui che in ogni occasione, mi offre la sua buona volontà, che si sforza di agire per amore, e che accetta i più gravi sacrifici per la mia gloria, compera veramente questo balsamo squisito. Lo acquista purché, preferendo il mio onore al suo vantaggio, si assoggetta a qualsiasi rinuncia; lo acquisterebbe anche se per gravi ostacoli, non potesse tradurre in opera il suo progetto ».
CAPITOLO XLVI, libro quarto

Il fondamento e l'importanza imprescindibile del celibato sacerdotale nelle parole di Benedetto XVI (YouTube)




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Il 22 dicembre 2006, in occasione del tradizionale discorso alla curia, Benedetto XVI si soffermò anche sul fondamento del celibato sacerdotale e sull'importanza che esso ha nella chiesa. Il discorso integrale si trova qui.
Grazie, come sempre, a Gemma per il bellissimo lavoro :-)
Rileggiamo e riascoltiamo Benedetto XVI:

"Con il tema di Dio erano e sono collegati due temi che hanno dato un’impronta alle giornate della visita in Baviera: il tema del sacerdozio e quello del dialogo. Paolo chiama Timoteo – e in lui il Vescovo e, in genere, il sacerdote – “uomo di Dio” (1 Tim 6,11). 
È questo il compito centrale del sacerdote: portare Dio agli uomini. Certamente può farlo soltanto se egli stesso viene da Dio, se vive con e da Dio
Ciò è espresso meravigliosamente in un versetto di un Salmo sacerdotale che noi – la vecchia generazione – abbiamo pronunciato durante l’ammissione allo stato chiericale: "Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita” (Sal 16 [15],5). 
L’orante-sacerdote di questo Salmo interpreta la sua esistenza a partire dalla forma della distribuzione del territorio fissata nel Deuteronomio (cfr 10,9). Dopo la presa di possesso della Terra ogni tribù ottiene per mezzo del sorteggio la sua porzione della Terra santa e con ciò prende parte al dono promesso al capostipite Abramo. Solo la tribù di Levi non riceve alcun terreno: la sua terra è Dio stesso. Questa affermazione aveva certamente un significato del tutto pratico. 
I sacerdoti non vivevano, come le altre tribù, della coltivazione della terra, ma delle offerte. Tuttavia, l’affermazione va più in profondità. Il vero fondamento della vita del sacerdote, il suolo della sua esistenza, la terra della sua vita è Dio stesso. 
La Chiesa, in questa interpretazione anticotestamentaria dell’esistenza sacerdotale – un’interpretazione che emerge ripetutamente anche nel Salmo 118 [119] – ha visto con ragione la spiegazione di ciò che significa la missione sacerdotale nella sequela degli Apostoli, nella comunione con Gesù stesso

Il sacerdote può e deve dire anche oggi con il levita: “Dominus pars hereditatis meae et calicis mei”. Dio stesso è la mia parte di terra, il fondamento esterno ed interno della mia esistenza. Questa teocentricità dell’esistenza sacerdotale è necessaria proprio nel nostro mondo totalmente funzionalistico, nel quale tutto è fondato su prestazioni calcolabili e verificabili. 

Il sacerdote deve veramente conoscere Dio dal di dentro e portarlo così agli uomini: è questo il servizio prioritario di cui l'umanità di oggi ha bisogno. Se in una vita sacerdotale si perde questa centralità di Dio, si svuota passo passo anche lo zelo dell’agire. Nell’eccesso delle cose esterne manca il centro che dà senso a tutto e lo riconduce all’unità. Lì manca il fondamento della vita, la “terra”, sulla quale tutto questo può stare e prosperare.

Il celibato, che vige per i Vescovi in tutta la Chiesa orientale ed occidentale e, secondo una tradizione che risale a un’epoca vicina a quella degli Apostoli, per i sacerdoti in genere nella Chiesa latina, può essere compreso e vissuto, in definitiva, solo in base a questa impostazione di fondo. 

Le ragioni solamente pragmatiche, il riferimento alla maggiore disponibilità, non bastano: una tale maggiore disponibilità di tempo potrebbe facilmente diventare anche una forma di egoismo, che si risparmia i sacrifici e le fatiche richieste dall’accettarsi e dal sopportarsi a vicenda nel matrimonio; potrebbe così portare ad un impoverimento spirituale o ad una durezza di cuore. Il vero fondamento del celibato può essere racchiuso solo nella frase: Dominus pars – Tu sei la mia terra. Può essere solo teocentrico. Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con Lui a servire pure gli uomini. 

Il celibato deve essere una testimonianza di fede: la fede in Dio diventa concreta in quella forma di vita che solo a partire da Dio ha un senso. Poggiare la vita su di Lui, rinunciando al matrimonio ed alla famiglia, significa che io accolgo e sperimento Dio come realtà e perciò posso portarlo agli uomini. Il nostro mondo diventato totalmente positivistico, in cui Dio entra in gioco tutt’al più come ipotesi, ma non come realtà concreta, ha bisogno di questo poggiare su Dio nel modo più concreto e radicale possibile. 

Ha bisogno della testimonianza per Dio che sta nella decisione di accogliere Dio come terra su cui si fonda la propria esistenza. Per questo il celibato è così importante proprio oggi, nel nostro mondo attuale, anche se il suo adempimento in questa nostra epoca è continuamente minacciato e messo in questione. Occorre una preparazione accurata durante il cammino verso questo obiettivo; un accompagnamento persistente da parte del Vescovo, di amici sacerdoti e di laici, che sostengano insieme questa testimonianza sacerdotale. Occorre la preghiera che invoca senza tregua Dio come il Dio vivente e si appoggia a Lui nelle ore di confusione come nelle ore della gioia. In questo modo, contrariamente al "trend" culturale che cerca di convincerci che non siamo capaci di prendere tali decisioni, questa testimonianza può essere vissuta e così, nel nostro mondo, può rimettere in gioco Dio come realtà"

© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana

«Possa tu vivere 120 anni come Mosè»

PAPA BENEDETTO VISTO DA VICINO

13/04/2017  Don Antonio Tarzia, ex direttore delle Edizioni San Paolo, svela episodi inediti sul Papa emerito con il quale ha un antico rapporto di collaborazione e amicizia.

Novant’anni di grazia, novant’anni di testimonianza cristiana e di vita vissuta a servizio della comunità e della Chiesa. Tra le doti eccezionali che gli amici e i collaboratori più stretti attribuiscono all’uomo Joseph Ratzinger troviamo sempre la perfetta lucidità mentale, l’impressionante capacità di sintesi e la carità vissuta nel quotidiano. Delle beatitudini di Matteo (5,3-10) quelle che maggiormente lo vedono testimone sono: beati i miti, beati i puri di cuore e beati gli operatori di pace. Lo posso attestare personalmente, avendo l’onore di conoscerlo da oltre un trentennio e di aver lungamente collaborato con lui quando, ancora cardinale, Ratzinger divenne uno dei principali e più apprezzati autori delle Edizioni San Paolo, che allora dirigevo.
Della sua mitezza ricordo l’impaccio alla presentazione del suo libro Rapporto sulla fede, pubblicato con le Edizioni San Paolo nel 1985. Il libro era un dialogo con il giornalista Vittorio Messori, all’epoca redattore di Jesus, e fu un grande successo editoriale. Avevamo organizzato con monsignor Josef Clemens, segretario di Ratzinger, poi vescovo e segretario del Pontificio consiglio per i laici, l’incontro con i giornalisti, i fotografi e il pubblico al Centro congressi Augustinianum a Roma. La sala piena, anche nella parte superiore, contava molti vescovi e diversi cardinali. Non invitato, preceduto da motociclisti in divisa, arrivò anche l’onorevole Oscar Luigi Scalfaro, ministro degli Interni. Salutando, con affabile umorismo, disse: «Mi è stato segnalato dalle forze dell’ordine che qui c’è un raduno di vescovi e cardinali. Ho voluto accertarmi di persona che non si trattasse di un Conclave…». Il cardinale Ratzinger sorrideva, stringeva le mani e salutava con profondo disagio, pensando che fosse tutto esagerato.

LA “PROFEZIA” DEI BAMBINI

La sua timidezza apparve evidente qualche anno dopo ad Anacapri dove eravamo andati a ricevere il prestigioso Premio San Michele. In piazza Boffe, una mattina di sole, due bambini giocavano a rincorrersi quando la più piccola vide arrivare un gruppo di persone e in mezzo il cardinale vestito di rosso con la croce pettorale e la fascia scarlatta. «Chi è quello, chi è?» chiese mettendosi la mano davanti alla bocca. «È il Papa, c’è il Papa!» gridò il cuginetto più grande e, divertiti, forse impauriti, scapparono via per i vicoli. A me venne in mente il Salmo 8: «Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Con la bocca di bambini e di lattanti…». Il cardinale rosso in volto e con disagio tentava di cambiare discorso. Ma nel gruppetto di amici (c’era lo scrittore Marco Roncalli, nipote di Giovanni XXIII, la giornalista Donatella Trotta del Mattino, monsignor Clemens e Raffaele Vacca “patrocinatore” del premio) si accese un dibattito concludendo che se la profezia si fosse avverata il professor Vacca sarebbe stato in obbligo di apporre sul muro una lapide commemorativa dell’evento. Cosa che avvenne nel 2006, a un anno dall’elezione a sommo Pontefice: il sindaco circondato da una folla di anacapresi adornò piazza Boffe della lapide a perpetua memoria.

AMICO DELLA SAN PAOLO

  
Per oltre 20 anni tra l’editore San Paolo e il cardinale si consolidò un sodalizio: ogni anno un libro nuovo da portare in libreria e alla Fiera di Francoforte, la Buchmesse. Tra questi, pubblicammo numerose conferenze ufficiali svolte in giro per il mondo e le omelie che il cardinale Ratzinger teneva tutti i giovedì alla Messa che per anni celebrò in Santa Maria della Pietà, presso il Collegio teutonico. La sua scrittura minuta in perfetto tedesco era sempre chiara e profonda, documentata e protesa a un futuro di pace e santità cristiana. Tutti questi volumi furono tradotti in più lingue, alcuni in un numero incredibile di idiomi: Rapporto sulla fede in oltre 15 e La mia vita, pubblicata nel 1997, in almeno 45. I diritti d’autore venivano ogni anno versati in beneficenza e istituzioni caritative, missioni, orfanotrofi e conventi di clausura dell’Est europeo. Il cardinale Ratzinger mi diceva: «Mi raccomando prima pagate le tasse d’obbligo». Un anno solo non consegnò il volume concordato. Disse che doveva fare un fioretto perché, come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, aveva chiesto il silenzio per 12 mesi a un sacerdote, e nel fioretto chiedeva che questi avesse la forza di obbedire in carità e sincerità. Quel prete era il teologo brasiliano Leonardo Boff, esponente della teologia della liberazione.

IN TAVOLA L’ARANCIATA

Nel 1992 ero con il cardinale Ratzinger a Bassano del Grappa per ricevere il Premio internazionale medaglia d’oro al merito della Cultura cattolica. Il dottor Enrico Scalco, presidente del premio, donò al cardinale, come da statuto, oltre alla medaglia anche una cassa di bottiglie di grappa con l’etichetta personalizzata. Con un sorriso di complicità, accettando il dono, il cardinale si schermì dicendo: «Lo condividerò con i collaboratori perché non bevo superalcolici. Ma credo che sia molto buona la grappa di Bassano». Sapevamo tutti che lui a tavola beve solo aranciata amara,  succo d’arancia o the, e solo nei pranzi ufficiali assaggia un goccio di vino o birra.
Si sa della passione del Papa emerito per i gatti. Io ricordo che nella casa paterna in Germania ce ne sono due. Uno in bronzo con le orecchie dritte sta su un piedistallo in giardino, vicino alla fontana monumento dove c’è la Madonnina e la “barca della Chiesa” con tre naviganti sempre in bronzo: «Non sono apostoli», mi spiegò la sorella Maria, «ma i fratelli Ratzinger: io, Georg e Joseph. È un regalo dell’amica artista Cristina Stadler». L’altro gatto (di ceramica bianca) è in casa e guarda il pianoforte su cui il cardinale si rilassava ogni tanto suonando inni liturgici o brani classici di Beethoven o Mozart. Una volta, rientrando da Messa, il cardinale posò il suo zuccotto sulla testa del gatto con il collo lungo e questo gli bastò a guadagnarsi il titolo affettuoso di «Sua eminenza il gatto bianco».

L’INCONTRO IN VATICANO

  
Il mio incontro più recente con Sua Santità risale al 23 marzo 2017. Gli ho fatto visita in Vaticano nel monastero Mater Ecclesiae dove trascorre i giorni in ascolto della parola di Dio e in preghiera di ringraziamento e di supplica per la Chiesa e l’umanità. Dopo un’oretta di colloquio affettuoso sull’onda dei ricordi, sull’attualità e i progetti per il domani, salutando mi ha detto: «E adesso quando verrà a trovarmi?». «Quando lei vorrà, Santità. Mi fa chiamare e io vengo. Di certo chiederò un’udienza fra due anni, per una benedizione speciale». «Fra due anni… non so se ci sarò», l’ho sentito sussurrare, e mi è parso che chiudesse gli occhi. «Santità, fra due anni farò 50 anni di Messa e ho bisogno di una benedizione particolare». Rasserenato in volto, con un sorriso e tanta tenerezza, mi ha detto: «Cinquant’anni di sacerdozio… allora aspetterò!». Ho baciato le sue mani che avevo tra le mie e sono uscito dal monastero commosso e felice.
Adesso, Santità, vorrei augurarle, per i suoi 90 anni, con la bella tradizione ebraica: «Possa tu vivere 120 anni come Mosè», andando oltre – aggiungo – l’età di Leone XIII, il Papa più longevo della storia, tornato alla casa del Padre a 93 anni. Auguri Santità!

AUGURI! SANTO PADRE BENEDETTO XVI !

I 90 anni di Ratzinger, auguri al Papa emerito

E' il 265mo Papa della Chiesa cattolica dal 2005 al ...

Redazione ANSA  

Domenica compirà 90 anni il Papa emerito Joseph Ratzinger. Benedetto XVI è stato il 265mo Papa della Chiesa cattolica dal 19 aprile 2005 al 28 febbraio 2013. In latino annunciò la sua rinuncia all'esercizio del ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro. La notizia, data dall'ANSA, in pochi minuti fece il giro del mondo. 
Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, nono successore tedesco di Pietro, figlio di un poliziotto e di una cuoca, è nato a Marktl am Inn, il 16 aprile 1927. Fine teologo, uomo timido dotato di grande capacità di ascolto, maestro nel predicare in modo accessibile anche sui temi più complessi, in quasi otto anni da papa ha incontrato milioni di persone, ha compiuto decine di viaggi internazionali e in Italia, ha scritto varie encicliche per dire che l'amore e la speranza non sono qualcosa ma qualcuno, cioé Cristo, e per rinnovare la dottrina sociale della Chiesa.
Ha scritto il Gesù di Nazareth in più volumi, per mostrare che la fede non è un elenco di proibizioni ma un rapporto di amicizia con il Dio fatto uomo. Ha posto i temi della povertà e dell'Africa, dei giovani, dell'ecumenismo e dell'annuncio della fede al mondo secolarizzato al centro del proprio regno. Ha lottato energicamente contro la pedofilia del clero, imponendo una inversione di rotta nella coscienza, nelle norme e negli atteggiamenti della Chiesa nei confronti dei preti pedofili. Trascorsa l'adolescenza a Traunstein, negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale è stato arruolato nei servizi ausiliari antiaerei, mentre era iscritto d'ufficio alla Gioventù hitleriana.
Prete dal 29 giugno 1951, addottorato in teologia con una tesi su sant'Agostino e abilitato alla docenza con una su san Bonaventura, è stato docente a Frisinga, Bonn, Muenster, Tubinga e Ratisbona. E' stato esperto al Concilio Vaticano II.
Nel '77 Paolo VI lo ha nominato arcivescovo di Monaco e il 27 giugno lo ha creato cardinale. Il suo motto episcopale e' stato "Collaboratore della verità". Ha partecipato ai conclavi che nel '78 hanno eletto papa Luciani e papa Wojtyla. Nell'81 Giovanni Paolo II lo ha nominato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. E' stato presidente della commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa cattolica, vice decano e poi decano dei cardinali. E' stato eletto papa il 19 aprile del 2005, al quarto scrutinio.
Numerosissime le sue pubblicazioni prima dell'elezione, ma anche da papa ha coltivato il dono della scrittura, innovando la comunicazione papale, in particolare con la lettera agli irlandesi sullo scandalo della pedofilia, e con quella ai vescovi sul caso del vescovo lefebvriano negazionista Williamson. E' sbarcato anche sui social network, con un profilo Twitter. Tra i suoi documenti anche due Motu proprio del 2007: uno per ripristinare la maggioranza dei due terzi per l'elezione di un pontefice e l'altro, il Summorum Pontificum, che ha liberalizzato la messa in latino. La lettera ai cinesi del 2009 non ha dato alla lunga i risultati sperati nei rapporti con Pechino, che resta una criticità della Santa Sede. Infine, a sorpresa, la sua [apparente]decisione di lasciare il Pontificato